giovedì 28 novembre 2019

IMPREVISTI
 
Avrà avuto ventotto anni al massimo. Una bella ragazza maghrebina, di corporatura minuta. Mi osservava sorridendo. Ero al terzo cocktail, quindi non propriamente lucido. Viviana, seduta al mio fianco, se ne uscì dicendo:
“Che dici, la chiamiamo?”
“Chiamiamola.”
Com’era sua abitudine, cambiò idea quasi subito.
“Aspetta, chiedo a Q.”
“Chiedi.”
La vidi avvicinare il gestore del locale, un egiziano. Chiacchierarono a lungo.
La giovane maghrebina non smetteva di fissarmi.
Vuotai il bicchiere e mi alzai, dirigendomi verso i due dialoganti.
“Dice Q. che tra un paio d’ore ne dovrebbe arrivare da Milano un’altra più bella.”
“L’ho presentata a una coppia, marito e moglie, mi hanno detto che è stata fantastica”, puntualizzò il gestore, “Li ha fatti impazzire di piacere”.
Viviana mi fece segno di seguirla all’esterno del locale.
Appena fuori si accese una sigaretta e disse:
“Bisogna portarla in un motel, Q. non affitta più le stanze.”
Dal tono intesi che la situazione non suscitava più il suo interesse.
Colsi la palla al balzo.
“Senti, è l’una e mezzo, non mi va di aspettare due ore una che manco so chi sia.”
“Ma sì, infatti.”
Pagai il conto e ce ne andammo.
Per essere dicembre, non faceva neanche tanto freddo. Niente brina sul parabrezza.
Misi in moto.
Fatte poche centinaia di metri, l’utilitaria che viaggiava davanti alla mia rallentò e accostò a destra. Intravidi un agente dei carabinieri con la paletta in mano. Se avessero fermato me, addio patente.
Per tutto il tragitto Viviana non fece altro che parlare dell’unico argomento che le stesse realmente a cuore: se stessa. Un ininterrotto flusso autoreferenziale, un monologo vacuo, desolante. 
La lasciai a casa e tornai al bar, seguendo un itinerario alternativo per evitare la pattuglia dei caramba. La ragazza era là dove l’avevo lasciata. Mi presentai.
“Piacere, mi chiamo Marco”.
“Sofia. Sapevo che saresti tornato.”
Accarezzai, più che stringere, la sua mano morbida e ben curata.
“Che ne diresti se ci facessimo un giro?”
“Dove?”
“Al Diamante. Un quarto d’ora e siamo lì.”
“Fanno 4 Vu.”
“D’accordo.”
Salimmo in macchina.
Dieci minuti più tardi, parcheggiai nel posteggio interno del motel. Non era certo popolato: cinque vetture compresa la mia.
Al banco della reception, il deserto.
Sofia sedette su una poltrona e prese a sfogliare una rivista.
Un urlo spaventoso, proveniente dal piano superiore, risuonò nella hall. Sofia scattò in piedi come una molla.
“Andiamo via subito!”
Ci fiondammo all’esterno. Neanche il tempo di mettermi alla guida e dall’ingresso del motel vidi uscire un uomo corpulento con una camicia bianca imbrattata di sangue. Aveva un’espressione folle stampata in volto.
“Parti, cazzo, parti!”
Innestai la prima e lasciai il posteggio a tutta birra.
Nello specchietto retrovisore, intravidi il tizio che correva a perdifiato, inseguendoci.
“Quello è un pazzo fottuto!”
Sofia era terrorizzata, si calmò solo quando entrammo in Pavia.
“Ti riporto al bar?”
“Sì sì per favore. Ti spiace se ci vediamo un’altra volta?”
“Non c’è problema.”
Quando arrivammo, il bar era chiuso.
“E adesso come faccio?”
“Non ti preoccupare. Ti do un passaggio a casa. Dove abiti?”
“Milano, via Chiesa Rossa. Sai dov’è il Takeout?”
“Sì.”
“Grazie, sei un tesoro.”
“Secondo me quello ha ammazzato qualcuno.”
“Non sono fatti nostri.”
“Ci sono telecamere a circuito chiuso in quei posti.”
“E con ciò? Mica abbiamo fatto niente di male. Siamo entrati e siamo usciti.”
“Articolo 593 codice penale.”
“Cos’è? Non sono un avvocato.”
“Omissione di soccorso.”
“Cosa conti di fare, chiamare gli sbirri?”
Eravamo all’altezza del mobilificio di Corso Partigiani, appena prima di entrare a Certosa. Si scorgevano distintamente i lampeggianti di due ambulanze nei pressi del semaforo, in mezzo al paese.
“Tutte stanotte capitano?”
Rallentai l’andatura. Il transito sulla statale dei Giovi era bloccato: oltre alle ambulanze, altre vetture erano ferme in mezzo alla strada, alcune messe di traverso. Si vedevano vetri rotti e, quel che è peggio, corpi umani riversi sull’asfalto.
Accostai e feci inversione.
“Dove sono gli infermieri?”
“Non ne ho idea. Passiamo da Pontelungo.”
“Prendi per il Cantone Tre Miglia”
“No Sofia, è una strada stretta: se troviamo un ostacolo siamo fottuti. Preferisco allungare il tragitto e non correre rischi.”
Lungo il rettilineo dopo Ponte Carate non incrociai una macchina che fosse una.
Sofia smanettava al cellulare.
“Ho provato a chiamare le mie amiche. Non mi risponde nessuna!”
A duecento metri dalla rotonda di Zeccone, vidi il lampeggiante blu di un’auto della polizia. Un agente, in piedi in mezzo alla strada, stava puntando la pistola in direzione di un gruppo di persone nei pressi delle case. Si udirono colpi di arma da fuoco.
Invertii nuovamente direzione.
“Ma si può sapere che succede stanotte? Senti Sofia, vieni a dormire a casa mia e domattina ti porto a casa.”
“Sempre se ci arriviamo.”
Non replicai, sapevo che aveva ragione.
Accesi l’autoradio.
Un cronista di Radio Popolare stava parlando di violenti scontri in corso a Milano.
Sofia si mise a pregare in arabo. 
 
