sabato 24 ottobre 2020

HOWARD PHILLIPS LOVECRAFT AMERICANISTA: L'INVASIONE DEGLI INUTO

La Stella Polare (Polaris) è un breve racconto fantasy di H. P. Lovecraft, scritto nel 1918 e pubblicato per la prima volta nel dicembre del 1920 sulla rivista amatoriale The Philosopher (da non confondersi con l'omonima rivista accademica fondata nel 1923). Quando lo lessi, molti anni fa, ne fui molto colpito. Narra di un uomo ossessionato dalla Stella Polare, convinto di essere vissuto in un'epoca remotissima, nella terra che oggi conosciamo come Groenlandia e che lui chiamava Lomar. Il suo nome non viene mai rivelato nel corso della narrazione. Egli è convinto di essere stato un guardiano incaricato di sorvegliare la capitale del Regno, Olathoë, che sorgeva nel mezzo della piana di Sarkis, tra i monti Noton e Kadiphonek. La città era assediata da orde di genti bellicosissime e barbare, gli Inuto (nell'originale Inutos, col tipico plurale sigmatico anglosassone), descritti come "tarchiati e gialli".
 
Un'interessante incoerenza narrativa 
 
A un certo punto il narratore ascolta nella sua mente una poesia, che sembra essere pronunciata dalla Stella Polare, avvertita come una presenza ostile e maligna. Questo è il testo: 
 
"Slumber, watcher, till the spheres,
Six and twenty thousand years
Have revolv'd, and I return
To the spot where now I burn.
Other stars anon shall rise
To the axis of the skies;
Stars that soothe and stars that bless
With a sweet forgetfulness:
Only when my round is o'er
Shall the past disturb thy door."
   
 
Questa è la traduzione libera di Giuseppe Lippi (RIP):  
 
"Dormi, guardiano, dormi in fila
Per lunghi anni Ventiseimila,
Svegliati solo nel momento
Che brillerò nel firmamento
Proprio dove brillo adesso.
Tu nel ciel vedrai spuntare
Molte stelle da guardare;
E la calma ti daranno,
Dimenticare ti faranno:
Ma quando tornerò nella vecchia posizione
Il passato ti darà una bella lezione." 
 
Non so se sono soltanto io a trovare strano questo canto. La bizzarria non sta nei suoi contenuti: sta nel fatto che è in inglese e che presenta ingegnose rime. Il compianto Giuseppe Lippi ha fatto del suo meglio per rendere la sua struttura poetica, concependo rime idonee in italiano. Direi che il risultato è ottimo, anche se in alcuni punti si ravvisa una certa distanza dal significato dell'originale. La domanda è questa: nella testa del protagonista non avrebbe dovuto pulsare un componimento nella lingua di Lomar? I versi avrebbero presentato rime simili a quelle riportate nel racconto? Quali rime? Dovremmo pensare che il cervello di quell'uomo avesse trasposto i contenuti in inglese adattandoli alle circostanze? Oppure, semplicemente, l'Autore non ci ha pensato e ha dato per scontato che a Lomar si parlasse inglese? Non voglio credere a quest'ultima alternativa, che mi pare oltremodo ingenua e grottesca. 
 
L'ignota lingua di Lomar 
 
Certo è un vero peccato che l'ignota lingua di Lomar non sia stata documentata. Ci saremmo almeno aspettati di veder menzionati i nomi lomariani degli astri funesti, la Stella Polare e Aldebaran. Non sono in grado di ricavare elementi utili dal materiale citato, che consiste in alcuni toponimi (Lomar, l'altopiano di Sarkis, il monte Noton, il monte Kadiphonek, la torre di Thapnen, la valle di Banof, le città Daikos e Zobna), in un antroponimo (Alos) e in poco altro: oltre agli Inuto è menzionato un etnonimo (Gnophkeh), ma questi saranno endoetnici presi a prestito, non esoetnici imposti dai Lomariani; ci sono poi i Manoscritti Pnakotici (in inglese Pnakotic Manuscripts), che compaiono anche in altre opere lovecraftiane e che hanno tratto il loro nome dalla perduta città di Pnakotus, edificata dalla Grande Razza di Yith.
 
Gli Inuto, gli Inuit e la Terra del Sogno    

Ora leggete attentamente queste parole, che concludono il racconto: 

"I have failed in my duty and betrayed the marble city of Olathoë; I have proven false to Alos, my friend and commander. But still these shadows of my dream deride me. They say there is no land of Lomar, save in my nocturnal imaginings; that in those realms where the Pole Star shines high and red Aldebaran crawls low around the horizon, there has been naught save ice and snow for thousands of years, and never a man save squat yellow creatures, blighted by the cold, whom they call “Esquimaux”.
And as I writhe in my guilty agony, frantic to save the city whose peril every moment grows, and vainly striving to shake off this unnatural dream of a house of stone and brick south of a sinister swamp and a cemetery on a low hillock; the Pole Star, even and monstrous, leers down from the black vault, winking hideously like an insane watching eye which strives to convey some strange message, yet recalls nothing save that it once had a message to convey." 

Traduzione:
 
"Ho fallito nel mio compito, ho tradito la marmorea città di Olathoë; mi sono mostrato indegno di Alos, mio amico e comandante, e ancora le ombre del sogno mi deridono. Dicono che la terra di Lomar esiste solo nelle mie fantasie notturne, che nelle regioni dove la Stella Polare brilla alta nel cielo e Aldebaran striscia lungo l'orizzonte non c'è altro che neve e ghiaccio da migliaia d'anni e che l'uomo non ci si è mai avventurato, a parte una razza di individui gialli e tarchiati che qui chiamano "esquimesi".
E io mi tormento nel rimorso, desiderando ardentemente di poter salvare la città: ma ad ogni momento il pericolo cresce e io lotto invano per scuotermi di dosso il sogno innaturale di questa casa di pietra e mattoni, a sud della palude e del cimitero che sorge sulla collina. E la Stella Polare, malvagia e mostruosa, mi deride dalla volta nera, ammiccando orribilmente come un occhio folle che guarda, guarda in continuazione e cerca di trasmettere un messaggio misterioso; ma non ricorda quale, se non che una volta ce n'era uno."  

