sabato 26 luglio 2014

PROVE INTERNE DELLA PRONUNCIA RESTITUTA DEL LATINO: GLI ANTICHI COMPOSTI

Nella scuola italiana, istituzione perniciosissima nonché fucina di demenza, il latino è stato a lungo insegnato tramite un profluvio di regoline, regolette, regolucce e regolacce. A nessun insegnante è mai venuto in mente di trasmettere qualcosa di utile, ma soltanto schemi di battaglie navali. Non avendo da tempo il benché minimo contatto con la scuola, non so se l'antica lingua di Roma vi sia ancora davvero insegnata: probabilmente il suo studio è stato obliterato e sostituito da materie ritenute più al passo con i tempi, come ad esempio marketing, scienze delle comunicazioni sociali, valorizzazione politica della pornografia, gattologia e via discorrendo.

Tale era la fissazione degli insegnanti per la teoria grammaticale, che non analizzavano minimamente il vocabolario latino e non sapevano riconoscere l'origine delle parole. Ad esempio, molti trasecolerebbero se dicessi loro che in latino esistono moltissimi esempi di variazione vocalica. Una volta che si è compreso il meccanismo, diventano come per miracolo chiarissime molte etimologie che al profano appaiono invece oscure.

Mutamenti in parole composte con prefisso negativo in-, con preposizioni o con altri elementi: 

aequus "giusto" : iniquus "ingiusto"
alter "altro" : adulter "adultero; falsificatore"
aptus "adatto" : ineptus "inetto" (1)
arma "armi" : inermis "disarmato" 
ars "arte" : iners "incapace, senz'arte"
baculum "bastone" : imbecillis "infermo" (2)
barba "barba" : imberbis "senza barba"
captus "atto di prendere" : inceptus "impresa"
caput "testa" : occiput "nuca",
caput "testa" : sinciput "mezza testa"
locum "luogo" : ilico "sul posto" (= in loco)
pars "parte" : expers "non partecipe"
salsus "salato" : insulsus "insipido; stolto"
sapidus "saporito" : insipidus "senza sapore"
sapiens "sapiente" : insipiens "stolto" 
solum "suolo" : exul "esule" (3)
taberna "taverna" : contubernium "compagnia" 
tenax "tenace" : pertinax "costante, caparbio" 

(1) Ossia "inadatto, incapace"
(2)
In origine "che si regge sul bastone"
(3) Ossia "fuori dal suolo"

Questo fenomeno è ancor più evidente nei verbi:

aestimo "stimo" : existimo "considero, reputo"
cado "cado" : occido "precipito" 
caedo "taglio" : occido "uccido"
calco "calpesto" : inculco "calpesto, schiaccio"
capio "prendo" : accipio "accetto"
causor "intento causa" : accuso "accuso, incrimino"
claudo "chiudo" : includo "rinchiudo"
facio "faccio" : afficio "provvedo"
frango "rompo" : confringo "spezzo"
lego "raccolgo" : colligo "lego insieme"
mando "consegno" : commendo "do in custodia"
salto "danzo" : insulto "salto contro; oltraggio"
sedeo "siedo" : obsideo "dimoro"
taceo "taccio" : conticeo "taccio"
tango "tocco" : contingo "tasto, prendo contatto"
teneo "tengo" : contineo "contengo"

A cosa si deve questo fenomeno? Sempice. Nella lontana antichità, ai tempi della Fondazione dell'Urbe, il latino era diversissimo da quello a cui siamo abituati. L'accento cadeva sulla prima sillaba in modo sistematico, e le parole erano spesso più lunghe. Così all'epoca si diceva iouesat "giura", che poi è divenuto iurat subendo contrazione e rotacismo. Così *iouestos è la forma da cui ha avuto origine iustus "giusto". I composti sopra elencati avevano una forma diversa. Ad esempio *aptos : *ìnaptos; *salsos : *ìnsalsos e via discorrendo. A un certo punto la vocale atona mediana si è indebolita, passando da -a- a -e- e quindi a -i-, colorandosi invece in -u- se seguita da labiale -b- o dalla liquida -l-, che in fine sillaba aveva un suono velare come quello che si riscontra in russo. Nel passaggio successivo si è avuta una vera e propria rivoluzione: l'accento si è spostato, venendo a cadere sulla penultima sillaba lunga (cioè con vocale lunga, dittongo o consonante finale), e in molti casi l'antica vocale ridotta si è trovata ad essere tonica. Così *ìnsalsos > *ìnsulsos > insùlsus.

Cos'è accaduto quindi se la vocale alterata è passata da -a- ad -i-? È accaduto che se la consonante precedente era una velare sorda /k/, questa in epoca tarda ha finito col rendere tale consonante affricata. Così a capio corrisponde accipio. Questo prova al di là di ogni dubbio e una volta di più che la consonante "dura" era primitiva, e che la consonante "molle" non esisteva ab aeterno, ma è un suono derivato, un'innovazione tarda.

Passiamo ora ai composti formati da due sostantivi, oppure da un sostantivo e da un derivato verbale.

Diversi sono i casi che forniscono chiari esempi dell'alternanza:

auceps, gen. aucupis "uccellatore" :
< avis "uccello" + capio "prendo" 
aurifex, gen. aurificis : "orefice" :
< aurum "oro" + facio "faccio"
carnifex, gen. carnificis "carnefice" :
< caro, gen. carnis "carne" + facio "faccio"
princeps, gen. principis "principe" :
< primus "primo" + caput "testa"
tibicen, gen. tibicinis "suonatore di flauto" :
< tibia "flauto" + cano "canto"
vaticinium "profezia" :
< vatis "profeta" + cano "canto".

