sabato 28 febbraio 2015


SEMANTICA INCAICA

Il termine Quechua raka "vulva" è glossato come "voz espantosa de oproprio, dicha a las mujeres". Come esclamazione tra donne, questa parola è tradotta in spagnolo con "¡desgraciada!", in italiano con "puttana!" e in inglese con "bitch!". Una "fica" non era per quelle genti andine una fascinosa maliarda, ma una laida meretrice: un uso positivo del nome dell'organo genitale femminile era impensabile. Il mestiere più antico del mondo e la vulva avevano un legame così stretto che lo stesso suono della parola raka destava disgusto, raccapriccio, sia negli uomini che nelle donne. Il profondo turbamento che arrecava agli animi era maggiore di quello che avrebbe potuto causare la menzione dello sterco. In alcune varietà di Quechua (es. Imbabura, Cajamarca) per indicare la vulva è usato un termine eufemistico, più anodino, ossia chucha, di incerta origine, che è attestato negli stessi dialetti anche col significato di "opossum" - per quanto possa trattarsi di semplice omofonia. Mi rendo conto in un attimo dell'abisso incolmabile che separa l'Impero degli Inca dai giorni di Belén Rodríguez. Il tradizionale puritanesimo incaico al giorno d'oggi sorprenderebbe non pochi per le sue estreme conseguenze. Solo per fare un esempio, le sacerdotesse del Dio Sole, Inti, erano votate alla castità assoluta. Se il voto veniva infranto, ecco che lo sterminio colpiva l'intera popolazione del villaggio nativo della sacerdotessa: persino gli animali venivano uccisi e veniva sparso il sale sulle rovine e sulle sue terre coltivate. Una ferocia che trova paralleli nelle pagine dell'Antico Testamento. 

Tale è la stoltezza del volgo ignorante che molti ritengono l'avversione ai genitali femminili come segno di tendenze omosessuali. A scanso di equivoci, le genti incaiche detestavano l'omosessualità, e la loro avversione per tali pratiche era feroce. Non erano ossessionate dalle teorie moderne sul cosiddetto "orientamento sessuale" e ignoravano l'ideologia "gender". L'Impero degli Incas era un autentico inferno per gli omosessuali, tanto che al confronto persino i più repressivi paesi moderni risulterebbero abbastanza tolleranti. È riportato il caso di un villaggio della nazione Huayllas in cui erano state scoperte tracce di attività omosessuali. Ciò aveva comportato la condanna a morte dei colpevoli tramite supplizi atrocissimi. Ancora a distanza di generazioni, il massimo insulto che si potesse fare a un uomo in tutto il Tawantinsuyu era "Astaya, Huayllas!", tradotto di solito con "Scansati, Huayllas!", sebbene astaya (variante astayau) sia piuttosto un'interiezione traducibile con "maledetto". A distanza di secoli, le genti di Cuzco sono rimaste inorridite nel vedere che la comunità omosessuale ha adottato la bandiera arcobaleno, che è il simbolo dell'Impero ed è chiamata Wiphala: qualcuno ha addirittura avanzato la proposta di abbandonarla, perché riteneva contaminante la semplice associazione con l'omosessualità. 


En este reino del Perú pública fama es entre todos los naturales de él, cómo en algunos pueblos de la comarca de Puerto Viejo se usaba el pecado nefando de la sodomía—y también en otras tierras había malos como en las demás del mundo. Y nótase de esto una gran virtud de estos Ingas, porque, (...) jamás se dice ni cuenta que ninguno de ellos usaba el pecado susodicho, antes aborrecían a los que lo usaban, teniéndolos en poco como a viles apocados, pues en semejante suciedad se gloriaban” (356). Idéntica percepción sobre la repugnancia del soberano inca a las costumbres “costeñas” (incluso cuando éstas aparezcan en la sierra) tiene Garcilaso de la Vega en sus Comentarios Reales (1609): “El Inca Cápac Yupanqui tuvo a buena dicha que aquella nación se le sujetase, porque, según se habían mostrado ásperos e indomables, temía destruirlos del todo habiéndolos de conquistar o dejarlos libres como los había hallado, por no los matar, que lo uno o lo otro fuera pérdida de la reputación de los Incas, y así, con buena maña y muchos halagos y regalos, asentó la paz con la provincia Chucurpu, donde dejó los gobernadores y ministros necesarios para la enseñanza de los indios y para la administración de la hacienda del Sol y del Inca; dejó asimismo gente de guarnición para asegurar lo que había conquistado. Luego pasó a mano derecha del camino real, y con la misma industria y maña (que vamos abreviando, por no repetir los mismos hechos), redujo otras dos provincias muy grandes y de mucha gente, la una llamada Ancara, y la otra Huayllas; dejó en ellas, como en las demás, los ministros del gobierno y de la hacienda y la guarnición necesaria. Y en la provincia de Huayllas castigó severísimamente algunos sométicos [sic, por “sodomíticos”] que en mucho secreto usaban el abominable vicio de la sodomía. Y porque hasta entonces no se había hallado ni sentido tal pecado en los indios de la sierra, aunque en los llanos sí, como ya lo dejamos dicho, escandalizó mucho el haberlos entre los Huayllas, del cual escándalo nació un refrán entre los indios de aquel tiempo, y vive hasta hoy en oprobio de aquella nación, que dice: Astaya Huayllas, que quiere decir ‘Apártate allá, Huayllas’, como que hieden por su antiguo pecado, aunque usado entre pocos y en mucho secreto, y bien castigado por el Inca Cápac Yupanqui” (286).

3 Edición digital a cargo de José Luis Gómez-Martínez.

http://www.ensayistas.org/
antologia/XVI/lascasas/

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