domenica 16 marzo 2014

I DIALETTI LONGOBARDI

A proposito degli antroponimi longobardi attestati in Toscana, nel forum Archeologia si legge:

"All'epoca in Toscana l'etrusco (verosimilmente) non era più parlato, ma neppure il longobardo, che sparì prestissimo e nel 700 non era più parlato (Albano Leoni 1983, Pfister 1997) (se mai diffusamente lo fosse stato) lasciando gli antroponimi, distorti dalla lingua locale o composti con il latino."

Nel tentativo di collegare le peculiarità fonetiche di questi antroponimi agli attuali vernacoli toscani, si riportano inoltre alcuni passi tratti dai lavori dell'ottima studiosa Nicoletta Francovich Onesti:

"Nei nomi propri della Toscana l'assordimento delle sonore germ. */b, d, g/ è di gran lunga prevalente, e molto più frequente che in altre zone d'Italia." 

"tendenza locale neolatina a conservare le sorde latine /p, t, k/ in Toscana MEGLIO CHE NEL NORD ITALIA, dove hanno più spesso esiti dialettali sonori, indicati già dalle grafie latine di quest'epoca (Löfsted 140-44; Politzer 1953, 13; Rohlfs 1966, I § 212). In questo senso possiamo addirittura trovare nei documenti toscani anomale grafie con <c> per <g> anche per un suono derivante da /g/ latino: Corgite per Gurgite ricorre in due documenti lucchesi del 757 (CDL n° 126, 133), iocale per iugale in CDL n° 67 (738 Lucca)." 

"...LA STESSA PERSONA (tale Sichimund, che era arciprete della chiesa lucchese, fratello del vescovo di Lucca Talesperianus e di Radipert 'gasindius regis') È CHIAMATA SIGEMUND in una carta scritta A PAVIA E SICHIMUND NEI DOCUMENTI TOSCANI..." 

"È poi ben noto che nell'area toscana si ha uno sviluppo strettamente regionale delle fricative sorde lgb. [x‚ ç] (derivanti a loro volta dal germ. */k/ per seconda mutazione consonantica) le quali producono negli antroponimi della Toscana un tipico esito [š] <-sci-> (Arcamone 1984, 385, 402). " 

Naturalmente la Onesti non nega la natura eminentemente germanica dei tratti fonetici del patrimonio antropinimico dei Longobardi: l'idea della distorsione vernacolare toscana è da attribuirsi all'autore dell'intervento sul forum. Una simile idea non potrebbe mai essere partorita dalla mente di una persona con qualche conoscenza di filologia germanica. Inoltre, sempre secondo tale autore, i passi da lui riportati "confuterebbero" quanto da me asserito. Mi asterrò dal parafrasare Er Monnezza e cercherò di procedere con ordine.

Non mancano coloro che sono ansiosi di far scomparire la lingua longobarda al primo contatto tra le genti di Alboino e la popolazione locale italiana, e che pur di sostenere la loro tesi sono pronti a far violenza ai dati documentati. Le cose non sono andate come queste persone sostengono: la loro è soltanto una semplificazione da manuale scolastico, nata dalla rappresentazione della Storia come un insieme di date e di eventi puntiformi inanalizzabili. La causa è da ricercarsi nella propaganda della scuola, che per decenni ha cercato di sminuire i Germani per ragioni puramente ideologiche. Non soltanto tale lingua fu parlata a lungo dalla minoranza longobarda, estinguendosi soltanto nel IX secolo e forse in certi luoghi addirittura agli inizi dell'XI, ma diede un sostanziale contributo al formarsi della lingua italiana. I prestiti longobardi nel volgare furono tanto pervasivi che raggiunsero anche regioni come la Sicilia, che non conobbero mai un'occupazione longobarda. Ovviamente le citazioni sull'estinzione precoce della lingua (Albano Leoni, 1983; Pfister, 1997) sono prese tal quali con copia e incolla da un articolo della Onesti, senza indagine ulteriore e presentati come se fossero un'autorità biblica. Si possono allora prendere con la stessa metodologia altre citazioni, come ad esempio lo storico belga François-Louis Ganshof (1895-1980), che reputa la lingua longobarda estinta tra l'VIII e il IX secolo. Ovviamente nessuno può sapere esattamente cosa è accaduto: tracciare l'estinzione di una lingua non è quasi mai un compito facile. Tuttavia, presenterò nel seguito il motivo della mia propensione a ritenere l'estinzione della lingua longobarda come qualcosa di abbastanza tardivo. 