Pietro  Ferrari, novembre 2019

lunedì 25 novembre 2019

TRANSAZIONI

Al mio ingresso nel locale fui colpito  da una ventata di odore acre e nauseabondo: una mescolanza di sudore ascellare e inguinale, maschile e femminile, fumo di narghilè, profumi  dozzinali. Un vero e proprio uppercut olfattivo. Vacillai per un istante. Sabrina, la donna con cui avevo deciso di trascorrere la serata, mi precedeva. Pagai alla cassa per entrambi, affidai il cappotto alla guardarobiera sudamericana e mi immersi nella calca. La mia compagna pareva perfettamente a proprio agio in mezzo a quegli afrori animaleschi. La sala era affollata di energumeni tatuati dall’aspetto patibolare e donne abbigliate come battone. Gli altoparlanti trasmettevano a volume altissimo motivi musicali in lingua spagnola. “Prendiamo qualcosa da bere?”, domandò Sabrina. Mi diressi al bar e ordinai due cocktail. Il barista, un tipo con l’aria da galeotto, mi servì due cocktail a base di vodka di infima qualità. Sabrina aveva già fatto amicizia con una perfetta sconosciuta, un troione di provenienza balcanica. Le passai il bicchiere.
“Vado a sedermi.”
Non c’era traccia di divanetti liberi. Guardandomi intorno riconobbi con stupore un tale conosciuto molti anni prima, appollaiato tutto solo su una seggiola in un angolo del locale. Era un insegnante di religione, un personaggio ambiguo. Mi avvicinai.
“Salve, si ricorda di me?”
“Certo, l’ho riconosciuta appena l’ho vista entrare. Come sta?”
“Bene. Lei?”
“Carina la sua fidanzata.”
“Non è la mia fidanzata. E’ una tipa con cui esco.”
“Capisco. Lei mi è sempre parso una persona seria, affidabile. Potrei chiederle un favore?”
“Sentiamo.”
“Dovrei sbrigare una faccenda ma non posso procedere personalmente. Le interessano mille euro?”
“Dipende dalla faccenda.”
“Ho un pacco in cantina e vorrei liberarmene.”
“Quanto pesa questo pacco?”
“78 kg”
“Voluminoso, direi. Ed è stabile?”
“No, si muove, questo è il punto. Gradirei stabilizzarlo, capisce?”
“E non può provvedere da sé?”
“Non ci riesco, per questo mi serve un aiuto.”
“Mille euro non compensano il rischio.”
“Facciamo duemila?”
“Sta scherzando? Diecimila o non se ne parla.”
“No no, è troppo… Cinquemila al massimo.”
“Per cinquemila le stabilizzo il pacco ma allo smaltimento ci pensa lei.”
“Va bene.”
“Mi dia il suo numero.”
Registrai il numero tra i contatti del cellulare e mi allontanai. Sabrina stava ballando in pista con il troione balcanico.
Le feci segno di avvicinarsi.
“Questo posto puzza e la musica fa schifo. Io non ci resto un solo minuto di più.”
“A me piace.”
“Come preferisci. Fatti riaccompagnare a casa dalla signora, allora. Hasta la vista.”
Le voltai le spalle senza prestare la minima attenzione alle sue recriminazioni, ritirai il cappotto al guardaroba e mi levai di torno.
L’indomani inviai un messaggio al prof con un burner phone pagato venti euro.
“Mi dia il suo indirizzo.”
La risposta arrivò all’istante.
Due ore dopo, bussavo alla sua porta. L’abitazione dell’insegnante pareva uscita dalle pagine di Edgar Allan Poe: una villetta a due piani, fatiscente, in preda al disfacimento. Lo specchio di una psiche devastata, prossima al crollo.
Prima di farmi entrare sbirciò furtivamente tutto intorno, come se temesse di essere spiato.
“Si accomodi.”
“Prima di accettare l’incarico, voglio vedere il pacco.”
“Va bene. E’ armato?”
“Lo sono sempre.”
 “Le faccio strada.”
“Un attimo.” Indossai una maschera da giocatore di hockey.
Scendemmo in cantina.
Era un locale angusto, l’aria sapeva di muffa. Il prof accese la luce.
Una figura umana incatenata a una colonna, giaceva a terra, distesa su un sacco a pelo.
Era un uomo sui sessant’anni, imbavagliato e dall’aria terrorizzata.
“Vede?”
Risalimmo.
“Allora, accetta?”
“Prima voglio sapere chi devo uccidere.”
“E’ un preside. Non le occorre sapere altro.”
“Lo decido io cosa mi occorre o no. Perché lo vuole morto?”
“Perché è uno stronzo, mi ha reso la vita impossibile.”
“Ok.”
“Allora è d’accordo?”
“Prima i soldi.”
“Non li ho qui con me.”
“Non si faccia sentire sino a quando non li avrà disponibili, tutti e sull’unghia, in banconote da 50. E si ricordi che allo smaltimento dovrà provvedere di persona. Sacchi neri della spazzatura ne ha? Un vecchio impermeabile?”
“Sì sì.”
“Serviranno anche un secchio e parecchi stracci.”
“La prossima volta mi faccia trovare i soldi. E niente stronzate, intesi?”
“Intesi.”
Stavo per salire in macchina quando squillò il cellulare. Era Sabrina.
“Cazzo vuole sta puttana di merda?”. Rifiutai la chiamata.
Appena a casa controllai il funzionamento della motosega. Era a posto. Tirai fuori dalla sgabuzzino gli stivali di gomma. Avrei utilizzato la visiera protettiva che impiegavo solitamente con il decespugliatore, per evitare gli schizzi di sangue in faccia durante il depezzamento della salma.
L’indomani mattina ricevetti una chiamata dal prof.
“Quando può venire?”.
“C’è il fluido?”
“Tutto quanto.”
“Alle 21. Mi faccia trovare il cancello aperto.”
Trovai il cancello aperto e il prof seduto in veranda.
Prelevai il materiale da lavoro dal bagagliaio.
“Non perdiamo tempo.”
Appena dentro casa, poggiai il borsone in corridoio.
“I soldi.”
Il prof prese una busta dal ripiano di un mobile.
Era gonfia di pezzi da cinquanta. Li contai: c’erano tutti.
Suddivisi il malloppo e lo riposi nelle tasche capienti del giubbotto, chiudendo le cerniere.
“Secchio, stracci e sacchi neri sono già in cantina?”
“Sì.”
“Disponga gli stracci sul pavimento, tutto intorno al suo ospite temporaneo. Appena ha terminato, risalga. Ha con sé le chiavi del lucchetto?”
Mi osservò come inebetito.
“Allora?”
“Ce le ho.”
“Si muova.”
Mi tolsi le scarpe e calzai gli stivali di gomma, indossai i guanti in pelle e l’impermeabile di plastica.
Avvitai il soppressore di suono alla Glock 17 e rimasi in attesa.
Il prof tornò dopo poco.
“Metta l’impermeabile. Guanti da lavoro ne ha?”
Il prof assentì.
Indossai cuffia e visiera protettiva e sollevai il borsone: “Diamoci da fare.”
Scendemmo in cantina.
Appena entrati, mirai alla testa del sequestrato e gli piantai due proiettili nel cranio, nel giro di un secondo.
Il prof rimase scioccato dalla fulmineità dell’azione.
“Sciolga le catene al preside, forza.”
Il cadavere si afflosciò sugli stracci.
“Prenda il secchio e sollevi il morto.”
“Ma pesa.”
“Non rompere il cazzo. Sollevalo quel tanto che basta per far pendere la testa sul secchio.”
Presi dal borsone il coltello da sub e tagliai la gola al preside.
Il sangue sprizzò copioso nel secchio.
“Facciamo scendere il grosso.”
“Pesa troppo.”
Lo aiutai a tenere sollevato il cadavere.
“Può bastare.”
Adagiammo la salma e la svestimmo.
“Adesso viene la parte brutta.”
Tirai fuori dal borsone la motosega.
“Sollevagli la gamba sinistra e tienila stretta per il piede. Hai capito?”
Il prof, bianco come un cencio, fece segno di sì.
Avviai la motosega, tagliai gambe e braccia e decapitai il cadavere.
“Prendi quel cazzo di sacchi neri e sistema un pezzo per sacco. Il torso è un problema. Dovrò sventrarlo e svuotarlo.”
Il prof fu colto dai conati di vomito.
“Se mi rigetti addosso ti sparo. Non scherzo.”
Gli passò subito la voglia.
Al termine dell’operazione, eravamo imbrattati di sangue e altri fluidi innominabili, come due macellai.
Sul pavimento della cantina giacevano nove sacchi neri, due dei quali contenenti stracci imbrattati di sangue e abiti.
“Il preside aveva con sé portafoglio e documenti quando lo hai sequestrato, suppongo.”
“Sì.”
“Falli sparire, distruggili questa notte stessa.”
Con uno straccio, ripulii, per quanto possibile, la motosega.
“Non fare la stronzata di abbandonare i sacchi neri tutti nello stesso posto, capito? Sparpagliali in giro. E fa’ attenzione alle telecamere vicino ai cassonetti. Anche il tuo impermeabile e le scarpe devono sparire. Prendimi un sacco nero. Vuoto.”
Risalimmo al pianterreno.
Mi tolsi  visiera, stivali, impermeabile di gomma e li riposi nel sacco.
“Di questi mi occupo io. Tu pensi al resto, e senza perdere tempo. Vatti a fare una doccia prima di uscire, che hai i capelli unti di sangue rappreso.”
Accostai il più possibile l’auto all’ingresso col bagaglio aperto. Caricai la mia roba.
“Entro 12 ore devi far sparire tutto quello che c’è in cantina. Svuota il secchio nel cesso. Quando hai finito, avvertimi. Se ti dimentichi di farlo, verrò a cercarti e non sarò di buon umore.”.
Misi in moto e me ne andai.
Sbirciando nello specchietto retrovisore, vidi il prof chiudere il cancello e rientrare in casa.
Ventiquattro ore dopo, ricevetti un messaggio laconico: “Sistemato”.
Distrussi il cellulare.
La questione poteva dirsi chiusa. 
 
Pietro Ferrari, novembre 2019

venerdì 22 novembre 2019

NOTE SUL LAVORO DI LUBOTSKY O IL FONEMA PROTOINDOEUROPEO *A

Alexander Lubotsky (Università di Leida) è l'autore del lavoro Against a Proto-Indo-European phoneme *a (Contro un fonema protoindoeuropeo *a), consultabile e scaricabile al seguente url di Academia.edu:


Il problema trattato è cruciale negli studi sul protoindoeuropeo e a parer mio di grande interesse. 

La ricostruzione di un fonema protoindoeuropeo *a accanto ai fonemi *e e *o è stata spesso contestata. Questo presunto fonema ha le seguenti mirabili proprietà: 

i) ricorre limitatamente,
ii) non è presente nelle terminazioni e nei suffissi,
iii) non mostrare praticamente apofonia,
iv) è presente solo in poche radici isolate che non appartengono al vocabolario di base.

