giovedì 4 gennaio 2018

PROVE DELLA TARDA SOPRAVVIVENZA DELLA LINGUA LONGOBARDA: IL LATINO AGRAMMATICALE

Nel terzo tomo della sua opera Dissertazioni sopra le Antichità Italiane, Ludovico Antonio Muratori (1672 - 1750) riporta il testo di un'interessante iscrizione veronese del VIII secolo, commentandolo e aggiungendo informazioni di grande utilità. Questo è quanto scrisse: 

"Figuratevi un uomo di bassa sfera oggidì, il quale abbia un po' di tintura della Lingua Latina, e impari da' Predicatori e Letterati molte voci di quella, quando gli venga in capo di parlar Latino, parlerà senza fallo; ma un Latino pieno di Solecismi e Barbarismi, e vi mescolerà voci della Volgar sua Lingua; nè osserverà regola alcuna di casi, numeri, verbi, e nomi. Altrettanto fecero gli antichi Notai, benchè si abbia a credere, che studiassero alquanto di Latino. Cioè per esempio scrivevano: Anno Lotharii &c. & Domni filio ejus Regem in Italia, come apparirà da una Carta, che ho quì data alla luce. In una Lingua vivente non si può immaginare tanta deformità. Così in altra Carta dell'Anno 839. (vedi la Dissert. XIII.) si legge: Post pœna composita, hos libelli convenience in sua permaneat firmitate. Non è differente la sottoscrizione di una Carta pubblicata quì nella Dissertaz. XXI. Ego Radeberto Presbitero rogatus ad Aliberto Presbiter manu meo subscripsi. Voglio quì aggiungere un'Iscrizion Veronese, rapportata dal Panvinio, Moscardi, Ughelli, Francesco Bianchini, Fontanini, e ultimamente dal Chiarissimo Marchese Maffei nella Verona illustrata. Circa l’anno 725 fu essa incisa in marmo; ed ecco le sue parole, testimonj autentici dell’ignoranza di allora:"

X  IN N ΔNI IHV XPI DE DONIS
SCI IVHANNES
BAPTESTE EDI
FICATVS EST HANG
CIVORIVS SVB TEMPORE
DOMNO NOSTRO
LIOPRANDO REGE
ET VB PATERNO
DOMNICO EPISCOPO
ET COSTODES EIVS
VV VIDALIANO ET
TANCOL PRBRIS
ET RELOF GASTALDIO
GONDELME
INDIGNVS DIACONNVS SCRIPSI 

"Nell’altra parte del Marmo si legge:"

+ VRSVS MAGESTER
CVM DISCEPOLIS
SVIS IVVINTINO
ET IVVIANO EDI
FICAVET HANC
CIVORIVM
VERGONDVS
TEODOAL
FOSCARI

Analisi dell'iscrizione di Verona

Iscrizioni di questo tipo ci mostrano la genuina evoluzione della pronuncia dei suoni del latino nel protoromanzo, che ha influenzato la stessa lettura del latino ecclesiastico. Ad esempio /i/ breve è diventata /e/ chiusa in BAPTESTE e in MAGESTER; /u/ breve è diventata /o/ chiusa in DISCEPOLIS e in COSTODES; altre volte è /o/ a diventare /u/, quando è a contatto con /v/, dando IVVIANO; /b/ intervocalica è diventata una fricativa /v/, scritta con la lettera V, ad esempio in CIVORIVS; si è avuta lenizione di /t/ in /d/ in VIDALIANO e via discorrendo. Come vedremo nel seguito, il problema principale non è la pronuncia.  

Questi sono i vocaboli e gli antroponimi latini con caratteristiche evolutive o con ortografia non conforme:

IVHANNES: Iohannis (gen.)
BAPTESTE: Baptistae (gen.)
EDIFICATUS EST: aedificatus est
HANG: hanc (solecismo; Orti Manara legge
    HANC)
CIVORIVS: ciborius
DOMNO: domino (abl.)
COSTODES: custodes

DOMNICO: dominico (abl.)

VIDALIANO: Vitaliano (abl.)
DIACONNVS: diaconus (Orti Manara legge
   DIACONHVS) 
MAGESTER: magister
DISCEPOLIS: discipulis
IVVINTINO: Iuventino (abl.)
IVVIANO: Ioviano (abl.)
EDIFICAVET: aedificavit
CIVORIVM: ciborium
VERGONDVS: Verecundus 

Questo possiamo dire sugli antroponimi longobardi incorporati nel testo:

1) LIOPRANDO: sta chiaramente per LIUTPRAND, dal protogermanico *leuði- "gente" e *branda- "tizzone" (> poet. "spada").
2) TANCOL: dal protogermanico *θanka- "grazie".  

3) RELOF: è oscurissimo. Studiando il documento avevo ipotizzato una cattiva grafia per *REOLF, a sua volta da *REIOLF, *RAIOLF "Lupo dei Cadaveri", dal protogermanico *χraiwa- "cadavere" e *wulfa- "lupo". Leggendo un altro studio sull'iscrizione (Orti Manara, 1840), noto che il nome è invece riportato come REFOL, non meno problematico di RELOF. Anche Meyer legge REFOL, senza proporre un etimo, mentre Bruckner si astiene addirittura dal parlarne. Forse il Muratori ha effettuato una metatesi? 