Dal patrimonio di antroponimi, si possono evidenziare diverse aree dialettali principali: 

longobardo settentrionale
longobardo toscano
longobardo meridionale 

È vero che nel longobardo toscano esiste maggior evidenza di fenomeni di aspirazione, ma questi non mancano in ogni caso nelle altre varietà. Si noti che la Onesti non dice affatto che al di fuori della Toscana gli antroponimi longobardi ignoravano l'assordimento delle sonore e l'aspirazione. Dice solo che tale assordimento in Toscana "è di gran lunga prevalente, e molto più frequente che in altre zone d'Italia". Tuttavia gli esempi non toscani sono numerosi, come si può arguire anche da Meyer (Sprache und Sprachdenkmäler der Langobarden, 1877). Gli antroponimi in -PERT e in -PRAND non sono esclusivi della Toscana e si trovano anche oltre i confini della Penisola presso altre genti germaniche come Bavari e Franchi. Sempre leggendo Meyer, si vede inoltre come le attestazioni toscane di antroponimi longobardi nei documenti raccolti nel suo volume siano di per sé più numerose di quelle di qualsiasi altro luogo, con ogni probabilità anche perché ivi si concentrava una popolazione longobarda più cospicua.
Sempre la Onesti riporta questo brano dell'Origo gentis Langobardorum:

"Et habuit Wacho de Austrigusa filias duas, nomen unae Wisigarda, quam tradidit in matrimonium Theudiperti regis Francorum; et nomen secundae Walderada (...) tradidit eam Garipald in uxorem. Filia regis Herulorum tertiam uxorem habuit nomen Silinga; de ipsa habuit filium nomine Waltari. Mortuus est Wacho, et regnavit filius ipsius Waltari annos septem, farigaidus; isti omnes Lethinges fuerunt." 

Vi si trovano due casi di assordimento, di cui uno in un antroponimo franco e l'altro in un antroponimo bavarese, cosa che ben difficilmente si potrà pensare connessa a un fantomatico vernacolo toscano.

L'albero genealogico dei Lethingi fino a Teodolinda e a Perctarit spiega ancor meglio tutto questo: 


Wacho, Ariperto, Gundeperga, Godeperto e Perctarit non hanno nulla a che vedere con Benigni. 

Per quanto riguarda le aspirate, i nomi in -CHIS sono comuni dovunque, anche in Friuli (la stessa Onesti cita il nobile friulano MUNICHIS, etc.), per non parlare del WACHO sopra menzionato. In non poche occorrenze, -CH- nel longobardo compare in posizione postconsonantica, come nei dialetti alemannici, il che esclude qualsiasi relazione causale con la gorgia toscana, come non mi stancherò mai di ripetere.

Ancora, la Onesti riporta per il Meridione forme con consonanti sorde da antiche sonore e con aspirate, come ad esempio Dagileopa, Antechis, Lupelchisi. Inoltre Vvinelaupo (Lucera), Vvinipirga (Puglia), Liutperti (S. Vincenzo al Volturno), Liutprandi (id.). A Brindisi è attestata la voce allipergo "albergo". Tra i toponimi si notino Atripalda (prov. Avellino), Caggione (Salento, < long. *kahagi "bosco recintato", donde anche toscano cafaggio). 

L'autore di Forumarcheologia ha una certa tendenza a confondere fenomeni che vanno tenuti distinti e mostra una forte predisposizione per la fallacia logica chiamata "osservazione selettiva".

