sabato 3 maggio 2014

DIALOGO SULLA FANTASCIENZA, SULLE SUE DERIVE E SULLA SUA PROSSIMA MORTE

Riporto questo notevole thread dagli antri umidi di Facebook, perché lo trovo ricchissimo di spunti:

IVO T.:
"Androidi, Replicanti e Intelligenze Artificiali: la grande bufala che ha fatto deragliare la fantascienza. Essendo decisamente improbabili, se non impossibili, alla fs non è rimasta che la "metafora sociale" e il genere è morto una ventina di anni fa: oggi ci rimane uno zombie sbavante. Fate qualcosa!"

ROBERTO B.:
"beh non so...
hai provato a leggere Peter F. Hamilton, Alastair Reynolds, Robert J. Sawyer, Ken McLeod...?
Per me tanto morta non è..."

SELENE V.
"Richard Morgan..."

IVO T.:
"Non dico che sia morta del tutto. Dico solo che non riesco più a sopportare tante "sottili metafore" legate ai Golem e agli Homunculus. Perché questo sono le riflessioni su replicanti e I.A.: speculazioni su "realtà" scientifiche che non sono affatto tali, ma leggende degne della fantasy. E francamente m'hanno stufato. Sono più scientificamente corrette le "divinità lovecraftiane" degli androidi di Dick o dei robot di Asimov. E sfido qualsiasi fantascienziato a dimostrarmi il contrario."

SELENE V.
"Dipende da che epoca li guardi. Come dice Matt Ruff in Acqua Luce e Gas, quello è il futuro di quell'epoca, allora erano scientificamente credibili. E poi, che cosa conta? Quel che conta è che hanno parlato di schiavitù, di uguaglianza, di nuove forme di vita, di problemi che sono al tempo stesso attuali o che potrebbero sorgere un giorno.
Poco importa se queste forme di vita sono artificiali. Sono comunque alieni, "diversi", vittime di pregiudizi, come qualunque immigrato o omossessuale del giorno d'oggi, metafore sociali, per l'appunto, e che male c'è? Del resto Che differenza c'è fra Laputa e Urras?
E del resto, nessuno può sapere se un giorno, con nuove scoperte e nuove tecnologie, non saranno realizzabili."

IVO T.:
"Appunto, smantellata la credibilità scientifica, rimane la metafora.
Sul fatto che un giorno le IA saranno possibili possiamo dibattere per millenni, e per millenni non vederne una. Perché allora non dibattere direttamente di Puffi, Maghi Oscuri e Spade di Greyskull?
Smettiamo di chiamarla fantascienza e troviamole un altro nome. Non so: fantasy umanista."

MICHELE T.:
"C'è del vero ma il problema non è solo in quel sottogenere che indichi che fine ha fatto intanto l'hard SF spaziale? Io ne sento molto la mancanza forse perchè ho cominciato a disinteressarmi di SF con l'avvento del cyberpunk..."

SELENE V.:
"Guarda, di dibattiti sul nome da dare a queste "cose" ce ne sono a iosa. Direi di smetterla, invece, di cercare nomi tipo "techno-thriller" o "avant-pop". Fantascienza ci sta benissimo.
L'antropologia è una scienza. La meteorologia è una scienza. Anche la filosofia è una scienza, se torniamo all'origine del termine, cioè "conoscenza". E comunque, come diceva Clarke, ogni tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia. E la differenza che io trovo nella fantascienza rispetto al fantasy è la sperimentazione: metti dei topi (i personaggi) in un labirinto (un universo, che però funziona secondo le regole fisiche che conosciamo, e non secondo regole "magiche") e vediamo che cosa succede. Questa E' scienza.
E, se proprio vogliamo essere pignoli, ti ricordo che solo qualche decennio fa c'erano illustri scienziati che sostenevano l'impossibilità di costruire personal computer. Da che cosa sto scrivendo, allora, da un folletto? (no, quello sarebbe un aspirapolvere...)
Ci son più cose in cielo e in terra, caro Orazio.."

IVO T.:
"@Michele: anche io. Considero il cyberpunk il ground-zero della fs.
Privo di contenuti, piatto nella forma, risibile nel suo monocolore ideologico.
La fs astronautica è destinata ovviamente a rivivere. La scopera dei pianeti extrasolari e le nuove frontiere della fisica devono solo essere metabolizzate al meglio dagli scrittori, poi cominceremo di nuovo a divertirci e il cyberpunk apparirà solo come una "fase" di morte apparente di un genere."

