sabato 18 aprile 2020

ALCUNE NOTE SULL'ETIMOLOGIA DI COCKTAIL

Molti anni fa mi sono imbattuto in una spiegazione folkloristica di una parola a tutti ben nota: cocktail "miscela di liquori e di altri ingredienti". Erano ancora i tempi pre-Internet, quando le uniche pubblicazioni erano cartacee. Secondo l'articolista, il cui testo non sono riuscito a ritrovare, durante la Rivoluzione Americana sarebbe accaduto quanto segue: un comandante ribelle antibritannico, giunto a una taverna con la sua compagnia, avrebbe fatto richiesta all'oste di abbondanti strumenti d'ebbrezza per la serata. Il problema è che non c'era una quantità sufficiente di alcun liquore per soddisfare la sete degli ardenti patrioti americani. Venne in mente a una simpatica servetta di mescolare liquori diversi per produrre una bevanda fortissima, in grado di stendere anche il combattente più rude. Così fu fatto. Nel corso del festino, un vero successo, un patriota reso un po' troppo esuberante dalla bevanda appena inventata, saltò su un tavolo e cominciò a ballare in modo frenetico come una danzatrice di flamenco, mettendosi una coda di gallo posticcia proprio sul deretano infiammato, esibendola a mo' di trofeo ed urlando: "Viva il cocktail!" (ossia la "viva la coda di gallo"). I presenti avrebbero equivocato, credendo che cocktail ("coda di gallo") fosse proprio il nome della bevanda usata per ubriacarsi. Presto mi sono accorto che l'intera storiella grottesca era stata fabbricata ex post per spiegare una parola problematica, come avviene assai spesso. 
 
Consultando il dizionario etimologico inglese più famoso del Web, Etymonline.com, ho potuto constatare che esistono anche altre spiegazioni aneddotiche del termine cocktail. Ciascuna di queste false etimologie è stata fabbricata artatamente in qualche imprecisato momento del XIX o addirittura del XX secolo. 
 
 
cocktail (n.) 
 
"bevanda americana fredda, forte, stimolante," prima attestazione nel 1806; H.L. Mencken elenca sette versioni della sua origine, forse la più durevole la riconduce al francese coquetier "portauovo" (XV secolo; in inglese cocktay). A New Orleans, circa nel 1795, Antoine Amédée Peychaud, un farmacista (e inventore degli amari Peychaud) teneva riunioni sociali massoniche nella sua farmacia, dove mescolava brandy distillati  ai suoi amari, servendoli in portauova. Secondo questa teoria, la bevanda avrebbe preso il nome dal recipiente. 
 
Ayto ("Diner's Dictionary") fa derivare la parola da cocktail "cavallo con la coda tagliata" (un taglio corto, che la fa strare un po' alzata come la cresta di un gallo) perché un simile metodo di acconciare la coda era usato con i cavalli ordinari, la parola venne ad essere estesa a un "cavallo di pedigree misto" (non un purosangue) nell'Ottocento, e ciò, si suppone, fu esteso alla bevanda in base alla nozione di "adulterazione, mistura." 
 
Prima domanda:
Il cocktail è mai stato bevuto usando come bicchiere un portauovo, nel corso di una riunione massonica? 
 
Seconda domanda:
Esiste davvero la prova dell'uso di un'acconciatura della coda equina chiamata proprio cocktail e di tutti gli slittamenti semantici necessari per passare infine al significato di "bevanda mista"
 
Risposta alle due domande:
Se si indagasse, si scoprirebbe che la documentazione è inesistente, come in un'infinità di casi simili. La procedura è ora della fine sempre la stessa: mettere assieme elementi narrativi al fine di chiarire qualcosa, dar loro forma e sostanza fino a farli diventare vere e proprie teorie, quando in realtà si tratta soltanto di favole fabbricate ex post. Il caso del portauovo usato per trangugiare misture alcoliche durante le riunioni massoniche in una farmacia non è poi molto diverso da quello del patriota rubizzo che esibiva una coda di gallo mentre ballava sui tavoli. A questo punto sarebbe il caso di dubitare dei dizionari etimologici che non seguono il metodo scientifico e che accolgono con tanta facilità pure e semplici illazioni.

Un'altra spiegazione, di per sé più convincente di quelle sopra riportate e più economica dal punto di vista logico, suppone questo: cock "gallo; cazzo" era un termine colloquiale usato per indicare la spina per il drenaggio (anche per via della somiglianza fallica). Nel XIX secolo, i liquori erano distribuiti al volgo più grossolano utilizzando un simile dispositivo innovativo, chiamato anche spigot o tap. Quando il fusto stava per finire, spesso il liquore veniva ad essere di qualità molto scadente e torbido. Così i vari residui dei fusti quasi esauriti (ossia le "code", tails) venivano mescolati tra loro e venduti a prezzo minore rispetto alle bevande pure - anche perché le proprietà organolettiche potevano essere deludenti. Sorprende constatare che questa proposta etimologica ha anche un nome ben preciso in inglese: The Dregs Theory, ossia "la Teoria della Feccia". Tuttavia sembra che agli inizi del XIX secolo il cocktail non fosse necessariamente una bevanda spiritosa: solo più tardi avrebbe cominciato a includere almeno un liquore. Non manca chi tenta addirittura di ricondurre l'origine della celebre bevanda al mondo latinoamericano, affermando che cocktail deriverebbe in buona sostanza dallo spagnolo cola de gallo e inventandosi storie di fantasiosi miscugli di liquori e di succhi di frutta esotica, amalgamati usando una lunga piuma caudale di qualche sgargiante gallinaceo. Potremmo andare avanti così all'infinito e non ne verremmo mai a capo. Troppo intenso è il rumore di fondo! L'entropia divora ogni cosa, l'indeterminazione oscura tutti i segnali che provengono a noi dal passato, rendendoli inutili. Anche cose a noi tutti ben note e abituali, non trovano una spiegazione soddisfacente, come se fossero più antiche dei Faraoni dell'Egitto. Si noterà che per paradosso è molto più facile comprendere quanto scritto nei papiri del Paese del Nilo o nelle tavolette d'argilla essiccata di Sumer.   

Fantomatici adattamenti e trovate autarchiche 

A rigor di logica, in italiano cocktail sarebbe dovuto diventare *coccotello (vocalizzando le sillabe chiuse) oppure *cotte (abolendo la consonante finale e assimilando il gruppo consonantico mediano). Ciò tuttavia non accadde, anche se entrambe le soluzioni sarebbero state perfettamente logiche. La prima avrebbe avuto più probabilità di successo, mentre la seconda sarebbe stata svantaggiata perché troppo simile foneticamente a voci del verbo cuocere. A quanto ne so, nessuno percorse la via dell'adattamento fonetico: abbondarono invece le formazioni autarchiche. La più nota è senza dubbio polibibita, una creazione neologistica del Futurismo, movimento geniale e poliedrico la cui influenza culturale è stata immensa. Furono creatori di fantasiose polibibite Filippo Tommaso Marinetti, Fillia, Enrico Prampolini, Cinzio Barosi, Angelo Giachini, Paolo Alcide Saladin, Fortunato Depero e il dottor Vernazza (fonte: www.cocchi.it). Non va in ogni caso nascosto che questo neologismo è di per sé abbastanza grottesco, col tipico prefisso di origine greca poli- "molto" (< πολυ-) aggiunto alla parola bibita, che in ultima analisi è un crudo latinismo: nella lingua passata per la genuina usura del volgo bibit è diventato beve; bibere è diventato bere. Ancora nei primi anni '80 qualcuno propose il neologismo piulliquore, finendo deriso e paragonato a quel soldato giapponese isolato su un atollo del Pacifico, che ancora continuava a combattere gli intrusi decenni dopo la fine del secondo conflitto mondiale. Un'altra proposta ispirata dall'autarchia linguistica, non meno problematica, è bibita arlecchina. L'allusione è all'aspetto multicolore e sgargiante del costume di Arlecchino, il notorio truffaldino mascherato giunto da un'impervia valle di Bergamo a meravigliare il mondo con le sue astuzie. Che commozione se penso al mio costume di Arlecchino indossato alle elementari, che ho a lungo conservato gelosamente - il che non ha impedito che finisse trafugato da una stramaledetta fattucchiera del Vampiristan!