Stupisce molto che Lovecraft abbia usato l'etnonimo Inuto, in cui si riconosce all'istante un'alterazione di Inuit, ben noto endoetnico delle genti note come Eschimesi (variante obsoleta Esquimesi). Proprio il finale del racconto, sopra riportato, prova al di là di ogni dubbio che questa scelta dell'Autore non è stata casuale. Quanti se ne sono accorti tra i suoi esegeti? Possiamo dire a questo punto che gli Inuto sono i corrispondenti Eschimesi delle Terre dei Sogni (Dreamlands), anzi, uno dei pochi punti di contatto tra queste due realtà parallele. Il nome Dreamlands è dato a una vasta dimensione parallela a cui è possibile avere accesso unicamente tramite l'attività onirica. Proprio in tale mondo si trovano il Paese di Ulthar, ove non si possono uccidere i gatti, l'Altopiano di Leng, l'Isola di Oriab, le Rovine di Sarnath, la Terra di Mnar e innumerevoli altri luoghi incantati. La gelida Lomar appartiene alla stessa geografia del Sogno. Si potrebbe quindi pensare che sia vana la sua identificazione con la Groenlandia, con cui pure presenta molte analogie. Eppure è evidente che il Solitario di Providence ha tratto in qualche modo ispirazione dalla nostra realtà, da quanto poteva immaginare sulle origini degli Eschimesi e della calotta glaciale artica.     
 
Terre del sogno e realtà  
 
Facciamo ora un rapido confronto tra gli eventi ricostruibili e quelli esposti nel racconto. Secondo quanto Lovecraft ha narrato in Polaris, le cose erano tutto sommato abbastanza semplici, se così possiamo dire. Fino a ventiseimila anni prima del suo tempo, la Groenlandia era libera dai ghiacci e abitata da genti di aspetto europeo. Quindi sarebbero giunti dall'Asia gli Inuto a portare devastazione. Distrutta la civiltà di Lomar, sarebbe poi giunta la glaciazione e gli Inuto, adattati al nuovo clima, avrebbero infine dato come discendenti gli attuali Inuit. In realtà gli Inuit sono una presenza molto più recente nell'Artico: sono giunti alcuni secoli dopo la fondazione delle colonie norvegesi in Groenlandia, come spiegato con maggior dettaglio nel seguito. Anche per quanto riguarda la climatologia e la geologia, non c'è rispondenza alcuna tra quanto raccontato in Polaris e gli eventi del nostro pianeta. L'ultima glaciazione, quella di Würm, fu la quarta del Pleistocene: iniziò circa 110.000 anni fa e si concluse circa 12.000 anni fa. La sua massima estensione fu raggiunta circa 18.000-18.000 anni fa in Europa e circa 22.000-18.000 anni fa in Siberia. La calotta di ghiaccio (Islandsis) che ricopre la Groenlandia si formò molto prima, nel tardo Pliocene, circa 3 milioni di anni fa. Le prove delle glaciazioni quaternarie furono scoperte nel corso del XVIII e del XIX secolo, come parte della Rivoluzione Scientifica. Notiamo che la cronologia non torna affatto con quella descritta dal Solitario di Providence. Eppure c'è un dettaglio inquietante quanto innegabile: il cielo del nostro mondo è lo stesso di quello delle Terre del Sogno, con le medesime stelle che vi brillano!  
 
L'origine degli Inuit  
 
Gli attuali Eschimesi includono gli Inuit (Canada, Groenlandia) e gli Yupik (Alaska). Sono anche chiamati Neo-Eschimesi e discendono dalla Cultura di Thule, che è giunta in Groenlandia nel XIII secolo d.C. I loro antenati provenivano dalla regione di Birnirk, in Alaska settentrionale, come suggerito dai reperti archeologici e dall'analisi del genoma (presenza dell'aplogruppo A). Prima della migrazione delle genti della Cultura di Thule, le regioni del Canada settentrionale e della Groenlandia erano occupate da altri popoli, conosciuti come Paleo-Eschimesi. Appartenevano ai Paleo-Eschimesi le culture conosciute come Saqqaq (2500 a.C. - 800 a.C.), Indipendence I (2400 a.C. - 1000 a.C.), Indipendence II (700 a.C. - 80 a.C.) e infine Dorset (500 a.C. - al più tardi 1500 d.C.). Il nome dato a queste culture è tratto dai luoghi delle scoperte archeologiche: le loro lingue sono perdute. L'aplogruppo D è dominante, in netto contrasto con gli antenati degli Inuit. L'origine ultima dei Paleo-Eschimesi, come quella dei Neo-Eschimesi, è la Siberia, da cui sono partite ondate migratorie separate.  

Etimologia di Inuit
 
In proto-eschimese la parola *ińuɣ significa "persona". Ne derivano le seguenti protoforme: proto-Inuit: *inuɣ "persona" e proto-Yupik *yuɣ "persona". 
 
Questa è la declinazione di inuk "persona" in groenlandese: 
 
Singolare:
 
Assolutivo: inuk 
Ergativo: inuup
Allativo: inummut
Ablativo: inummit
Prosecutivo: inukkut
Locativo: inummi
Strumentale: inummik
Equativo: inuttut  
 
Plurale: 
 
Assolutivo: inuit  
Ergativo: inuit 
Allativo: inunnut
Ablativo: inunniit
Prosecutivo: inutsigut
Locativo: inunni
Strumentale: inunnik
Equativo: inuttut  

La forma lovecraftiana Inuto sembra quasi l'equativo di inuit, ossia inuttut "come una persona; come le persone". Non credo tuttavia plausibile che Lovecraft avesse simili conoscenze. Avrà derivato l'etnonimo Inuto a partire dalla forma assolutiva plurale inuit, che certamente doveva essere ben nota agli etnologi. Non dobbiamo dimenticarci che Lovecraft non era Tolkien e non dava grande importanza al rigore filologico.   
 
Lingue Inuit e algonchine: possibili contatti  
 
Le lingue eschimesi sono considerate parte della macrofamiglia nostratica. Eppure i contatti e gli scambi con altri ceppi linguistici del Nordamerica sono senza dubbio stati assai intensi. Nella lingua Innu-aimun parlata dalla popolazione algonchina conosciuta come Montagnais, autoctona della penisola del Labrador, la parola innu significa "persona, essere umano". Potrebbe trattarsi di un prestito da un sostrato o da un adstrato eschimese, dal momento che la lingua dei Montagnais appartiene al gruppo delle lingue Cree e non ha parentela con le lingue degli Inuit. Dal confronto con le altre lingue algonchine emerge che la parola innu è derivata da una protoforma *elenyiwa. A prima vista sembrerebbe difficilmente compatibile con la protoforma eschimese *ińuɣ, ma le difficoltà non sono insormontabili. Se diamo un'occhiata a qualche esito storico, notiamo che potrebbe comunque essere esistita una protoforma comune. 
 
