domenica 13 marzo 2016

LA BABELE DEI CONVEGNI SCIENTIFICI INTERNAZIONALI


L'articolo ha un titolo che non mancherà di stupire molti: "Perché i parlanti di madrelingua inglese non riescono ad essere capiti in inglese e rimangono indietro negli affari globali". Era ora che qualcuno se ne accorgesse. Se devo essere sincero la cosa mi fa sentire sollevato. 

Con buona pace del mondo scolastico, la lingua inglese non è affatto una realtà monolitica. È un crogiolo di tanti differenti dialetti, tra loro così diversi da riuscire mutuamente quasi inintelligibili. Si tratta cioè di lingue separanti. Se il funesto genere umano durerà abbastanza, ne nasceranno di certo molte lingue neoinglesi tra loro completamente incomprensibili, così come dal latino volgare ne sono uscite le lingue neolatine a noi tanto familiari. Anzi, è possibile ipotizzare che i gradienti saranno ancora maggiori, tanto che le lingue neoinglesi più dissimili saranno tra loro distanti come il gaelico dal gallese.

Ogni varietà della lingua inglese ha una fonetica complessa, ricca di suoni difficili a riprodursi e ad afferrarsi. Questa realtà sfugge a molti, ma è incontrovertibile. Nel mondo anglosassone i sordastri sono discriminati e considerati ai limiti della subumanità, proprio perché non riescono ad afferrare bene le frasi pronunciate nella loro stessa lingua. Basta che sfugga un suono, una consonante finale o una parolina smozzicata e possono originarsi gravi fraintendimenti. Tuttavia non è infrequente che un anglosassone non sordastro abbia a sua volta gravi difficoltà nell'intendere la favella del suo prossimo: per non essere schernito e ghettizzato, tenderà a fingere di aver capito l'interlocutore.

I convegni scientifici internazionali sono il terreno migliore per comprendere appieno la portata del problema. L'infinita varietà dell'inglese dei relatori può soltanto richiamare alla mente la narrazione biblica della Torre di Babele. Quella che le genti credono una lingua unica e ben definita si stempera in una quantità di lingue bislacche, i cui suoni sono incerti alle orecchie di tutti. Subito spiccano le grottesche pronunce ortografiche ostentate dai rappresentanti meno acculturati della nostra nazione, ma l'incomunicabilità riguarda anche coloro che la cosiddetta lingua di Shakespeare dovrebbero averla assimilata col latte materno. In pratica ogni relatore parla una sua lingua, spesso quasi priva di riscontro rispetto a quello che dovrebbe essere uno standard universalmente riconosciuto.   

Ricordo un relatore inglese che era un guitto paragonabile al toscanaccio Maligni. Somigliava vagamente a Fred Astaire e strabuzzava continuamente gli occhi dalle orbite quando sghignazzava, fino a diventare quasi una brutta copia di Marty Feldman... o di Jimmy Savile. Il suo parlato era un'impenetrabile mitraglietta di sillabe monche. Se avesse parlato in pictico o in qualche altra lingua perduta del Neolitico avrei capito di più, non ci sono dubbi. Il bello è che egli si affidava alla mimica guittesca per scandire i suoi interventi. Quando accelerava assurdamente il ritmo del suo parlato interrompendolo subito con una brusca pausa, era un segnale convenuto: la platea doveva ridere. Ecco quindi una torma di manager e di fellatrici sghignazzare in modo convulso, come se avessero capito ogni sillaba di quell'idioma inconsistente. Non potevo credere che fosse davvero inglese la lingua che parlava. Sembrava piuttosto un grammelot, come quel biascicare indistinto tipico di certe esibizioni di Adriano Celentano e di Dario Fo! E tutti quegli idioti che ridevano! Io ero il solo ad avere un'espressione torva e a non ridere. Mi sentivo come quel famoso uomo che non alzava il braccio nel saluto nazista in mezzo a una folla osannante, all'epoca del Führer. Per documentare l'attuale Dittatura della Felicità, forse tra qualche decennio useranno una foto della ridanciana platea, scrivendo "Be this guy" vicino alla mia immagine evidenziata con un cerchietto grigio.

A questo punto riporto alcune perle che mi sono annotato nel corso degli anni. Un relatore di cui non ricordo la nazionalità amava sincopare le parole, generando non poche ambiguità.

anal = annual
disgust = discussed
ewpin = European
form = forum
nessary = necessary
pope = pulp
satisfary = satisfactory 

Sì, proprio così, per questo relatore, Quentin Tarantino avrebbe diretto "Pope Fiction". La polpa di legno, era da lui chiamata "wood pope", alla lettera un "Papa di legno". Guardacaso, quando parlava di "anal emissions" anziché di "annual emissions", nessuna delle messaline presenti in sala rideva.

Notevole anche lo pseudoinglese di un parlante tedesco: 

all saw = also
cities in the sows = cities in the South
feature = future
industrial sauces = industrial sources
sauce emissions = those emissions
sink = thing
sunsink = something

C'era poi una inglese terribile, una bionda volgarissima che aveva trasformato la sua lingua a tal punto che per trascriverla è meglio usare l'ortografia italiana: 

dio picci = the all picture
imputata = input data
mo' dite = more detail
sette = sector

Ogni volta che diceva "dio picci" anche l'intonazione era benignesca, tanto che sembrava proprio di sentire una bestemmia.

Un nativo dell'Ingilterra meridionale - forse era di Brighton - parlava nel suo dialetto, caratterizzato da complicate rotazioni delle vocali e dei dittonghi. 

/i:/ => /ei/ (con /e/ molto chiusa)
   
free /frei/    
    see /sei/

/ei/ => /ai/
   
say /sai/
    Spain /spain/

/ai/ => /ɔi/
   
buy /bɔi/
   
fine /fɔin/     

La differenza tra questo dialetto e le varità americane è massima: in parole come God, stop, hot la vocale è una /o/ chiusa, come in "ora" e con una lieve tendenza a /u/, mentre gli Americani hanno una chiara /a:/, addirittura lunga.

Potrei andare avanti per ore. Ho in giro un gran numero di appunti sepolti tra montagne di scartoffie, la cui utilità consiste proprio in elenchi di termini che ho udito con le mie orecchie nel corso degli anni, trascritti in svariati modi.

Le soluzioni a questo caos sono soltanto due:
1) Ricorrere a interpreti
2) Abolire l'uso dell'inglese nei convegni scientifici e ricorrere al latino. Per questa finalità la pronuncia ecclesiastica va più che bene, l'importante è avere una lingua pratica che non si presta a fraintendimenti.

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