Guillaume Jacques (Centre des Recherchers Linguistiques sur l’Asie Orientale, Paris) e Johann-Mattis List (Max Planck Institute for the Science of Human History, Jena) sono gli autori del lavoro Save the Trees: Why We Need Tree Models in Linguistic Reconstruction (and When We Should Apply Them). Il manoscritto degli autori è consultabile al seguente link:
L'articolo è etichettato come "Authors manuscript" (sic). Si precisa altresì che "This article will appear in the Journal of Historical Linguistics in 2018, Volume 8".
Questa è la traduzione dell'abstract:
"Lo scetticismo verso il modello ad albero ha una lunga tradizione nella linguistica storica. Anche se gli studiosi hanno enfatizzato che il modello ad albero e la sua teoria concorrente, la teoria dell'onda, non sono necessariamente incompatibili, ha sempre goduto di una certa popolarità l'opinione secondo cui gli alberi genealogici non sono realistici e dovrebbero essere abbandonati completamente dalla linguistica storica. Questo scetticismo si è ulteriormente accresciuto con la tecnica, recentemente proposta, per una visualizzazione dei dati che sembra confermare che possiamo studiare la storia delle lingue senza gli alberi genealogici. Mostriamo che gli argomenti concreti addotti a favore dei modelli di onda anacronistica non reggono. Confrontando il fenomeno dell'ordinamento del lignaggio incompleto (incomplete lineage sorting) in biologia con i processi in linguistica, mostriamo che i dati che non sembrano risolvibili in alberi genealogici, possono essere ben spiegati senza rivolgersi alla diffusione. Nello stesso tempo, i limiti metodologici nella ricostruzione storica possono facilmente portare a una sovrastima della regolarità, che può a sua volta emergere come schemi conflittuali quando si tenta di ricostruire una filogenesi coerente. Illustriano con diversi esempi come gli alberi genealogici possono portare beneficio alla comparazione linguistica, ma facciamo anche notare i loro svantaggi nel modellizzare le lingue miste. Mentre riconosciamo che non tutti gli aspetti della storia della lingua sono rappresentabili con alberi genealogici, e che i modelli integrati che catturano le relazioni sia verticali che laterali di una lingua possono dipingere la storia della lingua in modo più realistico, concludiamo che sono essenzialmente erronei tutti i modelli che sostengono che le relazioni verticali di una lingua possono essere del tutto ignorati, sia che essi ancora usino implicitamente gli alberi genealogici, o che forniscano uno schema statistico di dati e quindi falliscano la modellizzazione degli aspetti temporali della storia della lingua."
Dendrofobia e dendrofilia in linguistica
L'autore fa una panoramica sull'origine dei modelli linguistici ad albero e delle reazioni scettiche che questi hanno generato. Il primo studioso che divulgò l'idea di classificare le lingue in alberi genealogici fu August Schleicher (1821-1866), da non confondersi con il fantomatico Egon Schleicher inventato da George Steiner. Egli partì dall'assunzione che il modo migliore per rappresentare la nascita e lo sviluppo delle lingue consistesse nell'usare l'immagine di un albero ramificato. Grazie a lui divenne comune l'uso del termine Stammbaum in linguistica. Le prime critiche giunsero da Johannes Schmidt (1843-1901) e da Hugo Schuchardt (1842-1927). Il primo di questi studiosi rimase molto sul vago, mentre il secondo cominciò a far notare che nelle varie lingue indoeuropee sono presenti distribuzioni molto irregolari di vocaboli. Le mappe delle isoglosse lessicali presentano lacune e solo poche caratteristiche sono presenti in tutte le lingue indoeuropee contemporaneamente. Da una stima fatta, risulterebbe che il greco antico e il sanscrito hanno in comune il 39% di parole imparentate, mentre si arriverebbe al 53% considerando il greco antico e il latino. Per quanto riguarda il latino e il sanscrito, la percentuale scende addirittura all'8%. Le percentuali reali possono essere più basse, dato che esistono etimologie fallaci da molti considerate valide (es. latino cālīgō "oscurità" - sanscrito kāla- "nero" sono falsi parenti). Come conseguenza, il modello ad alberi genealogici andò in crisi. Nacquero modelli alternativi che in realtà non spiegano nulla. Prevalse l'idea delle convergenze multiple che avrebbero portato realtà dissimili ad assomigliarsi per mutua influenza nel corso dei secoli. Tra l'altro, solo per fare un esempio, l'influenza dei sostrati preindoeuropei era gravemente sottostimata. Gli attuali dendrofobi hanno diversa origine: sono convinti che partendo col considerare una lingua come un organismo biologico si arrivi ineluttabilmente al darwinismo sociale e al razzismo. Il presupposto politico è l'associazione degli alberi genealogici con la genetica. Rimando all'articolo per un'approfondita disamina del moderno dibattito sugli alberi linguistici e sulla necessità di salvare il modello in questione dagli attacchi di studiosi ipercritici.