Per i motivi sopra elencati, alcuni studiosi hanno ipotizzato che *a non sia un genuino fonema protoindoeuropeo, ma che si sia sviluppato in diverse lingue dal contatto con una ipotetica consonante poi scomparsa e trascritta come *H2. Nonostante ciò, più tardi è prevalsa un'opinione comune che considera il fonema *a una presenza inevitabile, dal momento che la sua spiegazione in termini di consonanti laringali è impossibile - tranne che in posizione iniziale, a quanto pare. Ebbene, l'autore dell'articolo è dell'opinione che il fonema *a sia superfluo. Volendo dimostrare l'esistenza del fonema *a in protoindoeuropeo dobbiamo considerare quelle lingue in cui il fonema *o non è diventato *a. Queste sono il greco, l'armeno, il tocario, il celtico, l'italico (falisco-latino e osco-umbro). Ci sono tuttavia problemi notevoli. Non è chiaro il vocalismo del tocario. In armeno non c'è ancora consenso sulle condizioni in cui il protoindoeuropeo *o è diventato a. In italico e in celtico ci sono molti casi di parole che mostrano a anziché o (es. latino cavus "cavo, profondo" accanto a un più logico ma raro covus). In celtico abbiamo almeno un caso di -o- al posto dell'atteso -a-: mori- "mare", ma in latino mare. Così l'autore deduce che l'unica lingua che mostra prove valide per dirimere la questione sia il greco. A parer mio è come andare dalla padella alla brace. Proprio il greco è proposto come soluzione, con tutte le sue infinite controversie etimologiche, col suo imponente sostrato pre-indoeuropeo, con tutti i tentativi di ricondurre all'indoeuropeo forme che appartengono a lingue perdute, con tutte le sue chimere e i molteplici strati di relitti di lingue indoeuropee residuali non altrimenti attestate. 
 
Detto tra noi, non mi piace più di tanto questo studio, le sue argomentazioni mi sembrano troppo contorte, tanto che è persino difficile esporle in forma sintetica. Comunque la si giri, non si riesce a spiegare nulla. Esistono elenchi di parole indoiraniche con -a- a cui corrisponde la stessa vocale -a- / -ā- nelle lingue indoeuropee cosiddette "meridionali". Il punto è che non si arriva ad afferrare il senso di questi dati - senza tener conto della possibilità di etimologie fallaci. L'autore dà diverse spiegazioni a seconda dei casi, così divide il materiale in diverse sezioni. Ecco una breve lista, a titolo di esempio:

Sanscrito pajra- "fermo" :
    Greco pḗgnūmi "io rendo saldo" < *pāg-
Sanscrito svadati "è dolce" :
   Greco hēdús "dolce" < *swādus
Sanscrito bajati "divide" :
   Greco phageĩn "mangiare"
Sanscrito radati "morde"
   Latino rādō "io rado"
Sanscrito śāśaduḥ "eccelsero" :
   Greco kekadménos "eccellente" 
Sanscrito śad- "cadere" :
   Latino cadō "io cado" 
 
Alcuni raffronti li rigetterei subito per motivi semantici. Non collegherei una radice che significa "dividere" con una radice che significa "mangiare", o una radice che significa "mordere" con una che significa "radere". Notiamo poi un falso raffronto: il greco kekadménos "eccellente" è un hapax di Pindaro, che lo ha costruito "anticando" la forma kekasménos, derivante dal verbo kaínūmai "io supero, io eccello" e senza traccia alcuna di un'antica -d-.   
 
Cosa molto importante, tre nomi radicali sono stati ricostruiti in protoindoeuropeo con il vocalismo -a- che alterna col grado -ā- nel nominativo singolare. Sono i seguenti: 
 
1) IE *sal- "sale":
      Armeno:
      Tocario B: salyiye
      Greco: háls "sale" 
      Latino: sāl "sale" 
      Gotico: salt "sale" 
      Lettone: sā̀ls "sale" 
      Lituano: sólymas "acqua salata"
      Slavo ecclesiastico: solĭ "sale" 
      Antico irlandese: salann "sale" 
      Gallese: halen "sale" 
 
2) IE *g'hans- "oca"
      Greco: khḗn "oca" 
      Latino: ānser "oca"
      Gotico: *gansus "oca"
      Norreno: gǫ́ss "oca"
      Antico irlandese: géiss "cigno" (< *ghansi-)
      Lettone: zùoss "oca" 
      Sanscrito: haṁsa- "cigno"
      Avestico: "oca" 

Lo slavo *gǫsĭ "oca" ha tutta l'aria di essere un prestito da una varietà di gotico.
 
3) IE *nas- / *nās- "naso"  
    Latino: nāris "narice", nāsus "naso"
    Norreno: nǫs "narice"
    Antico alto tedesco: nasa "naso"  
    Sanscrito: nāsā "naso" (du.)
    Antico persiano:
nāham "naso" (acc.)  
    Avestico: nɔ̄ŋhā "naso"
    Lituano: nósis "naso" 
    Lettone: nãss "narice"
    Slavo ecclesiastico: nosŭ "naso" 

Queste sono le forme protoindoeuropee ricostruite da Kortlandt nel 1985 (teoria delle laringali) e riportate dall'autore: 

1) nom. *seH2ls "sale"
    acc. *sH2elm
    gen. *sH2los 

2) nom. *g'heH2ns "oca" 
    acc. *g'hH2ensm
    gen. *g'hH2nsos 

3) nom. *neH2s "naso"
    acc. *neH2sm 
    gen. *nH2sos

A mio avviso sono ricostruzioni un po' opinabili, poi mi sbaglierò. Potrò anche essere il peggiore degli incompetenti, tuttavia mi domando perché l'accusativo singolare di *neH2s "naso" dovrebbe essere *neH2sm e non *nH2esm, come dovrebbe essere dal confronto con gli altri paradigmi. Domanda: quale lingua mostra in concreto un esito di *neH2s tal quale, senza suffisso alcuno? Non è che c'è qualche fallacia nelle forme ricostruite? Il problema è capire se la criticità che ha dato il fonema -a- nelle lingue storiche si trova a monte o a valle della lingua con le laringali. 
 
Nell'edificio presentato le criticità esistono. 
 
1) L'autore cita il sanscrito salila- (n.) "mare" (tra l'altro omesso da Starostin nel suo database). Intanto bisogna dimostrare che la parola abbia come suo significato centrale proprio "salato". Il suo significato originale potrebbe invece essere "acqua". Bisogna anche dimostrare che sia corretta l'etimologia, dal momento che il "suffisso" -ila- mi pare soverchiamente sospetto. E se fosse da dividersi *sa-lila- e fosse una parola para-Munda che ha *sa- come prefisso? Sarebbe proprio una bella beffa! 
 
2) Non ci sono soltanto esiti del protogermanico *gansu- / *gansi- con sibilante: esistono anche strane forme che hanno un'occlusiva dentale. In antico inglese abbiamo ganot "maschio dell'oca" e in antico alto tedesco ganazzo, ganzo, con lo stesso significato. Non solo: in antico inglese c'è anche gandra, sinonimo di ganot, che ha dato l'inglese moderno gander "maschio dell'oca". E queste forme come diamine le spieghiamo? Lubotsky suggerisce sommessamente che queste forme siano indoeuropee genuine e che vadano considerate come una prova della necessità di analizzare IE *g'hans- come *g'han-s-. Mi pare lampante che si tratti di prestiti da una lingua perduta.

3) Non si fa una parola sugli strani esiti latini di IE *nas- / *nās- "naso": non esiste infatti soltanto nāris "narice", con rotacismo, ma anche nāsus "naso" senza rotacismo. Sono convinto che sia un po' ingenuo pensare che l'accusativo nārem sia un esito diretto di una forma come *neH2sm, quando potrebbe benissimo essere il prodotto di vari livellamenti analogici. Insomma, si cerca di capire ogni minimo dettaglio aggiustando queste benedette laringali, trascurando il ruolo della patafisica. Si rischia l'anacronismo.  
 
A questo punto al lettore potrebbe anche venire in mente un'idea provocatoria: esasperato, potrebbe pensare che le ricostruzioni con le laringali siano soltanto un gran mucchio di balle. Non arrivo a tanto, ovviamente. Quello che penso è in buona sostanza questo: il fonema *a doveva essere presente in protoindoeuropeo in parole prese a prestito da lingue perdute (di sostrato, superstrato o adstrato, non sappiamo dirlo) - e per di più in una fase posteriore alla scomparsa delle laringali.

NOTE SUL LAVORO DI LUBOTSKY O IL SOSTRATO NELL'INDOIRANICO

Alexander Lubotsky (Università di Leida) è l'autore del lavoro The Indo-Iranian substratum (Il sostrato indoiranico), pubblicato originariamente in Early Contacts between Uralic and Indo-European: Linguistic and Archaeological Considerations (Contatti precoci tra uralico e indoeuropeo: considerazioni linguistiche e archeologiche). Il contributo è stato presentato a un simposio internazionale tenuto alla Stazione di Ricerca di  Tvärminne dell'Università di Helsinki, 8-10 gennaio 1999. L'articolo è consultabile e scaricabile al seguente url:


È un'approfondita trattazione degli elementi di sostrato comuni alle lingue indiane e a quelle iraniche, con discussione della loro struttura fonetica e morfologica, oltre a elenchi di radici. Questa è la sinossi, da me tradotta:

"Lo studio dei prestiti può essere uno strumento potente per determinare i contatti culturali preistorici e le migrazioni, ma questo strumento è usato in modo diverso in varie discipline. Così gli studi sui prestiti sono pienamente accettati nella linguistica uralica, mentre gli indoeuropeisti sono spesso riluttanti a riconoscere l'origine straniera di parole attestate nelle lingue indoeuropee. La ragione è ovvia: in uralico, noi conosciamo la sorgente dei prestiti (indoiranico, germanico, baltico), mentre la sorgente di possibili prestiti in indoeuropeo è di solito sconosciuta. Nonostante ciò, è una questione di grande importanza distinguere tra il lessico ereditato e i prestiti, anche se la lingua donatrice non può essere determinata. 
Negli anni recenti la metodologia per trattare i prestiti da una fonte sconosciuta è stata sviluppata da Kuiper (1991 e 1995), Beekes (1996) e Schrijver (1997). Come questi studiosi hanno fatto notare, un etimo è verosimilmente da considerarsi un prestito se è caratterizzato da qualcuna delle seguenti caratterstiche: 1) distribuzione geografica limitata; 2) irregolarità fonologica o morfofonologica; 3) fonologia insolita; 4) formazione insolita di parole; 5) semantica specifica, es. una parola appartiene a una categoria semantica che è particolarmente suscettibile di essere presa a prestito." 

