sabato 6 dicembre 2014


TABÙ - GOHATTO 

Titolo originale: Gohatto 
Regia: Nagisa Oshima
Produzione: GB/Jap/Fra
Anno: 1999
Genere: Drammatico
Durata: 100'


Interpreti:
 Takeshi Kitano: Capitano Toshizo Hijikata
 Tadanobu Asano: Samurai Hyozo Tashiro
 Shinji Takeda: Tenente Souji Okita
 Ryuhei Matsuda: Samurai Sozaburo Kano
 Yoichi Sai: Comandante Isamu Kondo
 Koji Matoba: Samurai Heibei Sugano
 Tomoro Taguchi: Samurai Tojiro Yuzawa
 Jiro Sakagami: Tenente Genzaburo Inoue
  Masa Tommies: Ispettore Jo Yamazaki
 Masato Ibu: Agente Koshitaro Ito
 Zakoba Katsura: Wachigaya
 Kei Sato: Narratore

Doppiatori italiani: 
 Mattia Sbragia: Capitano Toshizo Hijikata
 Simone Crisari: Samurai Sozaburo Kano
 Oreste Baldini: Tenente Souji Okita
 Roberto Draghetti: Samurai Hyozo Tashiro
 Massimo Corvo: Comandante Isamu Kondo
 Pino Ammendola: Tenente Genzaburo Inoue
 Mario Bombardieri: Samurai Heibei Sugano
 Stefano De Sando: Ispettore Jo Yamazaki
 Alvise Battain: Agente Koshitaro Ito
 Massimo Lodolo: Samurai Tojiro Yuzawa
 Saverio Indrio: narratore

Sceneggiatura: Nagisa Oshima
Fotografia: Toyomichi Kurita
Scenografia: Yoshinobu Nishioka
Montaggio: Tomoyo Oshima
Costumi: Emi Wada
Musiche: Ryuichi Sakamoto

Il carissimo 7di9 scrisse una splendida recensione, già pubblicata a suo tempo sul blog Esilio a Mordor e da lungo tempo scomparsa dal Web. Per contrastare l'Oblio che assedia e sommerge ogni cosa, la ripropongo senz'altro in questa sede:    

La decadenza serpeggiante nell’ambiente dello shogunato viene accelerata dall’arrivo di Kano, giovane samurai dai tratti femminei, arruolatosi alla corte dello shogun locale per il solo gusto di uccidere. Il dubbio che tutte le concessioni fatte a Kano siano frutto di un’attrazione generale provata nei suoi confronti non è mai enunciato, ma solo sussurrato, spesso con ironia, soprattutto attraverso le didascalie che sottolineano i passaggi della storia. Per tutta la durata del film si assiste a una contrapposizione continua tra l’austerità e la quasi perfezione formale degli ambienti e delle consuetudini, delle regole samurai e delle gerarchie, e il veleno biologico che incrina la patina appariscente ma vuota della superficie visibile. Il personaggio di Kano è una figura malefica, porta in sé i germi dell’apocalisse, giunge tra i puri per corromperli, motivato solo dal desiderio di vederli perire ai suoi piedi, come navigatori alla corte di una sirena. Kano assomiglia al male assoluto, perché chiunque lo sfiora, con lo sguardo, con le dita, ne è attratto, rapito, condannato. Il tema dell’omosessualità non è certamente primario nell’economia della pellicola, costituendosi piuttosto come metafora di qualcos’altro: la Bellezza, questa forza ammaliante dinanzi alla quale nemmeno il più valoroso dei guerrieri riesce a resistere. Dinanzi alla caduta dei samurai, consumata al di fuori di un sistema bellico rigido quanto fragile, il regista racconta la lenta disgregazione del regime dello shogunato di fronte all’avanzata meccanica dell’Occidente e delle forze aliene che vengono dal mare. Kano è anche un fantasma, lo spettro di carne di quell’Occidente temuto ma ammaliante, che porta in sé il germe della distruzione. Il capitano Hijikata, interpretato da un perfetto Takeshi Kitano, si muove sulla scena con fluidità, sospeso tra il proprio ruolo diegetico e la funzione di narratore. Con abilità, il regista Nagisa Oshima, decostruisce la struttura dei dialoghi e delle situazioni, così come lo spettatore lo recepisce, ora affidando il compito disvelatore ai pensieri di Hijikata, ora concentrando la potenza del messaggio nella splendida scena finale: il taglio di un ciliegio in fiore, quale sfogo di un sistema morale che non riesce più – ma è stato mai realmente in grado di farlo? – ad affrontare e abbattere le tentazioni della carne e del degrado dei costumi. 
 
Considerazioni: 
Aggiungo all'intervento di 7di9 alcune note, soprattutto di carattere antropologico.

Un sostrato cristiano

A un certo punto si nota un piccolo santuario buddhista, una sorta di edicola con una svastica. Lo Shogunato Tokugawa ha cercato di promuovere il Buddhismo con ogni mezzo per contrastare il Cristianesimo, che continuava ad essere praticato in segreto nonostante le misure repressive draconiane. Fu proprio l'inquisitore anticristiano Inoue Masashige (1585 - 1661), un omonimo dell'Inoue del film di Oshima, a ordinare l'edificazione di moltissimi templi buddhisti a Nagasaki e nelle aree vicine.

