martedì 21 marzo 2017

ALCUNE RIFLESSIONI SULL'APPRENDIMENTO DELLA LINGUA LATINA

Girando nella Rete, in una pagina del Corazziere della Sera mi sono imbattuto in qualcosa di veramente singolare. Si tratta dell'adattamento in lingua latina di una canzonetta che reputo ossessiva e oltremodo fastidiosa: Il gatto e la volpe, di Edoardo Bennato.


Questo è il testo latino del video pubblicato, riportato anche dall'articolo del Corazziere: 

FELES ET VULPES 

Quid festinas? Quo curris? Quo vadis?
Si breve tempore nos audibis intelleges: 
Is feles est et ego vulpes, societatem habemus, nobis fidere potes.
De tuis rebus et molestiis loqui potes,
optimi in hac re sumus nos.
Est negotium peritissimum, pactum fac et videbis te non paenitere.
Ingenia invenimus et numquam erramus.
Tuis virtutibus sciemus uti.
Da nobis quattuor nummos et famae certamini te inscribimus.
Nonne vides verum negotium, dies carpendum est aut tibi paenitendum erit.
Non accidit quotidie ut habeas duos consulentes, duos redemptores qui maxime curent tibi.
Prae i! Nole haesitare: subscribe hic. Ordinarius contractus, consuetudo est.
Potestatem nobis cede et faciemus te Capitolinum divum!  

Questo è il testo originale di Bennato:

IL GATTO E LA VOLPE 

Quanta fretta, dove corri, dove vai?
Se ci ascolti per un momento, capirai,
lui è il gatto, e io la volpe, siamo in società
di noi ti puoi fidare...
Puoi parlarci dei tuoi problemi, dei tuoi guai
i migliori in questo campo siamo noi
è una ditta specializzata, fai un contratto e vedrai
che non ti pentirai...
Noi scopriamo talenti e non sbagliamo mai
noi sapremo sfruttare le tue qualità
dacci solo quattro monete e ti iscriviamo al concorso
per le celebrità!... 
Non vedi che è un vero affare
non perdere l'occasione
se no poi te ne pentirai
non capita tutti i giorni
di avere due consulenti
due impresari, che si fanno
in quattro per te!....
Avanti, non perder tempo, firma qua 
è un normale contratto, è una formalità
Tu ci cedi tutti i diritti
e noi faremo di te
un divo da hit parade!...

Se il video con l'irritante tormentone tradotto in latino è senz'altro qualcosa di utile e di meritorio, che deve essere elogiato, dissento dalle opinioni espresse dall'artefice dell'iniziativa in suo commento sull'apprendimento dell'idioma di Cicerone: "Nessuno si illuda che questo metodo consenta di impararlo più facilmente", "Cantare in latino serve a imparare le regole"

"Non è stata una passeggiata", commenta la professoressa. Mi dispiace che i suoi studenti siano rimasti sfiniti dall'ardua impresa. Per i contemporanei sembra che questa impresa sia tanto ostica da rasentare l'inconcepibile. Neanche si dovesse tradurre un convoluto testo filosofico di Schopenhauer in una lingua extraterrestre con quarantacinque casi della declinazione, con centodue tempi e trentaquattro modi verbali, con coniugazioni totalmente diverse per i verbi transitivi e per i verbi intransitivi, in cui prefissi e suffissi cambiano in funzione dei pronomi inclusi. Santo Cielo, se il latino fosse insegnato con metodi sensati e come lingua viva, la traduzione del testo di una canzone la farebbe senza sforzo anche un bambino! 

Per colmo del paradosso, la principale pietra d'inciampo è proprio il deleterio mito del "latino che fa ragionare" o del "latino che insegna la logica". Trattasi di una gran massa di colossali stronzate, talmente radicate nell'idea dei moderni da risultare quasi dogmi indiscutibili. Una lingua non è fatta per insegnare la logica applicando le regoline: è fatta per essere appresa e parlata. Tramite le regoline, le regolucce, le regolette e le regolacce non si riuscirà mai a raggiungere questo scopo: non è questo il modo per far sì che da un poppante che sa solo frignare e smerdare si arrivi a un bambino in grado di parlare in modo corretto la propria lingua. Cicerone, Cesare e Virgilio non hanno imparato il latino tramite gli specchietti e la grammatichina, o sarebbero cresciuti senza saper proferire verbo! Prova di quanto affermo sia il fallimento completo del sistema scolastico nel trasmettere qualcosa di utile che possa facilitare l'apprendimento delle lingue classiche. Gli studenti, quei pochi che ancora studiano il latino, balbettano. Sanno fare versioni rigorosamente dal latino all'italiano soltanto servendosi di un ponderoso vocabolario e dei bigini. Se si chiedesse loro di tradurre un testo dall'italiano al latino, farebbero tutti seppuku in aula.