Esiti di *elenyiwa si trovano in tutte le lingue algonchine. Questi sono alcuni esempi: 
 
Cree: iyiniw "uomo"
Fox: ineniwa "uomo"
Menominee: enɛᐧniw "uomo"
Ojibwe: aniniw "uomo"  
Abenaki: alnôba "essere umano"
Massachusett: ninnu "uomo"
Mohegan-Pequot: in "uomo" 
etc.
 
All'interno delle lingue Cree, abbiamo questi dati:  

    Plains Cree: iyiniw
    Woods Cree: iθiniw
    Swampy Cree: ininiw
    Moose Cree: ililiw
    Atikamekw: iriniw
 Cree Occidentale:
    Nord Est Cree: īyiyiw 
    Sud Est Cree: īyiyū 
Montagnais: īlnu (Ovest), innu (Est)
Naskapi: iiyuw, iyyū
 
E se questa radice proto-algonchina fosse un prestito remoto da una lingua artica anteriore da genti anteriori agli Inuit? Potrebbe questa radice essere un antico termine importato dalla Siberia da epoca immemorabile ed evolutosi in seguito in modi indipendenti nelle lingue di popoli diversi, anche non imparentati tra loro? La butto lì.  
 
Thule, Dorset ed Amerindiani 
 
Non ci sono somiglianze genetiche tra Eschimesi e Paleo-Eschimesi. Questo ci dice l'analisi delle sequenze dei resti rinvenuti. Gli accademici non riescono a capire come gli Eschimesi possano aver adottato alcune tecnologie della Cultura di Dorset senza contatti genetici. Ad esempio, risulta che la Cultura di Thule abbia preso da quella di Dorset un particolare tipo di arpione e la tecnica di caccia alle foche tramite un buco nel ghiaccio - anche se non sembra che le genti di Dorset avessero cani per aiutare i cacciatori. Le leggende degli Inuit parlano di una stirpe di giganti che avrebbero abitato in tempi antichi le terre artiche. Sono chiamati Tuniit (al singolare Tuniq) o Sivullirmiut (ossia "Primi Abitanti"). Secondo questa tradizione, questi Tuniit sarebbero stati molto timidi, cosicché gli antenati degli Inuit li avrebbero messi facilmente in fuga. Ma in fuga dove? Questi confusi racconti potrebbero essere nati dal tentativo di nascondere un'orrenda colpa ancestrale, quella del genocidio. Proprio il vocabolo Tuniit potrebbe essere un prestito dalla lingua dei Dorset, il suo ultimo resto e il suo solo documento vivente. Potrebbe essere la prova di qualche contatto intercorso tra le due culture, prima che esplodessero le ostilità con conseguente sterminio degli abitanti più antichi. Se così fosse, prenderebbe sostanza la tesi di coloro che considerano i Paleo-Eschimesi all'origine della diffusione delle lingue Na-Dené in Nordamerica. Tra le lingue di questo ceppo menzioniamo quella dei Navajo e quella degli Apache, popolazioni ben note e gloriose. Il vocabolo dené si trova nelle lingue del ceppo Athabaskan e significa "gente, popolo". Non sembra troppo difficile affermare che la radice *tuni- significasse proprio questo nella lingua della Cultura di Dorset e che avesse la stessa origine. Trovo assurda l'idea di quegli accademici che credono alla scomparsa della Cultura di Dorset prima dell'arrivo di quella di Thule, postulando il saccheggio dei villaggi ormai deserti come fonte di approvvigionamento di manufatti e tecnologie. Proprio la persistenza dell'etnonimo Tuniit confuta questa tesi.  
 
Un esperimento stravagante 
 
D'accordo. Non ho certo l'ardire di ritenermi anche lontanamente pari a Tolkien. Vorrei però tentare un esperimento filologico, a mio avviso di enorme interesse. Pongo i primi rudimenti di una grammatica della lingua degli Inuto che hanno invaso Lomar, portandovi devastazione e morte. Ecco la declinazione di inug "persona, essere umano":
 
Singolare:
 
Assolutivo: inug
Ergativo: inoof
Relativo: inoom
Allativo: inumboth
Ablativo: inumbith
Prosecutivo: inuthkoth
Locativo: inumbë
Strumentale: inumbikh
Equativo: inuhtoth 
 
Plurale: 
 
Assolutivo: inuto
Ergativo: inutof 
Relativo: inutom
Allativo: inumnoth
Ablativo: inumneyth
Prosecutivo: inuthsigoth
Locativo: inumnë 
Strumentale: inumnikh
Equativo: inuhtoth  

A differenza della lingua di Lomar, quella degli Inuto è già fin d'ora ricostruibile.

Un'importante missione 

Anche se non ci riuscirò nel breve termine, vorrei riuscire a produrre un vero e proprio atlante linguistico delle Terre del Sogno! Se tutto andrà per il verso giusto, potrò presentare la mia opera nel giro di qualche anno, rivelando i misteri di Lomar, di Ulthar, del Paese di Mnar e di innumerevoli altri luoghi incantati!   

martedì 20 ottobre 2020

HOWARD PHILLIPS LOVECRAFT ARABISTA: LE ORIGINI DI ABDUL ALHAZRED

Abdul Alhazred, che H. P. Lovecraft ha soprannominato l'Arabo Pazzo, è a tutti noto come l'autore del Necronomicon. La sua prima menzione nell'opera del Solitario di Providence appare nel racconto La città senza nome (The Nameless City), scritto nel 1921 e pubblicato nello stesso anno sulla rivista Wolverine. Le origini dell'Arabo Pazzo sono yemenite: sarebbe nato a Sanaa agli inizi dell'VIII secolo d.C. e morto a Damasco in circostanze misteriose. 
 
All'Arabo Pazzo è attribuito il Distico Inesplicabile, ben noto a tutti i Cultisti e menzionato per la prima volta proprio in The Nameless City
 
"That is not dead which can eternal lie,
And with strange aeons even death may die." 

La traduzione oggi più diffusa è questa: 

"Non è morto ciò che in eterno può attendere
e con il passar di strani eoni anche la morte può morire." 
 