Concordo sull'immensa importanza della scienza dei prestiti. Dissento invece sulle ragioni della riluttanza degli indoeuropeisti a riconoscere questo. Non lo fanno perché le lingue donatrici sono ignote, bensì per ragioni ideologiche e dogmatiche. Ragioni che non di rado sono contaminate dalla politica. Ho conosciuto indoeuropeisti convinti che i popoli di lingua indoeuropea debbano essere "moralmente superiori" a popoli che parlano lingue di ceppi diversi.  Quindi passano ad applicare il concetto di "superiorità morale" direttamente alle lingue e persino alle singole parole che ne compongono il lessico. C'è anche un'altra cosa su cui non sono molto d'accordo. Gli uralisti accettano pienamente l'esistenza di prestiti dall'indoiranico, dal germanico e dal baltico nelle lingue uraliche. Diverso discorso quando si tratta di elementi di sostrato provenienti da lingue ignote che compaiono come sostrato, numerosi ad esempio nelle lingue uraliche dei Saami (Lapponi). Sorge allora una specie di puritanesimo non troppo dissimile da quello dei Neogrammatici: ecco che la reazione spontanea di molti studiosi è quella di ricondurre le parole problematiche a etimologie conosciute, anche a costo di far loro violenza. Per fortuna c'è chi fa eccezione. 
 
L'autore applica le linee guida di Kuiper-Beekes-Schrijver al lessico indoiranico alla ricerca di prestiti di origine sconosciuta entrati nella protolingua in epoca anteriore alla sua suddivisione in due rami. Lo studio si fonda su una lista, raccolta dall'etimologo Manfred Mayrhofer (1926 - 2011) e contenente circa 120 parole sanscrite provviste di corrispondenze iraniche, ma prive di chiari collegamenti al di fuori dell'indoiranico. 
 
Le parole della lista di Mayrhofer soddisfano il criterio della limitata distribuzione geografica. Ciò non è però sufficiente. Infatti una parola potrebbe essere priva di un'etimologia credibile solo perché è andata perduta in tutti gli altri rami dell'indoeuropeo, restando soltanto in indoiranico. Può anche darsi che si brancoli nel buio perché l'etimologia corretta non è ancora stata trovata. Soltanto in presenza di altre caratteristiche tipiche di un prestito l'autore prende seriamente in considerazione l'idea di un'origine straniera. Nell'articolo il termine "sostrato" si usa per ogni lingua donatrice di prestiti, senza considerare che potrebbe essere anche un adstrato o un superstrato: la distinzione non può essere determinata allo stato attuale delle conoscenze. Ci potrebbe anche essere stata più di una lingua donatrice. L'autore passa quindi ad analizzare in dettaglio le caratteristiche peculiari mostrate da alcune delle parole indoiraniche isolate.

1) Corrispondenze fonetiche irregolari

In posizione iniziale: 

Sanscrito s- : Proto-iranico *s-
   Sanscrito sikatā- "sabbia" :
   Antico persiano ϑikā- "sabbia".  
   Sanscrito sūcī- "ago" :
   Tardo avestico sūkā- "ago".
Sanscrito k- : Proto-iranico *g- 
   Sanscrito keśa- "capelli" :
   Tardo avestico gaēsa- "capelli ricci".
Sanscrito ph- : Proto-iranico *sp- 
   Sanscrito phāla- "vomere" :
   Persiano moderno supār "vomere".
Sanscrito ś- : Proto-iranico *xšṷ- 
   Sanscrito śepa- "coda", ma pracrito cheppā- :
   Tardo avestico xšuuaēpā- "coda".

In posizione mediana: 

Sanscrito -a- : Proto-iranico *-u- 
   Sanscrito jahakā- "riccio" (animale) :
   Tardo avestico dužuka- "riccio" (animale).
Sanscrito -ā- : Proto-iranico *-a- 
   Sanscrito chāga- "caprone":
   Ossetico sæğ / sæğæ "caprone".
Sanscrito -v- : Proto-iranico *-b- 
   Sanscrito gandharva- "un essere mitico":
   Tardo avestico gaṇdərəβa- "un essere mitico".
Sanscrito -dh- : Proto-iranico *-t- 
   Sanscrito gandha- "odore" :
   Tardo avestico gaiṇti- "cattivo odore".
Sanscrito -ar- : Proto-iranico *-ra- 
   Sanscrito atharvan- "prete" :
   Avestico āϑrauuan- / aϑaurun- "prete". 
Sanscrito -ar- : Proto-iranico *-ṛ- 
   Sanscrito gandharva- "un essere mitico":
   Tardo avestico gaṇdərəβa- "un essere mitico".
Sanscrito -ūr- : Proto-iranico *-ṛ- 
   Sanscrito dūrśa- "indumento grossolano" :
   Wakhi δərs "lana di capra o di yak".

2) Struttura della radice impossibile per una parola indoeuropea

Esiste una ben nota legge fonetica che impedisce la contemporanea presenza di due consonanti occlusive sonore non aspirate nella stessa parola. Si evince quindi che parole come *gadā- "mazza" e *gṛdā- "pene" non possono aver avuto la loro origine nella lingua protoindoeuropea.

3) Struttura sillabica inusuale (parole trisillabiche con vocale lunga o dittongo nella seconda sillaba). 
 
Questi sono alcuni esempi di forme proto-indoiraniche ricostruite dall'autore:

*pīi̭ūša- "colostro"
*mai̭ūkʰa- "piolo di legno"
*i̭avīi̭ā- "canale"
*ṷarājʰa- "cinghiale selvatico"
*kapauta- "piccione"
*kapāra- "vaso, piatto"

La struttura di queste parole è tale da rendere molto difficile una spiegazione sulla base della morfologia indoeuropea. Come sempre l'autore è molto diplomatico. Direi che cercare di spiegare le parole di questo genere sulla base della morfologia indoeuropea è come pretendere di spiegare sulla base dell'anglosassone la morfologia della parola axolotl. Il suffisso della parola sanscrita pīyūṣa- "colostro" si trova anche nella parola sanscrita tarda gaṇḍūṣa- "acqua per sciacquarsi la bocca". Lubotsky rimanda a Wackernagel per questo dettaglio morfologico, facendo notare che anche separando il suffisso in pīyūṣa-, resterebbe una base problematica con una vocale lunga -ī- inesplicabile. Aggiungo che gaṇḍūṣa- deriva dalla radice para-Munda *gand- "acqua", termine di sostrato che emerge anche nella toponomastica indiana. 

4) Peculiarità fonetiche  

Aspirate sorde:
*(s)pʰāra- "vomere", *atʰarṷan- "prete", *kapʰa- "muco, catarro", *kʰā- "pozzo, sorgente", *kʰara- "asino", *mai̭ūkʰa- "piolo di legno".

Affricate palatali estremamente frequenti:
*anću- "pianta di Soma", *āćā- / *aćas- "regione, spazio", *ćarṷa, nome di una divinità, *daćā- "orlo, filo", *dṛća- / *dṝća- `coarse garment', *jʰarm(i)
a- "struttura solida, casa permanente", *kaćapa- "tartaruga", *kaića- / *gaića- "capelli", *kućši- "lato del corpo, fianco", *maljʰa- "ventre", *naij(s)- "spiedo", *ućig- "prete sacrificatore", *ṷarājʰa- "cinghiale selvatico", etc.

Frequenti gruppi consonantici con -s-:
*kućši- "lato del corpo, fianco", *ṷṛćša- "albero", *mats
a- "pesce", *naij(s)- "spiedo", *kšīra- "latte", *pusća- "coda", *sćāga- / *sćaga- "caprone". 

La sequenza -rṷ-:
*atʰarṷan- "prete", *ćarṷa-, nome di una divinità, *g(ʰ)andʰ(a)rṷa- (/ -b(ʰ)a-) "un essere mitico". 
 