Il segreto per l'apprendimento è questo: immersione, imitazione, ripetizione, correzione delle frasi errate tramite ripetizione della forme corrette. Cantare in una lingua non serve a imparere le regolette: serve a parlare e a pensare! Purtroppo la più deleteria piaga del Moloch scolastico impone alle genti di pensare che non ci sia differenza tra una struttura grammaticale e il nome usato dai grammatici per descriverla.

Alcune osservazioni sul testo tradotto

Sorvolando sulla pronuncia della lingua di Roma, devo ammettere che l'esperimento in questione ha dato un esito tutto sommato positivo, che rappresenta un passo avanti notevole rispetto alle tipiche quanto vane versioni. Aggiungo qualche nota critica. 

Mentre il testo di Bennato si fonda su un ritmo ben preciso e presenta versi rimati o allitteranti, il testo in latino prodotto dalla professoressa e dai suoi studenti presenta quelli che il giornalista del Corazziere della Sera definisce "inevitabile scivolata sulla metrica musicale della lingua latina". Abbiamo così quo vadís, intellegés, nobís, habemús. Sono stati fatti salti mortali per costringere a viva forza il testo tradotto in uno spartito che di certo sarebbe stato giudicato alieno dagli antichi Romani. Va anche detto, a difesa dell'insegnante e degli studenti, che nella lettura dei versi poetici la metrica imponeva spesso accentazioni non troppo dissimili.

Geniale è l'adattamento del famoso "divo da hit parade" in Capitolinum divum (acc.). Non tutto fila però così liscio. Se si studia il lessico della lingua latina, ci si imbatte spesso in sorprese non di poco conto. Il vocabolo feles in realtà non traduce automaticamente "gatto" nella moderna accezione del termine. Intanto indicava soprattutto l'animale selvatico. Poi va detto che era usato anche per designare altri carnivori come la martora, il tasso, la faina e la puzzola. Per indicare il tasso e la martora si usava anche il sinonimo meles, che pur essendo assonante ha diversa origine. Nella lingua parlata l'animale domestico era chiamato cattus, da cui deriva la parola che usiamo tuttora, mentre termini medievali come muriceps e murilegus "acchiappatopi" sembrano essere nati da un tabù. Eppure l'uso scolastico vuole che feles corrisponda in modo biunivoco ed ontologico al nostro gatto. La tradizione è inveterata: l'aggettivo dotto felino è stato recuperato direttamente dalla lingua classica (felinus), mentre felide è una formazione più recente nata nel mondo scientifico.

Non è dunque a mio avviso senza difficoltà la traduzione "Is feles est et ego vulpes", dato che è ambigua. Un antico romano avrebbe potuto immaginarsi infatti una martora e una volpe. La locuzione "il gatto e la volpe" dice a noi molto, certamente, ma soltanto perché abbiamo letto le avventure di Pinocchio scritte di Collodi. Un antico romano avrebbe comunque compreso questo accostamento di animali, anche senza sapere nulla del burattino dal lungo naso e delle sue traversie. Senza dubbio avrebbe interpretato Feles e Vulpes come soprannomi di persone. Infatti vulpes significa anche "furbizia", "astuzia". Si noterà che quando è detto di persona, feles significa "rapitore". Tutto ciò metterebbe in guardia persino un allocco. :) 

Le insidie del latino moderno

La traduzione del testo di Bennato dà l'occasione per ulteriori riflessioni. Per quanto concerne la semantica del latino moderno, un caso interessante è quello di birota, pronunciato costantemente *biròta e interpretato come "bicicletta", quando in realtà la parola classica si pronunciava bìrota /'birota/ e significava "calesse a due ruote" (da cui deriva la forma diminutiva *birotulus che ha dato biroccio). Non di rado l'ingenuità dei moderni fa loro proiettare all'epoca dell'Impero recenti modalità di formazione di parole, che dimostrano la totale assenza di comprensione per i composti della lingua classica: è il caso del nuntius televisificus "annunciatore televisivo", in cui mi è capitato di imbattermi anni fa e che ha destato in me assoluto obbrobrio. Ebbene, questo nuntius televisificus non nasce da giochini di metallari: è una traduzione ufficiale usata dalle autorità vaticane nei loro testi. Allego i seguenti link sull'aggettivo televisificus:



A questi abusi oscenissimi del latino moderno dovrebbe essere posta la parola FINE: non è così che si riporta in vita una lingua antica. 

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