giovedì 16 aprile 2020

L'IDROMELE: ALCUNE CONSIDERAZIONI FONOLOGICHE, ETIMOLOGICHE E SEMANTICHE

L'uso della parola idromele "bevanda alcolica fermentata dal miele" è tutto sommato problematico, come possiamo capire indagandone l'etimologia, in apparenza lapalissiana. Questo perché il termine greco antico ὑδρόμελι (hydrómeli) è sinonimo di μελίκρᾱτον, μελίκρητον (melíkrāton, melíkrēton), che indicava un miscuglio di acqua e miele, non fermentato, oppure un miscuglio di latte e miele offerto alle potenze degli Inferi e parimenti analcolico. Si tratta di un composto formato a partire da ὕδωρ (hýdōr) "acqua" e da μέλι (méli) "miele". L'accento cade sulla terzultima sillaba, perché l'ultima è breve, e nella lingua greca è la quantità dell'ultima sillaba a regolare la posizione dell'accento - a differenza della lingua latina, in cui la posizione dell'accento è regolata dalla quantità della penultima sillaba. 
 
La parola greca ὑδρόμελι, importata tra i Romani, scritta hydromeli e pronunciata /(h)i'dromeli, hy'dromeli/, poteva indicare anche la bevanda fermentata alcolica: ha subìto quindi uno slittamento semantico. Sarebbe utile poter accedere a una documentazione più approfondita, ma questo non è poi tanto facile. Dobbiamo notare una cosa importante: si tratta di un prestito dotto, che non fu mai accolto nella lingua del volgo e che a quanto ne so non ha mai lasciato esiti in nessuna lingua romanza. Se sarò smentito da qualche romanista che ha più dimestichezza di me con l'immensa mole di dati dell'enorme numero di varietà romanze, ben venga, ma ho ragione di credere che ciò non accadrà mai. Anche in greco moderno ὑδρόμελι indica la bevanda alcolica. Si tratta di un vocabolo tratto dall'antichità, non di un'eredità passata attraverso la genuina usura del volgo. In altre parole, appartiene alla Katharevousa, la lingua nobile. Lo si comprende all'istante, dato che nella lingua popolare, l'acqua è chiamata νερό (neró). Tra l'altro, in Grece esiste tuttora un'interessante produzione di idromele. 
 
In italiano, per ragioni etimologiche e per una pronuncia ortografica (dedotta cioè a partire dalla forma scritta letteraria senza cognizione alcuna della metrica originaria), dalla forma sdrucciola idròmele a un certo punto si passò a quella piana, idroméle, che è da considerarsi di uso generale. Questo ha creato problemi a non finire. La gente più incolta non comprende il significato della parola idromele e confonde l'augusta bevanda col sidro. La prima reazione di un analfabeta alla menzione dell'idromele e alla spiegazione di come viene preparato dal miele, è sempre di stupore: troppo forte è l'idea preconcetta di una derivazione dalle mele per via della terminazione. Alcuni addirittura tendono ad ipercorreggere la parola e a pronunciare *idromiele nel tentativo di ripristinare un'etimologia comprensibile. Inutile dire che questo *idromiele è assolutamente erroneo, cosa che noto usando l'asterisco. Eppure questo ipercorrettismo esiste e resiste. Ricordo di aver letto da giovane un fumetto in cui Ercole, venutosi a trovare a New York, in un ristorante chiamava i camerieri "schiavi" e diceva di preferire di gran lunga l'idromele alla coca cola. Il punto è che il fumettista aveva scritto la parola con una -i- di troppo.  

 
Anche se si tratta di un'impresa vana, andrebbe proposto un nobile neologismo dalle ottime basi etimologiche, che appianerebbe ogni controversia e farebbe sparire ogni dubbio: MEDO "idromele", tratto direttamente dal celtico (gallico): è attestato come medu, di genere neutro, mentre la variante maschile medus si trova come prestito nel tardo latino delle Gallie. Questo elemento Medu- è alla base dell'antroponimo gallico Medugenos "Nato dall'Idromele", attestato anche in celtiberico come MEZUKENOS e in ogamico come MEDDOGENI (al genitivo) - oltre che nell'etnonimo Medulli, che designava un popolo alpino. Nella Lusitania sono attestati i Medubrigenses, il cui nome deriva dal toponimo celtico *Medubriga "Città dell'Idromele". Nelle lingue celtiche medievali e moderne si hanno le seguenti forme, tutte dalla stessa radice protoceltica: 
 
antico irlandese: miḋ "idromele" (genitivo meḋo)
        meḋḃ "ebbro"
  irlandese moderno: miodh "idromele" 
medio gallese: medd "idromele"
       meddw "ebbro"
  gallese moderno: medd "idromele"
bretone: mez "idromele"
cornico: medh "idromele"
 
Famosa è la dea irlandese Me "Ebbra", il cui nome deriva dal protoceltico *Medwā, sostantivazione dell'aggettivo *medwos "ubriaco (di idromele)". Nella regione della Loira esiste un fiume che era chiamato Meduana, il cui nome deriva da quello della stessa divinità adorata nell'antica Irlanda precristiana.

Il sostantivo antico irlandese è di genere neutro e punta a una ricostruzione protoceltica *medu, ma esistono anche attestazioni di genere maschile, che puntano a una ricostruzione protoceltica *medus. La forma gallica di genere maschile, passata in latino, è attestata nella Epistula Anthimi uiri inlustris comitis et legatarii ad gloriosissimum Theudoricum regem Francorum de obseruatione ciborum  (VI secolo): 

Ceruisa bibendo uel medus et aloxinum quam maxime omnibus congruum est ex toto, quia ceruisa, quae bene facta fuerit, beneficium prestat et rationem habet, sicut et tesanae, quae nos facimus alio genere. tamen generaliter frigida est.
Similiter et de medus bene factum, ut mel bene habeat, multum iuuat. 
 
E ancora, più avanti nello stesso testo, troviamo una menzione dell'idromele, assieme a una preziosa testimonianza sull'intolleranza al lattosio tra i Franchi: 
 
De lactibus uero sanis hominibus; si quis crudos lactis uult bibere, mel habeant admixtum uel uinum aut medus; et si non fuerit aliquid de istis poculis, sale mittatur modicum, et non coacolat intus in hominibus; nam si purum acceptum fuerit, aliquibus coacolat intus in epar et in stomachum et solet grauiter laedere. Si tamen, quomodo mulgitur, contra calidum bibitum fuerit, si taliter, non nocet. 
 