"@Selene. Vero, non dico che le IA siano impossibili, bensì altamente improbabili. Presuppongono un numero inenarrabile di basi tecnologiche oggi piuttosto leggendari (superconduttori a temperatura ambiente, nanotecnologie, computer quantici, etc.). Farne uno dei fulcri del genere oggi mi pare solo un ottimo modo per scivolare nella fantasy (come detto).
Sul fatto che la filosofia sia una scienza non mi trovi d'accordo. Non vive di fatti, ma di opinioni. Ok invece sull'antropologia: e qui volevo arrivare... esistono decine e decine di fantaSCIENZE possibili: fantamedicina, fantabotanica, fantafisica delle particelle elementari: c'è una fantascienza per ogni scienza. Però bisogna smetterla con certi luoghi comuni: Robby the robot ha fatto il suo tempo. Era carino, ok (io però gli preferivo Anne Francis), però adesso - please - evolviamo."

MICHELE T.:
"Sono propenso anch'io a non dare troppi nomi a sottogeneri appartenenti tutti ad un insieme che comunque è FANTASCIENZA. Sai poi che palle, quando devi compilare libri enciclopedici anche solo di cinema di SF, trovare giustificazioni per inserire o meno pellicole passibili di appartenenza ad altri generi... Poco tempo fa proprio qui su fb ho scoperto che oggi esistono una miriade di altri generi nominati per SF e Fantasy che neppure mi sognavo, quindi mi sono ritrovato scalzato dalla mia posizione di "esperto" a quella di "ignorante" in un nanosecondo... comunque, ripeto, non vedo solo nell'esasperazione della categoria cibernetica-robotica il blocco dell'innovazione fantascientifica e mi piace la tua definizione per cui c'è fantascienza per ogni scienza. Probabilmente, in contesti meno ripetitivi o modaioli, anche Robby the robot avrebbe ancora qualcosa da dire..."

IVO T.:
"Hai ragione, ma se oggi ci troviamo a dover dare altri nomi alla fs (lo faccio anche io, attraverso il mio blog Wunderkammer, dove porto avanti la definizione "abissale" per distinguere certe metafore antropocentriche locali da altri, e ben più "profondi" discorsi sugli abissi di infinito che ci circondano)... dicevo, se oggi dobbiamo dare altri nomi alla fs è probabilmente anche perché la fs stessa ha tradito la spettacolare "biodiversità" scientifica e si è attaccata come una patella allo scoglio della gadgetteria tecnologica e dei cyberspazi virtuali... Il che è un peccato, cmq."

SELENE V.:
"come dicevo, la parte scientifica della fantascienza io non la vedo tanto nel TIPO di scienza di cui si parla, quanto nell'aspetto sperimentale del genere.
Quanto alla vacuità del cyberpunk, mi sa che qui ne avete letto solo la spazzatura. Ha fatto più Pat Cadigan per il femminismo di dieci Le Guin..."

IVO T.:
"Okay, ma si torna all'umanesimo, Selene. Sembra che parliamo di cose diverse. Alla fs io chiedo più il Sense of Wonder degli abissi che stanno "oltre" me piuttosto che una riflessione sulla condizione umana. A quella pensa già la letteratura mainstream. Del cyberpunk ho letto Gibson e Sterling, soprattutto, e li ho sempre trovati vuoti e banali. Gibson poi - con romanzi come Aidoru e Luce Virtuale - è riuscito nella fenomenale impresa di scrivere centinaia e centinaia di pagine senza dire un accidente di niente."

SELENE V.:
"Allora cerchiamo cose diverse. Ok il sense of wonder, ma il sense of wonder senza nient'altro te lo può dare anche il fantasy, che bisogno c'è della fantascienza? Per me la fantascienza è prima di tutto politica. Bradbury diceva "Non sto cercando di prevedere il futuro, sto facendo del mio meglio per prevenirlo". Poi, sfortunatamente, invece l'ha previsto. Ma per me è questa la fantascienza: studiare i germi del futuro nel presente, o proporre presenti alternativi, "altri mondi possibili". Marge Piercy, ad esempio. Ginnastica per la mente.
Sì, andare "oltre", ma oltre nel senso del vedere al di là della nostra piccola realtà individuale, e scoprire i meccanismi dell'universo. Un'operazione di smontaggio e rimontaggio, d'ingegneria umana, filosofica, politica, storica. Umanesimo, sì, perché no? Che male c'è, a cercare di capire quello che siamo, inclusi i nostri, di abissi."