L'identificazione delle innovazioni
Per identificare le innovazioni del lessico ereditato e distinguerle da prestiti recenti, il metodo della glottometria storica usa un criterio che non dovrebbe essere controverso: le etimologie i cui riflessi seguono corrispondenze fonetiche regolari sono da considerarsi ereditate (François, 2014). Così, quando una protoforma comune può essere postulata per un particolare insieme di parole in numerose lingue e può essere derivata dall'applicazione meccanica di leggi fonetiche, è considerata parte del vocabolario ereditato. Tuttavia in questo modo non si tiene conto di un fatto molto importante: il criterio di attribuzione sopra enunciato riguarda una condizione necessaria, ma non sufficiente. Questo perché esistono prestiti e prestiti nativizzati.
Prestiti non identificabili
Jacques riporta esempi molto interessanti per mostrare come non sia sempre possibile discriminare tra lessico ereditato e lessico preso a prestito. Un caso già noto nel tardo XIX secolo riguarda i prestiti iranici in armeno. Nel 1897, Hübschmann scriveva: "In casi isolati, le forme iraniche e quelle armene genuine coincidono foneticamente, e la questione se si tratti di prestiti [o di eredità comune] deve essere decisa da un punto di vista non linguistico". In una tabella contenuta nell'articolo, sono riportati alcuni esempi, già evidenziati da Hübschmann ai suoi tempi, poi confermati da Martirosyan e da Martzloff nel XXI secolo.
Armeno naw "barca" - Proto-iranico *nāw-
Armeno mēg "nebbia" - Proto-iranico *maiga-
Armeno mēz "orina" - Proto-iranico *maiza-
Armeno sar "testa" - Proto-iranico *sarah-
Armeno ayrem "bruciare" - Proto-iranico *Haid-
Armeno mēg "nebbia" - Proto-iranico *maiga-
Armeno mēz "orina" - Proto-iranico *maiza-
Armeno sar "testa" - Proto-iranico *sarah-
Armeno ayrem "bruciare" - Proto-iranico *Haid-
Anche nelle lingue Pama-Nyungan, che costituiscono gran parte delle lingue aborigene australiane, si notano tanti e tali casi di sospetti prestiti, da spingermi a pensare che il gruppo linguistico in questione possa non essere valido. Gli idiomi in questione hanno così poche innovazioni fonologiche che il riconoscimento dei prestiti si presenta davvero complesso - se non impossibile. Aggiungerò un esempio che ho potuto trovare nel corso dei miei vagabondaggi nel Web (Alpher, 2004). La radice proto-Pama-Nyungan *ngulu- dovrebbe significare "fronte". In una moltitudine di lingue derivate troviamo parole che sarebbero ottimi derivati da tale radice, se non fosse per la varietà dei significati: "fronte", "faccia", "guancia", "testa", "nuvola", "tuono", "pene", "copulare", "primo", "presto", "suolo", "creta", "scogliera", "montagna", "cielo". Ciò implicherebbe una serie di slittamenti semantici a volte abbastanza discutibili, con buona pace di Alpher e di altri: è chiaro che alcuni dei significati sono difficilmente compatibili, anche se si potrebbe dire che la parola per "nuvola" venga da qualcosa come "fronte nuvoloso", mentre la parola per "pene" potrebbe essere da un equivalente aborigeno del nostro "testa di cazzo". Sarà, comunque non mi convince.