L'autore di questo trattato, Antimo, era un medico di Bisanzio, che il Teodorico il Grande (454 - 526), Re degli Ostrogoti, inviò come rappresentante alla corte dell'omonimo Teodorico (485 - 534), Re dei Franchi e figlio di Clodoveo, della dinastia dei Merovingi. Vediamo che il vocabolo medus in questo testo non può essere un prestito dal gotico, che aveva senza dubbio *midus, con diverso vocalismo (vedi sotto). A rigor di logica potrebbe essere un prestito dalla lingua germanica dei Franchi. Notiamo però che la bevanda a base di miele non è stata inventata dai Franchi: era già ben nota ai Galli e diffusissima. Vediamo che la birra è designata col termine celtico (cisalpino) ceruisa. Anche la parola aloxinum è di origine celtica e designava una bevanda aromatizzata con assenzio: ha la stessa radice dell'inglese ale "birra" (anglosassone ealu, ealo, genitivo ealoþ). Assumo quindi che medus sia un elemento del sostrato/adstrato celtico. Il Glossario di Vienne ci testimonia che una forma tarda di gallico era senz'ombra di dubbio ancora parlata al tempo dei Franchi: la parola caio "recinto" è glossata con "breialo siue bigardio"
 
Questo nome dell'idromele, che risale alla radice indoeuropea *medhu-, si trova nelle lingue germaniche: 
 
protogermanico: *miðuz "idromele" 
norreno: mjǫðr "idromele"
   islandese moderno: mjöður "idromele"
   faroese: mj
øður "idromele"
   antico svedese: miödher, mioþer "idromele"
   svedese moderno: mjöd "idromele" 
   antico danese: mioth, miøth, møth "idromele"
   danese moderno: mjød "idromele"
antico alto tedesco: metu "idromele"
   medio alto tedesco: mete, met "idromele"
   tedesco moderno: Met "idromele"
antico sassone: medu "idromele"
   medio basso tedesco: mēde, medde "idromele"
   basso tedesco (Vestfalia): mia "idromele"
antico frisone: mede "idromele"
  frisone occidentale: mea "idromele"
medio olandese: mēde "idromele"
  olandese moderno: mede, mee "idromele"
antico inglese: meodu, meodo, medo "idromele"
   medio inglese: mede, methe(1) "idromele"
   inglese moderno: mead /mi:d/ "idromele"
   scots: mede, meid "idromele"
gotico: *midus "idromele"(2) 

(1)La variante methe si deve a influenza norrena.
(2)La forma gotica è stata presa a prestito dal lituano: midus "idromele". 
 
Torniamo dunque al greco antico. Nella lingua di Omero si trova un vocabolo discendente dall'indoeuropeo *medhu-, che non era usato altrove: μέθυ (méthy), di genere neutro, genitivo μέθυος (méthyos), tradizionalmente tradotto con "vino" o con "bevanda inebriante". Il significato originale doveva essere quello di "idromele", ma già in epoca classica questa conoscenza era andata perduta. Il navigatore massaliota Pitea (380 a.C. circa - 310 a.C. circa), che visitò la regione costiera della Norvegia, paese denominato Thule (Θούλη), affermò che le popolazioni locali facevano uso di una bevanda inebriante prodotta dal miele e dal grano, ma non usò il termine μέθυ per designarla. Se questa bevanda fosse stata conosciuta all'epoca dai Greci, non avrebbe destato grande sorpresa scoprire che era prodotta dalle genti di Thule. Il caso è davvero curioso. Sappiamo per certo da prove archeologiche che l'idromele era prodotto in epoca omerica e persino che c'era la consuetudine di aromatizzarlo col rosmarino. A quanto pare la bevanda antichissima è stata gradualmente abbandonata a causa della concorrenza del vino  d'uva, che ha finito col soppiantarla. Quando in seguito l'idromele alcolico è stato riscoperto, ha dovuto ricevere un nome nuovo.    

La radice *medhu- ha dato discendenti in molti altri rami della famiglia indoeuropea, ma sarebbe impossibile fare una trattazione dettagliata in questa sede, tanto complesso è l'argomento. Questi sono alcuni dati relativi alle lingue indoarie e iraniche: 
 
sanscrito: madhu "miele; vino"
romaní: mol "vino"
protoiranico: *madu "miele; vino" 
   avestico: maδu "vino (d'uva)"
   antico ossetico (scitico): mud "miele"
   battriano: μολο (molo) "vino"
   curdo settentrionale: mot "melassa"
   medio persiano: may "vino"
   persiano moderno: mey "vino"*
   harzani: mat "sciroppo denso, melassa"
   azero (dialetto di Urmia): mazow "sciroppo d'uva con acqua"
 
*Parola della lingua letteraria. 
 
Gli Sciti bevevano idromele e lo chiamavano mud, come il miele. Tra la maggior parte delle altre genti iraniche è subentrato una specie di tabù verso il miele, così l'antico nome dell'idromele è passato a indicare il vino d'uva. 

Persino in arabo esiste la parola maδi "vino bianco frizzante", importata direttamente dal medio persiano (prima della scomparsa della dentale intermedia); deve essere un termine colloquiale o tecnico. Sorprende la vastità del lessico enologico tra gli Arabi, con buona pace della loro religione che ha un cattivo rapporto con l'ebbrezza. 
 
In tocario B abbiamo due diverse parole: mīt "miele" e mot "bevanda inebriante". La prima parola tocaria, mīt, ha avuto un'enorme diffusione, dando origine al cinese antico 蜜 mit "miele" (cinese attuale , usato in composti come 蜂蜜 fēngmì "miele", 蜜蜂 mìfēng "ape da miele"). Dal cinese antico, mit "miele" è giunto nel giapponese divenendo mitsu "miele", e in coreano divenendo mil "miele". La seconda parola tocaria, mot "bevanda inebriante", è un prestito da una lingua iranica, con ogni probabilità il sogdiano (mwδ, mδw "vino", pron. /muð/). 
  
Anche nelle lingue baltiche e in quelle slave i discendenti di *medhu- sono ben attestati e fiorenti. Questo è un quadro delle lingue baltiche:  
 
lituano: medùs "miele"*
lettone: medus "miele; idromele"
letgallo: mads "miele"
antico prussiano: meddo "miele" 
 
*C'è anche midus "idromele", che è un chiaro prestito dal gotico. 
 
Questo è un quadro sintetico delle lingue slave
 
antico slavo ecclesiastico: медъ (medŭ) "miele"
russo: мёд /mjot/ "miele"; "idromele"
ucraino: мед /med/ "miele"; "idromele"
polacco: miód /mjut/ "miele", miód pitny "idromele"* 
ceco, slovacco: med "miele", medovina "idromele"
bulgaro: мед (med) "miele"
serbo, croato: ме̑д, mȇd "miele"
macedone: мед (med) "miele"
sloveno: méd "miele" (mẹ̑d in ortografia tonale)

*Ricordo un articolo su un vecchio quotidiano cartaceo, che parlava di una cooperativa comunista e di "miele da bere" importato dalla Polonia (hanno tradotto alla lettera miód pitny). Forse i trinariciuti non conoscevano la parola idromele o non la volevano usare per qualche loro ubbia. 

Un notevole prestito slavo in rumeno è mied "idromele" (parola del linguaggio popolare).
 
Alla luce di quanto esposto, vediamo che l'uso del neologismo MEDO in italiano restaurerebbe un'ottima tradizione, avendo un fondamento storico ineccepibile. Inoltre porrebbe fine agli inveterati fraintendimenti di cui abbiamo già discusso. Alla Festa Celtica in Val Veny, i Taurini vendono un eccellente idromele di loro produzione: ogni anno mi piazzo davanti alla loro bancarella per abbondanti libagioni. Ebbene, non sarei più costretto a sentire decine di visitatori continuare con la baggianata dell'associazione tra l'idromele e queste cazzute fantomatiche mele! 
 
Il cognome Idromele 

In Italia esistono i cognomi più bizzarri. Ve ne sono alcuni tra i più notevoli che traggono origine da nomi di bevande. Tra questi abbiamo Vino, Birra, Acquavite, Amaro, Liquori, Spiriti, Rum, Sambuca, Gin e Sidro. Come documentato dal sito www.gens.info, il rarissimo cognome Idromele è presente in due soli comuni, il primo in Piemonte, non lontano da Tortona, e il secondo nei pressi di Roma. 

martedì 14 aprile 2020

IL CULTO DI GIOVE PENNINO E SUOI POSSIBILI LASCITI

Tempo fa mi capitò di reperire un'informazione di un estremo interesse. Negli ultimi anni del X secolo o nei primi del XI (non ricordo l'anno esatto), il Vescovo di Aosta, Anselmo, durante un viaggio nella sua diocesi si imbatté in un simulacro di Giove Pennino, che era ancora adorato dagli abitanti di una valle impervia. La lettura mi era rimasta impressa per via dell'epoca molto tarda del ritrovamento. L'Anno del Signore poteva essere il 999 o il 1001, la mia memoria non riesce a decidere quale delle due date sia quella esatta; Anselmo, che morì ad Aosta nel 1026, non deve essere confuso col famoso omonimo che formulò la prova ontologica dell'esistenza di Dio. Ero convintissimo di aver letto di questi fatti mirabili nel libro di Riccardo Taraglio, Il Vischio e la Quercia. Spiritualità celtica nell'Europa Druidica (1a ed. 1997). Eppure quando ho ripreso in mano il volume, ad anni di distanza, purtroppo non sono stato in grado di ritrovare la preziosa menzione. Le pagine erano molto ingiallite per il tempo trascorso. Non mi è andata meglio con la versione online dell'opera, nonostante le ripetute ricerche; riporto il link, nel caso qualcuno volesse cimentarsi. Forse giungerà un internauta più fortunato di me.
 

