mercoledì 12 luglio 2017

NOTE SUL LAVORO DI RIGOBIANCO

Luca Rigobianco (Università Ca' Foscari di Venezia, Dipartimento di Studi Umanistici) è l'autore di un interessante lavoro sulla lingua etrusca, Su numerus, genus e sexus. Elementi per una grammatica dell'etrusco. Quest'opera, edita da Edizioni Quasar, è senza dubbio meritoria. Al momento porta la scritta "Copia autore", ma in ogni caso è consultabile e scaricabile gratuitamente al seguente url: 


Un lavoro davvero eccellente, che cerca di collegare alcune caratteristiche morfologiche della lingua dei Rasna all'indoeuropeo. Concordo senza dubbio sulla provenienza della radice tin- "giorno", donde Tin(i)a "Giove", da IE *din- (un prestito di ambito religioso), mentre su altri punti ho qualche dubbio.

L'idea ormai corrente di una derivazione del suffisso femminile etrusco -i dall'indoeuropeo, e in particolare dalle lingue italiche, è a mio avviso ben poco plausibile, con buona pace di Rix e di Prosdocimi. Come posso provarlo? Semplice.

1) Il suffisso etrusco si aggiunge al tema anche quando termina in vocale.
Se un gentilizio maschile termina in -a, il corrispondente femminile termina in -ai, suffisso evoluto poi in -ei. Esempio: Tarcna (m.), Tarcnei (f.).
L'evoluzione verso -ei è dovuta all'indebolimento della vocale tematica, causato dalla -i finale, che si è sempre mantenuta. L'analisi del suffisso femminile è -a-i, dove si vede bene che la vocale -a del tema è preservata. Questo non accade in nessuna lingua indoeuropea.
2) Come ammette anche l'autore, non esiste una tradizione chiara di femminili in -i: (< IE -*iH2) in nessuna lingua nota di popoli italici confinanti con gli Etruschi, almeno nelle loro sedi storiche. Dunque è senz'altro da escludersi che la provenienza del suffisso sia italica. In latino troviamo femminili in -i:x, da analizzarsi come -i:-k-s, per esempio in na:tri:x "biscia". Si vede che questo femminile presenta un suffisso velare. Si hanno anche forme come re:gi:na e galli:na, in questo caso con un'estensione nasale. Si noterà che dove l'etrusco ha un nome divino in -i, Uni "Giunone", il suo corrispondente latino ha invece un suffisso diverso: Iu:no:, gen. Iu:no:nis. Un relitto di un antico tema in -i:- si trova nel nome Iu:nius "Giugno" (mese), "Giunio" (gentilizio), oltre che nella forma iu:ni:x "giumenta", che è corradicale. Tuttavia, forme "nude" di femminile in -i nella lingua di Roma non le troviamo nemmeno se ci mettiamo a piangere e ci strappiamo i capelli, neanche nelle fasi più antiche documentate. Come è possibile dunque che una simile caratteristica, che deve essere remota, abbia avuto una simile fortuna in etrusco come prestito?

Mi sento di aggiungere un paio di considerazioni che reputo di una qualche utilità. 

1) Si tende a cercare un femminile in -i anche in due termini di parentela: ati "madre" (genitivo ati-al) - che tuttavia sembra una forma non ulteriormente analizzabile - e seχ "figlia" (genitivo seχi-s). Un fatto che gli etruscologi hanno passato sotto silenzio è l'anomalia assoluta di questo genitivo in -s di seχ, che non corrisponde mai ai genitivi dei femminili in -i. Infatti i gentilizi femminili in -ai-ei hanno il genitivo in -al, mentre i femminili in -i hanno il genitivo in -ial. Non si può quindi assimilare seχ ai femminili in -i, per nessun motivo. 
2) Un'iscrizione vascolare (DETR 263) ci attesta la forma Lusχnei accanto alla figura della luna. Questa forma è senza dubbio un prestito religioso dall'italico *louksna, l'antenato diretto del latino lu:na. Se non fosse stato usato soltanto come teonimo, ma anche come sinonimo dotto del più comune tivr "luna", questo potrebbe essere un caso singolare di uso di suffisso di mozione in un nome comune - tanto più che un corrispondente maschile non avrebbe ragion d'essere! 

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