IVO T.:
"La fantasy non mi trasmette alcun Sense of Wonder perché è una camera di risonanza delle fantasie umana, e le fantasie umane sono veramente poca cosa davanti alle sconfinate possibilità del reale. Il reale mi interessa, le fantasie umane (parlino di elfi o di stratificazione sociale) meno. Citi Bradbury, un autore che grondava Sense of Wonder: il problema è che oggi si fa soprattutto politica, sociologia, "prevenzione del futuro" senza Sense of Wonder. Come ho detto altrove la fs è in crisi proprio perché insegue questo modello didattico, platealmente antropocentrico e del tutto arido sul piano dei contenuti "weird". Sfruttare le potenzialità della fs solo per fare politica è riduttivo, perché si rinuncia a quella vitale esplorazione del reale che tante sorprese ci riserva - sorprese spesso più rivoluzionarie di qualsiasi ideologia; senza contare che la politica nella fs presenta numerosi rischi: in primis quello di scadere nella parabola, farsi pistolotto. Non amo nemmeno l'effetto "cavallo di Troia", giacché ci sono lettori - come me - che guardano con sommo sospetto qualsiasi insegnamento politico (specie se basato su delle previsioni, ovvero su delle considerazioni opinabili raramente suffragate dalla complessità dei fatti) e si sono trovati spesso a gettare dalla finestra romanzoni di pseudofantascienza urlandovi dietro "se volevo leggere Marx o il Mein Kampf, compravo gli originali"."

SELENE V.:
"be', certo, se mi parli di fantascienza che vuole "insegnare", che vuole dare risposte, inevitabilmente si cade nel pistolotto. A me piace la fantascienza che solleva domande. In questo Bradbury era un maestro. Ma il sense of wonder, in Fahrenheit 451, onestamente, ce lo vedo poco. Immagino tu ti riferisca soprattutto alle Cronache marziane.
Forse hai ragione sulla riduttività dei contenuti politici, ma in questa fase la politica è quel che mi interessa personalmente, ho sete di libri che dicano cose intelligenti sulla catastrofe che stiamo vivendo, che aprano strade verso il futuro, o avvertano che potremmo andare a sbattere contro un muro oltre il quale c'è un futuro che non vedremo mai. Tutto questo, ripeto, senza pistolotti alla Orwell (che pure adoro, ma andava evidentemente bene allora, oggi quel modo di scrivere non funziona più). Penso che ci sia molto spazio per tutto questo, e non è detto che "far politica" debba escludere il sense of wonder, al contrario."

IVO T.:
"Infatti! Ci sono libri - Cronache Marziane è un ottimo esempio, oltre che uno dei dieci romanzi con cui vorrei essere sepolto - che sollevano dilemmi ANCHE politici (in quanto etici, per me l'etica è imprescindibile dalla politica). Porre domande è effettivamente una delle caratteristiche che amo, nella fantascienza. E' l'offrire risposte mi lascia sempre perplesso. Le risposte dovremmo trovarle altrove, perché una risposta valida in un romanzo - per quanto ben scritto - rimane sempre e comunque l'epilogo di una storia inventata, la conclusione di un gioco di specchi che può essere facilmente "dopato" da un uso sapiente di climax ed emozioni. Troppi scrittori hanno usato la fantascienza per scopi "altri", specie nel nostro paese, un po' con la speranza di sdoganarsi presso le varie Accademie di Serie A, un po' per mascherare il proprio analfabetismo scientifico. Potrei farti nomi e cognomi, ma preferisco vivere... ;)"

MICHELE T.:
"Il tuo problema, Ivo, è che sei evidentemente (come me) un lovecraftiano, probabilmente, se mi consenti un paragone magari banalotto, più portato per Spazio 1999 (prima serie, che terminava sempre con una domanda senza risposta) che per Star Trek (che terminava sempre con una risposta), più per la SF inglese che quella americana, più per 2001 e Solaris che per Matrix o Terminator. Il che ti renderebbe uguale a me... e decisamente fuori posto con il resto dell'attuale universo (umano)."

IVO T.:
"Direi che mi hai fotografato bene... ;)"

MICHELE T.:
"Ci vediamo sulla Stazione Solaris, il monolito nero portalo tu..."