Se poi un giorno il link si romperà, amen. Non posso perdere altro tempo. Google non mi è stato di alcun aiuto nel mio studio su Giove Pennino, anzi, mi ha seriamente ostacolato. Se anche questa scoperta del Vescovo Anselmo si trovasse in qualche sito, è di certo nascosta da migliaia di siti insostanziali con un migliore posizionamento nel Web. Sono convinto che un giorno ritroverò la documentazione, peraltro abbastanza stringata. Intanto pubblico queste note. Quello che mi aveva colpito è che in un'epoca così tarda fosse stata trovata una reliquia pagana così ben conservata. Mi sono domandato se per caso non fosse sopravvissuta, magari in forma residuale, anche una lingua celtica poi estinta, sommersa dal mondo romanzo circostante. La cosa non è poi così improbabile. Già Johann Ulrich Hubschmied aveva supposto che fossero sopravvissute in Elvezia isole alloglotte celtiche in epoca molto tarda, traendo evidenze della sua tesi dalla toponomastica.
 
Una divinità preromana adorata dai Salassi e da altre genti alpine è stata assimilata nel Pantheon di Roma come Iupiter Penninus. Il teonimo Penninus /pen'ni:nus/ è di chiarissima origine celtica: in gallico abbiamo PENNO- "testa; sommità, vetta", ben documentato nel materiale onomastico e toponomastico. Si tratta di un sostantivo neutro, che nelle Gallie doveva suonare *pennom, *pennon, e in epoca più tarda *penno. La sua derivazione è da un protoceltico *QUENNO-, la cui origine ultima permane sconosciuta: c'è chi ha ipotizzato un artificioso protoindoeuropeo *KP-ENNO-, postulando la stessa radice del latino caput "testa", ma la costruzione è alquanto artificiosa, con apofonia aberrante, suffisso sconosciuto e via discorrendo. In antico irlandese la protoforma celtica *QUENNO- ha dato cenn "testa" (irlandese moderno ceann "testa"): proprio da questa radice ha avuto origine il cognome Kennedy. In gallese la forma protoceltica ha dato pen "testa", con consonante labiale come in gallico. In buona sostanza, Iupiter Penninus significa "Giove della Vetta". Accanto alla pronuncia /pen'ni:nus/ ne esisteva un'altra più volgare, /pe:'ni:nus/ (vocale breve più consonante doppia => vocale lunga più consonante semplice). Si trova chiara traccia di ciò nella variante ortografica Iupiter Peninus. Si è generata quindi una grafia ipercorretta Iupiter Poeninus, giustificata anche da una falsa etimologia, già stigmatizzata da Tito Livio, che associava la divinità ai Cartaginesi e all'impresa di Annibale: il ben noto etnonimo Poeni /'poeni:/ "Fenici", pronunciato dal volgo /'pe:ni:/, è proprio la causa dell'equivoco. 
 
Nel paese degli Umbri, sulle falde del monte Catria, esisteva un importante santuario dedicato a Iupiter Apenninus. Situato nei pressi della Via Flaminia, il luogo di culto distava 135 km dall'Urbe. Il territorio in cui sorgeva apparteneva alle città Iguvium (attuale Gubbio) e Luceoli. Ebbene, questo Iupiter Apenninus è ora della fine la stessa identica divinità di quella vista nelle valli dei Salassi. Il vocabolo apenninus /apen'ni:nus/, da cui deriva l'italiano appennino, Appennini, è di origine ligure e ha la stessa identica radice vista sopra per il celtico PENNO-. Evidentemente si tratta di una formazione indoeuropea con un antico prefisso AD-, ben noto anche al latino e al celtico, anche se la radice *PENN- non ha paralleli esterni credibili. In ogni caso *AD-PENN- ha formato APENNINUS. A quanto mi consta, nessuna forma derivata mostra una lenizione; nell'italiano appennino si deve vedere l'esito dello scontro tra la consonante finale del prefisso AD- e la consonante iniziale della radice *PENN-, anche se in latino si trova soltanto una -p- semplice.

Taraglio menziona nel suo libro le battaglie condotte da San Bernardo contro il paganesimo popolare, drammatizzate dagli agiografi come scontri diretti contro Giove e altre divinità dell'antica religione romana, o meglio celtica romanizzata. San Bernardo, che ha dato il nome al Gran San Bernardo, dove esisteva proprio un santuario dedicato a Giove Pennino, secondo una diffusa tradizione sarebbe stato di nobile famiglia e nativo di Mentone (attuale Menthon-Saint-Bernard, vicino ad Annecy, da non confondersi con Mentone in Costa Azzurra). In realtà è molto probabile che il suo luogo d'origine fosse proprio Aosta. In precedenza il Gran San Bernardo era chiamato Mons Iovis, da cui deriva l'attuale denominazione dell'ospizio fondato dal santo, Mont-Joux, situato sul versante svizzero della montagna. 
 
 
In realtà anch'io ho visto l'idolo di Giove Pennino, proprio come era successo al Vescovo di Aosta mille anni prima. Naturalmente non si tratta dello stesso manufatto, visto che le genti del luogo hanno sempre provveduto a costruirne di nuovi, per quanti ne fossero abbattuti dalla foga degli zelanti predicatori o dall'inclemenza degli elementi. Nel settembre del 2013 ho pubblicato queste mie memorie, in cui è menzionata la scoperta: 

Storia del declino e della caduta dell'Impero Americano 

In un rifugio, tra le montagne che furono di Salassi e Graioceli, mi sono imbattuto in alcune ragazze americane dai modi incredibilmente volgari. Le loro parole avevano il suono dello starnazzare di papere e oche, una vera e propria cacofonia assordante. Il significato dei discorsi che mio malgrado sono stato costretto ad ascoltare era a dir poco nauseante. Una di queste americane ha detto di aver avuto moltissimi amanti francesi, tedeschi e della Sierra Leone, e di essere stata una volta persino con un cinese a cui non lo ha succhiato perché gli puzzava di formaggio. Si è quindi esibita in una serie di lazzi in cui derideva questo suo amante etichettandolo come "Chinese Cheese", sghignazzando di continuo. Poi ha aggiunto di ritenere quelli della Sierra Leone "i migliori per scopare". Ovviamente non ha considerato il fatto che in tale orrido Feudo di Satana germoglia l'AIDS. La sua amica ha detto di amare i falli giganteschi, ma se si imbatteva in un esiguo falletto scoppiava a ridere e non le riusciva di combinare niente perché in genere l'uomo si offendeva o si imbarazzava. Dopo alcuni giorni ho marciato fino al confine con la Francia, giungendo in un luogo dove qualcuno aveva eretto un idolo fatto di pietre ammucchiate, avente sembianze di un omino rudimentale. Un'americana si è allora staccata dalla sua comitiva e starnazzando ha chiesto a gran voce come mai l'omino ce l'avesse così piccolo. Si è quindi fatta fotografare a braccetto del simulacro, urlando qualcosa che si può traslitterare così: "This is my small dick boyfriend". Dovunque vadano, le americane si esibiscono in oscenità di ogni genere, tanto che i loro discorsi sono pieni zeppi di parole come "suck", "suck it up", "sucking", "fuck", e via discorrendo. Pensano soltanto a fellare e a copulare, ed è una cosa impressionante: solo se hanno con sé figli piccoli si astengono dall'usare un linguaggio pornografico. Di fronte a tutto questo, comprendo i sentimenti di Nerone nell'atto di suonare la lira mentre Roma ardeva: se avessi davanti a me un pulsante per mandare in combustione l'intero pianeta, non esiterei un solo istante a premerlo, l'importante è che tutto bruci senza la minima possibilità che qualcosa sopravviva tra le ceneri. Sarebbe deprimente pensare che questo porcaio possa durare ancora a lungo, tanto da permettere a un futuribile emulo di Edward Gibbon di scrivere un'opera in più tomi intitolata "Storia del declino e della caduta dell'Impero Americano".
 
