Avevano la macchina; ne avevano due, anzi, di quelle macchine. Una ti scivolava dentro lo stomaco come un cobra nero che si cali in un pozzo echeggiante alla ricerca di tutta l'antica acqua, di tutto il tempo vetusto che vi si sono accumulati. Assorbiva la sostanza verde che rifluiva alla superficie in un pacato ribollimento. Beveva anche la tenebra? Succhiava anche tutti i veleni accumulatisi con gli anni? Assorbiva in silenzio ogni tanto con un suono d'interna soffocazione e di cieco brancolamento. Aveva un Occhio. L'uomo che, indifferente, regolava la macchina, poteva, calzando uno speciale elmetto ottico, scrutare l'anima della persona ch'egli stava ripompando alla vita. Che cosa vedeva l'Occhio? L'uomo non lo disse. Vedeva, ma non aveva visto ciò che l'Occhio vedeva. L'intera operazione fu non dissimile dallo scavo di una trincea nel proprio giardino dietro casa. La donna sul letto non era che un duro strato di marmo che la zappa e la vanga hanno raggiunto. Avanti, a ogni modo, spingi l'ostacolo più in fondo, fa' rigurgitare alla superficie tutto quel gran vuoto, ammesso che una cosa simile possa venire rigettata fuori nel fremente pulsare del serpente che succhia. L'operatore stava ritto, fumando una sigaretta. Anche l'altra macchina era in funzione. L'altra macchina era manovrata da un individuo altrettanto indifferente, con indosso una tuta color marrone, antimacchia. Questa macchina pompava tutto il sangue dal corpo e lo sostituiva con sangue fresco e siero.
Ray Bradbury - Fahrenheit 451
Il poetico brano, tratto da un notissimo capolavoro dello scrittore di Waukegan, contiene qualcosa di molto strano che non salta subito all'occhio. Ho riportato la frase "La donna sul letto non era che un duro strato di marmo che la zappa e la vanga hanno raggiunto", anche se nella più diffusa edizione italiana del libro (Oscar Mondadori, trad. Giorgio Monicelli) invece sta scritto: "La donna sul tetto non era che un duro strato di marmo che la zappa e la vanga hanno raggiunto". Si capisce che parlare di una donna sul tetto in questo contesto non ha il benché minimo senso: dovrebbe essere chiaro che la signora in questione sta sul letto, in procinto di essere sondata e dializzata. Qual è l'origine di questo assurdo equivoco? Vediamo com'è la frase nell'originale in inglese. Eccola:
The woman on the bed was no more than a hard stratum of marble that they had reached.
Come volevasi dimostrare. Tutto è molto chiaro. Un tempo i traduttori scrivevano in corsivo, e quando i loro appunti passavano di mano, potevano ingenerarsi fraintendimenti. Così è accaduto che la parola "letto", naturale traduzione dell'inglese "bed", finisse con l'essere letta "tetto" per errore: dovrebbero essere ben noti i processi degenerativi che colpiscono le scritture corsive fin dall'epoca antica, causando la confusione della forma delle singole lettere. Di questo refuso nessuno si è accorto, a dimostrazione della grande attenzione che i correttori e gli editori riservano agli scritti da pubblicare. Presente in una importante traduzione italiana del libro, quella di Monicelli, a quanto pare il refuso non è mai stato corretto. Mi sembra evidente: quando qualcosa viene pubblicato, non è sottoposto a revisioni da un'edizione all'altra, si dà per scontato che tutto vada bene per principio. In quest'epoca è ancora più facile che i refusi si perpetuino come per magia, dato che è sufficiente usare un file già pronto, senza alcuna modifica, per dar vita a una nuova edizione di un libro. I fantascientisti poi non sembrano accorgersi di nulla nemmeno loro: non sono pochi infatti quelli che usano i libri come soprammobili. Quando un libro è ridotto a mero feticcio, quando si ritiene importante conoscere a menadito ogni dettaglio sulle sue varie edizioni (case editrici, traduttori, date, etc.), ma lo si è letto in modo erratico, succedono queste cose. Sia vergogna su questi lettori-feticisti, che si inchinano ad adorare i volumi come idoli dell'Antico Egitto!
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