Riportiamo i seguenti dati sulle variazioni dialettali di alcuni antroponimi:

longobardo settentrionale SIGEMUND
longobardo toscano SICHIMUND
(il fatto che il nome dellla stessa persona sia registrato in due dialetti diversi a seconda del luogo non stupisce, siccome ognuno tende a parlare come mangia e a scrivere di conseguenza) 

longobardo settentrionale DAGHIBERT
longobardo toscano TACHIPERT

Essendo questi nomi composti da radici vigenti nella lingua parlata, si capisce anche come i Longobardi pronunciassero le parole ogni giorno. Riporto anche i corrispondenti nell'antico alto tedesco (AAT) e nel gotico. 

"vittoria" (AAT sigu, sigo, sigi, siki, Got. sigi(s)-):
longobardo settentrionale SIGE-, SIGI-
longobardo toscano SICHE-, SICHI- 

"giorno" (AAT tag, Got. dags):
longobardo settentrionale DAGHI-
longobardo toscano TACHI- 

"splendente" (AAT beraht, peraht, Got. bairhts, -ai- è una /e/ aperta):
longobardo settentrionale -PERT, - BERT
longobardo toscano -PERT 

"spada, tizzone" (AAT brant, Norr. brandr)
longobardo settentrionale -PRAND
longobardo toscano -PRAND

Ribadisco che questi non sono fenomeni legati all'attuale pronuncia dei vernacoli toscani, ma mutamenti nati all'interno della II Rotazione dell'Alto Tedesco e perfettamente comprensibili in tale ambito, e le forme documentate lo provano. 

Ovviamente quanto ho riportato non esaurisce la molteplicità dei dialetti longobardi. Ad esempio, il dialetto di Bergamo era più simile a quello toscano ed aveva -CH- da -G-: LAUNECHILD anziché LAUNEGILD. Il dialetto di Rieti aveva T- per D- come il dialetto toscano, ma aveva -C- per -G-: TACIPERT. Se in Toscana troviamo anche TAHIPERTO (dat.) e TAIPERT, a Pavia abbiamo DAIPERT. C'è abbastanza materiale per produrre un'opera di un certo respiro. Purtroppo si registra un sostanziale disinteresse da parte del mondo accademico. I lavori della Onesti sono interessantissimi, ma sono dispersi in articoli. La Scienza di questi tempi soffre di articolite acuta, quello che manca è la classificazione sistematica delle informazioni di cui si dispone.

La radice germanica *ri:ka- "re" (gotico reiks "principe, sovrano", reiki "regno, dominio", norreno ríki "regno", antico inglese rīce id., antico alto tedesco rīhhi id.), evolve in longobardo con un suono aspirato palatale che viene scritto diversamente a seconda dell'area:

1) si trova scritto -ris nei dialetti longobardi settentrionali:
2) si trova scritto -risci nel dialetto longobardo toscano:
3) si trova scritto -rissi nel dialetto longobardo di Benevento:

Come si vede, il mutamento è simile a quello che ha portato al tedesco Reich, con una "ch" palatale, che nulla ha a che vedere con la pronuncia dei vernacoli toscani neolatini. Si trovano dialetti tedeschi in cui questo "ch" si palatalizza completamente, e in cui ich suona isch. Quindi la citazione di questo mutamento come prova di toscanismo è maliziosa e fallace. Raccomando una volta di più un approfondito studio della II Rotazione, sperando che sia di giovamento e faccia capire la natura di questi fenomeni.

Nel dialetto di Benevento è notevole l'ortografia "sch" per "sc", che farebbe pensare a un suono simile a quello dell'olandese Scheveningen, usato come shibboleth nella II Guerra Mondiale.

