domenica 18 ottobre 2015

SPIEGAZIONI DEL DITTONGO SPURIO AE PER E BREVE IN LATINO

I nostri avversari, riportando casi di scambio del dittongo -ae- con il monottongo -e- in numerose parole latine, pretendono di dimostrare che lo stesso dittongo sia sempre stato meramente grafico, anche nelle epoche più antiche. In particolare sembrano non badare alla quantità vocalica, visto che nelle loro liste di vocaboli ambigui includono anche alcune forme con vocale -e- breve.

Ne ho trovate due:

aequus per equus
caedrus per cedrus

Questi doppioni non sono affatto assimilabili a quelli del tipo ceterus per caeterus, in cui la -e- tonica era invece sicuramente lunga: devono quindi essere trattati e interpretati a parte. 

Dal punto di vista etimologico, è chiaro che la scrittura caedrus è priva di significato, essendo la parola cedrus dotata di una vocale -e- breve, come dimostra in modo incontrovertibile la sua provenienza dal greco κέδρος. In latino esisteva anche un'altra forma, citrus, dotata ovviamente di -i- breve, che proveniva dalla stessa parola greca κέδρος, ma tramite la mediazione della lingua etrusca:

greco κέδρος > etr. *citre /'kitrə/ > lat. citrus

La presenza di simili doppioni non è infrequente, data l'influenza che la lingua etrusca ebbe in epoca antica su quella di Roma. La variante caedrus è invece sicuramente tarda e volgare, essendo attestata nelle Glossae Placidi Grammatici. Di per sé non prova nulla: quando si produsse, ormai il dittongo etimologico /ae/ si era già da tempo monottongato: deve trattarsi di un caso di vocale breve divenuta lunga sulla bocca di parlanti incolti, in un'epoca in cui la lingua latina stava rapidamente scadendo.

Ugualmente tarda è la variante aequus per equus, stigmatizzata da Pompeo grammatico (V secolo d.C.): 

"Plerumque male pronuntiamus et facimus vitium, ut brevis syllaba longo tractu sonet aut iterum longa breviore sono: si qui velit dicere Ruoma aut si velit dicere aequus pro eo quod est equus, in pronuntiatione hoc fit." 

Stando alle parole del grammatico africano, in equus la vocale tonica era erroneamente prolungata da parlanti che mostravano scarsa dimestichezza col latino, producendo così una vocale aperta /ɛ:/, che veniva scritta naturalmente servendosi del dittongo ae, essendo diversa dalla e lunga ereditata, che aveva invece un suono chiuso. La forma aberrante Ruoma invece era nata da una pronuncia erronea con /ɔ/ breve e aperta anziché con /o:/ lunga e chiusa, tipica dell'Africa. Doveva così essersi sviluppato un dittongo ascendente: /'rwɔma/ anziché /'ro:ma/. Lo stesso Agostino di Ippona ci parla delle difficoltà delle genti africane a intendere la quantità vocalica. Allego alcuni interessanti link a documenti che trattano di questi affascinanti argomenti: 



Diversa è invece la precoce comparsa della grafia -ae per -e breve nella parola bene, scritto erroneamente benae: è naturale che la monottongazione dell'originario dittongo ae sia iniziata nelle sillabe atone e solo in seguito abbia colpito anche le sillabe toniche.

Anche a questo è possibile trovarne una spiegazione logica. Nella parola in questione il dittongo ae era spurio, ossia meramente grafico. Serviva ad esprimere una vocale -e- molto aperta e diversa dalla comune -e- breve simile a quella dell'italiano tetto. Doveva invece suonare come una a anteriore /æ/ (simile alla pronuncia americana dell'inglese bat).

Verso l'inizio dell'Impero certi parlanti incolti dovevano aver cominciato a pronunciare in certi contesti la vocale /ɛ/ breve più aperta del normale, fino a spingersi ad /æ/. Un po' come certi ragazzi d'oggi che sono arrivati a pronunciare "vabbane" anziché "va bene". È assai verosimile che questi soggetti usassero la grafia ae come ipercorrettismo, a causa della loro ignoranza e della loro bassa condizione sociale. Questo comporta anche la mancata distinzione tra vocali brevi e lunghe da parte di questi parlanti difettosi.

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