5) Peculiare formazione delle parole 
 
"Suffisso" -ka- (normalmente soltanto denominale):
*atka- "mantello", *stuka- "ciuffo di capelli", *ṷṛtka- "rene",
*jajʰaka- (/ -ā-) / *jajʰuka- (/ -ā-) "riccio" (animale);

"Suffisso" -sa- (raro nel lessico ereditato):
*pī
ūša- "colostro", *ṷṛćša- "albero";
 
"Suffisso" -pa-
*kaćapa- "tartaruga", *pāpa- "cattivo", *stupa- / *stūpa- "ciuffo di capelli", *šṷaipa- "coda";

Altre suffissazioni insolite:
*stu-ka-
contro *stu-pa- / *stū-pa-, entrambi "ciuffo di capelli", *nagna(jʰu)- "lievito, pane" (sanscrito nagnahu- "lievito", iranico *nagna- "pane"), *karuš- "danneggiato" (detto di denti), *jʰarm(i)
a- "struttura solida, casa permanente", *matsa- "pesce", *naij(s)- "spiedo", *ućig- "prete sacrificatore", *bʰiš- "medicina, erba medicinale" (sanscrito bhiṣaj- "medico", tardo avestico bišaziia- "curare"), *paṷasta- (/ -ā-) "veste". 
 
6) Categorie semantiche 
Si può sospettare che una parola sia un prestito anche se non mostra anomalie fonologiche e/o morfologiche, e questo soltanto per la sua appartenenza a un dato campo semantico (es. religione, culto del Soma, tecnologia). Anche se gli indoeuropeisti classici insorgeranno nel leggerlo, appartiene al sostrato qui studiato anche il teonimo *indra- "divinità uranica", che mostra un vocalismo irregolare, oltre a *ṛši- "veggente", il cui esito sanscrito mostra un accento iniziale aberrante. Motivi semantici spingono ad attribuire un'origine straniera a parole come *daćā- "orlo, filo", *išt()a- "mattone", *ṷāćī- "ascia, coltello appuntito" e via discorrendo. 
 
Il sostrato in proto-indoiranico e in sanscrito
 
A questo punto l'autore indaga la corrispondenza tra le caratteristiche delineate per gli elementi del sostrato nel proto-indoiranico e quelli del sostrato presente nelle sole lingue indiane, che sono entrati in sanscrito soltanto quando le genti indoarie hanno attraversato l'Hindukush. A complicare le cose, si trova una notevole concordanza strutturale, anche in assenza di parole comuni.   

i) Abbondanza di parole trisillabiche con sillaba mediana lunga:
urvārū- "cetriolo", ulūka- "gufo", uṣṇīṣa- "turbante", ṛbīsa- "forno", kapola- "guancia", karīṣa- "letame", karmāra- "fabbro"*, kilāsa- "di colore variegato", kiśora- "puledro", mayūra- "pavone", masūra- "lenticchia", śārdūla- "tigre", śṛgāla- "sciacallo", etc. 
 
*Non è un derivato del verbo kṛ- "fare": occorre fare attenzione alle false etimologie.

ii) Presenza di aspirate sorde:
ulūkhala- "mortaio", khila- "terra incolta", khārī- "misura di grano", kharva- "mutilato", phala- "frutto", mukha- "bocca, faccia", śikhā- "ciuffo di capelli, cresta".

iii) Grande abbondanza di consonanti palatali (fricative e affricate):
nella lista di Kuiper di 383 parole straniere nel Ṛg-Veda, Lubotsky ha contato ben 90 parole contenti tali suoni (corrispondente a circa 23,5% del totale).

iv) Gruppi consonantici con -s-:
kṣauma- "di lino" (cfr. umā- "lino"), ikṣvāku-, nome proprio di persona  (Ṛg-Veda), kutsa-, nome proprio di persona (Ṛg-Veda), etc.

iv) Presenza del "suffisso” -pa-:
alpa- "piccolo", turīpa- "sperma", puṣpa- "fiore", śaṣpa- "erba giovane", śilpa- "variegato" (also śilpa- "ornamento"), śūrpa- "cesto di vagliatura", etc. 

v) Presenza del "suffisso" -h-:
malha- "dal ventre pendente, dal seno pendente" (detto di capre e pecore), barjaha- "mammella", barjahya- "capezzolo".

vi) Presenza del "suffisso" -ig- (si direbbe un agentivo):
ṛtvij- "prete", vaṇij- "mercante".

vii) Presenza della sequenza -rṷ-:
urvārū- "cetriolo", kharva- "mutilato", turvaśa-, nome proprio di persona, paṭharvan-, nome proprio di persona (RV), śarvarī- "notte" (aggiunto dall'autore con qualche dubbio). 

Lubotsky pensa di aver risolto il problema, traendo dall'analisi dei dati la seguente conclusione: la lingua che ha dato gli elementi di sostrato in proto-indoiranico deve essere stata simile a quella che ha dato gli elementi di sostrato in sanscrito, a causa delle caratteristiche fonologiche e morfofonologiche condivise. Il quadro che ne deriva è a mio avviso estremamente semplicistico e non tiene conto della complessità delle stratificazioni di elementi di sostrati in sanscrito. Per comprendere quanto è intricata la situazione rimando alle mie note sul lavoro di Witzel: 
 
 
Notiamo subito un problema che Lubotsky sembra non considerare: i prefissi delle parole di sostrato attribuibili alla lingua perduta chiamata para-Munda (ka-, ku-, ki-, etc.), che a quanto pare mancano nelle parole di sostrato in proto-indoiranico. Trovo soltanto kṣauma- "di lino" rispetto a umā- "lino", che mi pare inesplicabile. Ho rilevato una parola che doveva già essere presente prima dell'arrivo delle genti indoarie in India, ma che in seguito deve essere entrata come prestito nel para-Munda, assumendo un prefisso caratteristico e finendo quindi in sanscrito. Questo è il percorso: 
 
Proto-indoiranico: *stupa / *stūpa "ciuffo di capelli" =>
Para-Munda: *ka-stūpa "ciuffo di capelli" =>
Sanscrito: kastūpa "ciuffo di capelli". 

Del resto, non posso fare a meno di notare che diverse parole raccolte dall'autore e presenti soltanto in sanscrito si discostano da tutto ciò che è stato analizzato da Witzel - e in particolare dal para-Munda - mostrando invece un'effettiva rassomiglianza fonologica con gli elementi di sostrato in proto-indoiranico. Potrebbe darsi che fossero un tempo presenti in proto-indoiranico per poi finire perdute in iranico e conservate soltanto in sanscrito. Alludo a forme come ṛtvij- "prete", vaṇij- "mercante". 
 
Prestiti indoiranici in uralico 
 
Esistono molti prestiti indoiranici nelle lingue uraliche. Nonostante ciò, l'autore è incline a pensare che non ci siano realmente prestiti indoeuropei in proto-uralico. La sua opinione sembra allinearsi con quella degli studiosi che considerano le isoglosse tra indoeuropeo e uralico una prova della relazione etimologica tra le due (proto)lingue. I prestiti dall'indoiranico inizierebbero nel periodo ugrofinnico. Peccato che non si riesca a far collimare i dati. Il più antico strato di prestiti consiste di parole che si trovano soltanto in sanscrito, senza alcun corrispondente iranico. Questi sono alcuni esempi:       

Ugrofinnico *ora "lesina" :
    Sanscrito ārā- "lesina"
Finnovolgaico *reśmä "corda" :
   Sanscrito raśmi- "briglia"
Finnovolgaico *onke "uncino" :
   Sanscrito aṅka- "uncino"
Finnopermico *ant3 "erba giovane"
   Sanscrito *andhas- "erba"
 
Secondo Lubotsky, questo si dovrebbe al fatto che i popoli uralici sarebbero entrati in contatto prima con le genti indoarie, considerate una sorta di avanguardia, durante la loro migrazione verso oriente. I prestiti iranici sarebbero giunti dopo, come un flusso continuo. Ci sono parole proto-indoiraniche presenti già in ugrofinnico: 
 
Ugrofinnico mekše "ape" :
   Proto-indoiranico makš- "ape" 
 
Ci sono poi prestiti dal proto-indoiranico al proto-permico, che non possono essere troppo recenti perché mostrano la sibilante /s/ conservata: 
 
Proto-permico *sur "birra" : 
   Proto-indoiranico *surā "birra"
La probabile origine ultima della radice è sumerica. 
 
Il vogulico tas "estraneo" è un prestito dal proto-indoiranico *dasu- "straniero". Anche qui la sibilante integra è prova di antichità. E se i prestiti fossero giunti in uralico direttamente dalla lingua del sostrato senza mediazione indoeuropea?    
 