Il luogo dove ho trovato Giove Pennino è il valico conosciuto come Col de la Seigne, proprio dove c'è il confine tra l'Italia e la Francia. Tornato in quello stesso sito due anni dopo i fatti appena descritti, nel 2015, vi ho trovato ancora un simulacro, anche se più piccolo e rudimentale di quello che vi avevo visto in precedenza. C'era una compagnia di israeliani molto allegri che vociavano di fronte al singolare manufatto, domandandosi cosa fosse e a cosa servisse. Invano ho cercato di spiegare loro che si trattava di un idolo, usando qualche parola in ebraico e poi continuando in inglese. Mi sorprendeva che considerassero con tanta futilità un oggetto che la loro religione avrebbe dovuto considerare offensivo. Non c'è stato verso che capissero il senso del mio discorso: quando ho fatto notare loro che a rigor di logica non avrebbero dovuto considerare divertente un'immagine di Baal, un vecchio mi ha guardato come se fossi un clown. "Why?", mi ha chiesto a un certo punto. Sono rimasto interdetto, ma poi ho pensato che fosse un ebreo laico (un "ammonita", come dicono in gergo) e che la cosa non doveva essere così strana. A questo punto mi sono accomiatato e ho cominciato a scendere a valle. Prima di volgere le spalle all'allegra comitiva, ho fatto in tempo a vedere un giovane israeliano, robusto e biondiccio, che poneva un piccolo sasso sulla sommità di Giove Pennino. Due valligiani con cui aveva parlato fino a poco prima, non appena si è allontanato, hanno rimosso la pietruzza appena collocata e l'hanno gettata a terra con disprezzo. Sentivo alcuni loro commenti in lontananza: "Ha detto di essere del Neghev", ha commentato uno. "Quanti palestinesi avrà ammazzato?", ha chiesto l'altro con voce sarcastica. 
 
Mi è stato riferito dall'amico A., nativo del paese dei Salassi, che gli omini delle montagne sono manufatti di antichissima tradizione, presenti sui valichi montani e sulle vette da tempo immemorabile. Non mi stupirei se l'usanza risalisse al Neololitico, forse addirittura al Paleolitico. Esiste l'inveterata a tradizione di accrescerli con pietre e di ricostruirli quando sono crollati: ogni passante pone un sasso, possibilmente piatto, sulla struttura, quasi seguendo un rituale istintivo, suggerito dal genius loci. Si dice che la funzione di questi strani cumuli di pietre consista nel segnare un sentiero poco definito, affinché il viandante non si smarrisca. Ho potuto constatare una specie di omertà diffusa tra la popolazione locale, che non ama affatto parlare di questo argomento coi forestieri. Sembra quasi che temano ancora oggi l'arrivo di un furioso Bernardo di Mentone abbattitore di idoli o addirittura di qualche inquisitore dei tempi della Caccia alle Streghe: non penso di poter essere ritenuto un folle se affermo che molti secoli di oppressione ecclesiastica devono essersi stratificati a livello di memoria epigenetica. 

domenica 12 aprile 2020

 
SCHIAVI DEGLI INVISIBILI 
 
Titolo originale: Sinister Barrier 
Autore: Eric Frank Russell 
Anno: 1948
Paese: Regno Unito
Lingua originale: Inglese
Tipologia narrativa: Romanzo
Genere: Fantascienza,
thriller, horror, noir 
Sottogenere: Fantascienza gnostica, demonologia, ufologia
     radicale 
Editore: Arnoldo Mondadori Editore; Editrice Nord
1a ed. italiana: 1953 (Urania n. 7)
2a ed. italiana:
1964 (I capolavori di Urania n. 325 bis)
3a ed. italiana: 1978 (Serie Cosmo Oro n. 31)
4a ed. italiana: 1982 (Classici Urania n. 68)
Traduttori: Patrizio Dalloro (1953, 1982),
     Giorgio Monicelli (1964), Roberta Rambelli (1978) 

Sinossi (da Mondourania.com, n. 7): 
"Il genere umano è già stato conquistato da altre "intelligenze"? E' forse posseduto da forme di vita inimmaginabili, ma non per questo meno temibili e proterve? Si, l'umanità è schiava degli spaventosi Vitoni, sfere di energia elettromagnetica, invisibili all'occhio dell'uomo, di cui sfruttano spietatamente le energie nervose. Globi azzurri di un metro di diametro, fosforescenti, fluttuanti nell'aria, hanno bisogno, per ottenere le energie nervose di cui si nutrono, di provocare la più catastrofiche emozioni nella psiche umana: e per giungere a questo devono scatenare guerre, passioni, delitti, ininterrottamente. Ma un piccolo gruppo di uomini s'accorge di questa schiavitù a favore degli Invisibili e a sua volta dichiara guerra ai Vitoni. Questi hanno scatenato gli orrori di una guerra atomica tra asiatici da una parte ed euro-americani dall'altra. Ma gli uomini hanno scoperto finalmente il mezzo di "vedere" gli Invisibili. E da questo momento la sorte dei Vitoni è decisa."
 
Sinossi (da Mondourania.com, n. 325): 
"Nella ormai ricchissima galleria di creature maligne che la FS ha inventato, questi Vitoni di Russell occupano un posto altrettanto sensazionale dei Trifidi di Wyndham. Con una importante differenza: mentre i Trifidi sono visibili a occhio nudo e sembrano innocui, i Vitoni sono invisibili, e solo una fortuita scoperta permette all'umanità di capire infine che cosa stia succedendo, e anzi, di rendersi conto che il nostro passato e la stessa nostra storia millenaria, seguono forse da sempre il corso voluto da questi feroci e insaziabili parassiti."
 