La penisola di Shimabara, descritta come pullulante di bordelli all'epoca della narrazione, era stata teatro di una ribellione cristiana, soffocata nel sangue dagli eserciti dello Shogunato, non senza ingenti perdite. Per scongiurare il riaccendersi delle braci della dissidenza religiosa, da allora in quel luogo sono state deportate popolazioni da ogni parte del Giappone.

La presenza di idee cristiane emerge in tutto il film. Ad esempio quando a Hijikata, capitano della milizia Shinsengumi, viene chiesto di desistere dalla persecuzione del clan Igo e gli viene ricordato che un samurai deve soprattutto essere misericordioso. Il punto è che questo concetto di misericordia è cristiano e del tutto estraneo alla tradizione nipponica.

Le ferree regole della milizia Shinsengumi sono volte ad evitare la corruzione. Così è fatto divieto ad ogni suo membro di dare o di ricevere denaro in prestito. La corruzione nell'antico Giappone era qualcosa di inconcepibile e di terrorizzante, perché vanificava il culto dell'onore. Il primo caso che emerse, destando un immenso scandalo, risale agli inizi del XVII secolo e fu subito notato che i soggetti coinvolti erano cristiani. Questo fece sì che la nuova religione, che già aveva moltissimi proseliti, fosse vista dalle autorità come un pericolo esistenziale per la stessa Nazione.   

I dialetti

Un agente del clan Igo viene identificato dal modo in cui parla, dal suo dialetto, a dimostrazione del fatto che esisteva una certa varietà linguistica, anche se la comprensione non era comunque pregiudicata. Molto probabilmente la differenza consisteva soprattutto nella collocazione e nella qualità degli accenti, più che non nell'uso di parole particolari.

Uno strano gioco di parole

Il vecchio Inoue racconta una storiella buffa a Kano, sperando di ottenere da lui sesso orale. Così comincia a parlare di ricordi d'infanzia e di un suo omonimo vissuto a quei tempi, Inoue, soprannominato Patata-uè perché era un appassionato coltivatore dei succulenti tuberi. In giapponese è tutto chiaro: il gioco di parole è tra Inoue e Imoue, dove imo significa "patata". I traduttori in italiano non hanno potuto mantenere la forma Imoue, che sarebbe risultata incomprensibile, così hanno pensato bene di renderla in qualche modo con un ridicolo Patata-uè.

Un'epidemia di effeminatezza

Il giovane Kano, concupito più o meno segretamente da tutti, si concede a un ufficiale e viene mostrato l'atto sodomitico. L'amante focoso penetra il giovane da tergo, gemendo di godimento mentre gli scarica lo sperma nell'intestino. Senza dubbio per questo motivo il film di Oshima è stato considerato problematico. 7di9 non ritiene l'omosessualità il fulcro della narrazione. Eppure le labbra carnose di Kano sono inquadrate di continuo, con estrema malizia, suggerendo un loro uso sessuale.

Sull'ufficiale pederasta che sodomizza Kano vengono fatte alcune considerazioni bizzarre: si dice che è tale perché proviene da un distretto isolato. Semplice: la religione cristiana non vi era mai penetrata. In epoca precedente alla cristianizzazione, sembra che la pederastia fosse ben considerata. Ad esempio Tokugawa Ieyasu aveva un harem di ragazzi effeminati e travestiti da geisha.

Un brago di gran lunga più turpe

Il capitano Okita, un samurai giovane come Kano, ambiguo e alla fine artefice della sua rovina tramite tradimento, lo fa eliminare proprio per via dell'omosessualità passiva. Tuttavia lui sguazza in un brago di gran lunga più turpe: quello della pedofilia. Quando va al fiume, ci sono alcuni bambini piccoli che pescano per lui. Si ha l'impressione che il suo interesse non fosse tanto per il pesce, quanto per i bambini. Simili abusi dovevano esistere e forse erano comuni.  

Il samurai, la sodomia e il ciliegio reciso

Hijikata, appresa l'uccisione di Kano, estrae la katana e recide con un colpo secco un bel ciliegio fiorito, restando poi immobile a meditare nella notte sulla giovane vita appena stroncata. Il film si conclude con questa immagine carica di significati occulti, di fatto un geroglifico della Morte dell'Essere. L'albero reciso rappresenta il samurai effeminato, che Hijikata considerava contaminato dal Male. Quello a cui assistiamo non è un semplice passaggio della morale cristiana nel pensiero giapponese. Il concetto cristiano di peccato viene ad assimilarsi a quello giapponese di kegare "colpa ontologica". Il peccatore non è tale per libero arbitrio e il peccato non viene a dipendere dalla volontà di chi ne è colpito. In questo modo, quando tra le genti di Nagasaki l'omosessualità è diventata peccato, è stata intesa come kegare. Proprio come l'essere colpiti dal fulmine, dalla miasi o dalla lebbra, tutte condizioni di impurità. 
   
Una sequenza memorabile

L'esecuzione di un militare della Shinsengumi ad opera di Kano, che senza esitare gli taglia la testa con la katana, facendo scaturire getti di sangue dal collo reciso.

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