Esempi di false etimologie 

Il proto-indoiranico *matsa- "pesce" (sanscrito matsya-, tardo avestico masiia-) non può essere ricondotto al protogermanico *mati- "pasto" (donde gotico mats "cibo", matjan "mangiare"; inglese meat "carne", etc.). La radice protogermanica *mati- è abbastanza isolata (sono stati proposti esili paralleli in antico irlandese) ed è stata fatta risale a un fantomatico protoindoeuropeo *mad-. La radice proto-iranica non si spiega: semantica difettosa (indica anche il pesce vivo, non necessariamente come cibo, etc.), oltre alla presenza dell'ingombrante "suffisso" -s-
 
Il proto-indoiranico *magʰa- "dono, offerta sacrificale" (sanscrito magha-, tardo avestico maga) non può essere connesso con la radice protogermanica *maγ- "essere capace, potere" (donde gotico magan "essere capace, potere", mahts "forza, potenza") per evidenti motivi semantici. Oltretutto la radice protogermanica ha paralleli soltanto in baltico, in slavo e in celtico (gallico mageto-, mogeto-, mogit- "potente", documentato in antroponimi e topomini), ha tutta l'aria di essere un prestito da una lingua perduta.  

mercoledì 20 novembre 2019

NOTE SUL LAVORO DI MILITAREV

Alexander Militarev (Московский государственный лингвистический университет, МГЛУ, Moscow State Linguistic University) è l'autore del lavoro Tamâhaq Tuaregs in Canary Island (Linguistic Evidence), pubblicato nel 1989. Attualmente l'articolo in questione non è più consultabile nel Web; com'è ovvio ne ho conservato una copia in formato pdf sul computer, ma non posso diffonderla. Poco male. Militarev nel 2018 ha pubblicato un nuovo lavoro, che è la revisione e l'ampliamento del precedente: Libyo-Berbers – Tuaregs – Canarians (Tamâhaq Tuaregs in the Canary Islands in the Context of Ethno-Linguistic Prehistory of Libyo-Berbers: Linguistic and Inscriptional Evidence). Per consultare e scaricare l'articolo, ospitato su Academia.edu, basta seguire questo link:

 
Questa è la sinossi tradotta in italiano del lavoro del 2018: 
 
"Ci sono pochi paralleli lessicali stupefacenti tra le lingue estinte degli indigeni delle Isole Canarie e una delle lingue dei Tuareg dei Sahara, appartentente al gruppo dialettale Tamâhaq (Ahaggar, Taitoq e alcune altre). A parte il fatto che tutti questi idiomi delle Canarie appartengono alla famiglia linguistica Berbero-Canaria (la cui posizione all'interno della macrofamiglia Afroasiatica e la cui preistoria ricostruita sono presentate nell'interpretazione dell'autore), e, quindi, hanno un lessico ereditato comune, i paralleli Canario-Tamâhaq presentano sviluppi fonetici comuni che sono talmente non banali e unici che la loro sola spiegazione consiste in contatti etno-culturali, e per la precisione prestiti lessicali dal Tamâhaq al Canario. Una serie di tali prestiti, riportati e analizzati nel seguito, dà fondamento all'ipotesi di una migrazione di Tuareg di lingua Tamâhaq nelle Isole Canarie, databile approssimativamente tra il VII e il XIV secolo d.C. Basando le sue idee su questa ipotesi, l'autore tenta di decirare alcune iscrizioni nell'Isola di Ferro (Hierro) scritte in tifinaɣ, la sola esistente delle varietà di scrittura Libica, con l'aiuto del dizionario Ahaggar, dimostrando che sono state composte in Tuareg Tamâhaq. A parte questo, si cerca di ricostruire la preistoria linguistica ed etno-culturale e la storia dei parlanti Berberi, Tuareg e Canari." 
 
Nel suo secondo articolo Militarev rigetta l'uso del termine Guanche, solitamente usato come sinonimo di Canario, dato che tecnicamente parlando è appropriato soltanto per indicare le genti di Tenerife. La parola, è derivata da Guanchinech, ossia "Gente di Chinech", essendo Chinech (varianti Achinech, Chinet) il nome nativo di Tenerife. A prima vista è molto convincente l'analisi del prefisso guan- come *wa-n-, derivato dal pronome protoberbero *wa- e dalla particella genitivale n-. Così *wa-n- sarebbe traducibile come "quello di". Il problema è che in origine questo *wan- doveva significare "figlio", "figlio di" e anche "uomo". Nelle lingue di Fuerteventura e di Lanzarote è attestato guamf "uomo" (varianti: guam "uomo", guang "figlio, ragazzo"). Nella lingua di Gran Canaria guan significa "figlio", mentre in quella di Tenerife guan significa "uomo", talvolta "figlio". Le fonti sono Bory e Pizarroso. Bethencourt ha guan col significato di "uomo di" e "figlio di" sia per la lingua di Tenerife che per quella di Gran Canaria. Ignacio Reyes García riporta i dati in questione nella seguente pagina del suo Diccionario histórico-etimológico del amaziq insular (DHEAI):
 
 
Le forme di Fuerteventura e Lanzarote sembrano in qualche modo cozzare con la tradizionale interpretazione berberologica. Occorre stabilire se davvero questo guan- è soltanto un mero prefisso e se il significato di "uomo; figlio" deve essere sempre allo stato costrutto, oppure se ricorreva anche allo stato assoluto, come sospetto. A partire da tutti questi dati, analizzati a fondo, sono incline a ricostruire una protoforma *wampk "uomo (giovane)", la cui origine ultima sarebbe però sconosciuta. Un bel problema anche dal punto di vista della fonotattica!  
 
Questa è la sintesi del lavoro di Militarev: 

1) Le lingue canarie sono geneticamente imparentate con le lingue berbere del Nord Africa.
1.1) Le unità linguistice canarie e berbere sono considerate dall'autore come due rami tassonomicamente eguali della famiglia berbero-canaria, che include il libico epigrafico e che a sua volta è parte della famiglia afroasiatica.
La dicotomia genetica berbero-canaria è sostenuta da:
  i) poche caratteristiche morfologiche arcaiche assenti in berbero;
  ii) un numero di radici afroasiatiche ereditate assenti in berbero;
  iii) presunti prestiti in proto-canario da varie lingue afroasiatiche e non afroasiatiche, non attestati in berbero, che sembrano prestiti "continentali" anteriori alla divisione del proto-berbero in dialetti (fine del II millennio a.C.). 
2) Ci sono fatti che apparentemente sembrano contraddire la suddetta dicotomia: 
   i) isoglosse tra le lingue canarie e le lingue berbere settentrionali (Cabilo, etc.);
   ii) isoglosse tra le lingue canarie e le lingue berbere meridionali (Tuareg).
   Le isoglosse del primo tipo consistono in pochi vocaboli culturali, ritenuti irrilevanti ai fini della classificazione. Le isoglosse del secondo tipo mostrano tratti fonetici compatibili soltanto con le lingue Tuareg. 
3) Esiste una serie di isoglosse che legano le lingue canarie a un particolare sottogruppo delle lingue Tuareg, un gruppo dialettale chiamato Tamâhaq, che ha /h/ come esito del proto-berbero /z/. La sola spiegazione plausibile è che queste parole siano state importate nell'Arcipelago da immigrati di lingua Tamâhaq. 
4) Esistono parole arabe nelle varie lingue canarie. Si noterà che non sono state trovate tracce di Islam nelle Canarie all'epoca del contatto con navigatori europei, mentre sembrano esserci stati vaghi residui di Cristianesimo.
5) Una lingua berbera non Tuareg, responsabile degli arabismi, deve essere stata portata nelle Canarie da un'ulteriore ondata migratoria, anteriormente alla conversione delle genti berbere all'Islam. Un ulteriore indizio sono termini canari non attestati in Tuareg, che non possono risalire al proto-berbero-canario (ad esempio prestiti dal latino). La migrazione non potrebbe essere avvenuta prima dell'VIII secolo d.C. 
6) Le vestigia di Cristianesimo nelle Canarie devono essere state portate dai migranti di lingua Tamâhaq, visto che proprio tra i Tuareg è presente un interessante sostrato religioso preislamico (ad esempio prestiti dal latino cristiano), possibile eredità del popolo dei Garamanti. Con ogni probabilità la migrazione è avvenuta nel VII secolo d.C. Altra eredità Tuareg nell'Arcipelago è la scrittura tifinaγ, documentata da brevi iscrizioni rupestri che l'autore riesce a tradurre senza difficoltà.  
 