4) GONDELME: sta per GONDELM, varianti GONDELMUS, CONTELMUS, GUNTELM, GUNTELMUS (cfr. Bruckner, 1895; Meyer, 1877), è chiaramente dal protogermanico *gunθi- "battaglia" e *χilma- "elmo"
5) TEODOAL: immagino che sia scritto male per THEODOALD, varianti THEODALD, TEUDOALD, TEUDALD, THEUDUALDUS, etc. (cfr. Bruckner), dal protogermanico *
θeuðō- "popolo" e *walda- "dominatore, principe". Alcuni propongono di leggere *TEODOALF, che non potrebbe spiegarsi in alcun modo. 
6) FOSCARI: formato col suffissoide -ARI, dal protogermanico *χarja- "esercito", essendo il primo membro del composto l'aggettivo latino fuscus "scuro". È un nome ibrido latino-germanico. Simili formazioni onomastiche, non esclusive dei Longobardi, saranno trattate in dettaglio in altra sede.

Si nota un vocabolo longobardo:

GASTALDIO "amministratore regio"

Queste sono le abbreviazioni usate:

IN N ΔNI: In Nomine Domini  
IHV XPI: Iesu Christi (gen.)
SCI
: Sancti (gen.)

VB
: Viro Beatissimo (abl.)
PATERN
O: secondo Orti Manara sta per *Pater Nostro, seppur con una discordanza. Altri hanno pensato alla forma declinata di un antroponimo Paternus
VV: Venerabilibus (abl. pl.)
PRBRIS, a prima vista forma oscurissima, sta semplicemente per PRESBYTERIS, come documentato anche altrove. 

Spiegazione del latino agrammaticale

Questo è il commento del Muratori, che mi sembra molto utile riportare:

"Non so figurarmi, che il Volgo, se avesse usato allora la Lingua Latina, fosse caduto in sì grosse deformità, come è il dire: edificatus est hanc Civorius &c. Così nella Dissert. XIV. rapportai le Note Cronologiche di varie Carte Lucchesi dall'Anno 736. fino al 742. Ivi fra l'altre si legge: Regnante piissimi Domno nostro Liutprand & Hilprand vir excellentissimis Regibus &c. In un'altra: Regnante Domnos nostros Liutprand & Helprand viri Rex excellentissimis Regibus &c. Se questa fosse stata la Lingua Popolare d'allora, non si sa vedere, come nello stesso tempo, e nella medesima Città, que' Notai fossero così discordi fra loro; perchè, come anche oggidì ne' più corrotti Dialetti della Lingua d'Italia si può scorgere, tutti adoperano il medesimo ordine e struttura di parole. Voglio quì aggiugnere due antichissimi Contratti, ricavati dal ricchissimo Archivio dell'Arcivescovato di Lucca. Nell'uno, scritto l'Anno 740. regnando il Re Ratchis, si legge una vendita fatta da Tanualdo Prete. Chiunque ben considera le sconcordanze del Latino di esse Carte, meco verrà a confessare, che quella non potea essere la Lingua del Popolo, perchè quasi nulla v'ha di Gramatica, di cui nondimeno dicemmo servirsi ogni Lingua vivente; e però avere i Notai, siccome forzati a valersi del Latino, fatto un guazzabuglio di quella Lingua colla Volgare, commettendo perciò tanti Solecismi e Barbarismi. Qualora il Popolo avesse comunemente parlato quel Latino corrotto, quale Lingua materna, confrontando insieme molte Carte di quel tempo, noi troveremmo fra esse una sensibile uniformità di parole, frasi, costruzione, terminazion di vocaboli &c. Venti Notai Milanesi, per esempio, de' nostri giorni, che scrivessero un Contratto nel Dialetto corrente in quella Città, non discorderebbono mai nella Gramatica, e sintassi di Lingua tale: laddove nelle antiche Carte i Notai niuna regola osservano di Gramatica, niuna uniformità nelle costruzioni e declinazioni de' verbi e nomi, eccettochè dove si servono de' Formolarj comuni a ciascuno, ricorrendo essi al Volgare, dove mancava loro provvision di Latino. Rilessioni tali quelle in fine sono, che mi fan credere, essere stata, mille anni sono, la lingua del volgo Italiano diversa dalla Latina." 

Ritengo che da quanto esposto sia ben evidente che il latino usato dai notai e dagli scribi dei Longobardi era per loro una sorta di corpo estraneo la cui grammatica era quasi inassimilabile. La presenza di stridenti discordanze non è tipica di una popolazione di lingua romanza, bensì di una popolazione di lingua germanica che non ha quasi alcun contatto con parlanti romanofoni. Possiamo affermare senza timore di smentita che nessun parlante di una forma di latino tardo o di protoromanzo avrebbe mai detto hanc ciborius o manu meo: non dimentichiamoci che all'epoca non esistevano i metallari. Resta però il fatto che proprio manu meo per il corretto manu mea potrebbe ricalcare in qualche modo una forma longobarda, che possiamo ricostruire come *ANDU MINU o *ANDO MINO, al caso strumentale. La parola per dire "mano" doveva essere femminile anche in longobardo, come in tutte le lingue germaniche che hanno conservato il genere. Negli aggettivi forti, l'antico alto tedesco e l'antico sassone non hanno una forma strumentale femminile attestata, ma se in longobardo fosse esistita una forma residuale uguale per i tre generi, si capirebbe all'istante l'origine del solecismo attestato negli archivi notarili.

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