Il nome Abdul non presenta misteri di sorta: in arabo significa "Servo di" e non è un antroponimo indipendente. La forma originale è عبد ال ʻAbd al, da ʻabd "servo" allo stato costrutto seguito dal ben noto articolo determinativo al. È possibile che la trascrizione Abdul mostri la desinenza fossile del nominativo, -u, ancora presente nella lingua coranica, con l'articolo determinativo al agglutinato. Secondo le opinioni più diffuse si tratta soltanto di una diversa traslitterazione, che tiene conto dell'indebolimento della vocale atona dell'articolo. Abbiamo anche le trascrizioni Abdol, Abdool, Abdoul, Abdil, Abdel. La forma meno distante da quella classica è senza dubbio Abdal
 
عبد الله ʽAbd Allāh, Servo di Dio
عبد العزيز ʽAbd al-ʽAzīz, Servo dell'Onnipotente
عبد الكريم ʽAbd al-Karīm, Servo del Generoso
عبد الرحيم ʽAbd ar-Rahim, Servo del Misericordioso 
عبد الرحمن ʿAbd ar-Raḥmān, Servo del Benevolo
عبد السلام ʿAbd as-Salām, Servo del Pacifico  
عبد القادر ʿAbd al-Qādir, Servo del Potente  
عبد اللطيف ʿAbd al-Latīf, Servo dell'Amabile  
 
Inutile nascondere che Alhazred è sempre parso abbastanza misterioso, tanto che ne è stata a lungo negata l'origine araba. 
 
La spiegazione dominante nel Web è che sia un gioco di parole inventato dal Solitario di Providence, inviso ai buonisti politically correct servi del Pensiero Unico, che negano ogni sua conoscenza della lingua araba. Così si sente affermare dovunque che Alhazred altro non è che l'inglese "all has read", ossia "ha letto tutto". Certo, l'ordine delle parole non è quello della maestrina gnè gnè gnè, che vorrebbe imporre "he has read all": anche se il sistema scolastico italiano lo ignora, nella lingua poetica c'è sempre stata maggor libertà sintattica, come Shakespeare stesso dimostra in innumerevoli occasioni. Ci sono anche alcuni sostenitori della derivazione di Alhazred dalla parola inglese hazard "azzardo" (di origine araba), tramite una capricciosa alterazione fonetica.  
 
Ci sono problemi fonologici. La pronuncia anglosassone di Alhazred è infatti /a:l'hæzred/ e non mostra alcuna traccia di derivazione dall'aggettivo all /ɔ:l/, che ha una vocale posteriore in tutti i suoi composti. L'articolo arabo al- non è adattato in /ɔ:l-/ in antroponimi di questo genere. Può essere invece reso con /æl-/, come in Aladdin /æ'la(:)dṇ/. La derivazione criptica da "all has read" mi sembra improponibile. 
 
Un problema morfologico riguarda il doppio uso dell'articolo determinativo, presente sia in Abdul che in Alhazred. In arabo una simile formazione non sarebbe possibile. Questo argomento, a cui è stato dato un peso eccessivo, è stato usato per corroborare la tesi della derivazione di Alhazred da "all has read" o da "hazard", unitamente a quella dell'assoluta ignoranza della lingua araba da parte dell'Autore. Lancio una provocazione E se il nome Abdul Alhazred fosse nato da una dittologia?      
 
Un'interessantissima proposta 
 
Il navigatore Deranged Cultist ha pubblicato su Reddit questo contributo, che reputo assai notevole: 

 
An etymology of "Abdul Alhazred" 
 
It seems strange to me that it has never been proposed that the name "Abdul Alhazred" is a corruption of "Abd-al-Hazra[h|t]" عبدالحضرة.

"Haẓrat" is the Persian and Ottoman Turkish form of the Arabic word Haḍra[t] حضرة meaning "presence", also used as an honorific title before the names of prophets, saints, as well as other high ranking people. It is also a mnemonic for the name of Allah. "Haḍra" is also the name of the Sufi Dhikr.

Abu al-Abbas al-Mursi, the Alexandrian Andalusian Sufi from the 13th century CE, is quoted to have said "All universes are slaves subdued for you, and you are the slave of the presence (lit. Abdu alHaḍra)" in Arabic: "الأكوان كلها عبيد مُسَخَّرة لك، وأنت عبد الحضرة".

The final taa marbuta in "Haḍra[t]" is variably turned into "t" or omitted in spoken Arabic in various varieties.

This is a simpler and well founded etymology than the convoluted ones commonly proposed, mostly revolving around حظر "fenced/prohibited".  
 
Per assicurare al testo la massima diffusione, ne pubblico anche la traduzione in italiano: 
 
Mi sembra strano che non sia mai stato proposto che il nome "Abdul Alhazred" sia una corruzione di "Abd-al-Hazra[h|t]" عبدالحضرة.

"Haẓrat" è la forma persiana e turca ottomana della parola araba Haḍra[t] حضرة che significa "presenza", anche usata come titolo onorifico prima dei nomi di profeti, santi, come anche di altre persone di alto rango. È anche un aiuto per ricordare il nome di Allah. "Haḍra" è anche il nome del Sufi Dhikr.

Si riporta che Abu al-Abbas al-Mursi, il Sufi alessandrino andaluso del XIII secolo d.C., abbia detto: "Tutti gli universi sono schiavi soggiogati per te, e tu sei lo schiavo della presenza (lett. Abdu alHaḍra)", in Arabo: "الأكوان كلها عبيد مُسَخَّرة لك، وأنت عبد الحضرة".

La taa marbuta finale in "Haḍra[t]" è variamente mutata in
"t" oppure omessa in diverse varietà dell arabo parlato.

Questa è un'etimologia più semplice e ben fondata rispetto a quelle contorte comunemente proposte, che per lo più ruotano attorno a  حظر "recintato / proibito"(1).
  

(1) hazr, propriamente "bandito", "proibito".
 
Ecco scoperta la vera spiegazione del nome dell'Arabo Pazzo. Wikipedia riporta quanto segue: 
 
Hadrat, Hadhrat, or Hadrah (Arabic: حَضْرَة‎, romanized: ḥaḍra, pl. حَضْرَات ḥaḍrāt; Persian: pronounced Hazret or Hazrat) is a common Pakistani, Iranian, and honorific Arabic title used to honour a person. It literally denotes and translates to "presence, appearance."