Trama: 
Siamo di fronte a una vera e propria strage di professori. Un eccidio, una moria epidemica quanto inspiegabile. Sul mondo accademico sembano posarsi le Ali della Morte. Chi si suicida gettandosi dai piani alti di un grattacielo, chi viene stroncato da un infarto improvviso, chi impazzisce e spara nel vuoto a un aggressore invisibile, chi si schianta col suo veicolo contro un edificio, chi si getta sotto un camion dopo aver urlato in preda al delirio. L'investigatore Graham e l'agente Wohl pian piano, di fronte alla morte di un gran numero di eminenti scienziati, cominciano ad accorgersi che strani particolari legano tra loro i diversi casi. Subito prima di incontrare l'Angelo della Morte, le vittime sembravano in preda al delirio, alcune di loro avevano lasciato appunti sconnessi e altri indizi molto difficili da interpretare: l'uso enigmatico quanto diffuso di un intruglio composto da mescalina, tintura di iodio e blu di metilene. Man mano che le indagini di Graham e Wohl procedono, avvengono strani incidenti. Uno scienziato in preda al terrore si getta col suo veicolo contro un palazzo, facendolo esplodere. Un altro si getta urlando sotto un camion. Quando finalmente viene trovata la prova dell'esistenza di strani globi di luce simili a soli azzurrognoli, fotografati tramite una speciale emulsione, esplode un impianto chimico, annientando un'intera città. Non senza gravi difficoltà e peripezie, Graham riesce a comprendere ogni dettaglio della complicata situazione e ad averne le prove da uno scienziato che vive da eremita, rinchiuso in un loculo ctonio. I soli azzurrognoli sono proprio quelle entità a cui è stato dato un nome scientifico: i Vitoni. L'anziano studioso scovato da Graham finisce ucciso non appena osa mettere piede all'esterno. Con questa mole di tremende evidenze, l'investigatore superstite riesce a ottenere l'appoggio del Governo e del Presidente. La strategia adottata non è delle più furbe, anche se appare inevitabile come una necessità storica: viene deciso di rivelare ogni cosa al mondo intero. Le conseguenze di un atto tanto rivoluzionario non si fanno attendere. Se alcuni futili media irridono tutto ciò che è stato pubblicato sui Vitoni, la Cina adotta una tattica assai più incisiva: scatena una guerra contro gli States, radendo al suolo numerose città con bombardamenti incendiari e devastando interi continenti. Ogni resistenza in Asia viene travolta, New York è sotto il bombardamento, l'Europa è a un passo dalla disfatta. Il marasma imperversa ovunque e sembra condurre il mondo intero alla completa rovina, fino ad arrivare all'escalation nucleare. Proprio quando ogni speranza è sul punto di venir meno, le sorti della specie umana mutano come per un improvviso colpo di fortuna, con la scoperta di una nuova rivoluzionaria arma in gradi di annientare i Vitoni come in un videogioco fosforescente!
 
Recensione: 
L'opera di Russell è una gemma di pensiero gnostico e di anticosmismo, che irradia la Luce della Verità in mezzo a una massa di fantascienza priva di costrutto. Purtroppo le genti del mondo non amano chi scrive cose inquietanti che possono spiegare le miserie della condizione umana: ecco perché preferiscono materiale puerile e grottesco come Star Wars, Star Trek et similia, la cui utilità potrebbe essere paragonata a quella dei peti di un mulo. I Vitoni non sono fatti di materia, non appartengono alla biologia, eppure sono dotati di una grande intelligenza che usano a danno dei viventi. Possono quindi essere considerati cacodemoni a tutti gli effetti. Sono proprio gli Arconti, gli esseri maligni che tanta importanza hanno nell'architettura concettuale dello Gnosticismo. 

La vulgata corrente parla di due fonti di ispirazione all'origine di questo romanzo:
1) Il paradosso di Fermi ("Se l'Universo pullula di civiltà sviluppate, dove sono tutte quante?");  
2) L'opera di Charles Hoy Fort (1874 - 1932), scrittore e studioso di fenomeni inspiegabili.
Le conclusioni tratte da Russell sono le seguenti: 
1) Siamo già stati conquistati da alieni che impediscono qualsiasi contatto con altre civiltà;
2) Ogni fenomeno inspiegabile e paranormale è il prodotto dell'attività di questi alieni, che usano a proprio vantaggio la superstizione umana.
Non intendo certo mettere in discussione questi meccanismi della genesi di Schiavi degli Invisibili. Ci tengo però a far notare la considerevole affinità con un sistema religioso e filosofico dell'Antichità, che ai nostri tempi è stato quasi del tutto dimenticato. Dovremmo quindi aggiungere una terza fonte di ispirazione all'elenco sopra riportato: lo Gnosticismo è proprio la chiave che permette di dare un senso a tutto questo. Per convincersene è sufficiente a mio parere leggere con attenzione alcuni estratti significativi del romanzo, che riporto nel seguito: 
 
"Proprio come molte cose ci erano sfuggite per secoli, alcune rifugiandosi nell’infinitamente piccolo ed altre nell’infinitamente grande, così altre ci hanno elusi annidandosi nell’incolore assoluto." 
 
"La scala delle vibrazioni elettromagnetiche si estende su 60 ottave, e l’occhio umano può vederne una sola. Oltre la sinistra barriera dei nostri limiti, oltre questo campo visivo meschino e inefficiente, intenti a dominare ogni uomo dalla culla alla tomba, a depredarci spietatamente come parassiti, stanno i nostri maligni e onnipotenti padroni: gli esseri che sono i veri signori della Terra." 
 
"Poiché somigliavano a globi di luce viva, Bjornsen ha dato loro il nome di Vitoni. E non sono soltanto vivi: sono anche intelligenti! Sono i signori della Terra, e noi siamo il gregge dei loro campi. Sono i crudeli e spietati sultani dell’invisibile; e noi siamo i loro schiavi tremanti e stupidi, così indescrivibilmente stupidi che pochi nella storia si sono accorti delle catene che portano. L’ignoranza di essi può essere una fortuna, ma la conoscenza è un’arma. L’umanità deve conoscere i suoi oppressori per infrangere le catene." 
 
"Una morte immediata attende una mucca che guida una rivolta contro la mungitura. E c’è uno scacciamosche che aspetta la prima ape decisa a protestare contro il furto del miele." 
 
"Così anche all’uomo, semmai divenisse consapevole di essere bestiame, non è dato di protestare e di opporsi, pena la condanna a morte." 
 
"Noi mangiamo, ma non ci aggiriamo a caso alla ricerca di patate selvatiche. Le coltiviamo, e coltivandole le miglioriamo secondo i nostri criteri. Allo stesso modo, i nostri tuberi emotivi non bastano a riempire i ventri dei nostri padroni: devono essere coltivati, stimolati, selezionati, secondo le idee di coloro che provvedono furtivamente a tali colture."
 
"Questa è la sola ragione per cui gli esseri umani, altrimenti razionali e ingegnosi al punto da stupirsi delle proprie capacità, non sanno mandare avanti il mondo in modo degno della loro intelligenza. È per questa ragione che ancor oggi, mentre potremmo costruire cose splendide, viviamo tra i monumenti miserabili della nostra potenza distruttiva, e non sappiamo creare la pace, la sicurezza, la tranquillità. È per questo che facciamo progressi nella scienza e nella tecnica ma non nella sociologia e nella psicologia, che sono sempre state ingarbugliate e impotenti fin dal principio." 
 
"Se vi mostrassi una microfotografia dell'orlo di una comunissima sega, i suoi vertici e le sue valli sarebbero un grafico perfetto delle ondate emotive che hanno sconvolto questo mondo con atroce regolarità. L’emozione... la messe! L’isterismo... il frutto! Voci di guerra, preparativi di guerra, accuse e controaccuse di preparare la guerra, le guerre vere e proprie; le rinascite religiose, i disordini religiosi; i conflitti del lavoro; le rivalità razziali; le dimostrazioni ideologiche, la propaganda speciosa; gli omicidi, i massacri, i disastri naturali; le stragi in tutte le forme capaci di suscitare ondate emozionali; rivoluzioni e ancora guerre."
 
"La pace, la pace vera, è un periodo di carestia per i nostri superiori. Occorre che vi siano emozioni, energia nervosa: grandi e sterminate messi di estensione mondiale, create in un modo o nell’altro, con qualsiasi mezzo."
 
"La verità deve essere senz’altro un’arma, altrimenti quelle creature non avrebbero mai preso iniziative tanto drastiche per impedire che venisse conosciuta. Loro temono la verità, perciò il mondo la deve conoscere. La verità "deve" essere rivelata!" 
 
«Si è scoperto ben poco - disse Graham - ma quel poco ha un grande significato. Beach era convinto che i Vitoni non soltanto sono formati d'energia, ma che "vivono" di energia e  se ne nutrono: della "nostra" energia! Per quanto li riguarda, noi esistiamo come produttori di energia, che la natura premurosa ha messo a loro disposizione per saziarli. Perciò ci allevano, o ci incitano a riprodurci.»
 