Gli antroponimi longobardi non sono assimilati, a parte qualche volta una rozza latinizzazione tramite aggiunta di desinenze -us, gen. -i, dat. -o, etc. In moltissimi casi esibiscono le consonanti finali germaniche e un aspetto fonetico incompatibile con la lingua latina volgare o con qualsiasi varietà romanza. Il toscano odierno non tollera le consonanti finali e tende ad aggiungere -e. Lo vediamo bene in alcuni prestiti dalla lingua inglese:

bar > barre
roastbeef > rosbiffe

Questa caratteristica è particolarmente tipica dei dialetti del Centro e Sud Italia. Nella lingua italiana standard essa si trova ad esempio nei nomi biblici: Davide per David, Giobbe per Iob, Giacobbe per Iacob, e un tempo si usava anche Saulle per Saul. Un toscano di bassa cultura prova parimenti invincibile difficoltà ad articolare nessi consonantici complessi, come quelli che si riscontrano in una lingua germanica. Per averne un'idea, si dovrebbe fare un'indagine chiedendo a persone delle campagne di Lucca che si esprimono in vernacolo di articolare i nomi ANSPRAND, TEUTPALD, LAUTCHIS. Sarebbe un interessante esperimento, il cui esito atteso consterebbe di grottesche imitazioni come *ASSEPRANDE, *TETTEPALDE e *LATTEHISSE

La persistenza di antroponimi non assimilati oltre la scomparsa del regno dei Longobardi è di per sé un indizio del perdurare dell'uso della lingua longobarda almeno in famiglia.

Contro l'ingenua idea che vorrebbe le consonanti aspirate dei nomi longobardi originate dal vernacolo, occorre far presente che tutte le parole latine dei testi in cui questi nomi si trovano non riportano neppure un caso di trascrizione di un'ipotetica gorgia. Dato che il latino dell'epoca era di basso profilo e scadente, di certo si noterebbero numerose attestazioni di una pronuncia aspirata toscana se questa fosse realmente esistita. Un fantomatica tendenza a "distorcere" gli antroponimi longobardi si rifletterebbe a maggior ragione sul lessico latino. 
Chi asserisce che i nomi longobardi mostrino effetti di "distorsione" ignora bellamente ogni rudimento di filologia germanica e si contraddice poi da sé, essendo incapace di spiegare come mai questa "distorsione" sarebbe assente nelle parole latine.

Le forme corgite e iocale non c'entrano proprio nulla con l'assordimento di /b/ /d/ /g/ nelle lingue dell'area antico alto tedesco. Si tratta di meri ipercorrettismi ad opera di persone ignoranti. In nessun caso si nota nei vernacoli toscani qualsiasi tendenza a rendere sorde /b/ /d/ /g/ in /p/ /t/ /k/ e sfido chiunque a dimostrare il contrario riportando casi concreti. Il fatto che /p/ /t/ /k/ latine si siano conservate meglio in Toscana che da altre parti non implica affatto che /b/ /d/ /g/ abbiano avuto la tendenza a diventare /p/ /t/ /k/. Si tratta di due cose diverse. 

Giova infine far notare una volta di più che nella Toscana del VIII secolo non si parlava come Benigni: le lingue romanze avevano iniziato il loro lungo cammino di differenziazione dal latino volgare nelle varie regioni della Romània. L'idée fixe dei sostenitori della cosiddetta "Continuità" è destituita di fondamento e dal punto di vista scientifico non ha il benché minimo valore. 

Visto che tutto ciò che scrivo viene definito "elucubrazione", riassumerò in poche parole i fatti:

1) Il toscano non desonorizza mai le occlusive /b, d, g/ in /p, t, k/

2) Il toscano rende fricative le occlusive /p, t, k/ in posizione intervocalica, mai in posizione iniziale assoluta o postconsonantica;

3) Il toscano può spirantizzare le occlusive /p, t, k/ se sono forti o in posizione postconsonantica, ma questi suoni non corrispondono ai suoni affricati longobardi; 

4) Il toscano non muta mai in fricative sorde le occlusive sonore /b, d, g/

5) La fonotattica del longobardo non collima mai con quella del toscano;

6) Gli antroponimi longobardi non sono "distorti", ma obbediscono a fenomeni fonetici ben documentati nelle varietà dell'antico alto tedesco. 

Conclusione: antroponimi longobardi e vernacoli toscani c'entrano come i carciofi con le lavatrici. Questo è quanto. 

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