Questi sono gli esempi di parole canarie che Militarev considera ereditate dal proto-afroasiatico ma assenti in berbero:

1) aganeye "braccio tagliato" (La Palma)
      proto-afroasiatico: *ginaʕ- "braccio, mano"
2) cuna "cane" (Gran Canaria), cancha "cane; cagnolini" (Tenerife)
      proto-afroasiatico: *kʷahin- "cane"
3) lia "sole d'estate" (Gran Canaria), alio "sole" (Lanzarote), lion
      "sole" (Hierro)
      proto-afroasiatico: *lVʕ(lVʕ)- "luce, luminaria"
4) abora "divinità celesti, Dio" (La Palma)
      a) proto-afroasiatico: *bVr(ʔ)- "creare"       
      b) proto-afroasiatico: *bVry- "spirito maligno; mago"
5) achaño "anno" (Tenerife)
      proto-afroasiatico: *san- "anno"
6) hirguan "demonio (dall'aspetto di uomo lanuto)" (Gomera),
         irvene "demonio (dall'aspetto di cane lanuto)" (La Palma)
      proto-afroasiatico: *hirgʷan- "cane" ("sciacallo dorato, iena e
         simili")
7) haña, jana, ana "pecora, agnello" (Tenerife) 
      proto-afroasiatico: *(ʔa)wVn- / *(ʔa)yVn- / *(ʔa)nay- "tipo di
         piccolo bovino / ovino"
8) afaro "chicco di grano" (Tenerife)
      proto-afroasiatico: *pir- / *par- "frutto, chicco di grano, seme"
9) beñesmer "stagione del raccolto (agosto)" (Tenerife)
     proto-afroasiatico: *čVmVr- "maturare, produrre un buon
        raccolto"
    Il prefisso della parola canaria è ricostruito come *we-n- (variante di *wa-n-).

La lista in questione non è priva di criticità. Riporto nel seguito alcuni miei commenti. 
 
cuna, cancha "cane":
Militarev ritiene queste parole connesse al chadico, al kushitico e all'omotico. In realtà questi sembrano prestiti indoeuropei relativamente recenti. La forma cuna viene a mio avviso dal celtiberico (accusativo *kunam). La forma cancha non può essere celtica, per cui la riconduco a una forma di indoeuropeo non celtico con le antiche vocali /a/ e /o/ confuse in /a/. Ipotizzo che si tratti della lingua dei Germani di Oretania, in cui si avrebbe *kantas "cane" (< *kwon-t-os). Il passaggio da -t- a -ch- è ben documentato nella lingua di Tenerife e di altre isole. A Tenerife è riportato gucancha, jucancha "demonio (dall'aspetto di cane grande e lanuto)", che ricondurrei a un composto *gū-kanta- (< *gwou-kwontos), alla lettera "cane-bue". 

abora "divinità celesti, Dio":
Militarev è incerto tra due etimologie possibili, una da una radice proto-afroasiatica col signficato di "creare", l'altra da una diversa radice proto-afroasiatica col significato di "spirito maligno". Non è possibile che entrambe le etimologie proposte siano vere. Invece potrebbe darsi che siano entrambe false. A parer mio è possibile che abora stia per *agʷoran e che sia identico alla forma acoran, alcoran, alcorac "Dio" attestata a Gran Canaria, a sua volta corradicale della forma acoron, achoron attestata a Tenerife. In ultima analisi potremmo ricostruire *amḳʷoran e ritenere che sia derivato dal proto-berbero *a-mVḳḳʷar-an "grande" (cfr. Ahaggar amɣar "grande", Cabilo amǝqʷran, etc.).
 
achaño "anno":
Militarev riporta anche acano "anno" (Gran Canaria), aggiungendo l'etimologia sarebbe corretta se stesso per *açano (< *asan- e non *akan-). Questo è ben possibile, in fondo si trovano casi analoghi, come ad esempio acof /a'sof/ "fonte" (Hierro, cfr. Cabilo asif, tasift, "corso d'acqua", Mzab suf, etc.), con -c- che sta per -ç-

hirguan "demonio (dall'aspetto di uomo lanuto)":
Sembra che in realtà questa parola si trovi anche in berbero: Senwa argu "diavolo, genio maligno", pl. iruggwán (ortografia tradizionale argou, irouggouan). La forma della lingua di Gomera (che Militarev attribuisce a quella di La Palma), sarebbe dunque un plurale berbero fossilizzato. 
 
Questi sono gli esempi di parole canarie che Militarev considera prestiti da altre lingue afroasiatiche ma assenti in berbero:
 
1) jubaques, juvaque "pecore grasse" (Gomera, Hierro)
    varianti: juhaque, fubaque, tabaque  
       < kushitico orientale (Saho, Afar subaḥ "burro"),
       a sua volta dal proto-afroasiatico *ĉVbVḥ- "grasso"
2) atazaykate "grande cuore, coraggioso" (Gran Canaria)
    varianti: atacaycate, athacaite, atacayte, altacaite, altaycayte,
    etc. 
       < chadico occidentale (Hausa zukata "cuori")
3) belingo "divertimento, festa, baldoria" (Gran Canaria)
       < semitico (ebraico blg "gioire")
       a sua volta dal proto-afroasiatico *bVlVg- "splendere"
4) chacerquem, chacerquen "miele" (Tenerife), tacerquen "birra o
     vino (di palma)", azarquen "coagulo di mocanes" (Gran
     Canaria) < *(t)a-SVrḳ-Vn
       < semitico *ŝrḳ "essere rosso" (ebraico ŝōrēḳ "uva pregiata
      rossa")
5) axo "cadavere secco e imbalsamato, mummia" (Tenerife)
    varianti: xaxo, haho
    < egiziano 3ḫw "spirito, deceduto" 
    Questo importante prestito testimonia l'origine egiziana della mummificazione, diffusa nelle Canarie in epoca preispanica. Non va nascosto che la parola canaria non può essere un derivato diretto di quella egiziana, che aveva una vocale tonica /i:/, essendo la pronuncia agli inizi del Medio Regno ricostruibile come /'Ri:χu/. Probabilmente si tratta di un derivato del verbo /Ra:χ/, formato dalla stessa radice, ma attestato col significato di "diventare utile; diventare splendido".    
6) tarja, tarha, tara "segni mnemotecnici" (Tenerife)
   < egiziano hrb "scrivere una lettera"
   Questa radice egiziana è stata presa a prestito dal protoberbero *Hirab "lettera, messaggio", *Harab "scrivere". La forma canaria mostra invece un prefisso ta- e presuppone una protoforma *ta-Hrab
7) salema "tipo di pesce (Sparus cantharus)"
    (voce comune a varie isole)
   Questa radice, comune a tutte le lingue berbere (protoberbero *sVlmay "pesce", pl. *i-salm-an / *a-salm-an), è confrontara dall'autore all'egiziano del Medio Regno nšmw.t "tipo di pesce" (< *lVšm-Vw-t). La forma berbera plurale è passata in lingue del sostrato preindoeuropeo d'Europa, finendo poi in celtico e passando anche in latino. Questo è il percorso del famoso nome del salmone.  

Esiti della sibilante sonora /z/ del proto-berbero in isoglosse berbero-canarie (parole native o prestiti importati nelle Canarie da popolazioni non Tuareg):
 
1) azeca "muraglia" (Lanzarote, Fuerteventura)
    proto-berbero *t-ā-zaqqāw "muraglia"
    Ghadames tazəqqa "muro", etc.
    In Ahaggar si ha invece tăhaqqa "magazzino per viveri", con /h/.
2) zeloy "sole" (La Palma)
    proto-berbero *ā-zayl "luce diurna"
    Cabilo azal "luce diurna", etc. 
    In Ahaggar si ha invece ahəl "luce del sole", con /h/.
   Si noti che a Tenerife è documentato cel "luna", quindi la radice doveva avere il significato più antico di "luminaria celeste", perduto nelle lingue berbere continentali.
3) azuquahe "nero; bruno, rossiccio" (La Palma)
    varianti: azuquache, azaquache, asuquahe, etc.
    proto-berbero *ā-zVwwāɣ "rosso"
    Cabilo azəggʷaɣ "rosso"
    In Ahaggar si ha invece ihwaɣ "essere rosso", con /h/.
4) mencey, mencei, menzei "re, sovrano, difesa" (Tenerife)
    proto-berbero *ā-manzuy "primo, primogenito, colui che viene
       prima"
    Senwa amənzu "primogenito" 
    In Ahaggar si ha invece eməñhi "antesignano, araldo", con /h/

Esiti dell'aspirata /h/ prodotta dalla sibilante sonora /z/ del proto-berbero in prestiti importati nelle Canarie da popolazioni di lingua Tuareg Tamâhaq (Ahaggar):
 