IVO T.:
"Okay. ;)"

SELENE V.:
"e a me che vanno bene tutte le cose che avete detto (Spazio 1999 e Star Trek, SF GB e USA, 2001, Solaris, Matrix... e... be', no, Terminator onestamente non ce la faccio proprio :D), come mi inquadrate? ;-)"

IVO T.:
"Tu non sei inquadrabile. Ti va bene come inquadramento? ;)"

MARCO M. (ANTARES666):
A parer mio, Philip K. Dick se ne fregava della fattibilità o della verosimiglianza degli androidi e degli altri gingilli tecnologici. Il nucleo delle sue opere non è questo. Eppure ci sono ancora moltissime persone che leggono Dick senza capire che è un autore gnostico. Per lui la fantascienza era soltanto un artificio per dare una veste esteriore accattivante al messaggio che voleva comunicare. Le sue domande ontologiche sono sempre due: "Cos'è reale?", "Cos'è umano?".
Per quanto riguarda Gibson e Sterling, concordo nel definire vacue molte loro opere. Forse sarei ritenuto un folle perché affermo che il Gibson migliore è quello di racconti come "La razza giusta" o "Hinterland". Le opere tecnocratiche che l'hanno reso famoso mi hanno invece saturato, così sono passato da un iniziale entusiasmo a un'acuta insofferenza. In particolare la trilogia "Luce Virtuale", "Aidoru" e "American Acropolis" è inconsistente e contiene diverse contraddizioni strutturali (sull'ultimo volume ho anche scritto una recensione impietosa). "L'accademia dei sogni" secondo me non è neanche opera sua, ma della moglie, perché è scritta in modo troppo "femmineo" per risultare credibile come prodotto gibsoniano. Il problema è l'ingenuità della fede nell'Intelligenza Artificiale per come la intende il feticismo tecnocratico: nasce dal presupposto americano di scorgere intelligenza in ogni cosa che articoli suoni e risposte, non importa se automatiche e programmate. Per molti anglosassoni, il pappagallo e il magnetofono sono intelligenti, perché capaci di pronunciare verbo. La realtà è ben più dura. Di Intelligenze Artificali non ne sono state prodotte e sarebbe ora di ammetterlo senza mezzi termini: finora sono riusciti a produrre soltanto Idiozia Artificiale.

SANDRO D. F.:
"Totalmente d'accordo con Marco :))"

IVO T.:
"Il mio ragionamento iniziale però resta in piedi: c'è bisogno di una nuova generazione di scrittori di fs che sappiano rinnovare il genere attraverso il superamento dei feticci della fantascienza cyberpunk e postcyberpunk. Vorrei fantamedicina, fantageologia, fantastronomia, fantageometria, fantabotanica, fantapsichiatria. Vorrei un po' di Sense of Wonder: di meraviglia ANCHE davanti alle prospettive "disumane" dell'universo. Sembrerà anche un vaneggiamento fine a se stesso, una prospettiva di fuga, ma dal mio punto di vista non lo è: i soli abissi del tempo profondo di cui si parla in geologia e paleontologia sono una prospettiva da vertigini e febbre, uno shock mentale e filosofico, e una miniera di idee e spunti per chi scrive.
Qualcosa langue nella fs - me ne accorgo leggendo qua e là interventi, interviste, recensioni - ma le idee ci sono... a milioni... basta togliere quel dannato tappo tecnofeticista, tecnothriller, tecnopulp, cyberp-pop, avantpop, molto cool, molto pelle nera e occhiali scuri, molto bullet time, molto donnine manga mezzo nude, molto pubblicità di un televisore al plasma, molto occhialini 3D... e tornare ai libri di scienza. Lì c'è il paradiso, gente. Aria fresca, idee nuove e brividi in quantità."

SELENE V.:
"Be', detto così, ha tutto un altro appeal :) (bella, la fantageometria!)"

MARCO M. (ANTARES666):
"Certo, il ragionamento resta in piedi, in tutta la sua drammaticità. Purtroppo il tecnofeticismo è imperante e paghiamo le nostre scelte con la ghettizzazione all'interno di un ghetto. Il problema è che finché saranno gli autori a dover pagare per essere pubblicati anziché l'inverso, o a pubblicare "ad maiorem dei gloriam", non si arriverà da nessuna parte."

IVO T.:
"Sad but true.

...però che palle... chiudo sempre così questo tipo di conversazioni.

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