"Come si sa da tempo, l’energia nervosa prodotta dall’atto di pensare e la reazione alle emozioni ghiandolari hanno natura elettrica o semielettrica: ed è questa produzione che nutre i nostri invisibili superiori. Loro possono incrementare il raccolto quando vogliono; e lo fanno, stimolando rivalità e gelosie e odii e suscitando emozioni. Cristiani contro mussulmani, bianchi contro neri, comunisti contro cattolici: tutto è farina per il mulino dei Vitoni, tutto nutre le loro inimmaginabili viscere. Come noi coltiviamo il cibo, così i Vitoni coltivano il loro. Come noi ariamo i campi e seminiamo e mietiamo, così loro arano e seminano e mietono. Noi siamo un suolo di carne, arato dalle circostanze imposte dai Vitoni, seminato di idee controverse, concimato da dicerie e menzogne e falsità, innaffiato da sospetti e gelosie: e tutto questo affinché possiamo produrre una ricca messe di energia emotiva, che viene mietuta con la falce dell’angoscia. Ogni volta che qualcuno grida ad una guerra, un Vitone usa le sue corde vocali per ordinarsi un banchetto!"
 
"Il loro metodo per «spiegare» errori e omissioni e sviste da parte loro, insinuando nozioni superstiziose per «giustificarli» e confermando tali nozioni per mezzo di cosiddetti miracoli quando necessario e della produzione di poltergeist e di fenomeni spiritici quando richiesto, dimostra l'infernale ingegnosità degli esseri che noi chiamiamo Vitoni. Costoro hanno fatto del confessionale e della sala per le sedute spiritiche i loro centri di mimetizzazione psichica: il prete e il medium sono stati i loro alleati nell’impresa diabolica di mantenere nella cecità le masse cieche."  

"I dati dell'"Herald-Tribune" costituiscono gli annali della credulità umana, la prova che gli uomini possono vedere in faccia la realtà... e negarla! Dimostrano che gli umani possono vedere un pesce e chiamarlo carne o pollo, secondo le convenzioni di tutori dogmatici chiechi quanto loro, secondo il personale timore di perdere invisibili partecipazioni a dimore celesti inesistenti, secondo la credula convinzione che Dio possa negare loro le ali se affermano che una visione autorevolmente garantita come emanata dal cielo proviene invece dall'inferno."
 
"Siccome tutti i nostri dati indicano che i Vitoni orientano le opinioni come vogliono, guidando sottilmente i pensieri nel modo per loro più conveniente, è quasi impossibile stabilire quali giudizi si sono evoluti naturalmente e logicamente e quali sono stati imposti."
 
"Per loro è un vantaggio enorme, perché possono conservare il potere sull’umanità mantenendo diviso il mondo su ogni questione, nonostante tutti i nostri tentativi di unirlo." 

"Secondo me sarebbe opportuno creare un apposito laboratorio in qualche località remota e poco frequentata, lontana dalle zone in cui imperversa la guerra, poiché tutto indica che i Vitoni si raccolgono dove gli umani sono più numerosi e che visitano molto di rado le regioni disabitate."  
 
"Un laboratorio nascosto nel deserto, in una località in cui il nutrimento emotivo scarseggia, potrebbe rimanere inosservato e indisturbato anche per anni." 
 
Incapacità predittiva 
 
Il problema cruciale è la tecnologia descritta nel romanzo di Russell. L'autore dà forma a un mondo in apparenza molto progredito scientificamente, ma com'è ovvio lo fa secondo le idee correnti negli anni '40 del XIX secolo, secondo il suo immaginario collettivo. Non può nemmeno concepire qualcosa di simile a Internet: i soli computer sono ancora scomodissimi armadi a muro pieni zeppi di valvole termoioniche. Se da una parte ci sono veicoli fluttuanti che funzionano tramite l'antigravità, dall'altra c'è una telefonia assolutamente incoerente e rudimentale. Il telefono si è evoluto in videotelefono (o videofono), ossia è stato messo uno schermo simile a un oblò proprio sopra il girello, mantenendo immutata la cornetta che si aggiancia. Non solo: c'è il centralino per smistare le chiamate! Nulla di portatile, è ovvio. Al massimo il videotelefono può essere montato su un veicolo fluttuante, ma nulla di più. I poliziotti sono ancora provvisti di walkie talkie, congegni di cui non è stata capita la portata rivoluzionaria (sono loro i veri progenitori dei comunicatori di Star Trek). Esistono persino i radioamatori! Sì, proprio loro, quei camionisti che continuavano ad farfugliare "brekko brekko!" al microfono. Qualcuno se li ricorda? Forse no, ormai sono estinti da tempo. Dubito che un millennial abbia mai visto un radioamatore, non più di quanto abbia visto un toxodonte o un megaterio. Fatto sta che l'idea del telefono portatile non è presente nemmeno allo stadio larvale nel mondo russelliano. Lo schermo dei videofoni fissi è capace soltanto di trasmettere tramite una telecamera o di mostrare le pagine dei quotidiani come se fossero foto. Non c'è interfaccia di sorta. Persino il televisore a colori ("stereoscopico, a sei colori") è presentato come un'audace invenzione della Faraday, il cui lancio sul mercato è stato interrotto dalla guerra. Ci pensate? Tutte queste cose dovrebbero far meditare. 
 
Fantascienza Noir 

Il navigatore N3ntalf1oss fa notare una cosa molto interessante sul sito Anobii.com: il romanzo di Russell in realtà è permeato di noir, al punto da essere ascrivibile a quel genere.  


"Fin da subito, infatti, la narrazione prende una precisa direzione e, rinunciando a qualsivoglia speculazione ontologica e metafisica, opta per ritmi e caratterizzazioni tipiche del noir e del poliziesco. A tratti pare davvero di leggere Mickey Spillane o di assistere a un film dell'epoca dei Bogart e dei Peter Lorre." 

E ancora: 

"Le attenuanti, però, non mancano. Il periodo - "Sinister Barrier" (titolo originale) apparve nel 1939 e fu rimaneggiato e rivisto tra il 1943 e il 1948 - è quello, appunto, dell'esplosione noir e dei duri con la sigaretta in bocca. L'influenza sul romanzo è infatti marcatissima e, a tratti, persino piacevole. Inoltre, siamo ancora lontani (o, perlomeno, non troppo vicini) all'epoca della Sci-fi americana degli Outer Space e degli Another World, e questo va a tutto merito dell'autore, che si è rivelato assai profetico nel proporre un intreccio che i posteri non esiteranno a clonare e a rivisitare.
D'altra parte non si può gridare al miracolo, vista soprattutto la semplicità - quasi ingenua - del canovaccio narrativo, e il taglio dato ai personaggi, tutti un po' troppo Marlowe, per essere credibili in una storia che, alla fin fine, parla di incontri con altre forme di vita e non di sparatorie tra gangster."
 

Di che lamentarsi? Fantascienza, gangster e pupe: non è poi troppo male, Diabole Domine! Ci fosse qualcosa di simile ai nostri tempi!

mercoledì 8 aprile 2020

I GREKS PORTANO DONI 

Titolo originale: The Greks Bring Gifts 
Autore: Murray Leinster 
Anno: 1964
Lingua originale: Inglese
Paese: Stati Uniti d'America
Tipologia narrativa: Romanzo
Genere: Fantascienza
Sottogenere: Epica spaziale, fantascienza hard, invasione
     aliena
Editore: Arnoldo Mondadori Editore
1a ed. italiana: 1976 (Urania n. 695)
2a ed. italiana: 1985 (Millemondiestate n. 27)
Traduttore: Beata della Frattina 
Titoli tradotti: Non sono state trovate altre traduzioni
 
Sinossi (da Mondourania.com):
"Quando la gigantesca astronave dei Greks spunta da dietro la Luna, l'umanità è presa dal panico. Ma l'allarme, a quanto sembra, è ingiustificato, non c'è, a quanto pare, niente da temere. I Greks, socialmente e tecnologicamente avanzatissimi, sono come gli antichi Greci rispetto ai barbari: il loro scopo ultimo è di diffondere nei pianeti "sottosviluppati" la loro superiore forma di civiltà; la missione dell'astronave è di portare agli uomini degli spendidi regali energetici che trasformeranno la Terra in un paradiso. Per fortuna Jim Hacket, esperto in fisica moderna ma anche in storia antica, si ricorda dell'antico detto secondo cui bisognava "temere i Greci anche quando portano doni", e si chiede, tra l'altro, cos'abbiano messo i Greks nella profonda buca che dopo l'atterraggio hanno scavato di nascosto sotto l'astronave." 
 