Initially, the title was used for the prophets of the Islamic faith: the twenty-five great Hadhrats include Muhammad, Abraham, Noah, Moses, and Jesus.

It carries connotations of the charismatic and is comparable to traditional Western honorifics addressing high officials, such as "Your Honour" (for judges), "His/Her Majesty" (for royalty), or "His Holiness" (for clergies or highly religious clergies).

This word may sometimes also appear after the names of respected Muslim personalities, such as imams, e.g. Turkish Hazretleri ('his Hadrat') in Islamic culture. This is similar to the French honorifics Monsieur and Madame, and Japanese honorific Sama. The term was also loaned into Turkish and Bosnian as Hazreti
 
Traduzione: 
 
Hadrat, Hadhrat, o Hadrah (Arabo: حَضْرَة‎, traslitterazione: ḥaḍra, pl. حَضْرَات ḥaḍrāt; Persiano: pronunciato Hazret o Hazrat) è un comune titolo onorifico arabo, iraniano e pakistano usato per ossequiare una persona. Alla lettera si traduce con "presenza, apparenza."

Inizialmente il titolo era usato per i Profeti della religione islamica: i venticinque grandi Hadhrat includono Maometto, Abramo, Noè, Mosè e Gesù.

Porta connotazioni di carisma ed è confrontabile con le tradizionali onorificenze occidentali che si rivolgono ad alti funzionari, come "Vostro Onore" (per i giudici), "Sua Maestà" (per i sovrani), o "Sua Santità" (per le più alte autorità religiose).

Questa parola può talvolta apparire dopo il nome di personalità musulmante rispettate, come gli imam, es. turco
Hazretleri ('suo Hadrat') nella cultura islamica. Questo è simile agli onorifici francesi Monsieur e Madame, e all'onorifico giapponese Sama. Il termine è stato anche preso a prestito in turco e in bosniaco come Hazreti.   
 
Come c'era da aspettarsi, Deranged Cultist è stato attaccato e contestato, sulla base del solito fragilissimo argomento ripetuto ad nauseam nel Web: il Solitario di Providence non avrebbe conosciuto quasi nulla dell'Islam e della lingua araba, ovviamente a causa del proprio razzismo. Sarebbe anche ora di finirla con queste baggianate.   
 
Quello che a molti internauti dà un enorme fastidio è un fatto molto semplice: H. P. Lovecraft, che tra l'altro a cinque anni si dichiarava "fedele maomettano", si inventò il nome Abdul Alhazred e lo usò come proprio pseudonimo, quando i suoi coetanei ancora avevano bisogno del pannolino!

domenica 18 ottobre 2020

HOWARD PHILLIPS LOVECRAFT ARABISTA: ETIMOLOGIA DI AL AZIF

H. P. Lovecraft affermò che il titolo originale del Necronomicon è Al Azif. Una variante Kitab al-Azif (in arabo kitāb significa "libro") è comparsa soltanto negli anni '70 del XX secolo. La spiegazione del nome Al Azif, considerato di origine araba, è la seguente: "quel suono notturno (fatto dagli insetti) che si suppone sia l'ululato dei demoni" (originale in inglese: "that nocturnal sound (made by insects) supposed to be the howling of demons"). Così nel Web è data per assodata la glossa Al Azif "suono delle voci dei demoni". Al contempo sono in molti a ritenere che non si tratti realmente di un lemma arabo. Accade spesso che alcuni curiosi facciano qualche tentativo di ricerca per poi affermare che la lingua araba non è affatto in grado di tradurre questo termine tecnico della demonologia lovecraftiana. Come portare chiarezza dove regna tanta confusione? Al Azif è arabo o non lo è? Se non lo è, qual è dunque la sua origine? Com'è arrivato il Solitario di Providence a concepirlo? 
 
Questa è la Vulgata di Wikipedia, che circola ampiamente nel Web: 

“In 1927, Lovecraft wrote a brief pseudo-history of the Necronomicon that was published in 1938, after his death, as "History of the Necronomicon". According to this account, the book was originally called Al Azif, an Arabic word that Lovecraft defined as "that nocturnal sound (made by insects) supposed to be the howling of demons", drawing on a footnote by Samuel Henley in Henley's translation of "Vathek". Henley, commenting upon a passage which he translated as "those nocturnal insects which presage evil", alluded to the diabolic legend of Beelzebub, "Lord of the Flies" and to Psalm 91:5, which in some 16th Century English Bibles (such as Myles Coverdale's 1535 translation) describes "bugges by night" where later translations render "terror by night". One Arabic/English dictionary translates `Azīf (عزيف) as "whistling (of the wind); weird sound or noise". Gabriel Oussani defined it as "the eerie sound of the jinn in the wilderness". The tradition of `azif al jinn (عزيف الجن) is linked to the phenomenon of "singing sand".” 

Traduzione per i non anglofoni:

“Nel 1927, Lovecraft scrisse una breve pseudostoria del Necronomicon che fu pubblicata nel 1938, dopo la sua morte, come "Storia del Necronomicon". Secondo questo resoconto, il libro in origine era chiamato Al Azif, una parola araba che Lovecraft definì come "quel suono notturno (fatto dagli insetti) che si suppone sia l'ululato dei demoni", traendolo da una nota a piè di pagina di Samuel Henley nella sua traduzione di "Vathek". Henley, commentanndo un passaggio che tradusse come "quegli insetti notturni che annunciano il male", alludeva alla diabolica leggenda di Belzebù, "Signore delle Mosche" e al Salmo 91:5, che in alcune bibbie inglesi del XVI secolo (come la traduzione di Myles Coverdale del 1535) descrivono gli "spettri di notte" dove le traduzioni successive traducono "terrore di notte". Un dizionario arabo-inglese traduce `Azīf (عزيف) come "sibilo (del vento); suono bizzarro o rumore". Gabriel Oussani lo definisce come "il suono inquietante del the jinn nel deserto". La tradizione del `azif al jinn (عزيف الجن) è legata al fenomeno della "sabbia che canta".”

