sabato 19 luglio 2014


VALENTINA NAPPI E I PARADOSSI DEL METALINGUAGGIO 

Tempo fa mi è capitato di imbattermi in un articolo polemico scritto dalla pornodiva Valentina Nappi, nota per il suo impegno sociale e politico. Il testo in questione, non più disponibile nel sito dell'attrice, recava scandalo ai lettori affermando che "la mafia è cultura". Cosa intendeva dire la Nappi? Questa è in sintesi la sua tesi: il fenomeno mafioso avrebbe origine nella tradizione del rispetto ai superiori tipica del Meridione d'Italia, e in particolare nella figura del Professore, l'uomo di condizione superiore che nessuno può permettersi di sfidare o di mettere in burletta. Questa eredità spinge a ritenere una gravissima offesa la mancanza di rispetto, che la Nappi chiama con vocabolo greco hybris, ossia "arroganza", dando origine quindi a quelle misure che gli psicologi evoluzionisti conoscono come "deterrenza credibile". In poche parole, l'offesa e il mancato rispetto dei ranghi gerarchici sono comportamenti puniti con la morte come al giorno segue la notte, proprio perché la hybris in tale società è più temuta di ogni altra cosa. La Nappi non si limita a questo: dà del fenomeno mafioso una sorprendente definizione: "sistema memetico". Fedele alla sua impostazione behaviorista, la pornodiva vede in ogni essere umano una tabula rasa priva di una natura innata, e tende ad attribuire ogni fenomeno a cause esterne all'individuo, come la società e la cultura - convinta che affermare una natura innata implichi per necessità il razzismo e la discriminazione.

Un blogger, Giuseppe Scano, si è inalberato cercando di contraddire le affermazioni della Nappi, e lo fatto riportando il suo post tal quale con il titolo "Cara Valentina Nappi la mafia non è cultura è merda". A prescindere dal fatto che le due cose non si escludono affatto a vicenda - ossia che la cultura in ogni sua accezione può anche essere merda - l'indignazione del blogger è nata da un problema semantico.

1) La Nappi intende la parola "cultura" come traduzione del tedesco Kultur, lingua in cui questa accezione è comparsa per la prima volta. La si trova negli intellettuali tedeschi del XVIII secolo, prendendo corpo fino a trovare compimento nelle parole dell'antropologo F. Boas: "La cultura può essere definita come la totalità delle reazioni e delle attività psichiche e fisiche che caratterizzano, collettivamente e individualmente, il comportamento degli individui componenti un gruppo sociale in relazione all'ambiente naturale, ad altri gruppi, ai membri del proprio gruppo, nonché di ogni individuo in relazione a se stesso. Include anche i prodotti di queste attività e il loro ruolo nella vita dei gruppi. La semplice enumerazione di questi vari aspetti della vita, però, non costituisce la cultura. Essa è molto di più, perché i suoi elementi non sono indipendenti, hanno una struttura". In questo senso si parla di "cultura della droga" per indicare il complesso mondo dei tossicomani e delle loro interrelazioni. Oppure in etnologia si parla di "cultura degli Jivaro" o "cultura degli Yanomami" parlando della caccia ai crani in vigore tra tali popoli e delle aumentate possibilità di accoppiamento per chi uccide più nemici in guerra.   
2) Lo Scano invece sembra intendere la parola "cultura" in senso più limitato: "Manifestazione elevata dello spirito e della società umana, quale le filosofia, la letteratura, la musica e le arti figurative".

Naturalmente, è ovvio che intendendo la parola nel secondo modo, l'affermazione della Nappi appare mostruosa: tale significato implica infatti un'accezione unicamente positiva della cultura. Nel sentire della Nappi, l'etichetta "cultura" non è un semplice vocabolo della lingua italiana, ma un complesso codice metalinguistico, una sorta di stenografia concettuale - e in quanto tale è moralmente neutra, implicando una vasta serie di possibilità. Lo Scano ha scambiato il metalinguaggio nappiano per linguaggio, e a causa di questo equivoco si è destata in lui una grande furia.  

Quello che sfugge a entrambi è tuttavia un fatto molto semplice: col nome "Mafia" si intende una vera e propria società segreta con propri riti di iniziazione, una propria dottrina esoterica, proprie origini mitologiche e una propria visione del mondo. Non si tratta quindi di un mero fenomeno politico, sociale o culturale, o di una mentalità italiana - come certuni sostengono - ma di una setta che ha avuto la sua origine in un ben preciso momento storico con ben precise finalità. Il Prefetto Cesare Mori aveva già capito tutto questo alla perfezione, mentre l'opinione pubblica ancora confondeva mafia e brigantaggio.

Questo dice ancora la Nappi: "Abbiamo capito, quindi, che nel loro significato più profondo e autentico, “mafioso” e “comunitario” sono perfetti sinonimi, sono termini perfettamente intercambiabili, non c'è fra loro alcuna differenza: l'uno vale esattamente l'altro, e viceversa."
Come ogni teorema, perché sia riconosciuto valido occorre fornirne una dimostrazione secondo i princìpi della logica, che deve essere ineccepibile. Quando una simile dimostrazione manca, è sufficiente riportare un controesempio per invalidare la tesi. Partiamo da alcuni dati di fatto. Sicuramente "mafioso" implica sempre "comunitario". Non vale però il contrario: non tutto ciò che è "comunitario" è "mafioso". In altre parole, non tutte le comunità hanno evoluto organizzazioni criminali con un proprio esoterismo e propri rituali, capaci di espandersi nei contesti più diversi. La Spagna ancora nel XIX secolo aveva tutte le potenzialità per generare una società segreta simile Cosa Nostra o alla 'Ndrangheta. Gli elementi c'erano tutti: latifondo, signorotti tirannici, una casta di intendenti, guardiani e aguzzini, una popolazione contadina sfruttata ed oppressa. Come mai dunque la Spagna non generò un fenomeno mafioso autoctono? Semplice: perché mancava l'elemento settario, esoterico, che nel Meridione d'Italia si è invece formato e irrobustito nel corso dei secoli.

La Nappi descrive molto bene una parte della realtà, ma nel farlo inverte il nesso causale, confondendo cioè gli effetti con la causa - quasi a dire che se un paziente ha la meningite, i meningococchi devono essere causati dalla malattia anziché il contrario. Delirante è poi la sua proposta per risolvere il problema. A sentir lei basterebbe formare una classe di missionarie del sesso libero in grado di distribuire pompini a tutti per far sparire organizzazioni criminali potentissime e determinate come se fossero neve al sole. 

Cara Valentina, caro Giuseppe, l'origine del Male non è culturale o sociale: è metafisica.   

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