1) hyguyeres "tipo di pianta (Euphorbia canariensis)" (Lanzarote)
    Ahaggar ăhəqqor "trave fatta di legno di palma"
    In Cabilo si ha invece azəqqur, con /z/.
    La terminazione -es sembra un francesismo, data la nazionalità del glossatore.
2) apio, hapio, gapio, gapo "fontana" (Hierro)
    Ahaggar tăhaft "canale d'irrigazione"
    In Ghat si ha invece tazəft "canale d'irrigazione", con /z/.
3) taharenemen "fichi secchi" (Gran Canaria)
    Ahaggar âhâr "fico (frutto)", tâhârt "fico (albero)"
    In Ghat si ha azar "fico (frutto)", con /z/.
4) tahuyan "gonnellini di pelle tinta" (Gomera), tahuy "pelle" (La
       Palma)
    Ahaggar tehayhayt "sacco di pelle dalle lunghe frange"
    In Tawllemmet si ha ašăyha "sacco di pelle speciale", con /ʃ/.
5) maho, maxo, majo "scarpa, calzatura" (Lanzarote, Fuerteventura)
    Ahaggar tamhit "sacco di pelle di capra"
    In Tadghaq si ha tamsit "sacco di pelle di capra", con /s/.
6) ahuar "terra" (La Palma),
    forma possessiva: benahoare, benahorare, benehoare "la mia
    terra, la mia patria" (La Palma)
    Ahaggar: ăhaggar "parte centrale del pianoro di Kel-Ahaggar"
         < *ā-hawwār, corradicale di əhwər "precedere, essere il
           primo" 
    Ghadames ezwər "precedere, essere il primo", Cabilo zwir, etc.,
           con /z/.
    Il raffronto proposto da Militarev sembra un po' tirato per i capelli.
    Il termine canario usato a La Palma definiva chiaramente la stessa isola ("terra" = "patria"), data la mentalità fiera degli abitanti. I geografi arabi medievali menzionano la tribù berbera libica degli Hawwara, il cui nome viene dalla stessa radice.
7) eraoranhan "un idolo maschio" (Hierro)
    varianti: eranoranhan, erahoranhan, eraoranzan
    orahan, oranjan, orojan "una divinità; Dio" (Hierro, Gomera)
    Ahaggar yorəhən "che dà (qualcosa) in cambio"
    Il composto eraoranhan è formato dal teonimo oranjan con l'aggiunta di un prefisso era-, che corrisponde perfettamente all'Ahaggar ere- "colui che". La variante eraoranzan è un doppione, con ogni probabilità importato da una lingua non Tamâhaq.
8) añepa "scettro" (Tenerife)
    varianti: anepa, anzpa 
    Ahaggar ăñhəf "bastone grosso e lungo"
    Ghat anžəf "tizzone" 
   La variante anzpa è un doppione, con ogni probabilità importato da una lingua non Tamâhaq.
 
Esiti dell'aspirata /h/ del proto-berbero in isoglosse berbero-canarie:

1) fayahuracan "capitano" (Gran Canaria)
    faya "uomo poderoso" (Gran Canaria)
    Ahaggar ufu "essere migliore"
    Ayr afu "essere migliore"
    Cabilo if "essere migliore"
    Seconda parte del composto:
    Ahaggar hərəkkət "rispettare"
    Tawllemmet hərəkkət "rispettare, aver paura"
    La forma fayahuracanes "capitani" è un plurale ispanizzato.
2) guaire, guayre "nobile, consigliere" (Gran Canaria)
    Ahaggar tihorar "essere molto rispettato"
    Tawllemmet ihar "meritare"
    < proto-berbero *ihwar
   Forme come guaires "capitani valorosi", guayres, gayres "consiglieri di guerra" sono  plurali ispanizzati. 
3) aala "acqua" (Gomera, Hierro)
    Ahaggar tăhala "fonte"
    Snus tala "stagno alimentato da una fonte"
    Cabilo tala "piccola fonte" 

Esiti dell'aspirata /h/ prodotta dal proto-berbero /β/ o /hw/ (possono essere parole native o prestiti importati nelle Canarie da pololazioni di lingua Tamâhaq): 
 
1) güiro "segno d'amore" (lingua non specificata)
    Ahaggar ər "amare, volere"
    Ghadames ebri "amare, volere"
    L'autore ricostruisce la forma proto-berbera del verbo come *ihwar / *yahwir.
2)  hero "fonte; cisterna" (Hierro)
     hera "sabbia dove sta l'acqua" (Hierro)
     hieri, hero, jierro "Hierro" 
     Ahaggar ahir "sorgente alimentata da flussi molto deboli"
     Ghadames ebär, īber "canale d'irrigazione" 

 Arabismi 
 
Cosa che può sembrare sorprendente, nelle lingue delle Canarie si trovavano interessanti arabismi. Militarev elenca le seguenti voci e ipotizza, a parer mio giustamente, che siano passate nell'Arcipelago per tramite berbero (ma non Tuareg):   

1) badanas "pelli spesse di pecora" (La Palma), badanas "pelli
     conciate di color cannella" (Gran Canaria)
    < arabo baṭn "ventre; ventriglio"
    La -s finale è un evidente ispanismo.
2) sabor "consiglio di guerra" (Gran Canaria)
    < arabo šawr "consiglio" (variante di šūrā)
3) taifa "riunione" (Gran Canaria)
     < arabo ṭāʔifat "famiglia, stirpe"
4) arba "quattro" (Tenerife)
     < arabo ʔarbaʕa "quattro"
5) cansa "cinque" (Tenerife)
     < arabo ḫamsa "cinque"
6) támaras "frutti, datteri sul ramo", támara "palma da datteri
    (Phoenix canariensis)" (Tenerife, Gran Canaria e altre isole)
    < arabo tamr "dattero"
    La -s finale è un evidente ispanismo, come riscontrato in molti altri casi. 
 
L'autore non sembra aver riconosciuto il numerale cansa "cinque" come un arabismo, pur citandolo nella discussione: ho provveduto io a inserire questa voce nella lista. Non mi stupisce troppo che la consonante araba /χ/ sia stata adottata come una semplice occlusiva velare /k/.   

Iscrizioni Tuareg nelle Canarie 
 
Una delle notizie che difficilmente si leggeranno sui quotidiani riguarda i recenti rinvenimenti un numero crescente di iscrizioni rupestri nelle isole dell'Arcipelago, e in particolare a Hierro. Questi documenti, redatti in scrittura tifinaγ derivata in via diretta da quella degli antichi Numidi, sono la più eloquente prova materiale di quanto affermato dall'autore sulla migrazione di Tuareg di lingua Tamâhaq nelle Canarie. Rimando senz'altro all'articolo di Militarev per approfondire questo affascinante argomento: è riportato il confronto di ogni segno canario con l'equivalente in varie forme di tifinaγ (antico Tuareg, Ahaggar) e in numidico orientale. Un'iscrizione trovata in Libia, a Ghirza (Wadi Zemzem), risalente al X secolo d.C. è stata usata come confronto con il materiale canario. I risultati sono sorprendenti: diverse iscrizioni trovate a Hierro sono riportate, traslitterate e tradotte semplicemente utilizzando la lingua Ahaggar.     

Appendici 

Nella prima appendice all'articolo, l'autore riporta alcune tavole col confronto tra le scritture libiche (Tuareg, numidico orientale) e alcune scritture semitiche (fenicio, neopunico, sud-arabico, etc.). 
 
Nella seconda appendice all'articolo, l'autore riporta una lista Swadesh di 100 parole delle lingue berbere. I vocaboli sono ammassati e la consultazione non è agevole. Sono presenti diverse ricostruzioni di protoforme, non sistematiche e mescolate al materiale presentato.

Nella terza appendice all'articolo, l'autore mostra un albero genealogico delle lingue berbere, basato sulla lessicostatistica di 17 lingue.
 
Nella quarta appendice all'articolo, l'autore riporta uno studio oltremodo interessante sui prestiti punici nelle lingue berbere. Purtroppo lo spazio non mi consente di trattare l'argomento col dovuto approfondimento. Pubblicherò in altra occasione il mio contributo in merito.  

Nella quinta appendice all'articolo, l'autore riporta uno studio oltremodo interessante sui prestiti berberi in nubiano. Purtroppo lo spazio non mi consente di trattare l'argomento col dovuto approfondimento. Pubblicherò in altra occasione il mio contributo in merito. 

Conclusioni
 
Tutto splendido, certo, eppure potrebbe essere meglio. Forse sarebbe innanzitutto il caso di cercare di ricostruire il protoberbero in modo più solido e di rendere reperibile a tutti gli studiosi il materiale. Dato che si tratta di un argomento spinoso, reputo essenziale favorire una consultazione agevole delle protoforme ricostruite. Esiste un database relativo al protoberbero, ad opera dello stesso Militarev, consultabile sul sito The Tower of Babel (https://starling.rinet.ru) al seguente link: 
 
 
Certo è un buon inizio, anche se mi pare incompleto e in generale poco soddisfacente. Deve essere anteriore agli studi compiuti dallo stesso autore, perché sembra considerare le lingue delle Canarie come semplici output del proto-berbero. Una volta risolto il problema della ricostruzione del proto-berbero si dovrebbe procedere, tramite i dati interni e il confronto con altre protolingue afroasiatiche, a ricostruire con maggior sicurezza il proto-canario e il proto-berbero-canario. Senza questo processo, faticoso ma necessario, si corre il rischio di prendere cantonate e persino di sprofondare in qualcosa che somiglia pericolosamente a un paleocomparativismo basato su semplici assonanze. Purtroppo la vera piaga in questo genere di studi è la carenza di conoscenza sulle lingue un tempo parlate nelle Canarie, le cui attestazioni sono frammentarie e spesso confuse.