Nonostante l'arabo non sia una lingua perduta e sconosciuta, molti sono convinti che nel suo lessico non esista affatto la parola Azif. Mi è capitato più volte di imbattermi in questa opinione nel corso della mie ricerche sui testi fittizi del Necronomicon. Invece indagando con un po' di pazienza si scopre che il fatidico vocabolo esiste eccome, che è una parola con le carte in regola: ʽazīf (عزيف) è un derivato del verbo ʻazafa "ululare" ed è riportato nel dizionario di Hans Wehr e Milton Cowan, A Dictionary of Modern Written Arabic (1979). Tale opera, ci tengo a precisarlo, non è un'invenzione di Venustiano Carranza o di qualche altro decerebrato fabbricatore di stronzate. Riporto il link allo screenshot che ho catturato su Google Books: 
 
 
Questo è il testo esteso la nota di Samuel Henley: 

"It is observable that, in the fifth verse of the Ninety-first Psalm, "the terror by night," is rendered, in the old English version, "the bugge by night." In the first settled parts of North America, every nocturnal fly of a noxious quality is still generically named a bug; whence the term bugbear signifies one that carries terror wherever he goes. Beelzebub, or the Lord of Flies, was an Eastern appellative given to the Devil; and the nocturnal sound called by the Arabians azif was believed to be the howling of demons. Analogous to this is a passage in Comus as it stood in the original copy:--
    But for that damn'd magician, let him be girt
    With all the grisly legions that troop
    Under the sooty flag of Acheron,
    Harpies and Hydras, or all the monstrous buggs
    'Twixt Africa and Inde, I'll find him out."

Traduzione: 

"Si può osservare che, nel quinto versetto del Salmo novantunesimo, "the terror of night" ("il terrore della notte"), è reso, nella vecchia versione inglese, con "the bugge of night". Nelle parti colonizzate per prime in Nordametrica, ogni mosca notturna di specie nociva è ancora chiamata genericamente "bug", ossia "insetto", da cui il termine "bugbear" che significa "colui che porta terrore ovunque vada". Belzebù, o Signore delle mosche, era un appellativo orientale dato al Diavolo, e il suono notturno chiamato "azif" degli Arabi era creduto essere l'ululato dei demoni. Analogo a questo è un passaggio di Comus così com'era nella copia originale:--
    Ma per quel dannato mago, lascia che sia cinto
    Con tutte le orribili legioni che si schierano
    Sotto la fuligginosa bandiera di Acheronte,
    Arpie e Idre, o tutti i mostruosi insetti
    Tra Africa e India, lo scoprirò."

Non sono finora riuscito a reperire la locuzione ʽazīf al jinn (عزيف الجن), citata da Oussani, ma sono convinto che la troverò a breve. Ovviamente se si cercano nel Web queste chiavi di ricerca, si trovano sorprendenti risultati connessi con il Necronomicon. Questi sono alcuni esempi tratti da Reverso (le traslitterazioni sono state ottenute cliccando l'iconcina del microfono sotto le scritte in alfabeto arabo): 

و أنت أيضاً تعرف أننى كرست حياتى لدراسة"العزيف"
"wa anta ayḍan tuʿrifu annaniā karastu ḥayātiā lidurāsati" ālʿazīfi
Then you also know I've dedicated my life to studying the Necronomicon 
 
وقف عن ملاحقاتى أنا لن أعطيك "العزيف" أبداً 
tawaqqafa an mulāḥiqātiā anā lan uʿṭiyaka "ālʿazīfa" abadan
Stop following me. I'll never give you the Necronomicon.

لقد اعتقد بأنه امتلك. كتاب يُدعى العزيف
laqad āʿtaqada biʾannahu āmtalaka. kitābu yudʿā ālʿazīfa
it was thought that he had gained possession... of a book called the necronomicon. 
 
Però, con mia grande sorpresa, troviamo anche qualcosa di molto interessante:  
 
على عزيف الرياح غرقت في الظلام
alā ʿazīfi alrriyāḥi ḡariqat fī alẓẓalāmi 
As the wind howled, I sank into darkness. 

In questo esempio, una radice ʽzf traduce il concetto di ululare, e nella traduzione inglese è usato proprio il verbo con cui Lovecraft descrive i versi dei demoni. Non mi è chiaro perché la traslitterazione di Reverso abbia in modo sistematico ālʿazīfa (acc.), con l'articolo dotato di vocale lunga. Forse è il frutto di qualche contrazione? Forse è un banale errore, anche se recidivante. Sarei felice se qualche esperto arabista si facesse vivo e mi desse una spiegazione.   
 
 
Questa poi, con Necronomicon tradotto come "Libro dei Morti", è spettacolare: 
 
أَنَا (رُوبِي) وَأَنَا الْمُظْلَمَةُ وَأَنَا مَنْ كَتَبَ كِتَابُ الْمُوْتَى
anā (rūbī) waʾanā almuẓlamatu waʾanā man kataba kitābu almuwtā
I'm Ruby, I'm The Dark One. I wrote The Necronomicon.
(Ecco come mai Ruby ha portato tanti guai a Berlusconi!!!) 
 
L'uso non è infrequente: 

قَالَ أَنَّ كِتَابَ الْمَوْتَى كَانَ مَكْتُوبًا بِوَاسِطَةِ "الْمُظْلِمِينَ"
qāla anna kitāba almawtā kāna maktūban biwāsiṭati "al-muẓlimīna"
The Necronomicon was written by The Dark Ones. 

آخَرُ بَعْثَةٌ إسْتِكْشَافِيَّةٌ لِي وَجَدَتْ كِتَابُ الْمُوتَى
ākharu baʿṯatun istikshāfiyyatun lī wajadat kitābu almūtā
On my last expedition, I found the Necronomicon.
 
In altri esempi ancora, il Necronomicon è citato soltanto come "Il Libro". Ho poi appreso che Lovecraft ha moltissimi fans in Arabia Saudita! 
 
عِنْدَمَا أَخَذْتُ الْكِتَابَ مِنْ الْمَقْبَرَةِ هَلْ قُلْت الْكَلِمَةُ ؟
indamā akhathtu ālkitāba min almaqbarati hal qult alkalimatu ?
When you removed the Necronomicon from the cradle... did you speak the words? 
 
الْكِتَابُ - حَقِيقَةً هُوَ الشَّخْصُ الْمَوْعُودُ -
ālkitābu - ḥaqīqatan huwa alshakhṣu almawʿūdu -
The Necronomicon! - Truly he is The Promised One! 

 
Sul pestilenziale social Quora un certo Therion Tiberius Ware domanda quanto segue: 

Why doesn't Al Azif translate as Arabic? Is it possible H.P. Lovecraft meant Altajdif (The Blasphemy) or Alnazif (The Bleeding)?  
 