Trama:
Il narratore ricostruisce i fatti recenti della storia del genere umano a beneficio dei lettori, presentando gli eventi portentosi di cui è stato testimone durante la sua gioventù. In questa ricostruzione ci sono molte sproporzioni temporali e incongruenze. In pratica le cose sono andate così: l'arrivo sulla Terra della grande astronave dei Greks ha prodotto una discontinuità traumatica nella storia del genere umano, ponendolo in gravissimo pericolo. Tuttavia, una volta sconfitto questo formidabile nemico col solo aiuto dell'ingegno di un uomo e dell'improbabile collaborazione delle autorità delle nazioni, ecco che il progresso dell'umanità accelera all'improvviso fino a portare all'instaurarsi di una civiltà a livello galattico. 
 
La reazione dell'umanità all'arrivo dei Greks e ai loro doni è stata paragonabile a quella indotta da una massiccia anestesia. Si è avuta la totale abolizione del senso critico e dello stesso concetto di razionalità. Abbagliati da un sistema che permette di captare e di trasmettere a qualsiasi distanza l'energia, come se fosse creata dal Nulla, i popoli della Terra hanno abbandonato in poco tempo le vecchie tecnologie, trovandosi così alla mercè degli alieni. C'è una sola persona su tutti il nostro pianeta a diffidare di questi politicanti scesi dagli abissi siderali: il dottor Jim Hackett, un fisico che cova un grande risentimento per non aver superato un esame sulle conoscenze scientifiche dei Greks. Con la sua assistente, la signorina Lucy Thale, l'accademico intraprende un defatigante viaggio in automobile verso il luogo in cui è atterrata l'astronave dei "benefattori" alieni. Nel corso del tragitto la coppia si imbatte in un aldariano che ha avuto un brutto incidente d'auto. Gli Aldariani sono alieni ipertricotici dal sembiante ferino, vagamente somiglianti a licantropi, che i Greks hanno condotto sull Terra come schiavi. Condotto l'aldariano ferito in un ospedale, Lucy scopre una verità fastidiosa. L'alieno peloso è sordo, i suoi padroni Greks gli hanno reciso i nervi acustici per impedirgli di percepire i suoni. Prima che le cose si mettano male, Hackett e la donna riescono a fuggire dall'ospedale e a far perdere le loro tracce - non prima che l'aldariano abbia consegnato a Lucy un misterioso congegno che aveva con sé. 

Giunti alla loro destinazione, dove le folle attendono nei pressi dell'astronave dei Greks, il dottor Hackett e la sua compagna iniziano a lavorare con alcuni uomini di Scienza che si occupano di scavi archeologici. Così concentrano la loro attenzione su una buca riempita dagli alieni con ogni sorta di rifiuti. La scavano e scoprono i corpi di numerosi aldariani uccisi, abbandonati nell'immondizia come se valessero meno degli escrementi. Da questo rinvenimento inizia la riscossa della Terra. Come per miracolo, tutti i governi del pianeta si convincono per incanto della pericolosità dei Greks e dei loro funesti doni. Si scopre così che i congegni per la captazione e la trasmissione dell'energia dal Nulla sono illusori, che sono soltanto giocattoli che ricevono ciò che i Greks trasmettono, che non funzionerebbero mai senza un simile input. Nel frattempo l'astronave dei Greks è decollata, diretta verso le vastità galattiche. Dall'analisi di questi meccanismi, il fisico ribelle riesce a produrre un'arma mortifera, in grado di annientare uno scafo alieno. L'intenzione è chiara: non appena i Greks faranno ritorno, su richiesta dei popoli tumultuanti, avrà inizio la rivincita. Proprio da questo atto audace avrà inizio l'Impero Terrestre!
 
Recensione:
Se devo essere sincero, i Puffi hanno più verosimiglianza di questo costrutto narrativo. La mia domanda non è poi così complessa. Se i governi della Terra non riescono a mettersi d'accordo nemmeno su un dettaglio insignificante, come si può credere che agiscano in concordia nei confronti di una grave minaccia esistenziale? A simile quesito c'è un'unica risposta. Non è possibile alcuna reazione organizzata e coerente. Molti troveranno che la mia risposta sia desolante, eppure le cose stanno così. Alle intelligenti premesse di Leinster non corrispondono conseguenze altrettanto plausibili. Sarebbe bastata una conoscenza elementare della termodinamica per rifiutare con sdegno le profferte dei Greks, ma è inutile sperare che questo possa avvenire dove imperversa un sistema scolastico ostile alla Logica, la cui essenza è quella di uno schifoso vivaio di bulli!    
 
Timeo Greks et dona ferentes 
 
Com'è risaputo, Virgilio fa pronunciare al troiano Laocoonte, gran sacerdote di Poseidone, alcune famose parole: Timeo Danaos et dona ferentis, ossia "Temo i Greci anche quando portano doni" (Eneide, Libro II, 49). La forma vergiliana ferentis, un interessante arcaismo (con -is in luogo di -es), è in genere emendata in ferentes quando si cita il verso, credo per evitare crisi a qualche insegnante isterica. Spesso ci si imbatte anche in Timeo Graecos et dona ferentes, in cui Danaos è stato opportunamente sostituito col più familiare Graecos. Proprio da questa versione ad usum Delpini ha tratto ispirazione Leinster. Sostituendo Graecos con Greks, ecco pronta l'idea portante del romanzo, che a giudicare dallo stile è stato scritto in fretta e furia, i modo quasi convulso. I celebri tagli di Urania hanno rimosse alcuni passaggi. La rivelazione che il fisico Hackett avrebbe dovuto fare alla bella Lucy è stata omessa. Era una cosa elementare: data l'assonanza di Greks con Graecos, i giganteschi extraterrestri grigiastri non potevano essere onesti!
 
Amenità politiche 
 
A un certo punto ne ho avuto la certezza. I Greks appartengono al Club Bilderberg! Provate a immaginarveli! Altissimi e segaligni, dalla pelle grigia e zigrinata come quella di un palombo, ma con fattezze ben riconoscibili: ricordano quelle dei membri del Governo dei Tecnici che ci ha afflitto dopo la caduta del Satiro di Hardcore! 
 
Altre recensioni e reazioni nel Web:
 
Credo che questo sia in assoluto uno dei romanzi di fantascienza meno conosciuti e con meno riscontri. Ho fatto una certa fatica a trovare pochi brevissimi commenti. Si trovano su Anobii.com e sono tra l'altro abbastanza datati. 

 
Mauro ha scritto:

"Forse si sono ispirati a questo romanzo per la serie TV "Visitors". Comunque l'idea dell'alieno apparentemente "buono", ma che in realtà ha brame di conquista è sviluppata in modo interessante e avvincente." 

VM71 ha scritto:

"Timeo danaos et dona ferentes
Quando i Greci recano doni, è buona regola tenere gli occhi aperti. :-)
Romanzo degli anni '50, un pò ingenuo ma piacevole da leggere, se vi piace la fantascienza classica."
 
Plutonio186 ha scritto:

"La storia è carina e originale , almeno non ho mai letto una storia simile , l'unica cosa è che essendo scritto quando è stato scritto , ho trovato difficile immedesimarmi in qualsiasi personaggio ."