lunedì 2 giugno 2014

EDGAR A. POE E LA NATURA DELLA DEMOCRAZIA

Tutti conoscono Edgar A. Poe per racconti come Il gatto nero, La maschera della morte rossa, Il pozzo e il pendolo, Una discesa nel Maelström e via discorrendo. Eppure scrisse anche testi di diversa natura, meno noti al pubblico italiano ma non per questo meno significativi. Tra le opere di fantascienza pubblicate molto prima che si parlasse di questo genere, possiamo citare senza dubbio il suo racconto Mellonta Tauta (ossia "le cose a venire"), ambientato nel 2848. Molti preferiscono non parlare di fantascienza riferendosi a scritti di questo tipo, ma di protofantascienza. A parer mio, essendo il significato principale della parola "fantascienza" quello di "fantasia scientifica", la definizione calza a pennello e non è soggetta a vincoli cronologici rigidi - con buona pace di tutti coloro che ancora provano un grande disagio alla sola menzione della parola "fantascienza", come se si trattasse di una vergognosa forma di pornografia. Proponiamo a questo punto un brano particolarmente interessante estratto da Mellonta Tauta, in cui l'autore riflette in modo lucido quanto amaro sul concetto di Democrazia, arrivando ad intenderne in modo perfetto la vera natura e a profetizzarne la decomposizione. Quanto Poe scrisse nel XIX secolo è sotto i nostri occhi e ognuno potrà riconoscerlo. 

«5 aprile. Sono quasi divorata dall'ennui. Pundit è l'unica persona a bordo con cui si possano scambiare due parole; e, poverino! non sa che parlare di antichità. Ho passato tutto il giorno a cercar di convincermi che gli antichi Amriccani si autogovernavano! Si è mai sentita una simile assurdità? - che vivevano in una sorta di confederazione in cui ognuno pensava a sé, come i "lupi della prateria" di cui si legge nelle favole. Dice che presero le mosse dalla più strana idea che mai si possa immaginare, vale a dire che tutti gli uomini nascono liberi e uguali - una cosa che fa a pugni con le leggi della graduatoria, così visibilmente impressa in tutte le cose dell'universo sia morale che materiale. Ciascuno "votava", come si diceva - vale a dire, si impicciava degli affari pubblici - finché, alla fine, si scoprì che ciò che riguarda tutti non riguarda nessuno e che la "Repubblica" (tale era il nome di quella assurda cosa) non aveva nessun governo. Si racconta però che la prima circostanza che turbò profondamente l'autocompiacimento dei filosofi i quali avevano messo in piedi questa "Repubblica" fu la sorprendente scoperta che il suffragio universale dava adito a manovre fraudolente, grazie alle quali era possibile l'accaparramento del desiderato numero di voti, senza pericolo di essere scoperti o ostacolati, da parte di un qualsiasi partito abbastanza disonesto da non vergognarsi per quella frode. Un minimo di riflessione su quella scoperta fu sufficiente a portarne in luce le conseguenze - e cioè che la disonestà era destinata a prevalere - in breve, e che un governo repubblicano non poteva essere altro che un governo di disonesti. Tuttavia, mentre i filosofi erano occupati a vergognarsi della propria stupidità per non aver previsto questi inevitabili mali, e ad elaborare nuove teorie, la faccenda finì bruscamente ad opera di un tizio di nome Mob, il quale prese in mano le redini instaurando un dispotismo al cui confronto quello dei mitici Zeros ed Hellofagabaluses erano una rispettabile piacevolezza. Questo Mob (uno straniero, fra l'altro) pare fosse l'individuo più odioso che avesse mai calpestato la faccia della terra. Di statura gigantesca - insolente, avido, sporco; col fegato di un toro, il cuore di una iena, e il cervello di un pavone. Alla fine, morì stroncato dalle sue stesse energie. Comunque ebbe una sua utilità, come la hanno tutte le cose, per spregevoli che siano, e insegnò agli uomini una lezione che, ancora oggi, essi non corrono il rischio di dimenticare - quella di non andare mai contro le analogie naturali. In quanto al repubblicanesimo, non si trovò mai nulla di analogo sulla faccia della terra - se si eccettua il caso dei "cani della prateria" - eccezione che, se non altro, serve a dimostrare che la democrazia è la forma di governo ideale - per i cani.» 

Edgar Allan Poe, Mellonta Tauta  

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