No. Non è proprio possibile. In una lingua semitica come l'arabo le consonanti hanno un'importanza capitale, non le su può cambiare come se nulla fosse! Direi che non è un caso se il greco Therion traduce il latino Bestia.  

Alla luce dei fatti sopra esposti, direi che non ha sostanza quanto sostenuto da Dan Clore, che sostiene quanto segue: 
 
"In any case, however, the word is not a real term from Arabic. The source of Henley's note is unknown. There is, however, an Arabic word aziz, which translates as "buzzing, rumbling (as of thunder)" and other buzzing or rumbling sounds in general."
 
Ossia: 
 
"In ogni caso, tuttavia, la parola non è un reale termine preso dall'arabo. La fonte della nota di Henley non è nota. C'è comunque una parola araba aziz, che si traduce come "ronzio, brontolio (come di tuono)" e di altri suoni ronzanti o rombanti in generale." 
 
No, non può nemmeno essere che azif e aziz possano scambiarsi. Anche perché "azif" è in realtà 'azīf, mentre "aziz" è in realtà ḥāzīz. Anche le consonanti iniziali delle due parole sono completamente diverse, per quanto deboli possano essere nel parlato odierno.  
 
 
Conclusioni 
 
Saremmo portati a ritenere ragionevole che Lovecraft abbia avuto una conoscenza seppur elementare della lingua araba, ma di certo non sufficiente a scavare nei suoi misteri. Lo dimostra il fatto che ha preso Al Azif da un romanzo del viaggiatore e scrittore inglese William Beckford (1760 - 1844). L'opera, denominata Vathek, An Arabian Tale o The History of Caliph Vathek, fu scritta in francese nel 1785 e pubblicata per la prima volta a Losanna due anni più tardi, nel 1787. Cosa sorprendente è che Vathek è un romanzo erotico, concepito su ispirazione dell'opera del Divino Marchese, Donatien-Alphonse-François de Sade. La cosa deve stupire il lettore, visto che Lovecraft è comunemente ritenuto sessuofobo: non ci si aspetterebbe che leggesse simili testi pruriginosi. In ogni caso non si è inventato nulla. Detto questo, trovo assurde le affermazioni farneticanti di una fanatica utente di Reddit, che definiva "razzista" il Solitario di Providence, deducendo da questa sua assunzione che non poteva aver usato l'arabo come fonte di ispirazione. Razziste saranno semmai le femministe radicali e convulsionarie! Possa Cthulhu sorgere, masticarle e trasformarle tutte in sterco!  

Un riferimento bizzarro 

Nell'opera di Ibn Wāḍiḥ al-Yaʽqūbī (IX secolo) troviamo proprio la parola al-ʽazīf! A quanto pare, non comprendendo il suo senso, gli studiosi si sono sentiti in difficoltà. Martin Theodoor Houtsma ha proposto addirittura di emendarla in al-ʽarīf "il perfetto, il maestro". E se fosse invece una genuina menzione del Necronomicon?

venerdì 16 ottobre 2020

HOWARD PHILLIPS LOVECRAFT GRECISTA: ETIMOLOGIA DI NECRONOMICON

Il Necronomicon è universalmente noto come uno dei più famosi pseudobiblia, libri che sono considerati reali anche se non sono stati mai scritti. Si crede che questo testo di magia nera e di evocazioni di Demoni sia stato inventato di sana pianta da Howard Phillips Lovecraft per conferire maggior verosimiglianza alle proprie opere. Va detto che l'idea che si tratti di un'opera reale e non di uno pseudobiblion non è mai davvero morta.
 
Questa è la citazione corrente, diffusa dalla Vulgata wikipediana:  

«Lovecraft wrote that the title, as translated from the Greek language, meant "an image of the law of the dead", compounded respectively from νεκρός nekros "dead", νόμος nomos "law", and εἰκών eikon "image".» 
 
Non ho mai avuto dubbi sul fatto che la lettera in questione sia davvero esistita, anche se non è stato facile reperirne il testo. Sono riuscito a venirne a capo in un sito della Chiesa di Satana di Anton Szandor LaVey, in cui è riportato il riferimento: 
 
"The name Necronomicon (nekros, corpse; nomos, law; eikon, image = An Image [or Picture] of the Law of the Dead) occurred to me in the course of a  dream, although the etymology is perfectly sound."
(Selected Letters, Volume V, pag. 418)
 
 
Una pagina di Oocities (resto del defunto Geocities di Yahoo) mi ha permesso di risalire a un testo più esteso: 

"The name Necronomicon (νεκρος [nekros], corpse; νομος [nomos], law; εικων [eikôn], image = An Image [or Picture] of the Law of the Dead) occurred to me in the course of a dream, although the etymology is perfectly sound. In assigning an Arabic author to a Greek-named book I was whimsically reversing the condition whereby the monumental astronomical work of the Greek Ptolemy (Μεγαλη Συνταξις Της 'Αστρονομιας  [Megalê Syntaxis Tês `Astronomias]) is commonly known by the Arabic name Almagest (or more truly, Tabrir al Magesthi), which was evolved from a corruption of the original title when the Arabs made their translation (μεγιστη [megistê] is the superlative of μεγαλη [megalê], & the Arabs probably found it in common use to distinguish the work from another of Ptolemy's)" 

 
Le parole tra parentesi quadre sono essere aggiunte, tranne [or Picture], che compare già nell'originale testo lovecraftiano. Si noti che mancano del tutto gli accenti e i diacritici tipici dell'ortografia greca. 
 
Traduzione: 
 
"Il nome Necronomicon (νεκρος [nekros], cadavere; νομος [nomos], legge; εικων [eikôn], immagine = un'Immagine [o Figura] della Legge dei Morti) mi capitò durante un sogno, anche se l'etimologia è perfettamente valida. Nell'assegnare un autore arabo a un libro dal titolo greco stavo capricciosamente invertendo la condizione per cui il monumentale lavoro astronomico del greco Tolomeo (Μεγαλη Συνταξις Της 'Αστρονομιας  [Megalê Syntaxis Tês `Astronomias]) è comunemente conosciuto col nome arabo di Almagesto (o più correttamente, Tabrir al Magesthi), che si è evoluto dalla corruzione del titolo originale quando gli Arabi fecero la loro traduzione (μεγιστη [megistê] è il superlativo di μεγαλη [megalê], e gli Arabi probabilmente l'acquisirono nell'uso comune per distinguere l'opera da un altra di Tolemeo)"

La lettera in questione fu scritta nel 1937, anno della morte dell'Autore. La raccolta Selected letters V fu pubblicata da Arkham House molti anni dopo, nel 1976. 