Ancora una volta si ripete quanto visto sopra nei casi in cui è coinvolta la consonante c. Prendiamo auceps, che nella pronuncia ecclesiastica usata nelle scuole ha un suono palatale nel nominativo. Anche il più ostinato dei professori di latino non aggiornati deve riconoscere che il genitivo aucupis ha un vocalismo diverso e un suono velare. La spiegazione diventa lampante ammettendo la natura originale del suono "duro" e la natura derivata, secondaria e tarda del suono "molle". Lampante come la teoria di Copernico e di Galileo in confronto alla teoria tolemaica con i suoi cicli, epicicli e deferenti che non riuscivano a spiegare assolutamente nulla. Chi sostiene l'inesistenza e l'antiscientificità della pronuncia restituta ne rimane stracciato: i suoi balbettamenti valgono meno del caviale di blatta.

3 commenti:

  1. Condivido in pieno la prima parte del post (per l'altra non ho alcuna competenza) e sottolineo che le società hanno tuttora (o più che mai) bisogno della cultura umanistica.
    L'ostacolo risiede nel rapporto distorto tra sviluppo economico ed istruzione, in generale:
    dominate dal mercato, esse sono attratte dall’idea del profitto, al punto da accantonare quei saperi umanistici percepiti come non utili al mercato stesso, appunto (ormai anche globalizzato e quindi ancor più difficile da indentificare o destrutturare); ponendosi esso quasi in un mondo di idee hegeliano. Al di sopra.
    Il mercato (che) si fa Natura.
    Ed in quanto tale non può esser neppure messo in discussione.
    Non c'è altro.
    Invece essi sono indispensabili non solo per la democrazia, ma soprattutto per una Cultura piena e vera, ormai devitalizzata nel reale (non fa pubblicità,  non lancia sms, non parla di auto, sesso, sport, programmi tv, non affigge cartelloni pubblicitari, non ha sponsor, etc etc), ristretta in ambiti sempre più angusti
    Ovunque.. l’idea di un’educazione immediatamente spendibile sul mercato, quantificabile, ha decisamente ispirato la riduzione del monte orario di latino nei licei scientifici e l’istituzione del liceo scientifico tecnologico “senza latino” o la riduzione delle ore di storia nel biennio degli istituti superiori ed altre ennesime mutilazioni...
    Se si pensa, poi, che anche l'oggetto libro sta divenendo qualcosa di diverso...
    (Ho reperito molte informazioni del commento in rete.. non frequentando neppure io, da secoli, la "scuola")
    Tuttavia il problema della disciplina non è soltanto la riduzione di un sapere o il suo possibile accantonamento, quanto la modalità stessa in cui tale disciplina viene insegnata.
    I troppo variegati percorsi scolastici, dispersi in mille rivoli in nome di una "specializzazione" fin troppo spinta verso anni di studio che dovrebbero essere di base, dimostrano come sia spesso la pessima qualità della didattica a danneggiare il suo possibile "peso sociale”. E sminuire insieme ad essa, l’effetto pedagogico sul futuro "cittadino".
    Un effetto pedagogico che rimane a lungo invisibile, perché, nell’imperare dell’immagine (virtuale e non), della velocità (e dalle dimensioni pure) di scambio delle nozioni, l’umanesimo (profondo, complesso, variegato) della poesia, della storia, dell’arte ed in generale, lavora come invisibile scienza (conoscenza) che non produce dati misurabili e quantificabili.
    Mi sembra, talvolta, che si stiano creando infinite torri di Babele, dove ognuno, in nome della propria individualità, parli una SUA lingua e che quindi nessun altro sia in grado di capire.
    L'aumento delle informazioni, infine, personalizza indirettamente ed inesorabilmente ogni dato, e quasi costringe il soggetto (in quanto fruitore solo di "certe" informazioni o saperi) ad isolarsi sempre di più, perché nelle infinità possibilità di combinazioni esso... sì...  si arricchisce nella migliore delle ipotesi, ma al contempo costruisce la sua (personale) gabbia.
    Si sta facendo (senza alcun piano, ma come logico - illogico!- sviluppo delle cose) in modo da dividere ogni uomo da ogni altro, col suo "proprio" universo o "individualità (falsa ed ideologica), perché si sa che il soggetto (o l'individuo) tout court, isolato, non può nulla contro un Moloch.
    Un sano umanesimo, semmai, indirettamente produce o favorisce strumenti di critica, di svelamento, di capacità elaborative per meglio capire e guardare il mondo contro le continue tentazioni ad ogni tipo di assuefazione o di ordine unico.

    Un saluto
     

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  2. Ormai stiamo arrivando alle estreme conseguenze dell'Involuzione della Specie: le menti si deteriorano e ogni capacità cognitiva si offusca. Giovani sempre più simili a gibboni stanno dimenticando la loro stessa lingua, riducendola a un balbettamento. Tempo fa ho sentito due adolescenti commentare incredule il nome di un negozio: MANISCALCHI. Una si chiedeva che razza di nome fosse. L'altra rispondeva di non saperlo, azzardandosi a supporre che forse era giapponese. "Italiano non è di certo", ha commentato la prima.

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