sabato 23 gennaio 2016

IL MITO MEMETICO DELLE CENTINAIA DI PAROLE ESCHIMESI PER INDICARE LA NEVE

Chi non ha sentito parlare del gran numero di parole usate dagli Inuit, noti anche come Eschimesi, per indicare la neve? La cosa non sorprende nessuno: del resto è del tutto naturale pensare che un popolo costretto a vivere nelle desolazioni artiche abbia un lessico specializzato per descrivere l'elemento più comune del proprio ambiente. Tuttavia si tratta di un grande inganno. L'antropologa americana Laura Martin nel 1986 ha fatto una ricerca per cercare di tracciare l'origine e la diffusione del mito. Ha scoperto che ha le sue radici in un lavoro etnologico degli inizi del XX secolo.

Le parole citate da Franz Boas nel 1911 sono le seguenti:

aput = neve al suolo
qana = neve che cade
piqsirpoq = neve che scivola
qumusuq = frana di neve

Esse sono genuine, anche se in realtà le radici originali del lessico di base sono soltanto le prime due. Per il proto-Eskimo gli studiosi hanno ricostruito tre radici: *qaniɣ- "neve che cade", *aniɣu- "neve caduta" e *apun- "neve al suolo". Parole derivate da queste radici si trovano in tutte le lingue degli Inuit: soltanto in quella della Groenlandia mancano discendenti di *aniɣu-.

Cinque parole sono riportate da Benjamin Lee Whorf (1940), senza però citare la fonte. Perniciosa è la mancanza di distinzione tra parole, radici, composti, termini indipendenti. Infatti le lingue degli Inuit sono polisintetiche, ossia concentrano i concetti di un'intera frase in una singola e lunga parola. Questo non è concepibile per gli anglosassoni, che tendono inoltre a proiettare le loro categorie su tutti gli altri popoli del pianeta, credendo stolidamente che tutte le lingue debbano per forza funzionare come la loro. È così accaduto che una stessa radice con un diverso suffisso fosse interpretata dagli studiosi come una parola del tutto dissimile da quella di partenza. Questa è una cronistoria sintetica degli errori e dei fraintendimenti:

1) Edward Hall, 1959: menziona Boas, ma i dati riportati sono erronei. I termini appaiono tutti come "sostantivi".
2) Roger Brown, 1959: fa riferimenti vaghi a "parole", mostrando totale mancanza di conoscenza anche rudimentale della grammatica della lingua degli Inuit.
3) Carol Eastman, 1975: Influente documento sul linguaggio e sulla cultura basato su una cattiva elaborazione di Brown. Solo 6 righe dopo aver affermato che gli Eschimesi possiedono 3 parole, quindi assicura che essi usano "molte parole per indicare neve".
4) Enciclopedia delle Trivialità, 1984: 9 termini con una spiegazione: "Gli Eschimesi possono solo parlare soltanto di un ambiente molto limitato, per cui devono inventare un mucchio di parole per riempire le loro conversazioni".
5) New York Times, 9 febbraio 1984, editoriale: 100 parole.
6) Programma di WEWS Cleveland, 1984: 200 parole.
7) Si è ormai diffuso il meme, assieme ad altri miti egualmente infondati: da quattro che erano, le parole eschimesi per "neve" arrivano a quattrocento. 

Alle conclusioni della Martin giunge anche Geoff Pullum, che pochi anni dopo ha pubblicato il libro The Great Eskimo Vocabulary Hoax and Other Irreverent Essays on the Study of Language (1991).

La leggenda metropolitana ha dato origine a una vera e propria tradizione, che vive di vita propria. Il tutto è stato causato non soltanto dall'ignoranza delle masse e dalla loro sete di esotismo, ma anche da un mondo accademico essenzialmente frivolo.  

Una volta che il contagio memetico è diventato globale, ecco che compare un elenco parodistico di "parole eschimesi" per "neve" riportate da Phil James e presentato come satira. Ne riporto un breve estratto, rimandando alla fonte originale per la lista completa:


Ho aggiunto dei punti esclamativi per contrassegnare le trovate più assurde e guittesche. 

tlapa "powder snow"
tlacringit "snow that is crusted on the surface"
kayi "drifting snow"
tlapat "still snow"
klin "remembered snow" (!)
naklin "forgotten snow" (!)
tlamo "snow that falls in large wet flakes"
tlatim "snow that falls in small flakes"
tlaslo "snow that falls slowly"
tlapinti "snow that falls quickly"
kripya "snow that has melted and refrozen"
tliyel "snow that has been marked by wolves"
tliyelin "snoW that has been marked by Eskimos"
blotla "blowing snow" (!)
pactla "snow that has been packed down" (!)
hirula "snow in beards"
wa-ter "melted snow" (!!)
tlayinq "snow mixed with mud"
quinaya "snow mixed with Husky shit"
quinyaya "snow mixed with the shit of a lead dog"
slimtla "snow that is crusted on top but soft undereath"
kriplyana "snow that looks blue in the early morning"
puntla "a moutful of snow because you fibbed" (!)
allatla "baked snow" (!!)
fritla "fried snow" (!!)
gristla "deep fried snow" (!!)
 

Si tratta di colossali stronzate goliardiche la cui propagazione andrebbe contrastata con ogni mezzo, dato che spesso i lettori che si imbattono in simili pagine non ne comprendono la natura interamente fittizia. Queste false informazioni, che nulla hanno in comune con gli Inuit e con le loro lingue, alimentano ulteriormente il contagio memetico: non è difficile immaginare che finiranno col diffondersi voci su quattromila parole per indicare la neve. 



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