In realtà l'etimologia non è "perfettamente valida", come sostenuto dal Solitario di Providence. Il nome del Libro è formato in modo perfetto, ad essere erronea è l'analisi che ne ha fatto colui che l'ha sognato e portato nel nostro mondo. 
 
Vediamo che le cose sono in realtà molto semplici. Non c'è alcun bisogno di evocare il sostantivo "immagine" εἰκών (da cui deriva "icona"), come fatto da Lovecraft nella sua razionalizzazione. L'aggettivo νομικός (nomikós) significa "relativo alla legge", formato da νόμος (nómos) "legge, uso, costume" mediante il comunissimo suffisso -ικός, di chiara origine indoeuropea. Così vediamo che il titolo greco deve essere stato Βιβλίον Νεκρονομικόν (Biblíon Nekronomikón) "Libro relativo alla Legge dei Morti", con l'aggettivo al genere neutro per concordare col sostantivo. In seguito l'aggettivo stesso sarebbe stato sufficiente a designare il volume esoterico. Ciò dimostra che a volte il mondo onirico ha in sé un'immensa Conoscenza, ma fa molta fatica a farla passare attraverso il filtro dello stato di veglia. Lovecraft fu un grecista inesperto e non poté comprendere una formazione elementare tipica della lingua degli Elleni: messo in difficoltà, si inventò una formazione grottesca, scambiando un mero suffisso per un sostantivo indipendente. 
 
Ambiguità e insidie 
 
In greco esiste una parola che è quasi omofona di νόμος (nómos) "legge, uso, costume", ma con un diverso accento: è νομός (nomós) "regione, provincia, divisione politica; pascolo". Così accade che tuttora vi sia chi interpreta Necronomicon come "Libro delle Regioni dei Morti", quasi fosse una mappa dell'Oltretomba, oppure come "Libro dei Pascoli dei Morti". Queste traduzioni sono in contrasto con quanto dichiarato da Lovecraft nella sua lettera. La fragilità estrema di una simile etimologia sta nel fatto che da νομóς non deriva affatto un aggettivo νομικóς col significato di "relativo alla regione" o "relativo al pascolo". In ultima analisi, la radice di origine di entrambe le parole è il verbo νέμειν (nemein), che significa "dispensare, distribuire; gestire, detenere, possedere; godere, mietere il raccolto; pascolare". Anche Nemesi deriva da qui il suo nome, che è di origine indoeuropea.   
 
Abbiamo visto che da νόμος deriva l'aggettivo νομικός "relativo alla legge". Tale aggettivo può anche comparire in forma sostantivata col significato di "avvocato". Stando a questa insidiosa interpretazione, il Necronomicon sarebbe addirittura il "Libro degli Avvocati dei Morti"! Questa formazione è tuttavia grammaticalmente ardua, a meno che non si ammetta un genitivo plurale νομικών (nomikṓn) "degli avvocati". Inutile dire che così facendo si devia in modo considerevole dagli intenti e dall'immaginazione dell'Autore. 
 
Alcuni rozzi americani hanno estratto l'elemento -nomy da parole come astronomy "astronomia", economy "economia" e via discorrendo, interpretandolo come "scienza, conoscenza". Così hanno dedotto che Necronomicon dovesse significare "Libro della Conoscenza dei Morti". Naturalmente queste parole in -nomy sono di chiara origine greca e sono formate proprio a partire dalla radice di νόμος "legge", quindi "regola, ordine". Va in ogni caso menzionata l'opera di Manilio (I secolo d.C.), gli Astronomica, poema didascalico in latino sui corpo celesti, che è anche noto come Astronomicon. Scritto in esametri dattilici e suddiviso in cinque libri, l'Astronomicon è di datazione incerta, potendo risalire all'epoca di Augusto o a quella di Tiberio. Si potrebbe credere che Necronomicon sia una formazione fatta proprio a partire da Astronomicon.   

Un comune fraintendimento 

Moltissimi credono che Necronomicon significi "Libro dei Nomi dei Morti". Se la derivazione fosse dal greco ὄνομα, ὄνυμα (ónoma, ónyma) "nome", il fatidico libro non si chiamerebbe Necronomicon, bensì *Necronomaticon o *Necronomasticon. Così non è. Infatti da ὄνομα, genitivo ὀνόματος (onómatos), derivano gli aggettivi ὀνοματικός (onomatikós) e ὀνομαστικός (onomastikós). Se la lingua greca non fosse un tabù o un libro chiuso, si eviterebbe la diffusione di molte falsità e informazioni distorte.

L'errore di Frate Guglielmo da Baskerville 

Non credo che possano esistere persone tanto rozze e incolte da pensare che Necronomicon possa derivare dal latino nōmen "nome" (genitivo nōminis). Eppure anche grandi intelletti, in mancanza di mezzi filologici opportuni, possono essere tratti in inganno. Questo ha scritto Umberto Eco nel suo romanzo Il nome della rosa (1980): 
 
"Dio condusse all'uomo tutti gli animali per vedere come li avrebbe chiamati, e in qualunque modo l'uomo avesse chiamato ciascun essere vivente, quello doveva essere il suo nome. E benché certamente il primo uomo fosse stato così accorto da chiamare, nella sua lingua edenica, ogni cosa e animale secondo la sua natura, ciò non toglie che egli non esercitasse una sorta di diritto sovrano nell'immaginare il nome che a suo giudizio meglio corrispondesse a quella natura. Perché infatti è ormai noto che diversi sono i nomi che gli uomini impongono per designare i concetti, e uguali per tutti sono solo i concetti, segni delle cose. Così che certamente viene la parola "nomen" da "nomos", ovvero legge, dato che appunto i "nomina" vengono dati dagli uomini "ad placitum", e cioè per libera e collettiva convenzione." 
(Guglielmo: Quinto giorno, Terza) 

Il fratacchione inglese è caduto nella trappola delle assonanze. Non è riuscito a comprendere che il latino nomen "nome" è parente del greco ónoma "nome", non del greco nómos "legge". Non credo che Eco fosse ignaro di tutto ciò: avrà voluto illustrare il grottesco di quel metodo pseudoetimologico che in epoca medievale era imperante.