Nativizzazione dei prestiti
Quando una lingua contiene un cospicuo strato di prestiti da un'altra lingua, i parlanti bilingui possono sviluppare l'intuizione delle corrispondenze fonologiche tra i due idiomi, applicandole a parole prese a prestito di recente. Jacques discute due esempi di questo fenomeno, noto come nativizzazione dei prestiti:
1) Ci sono casi ove prestiti recenti dal finnico al Saami presentano corrispondenze indistinguibili da quelle del lessico ereditato, come barta "cabina", dal finnico pirtti, a sua volta dal russo dialettale pert' "un tipo di cabina", che mostra la stessa corrispondenza vocalica CiCi : CaCa della parola per "nome" (finnico nimi : Saami namma) e di altre simili. Ancora una volta, l'origine straniera della parola è una chiara indicazione che barta "cabina" non può aver subìto la serie di cambiamenti fonetici regolari che hanno portato dal proto-ugrofinnico *CiCi al Saami CaCa, e che invece la comune corrispondenza CiCi : CaCa è stata applicata al finnico pirtti.
2) La nativizzazione dei prestiti può occorrere tra lingue senza parentela genetica. Un chiaro esempio è il caso del basco e dello spagnolo (Trask 2000, Aikio 2006). Una corrispondenza ricorrente è quella tra spagnolo -ón e basco -oi in fine parola. Il protoromanzo *-one (< latino -ōnem) dà in spagnolo -ón. Tuttavia nei prestiti protoromanzi nel basco, questa uscita ha subìto la regolare perdita della *-n- intervocalica (un mutamento fonetico interno al basco): *-one ha dato *-oe e quindi -oi. Un esempio di questa corrispondenza è fornito dallo spagnolo razón e dal basco arrazoi "ragione", entrambi dal protoromanzo *ratsone, a sua volta dall'accusativo latino ratiōnem. Questa corrispondenza comune è stata applicata a prestiti recenti dallo spagnolo, come kamioi "camion" e abioi "aereo" (da camión e da avión risp.). Questo adattamento non ha giustificazione fonetica, visto che parole uscenti in -on sono attestate in basco, e può essere spiegato solo con l'iper-applicazione della corrispondenza -oi : -ón. È chiaro che in proto-basco all'epoca di Cesare non esistevano *kamione e *abione!
Posso citare altri casi. Un'anziana cugina di Milano, tumulata da tempo, in un'occasione disse: "L'altréer u tòlt un rüm inscì bun al süper", ossia "L'altro ieri ho preso un rum così buono al supermercato". Il termine rüm ha ricevuto la vocale bemollizzata -ü- /y/ a partire da corrispondenze come italiano muro - milanese mür; italiano culo - milanese cü; italiano venuto - milanese vegnü. Allo stesso modo supermercato è stato adattato in süpermercàa e quindi abbreviato in süper. Nel comune di Valmadrera mi capitò di udire l'anziano R., già all'epoca quasi decrepito e ormai defunto, dire menü per indicare il menù - inteso come lista di desiderata. Lì per lì rimasi basito. "Caspita", pensai, "sembra un vecchietto così poco istruito e conosce il francese". Subito dopo sentii che chiamava ÜSL /yzl/ la USSL (ossia Unità Socio-Sanitaria Locale: all'epoca le ASL avevano questo nome). Si trattava di nativizzazione dei prestiti, così spinta da intaccare persino le sigle pronunciate come se fossero parole. È chiaro che nel latino volgare diffuso in Insubria non esistevano *rūmu(m), *sūpperu(m) e *ūsle(m)!
Il problema delle lingue miste
Esistono casi di inapplicabilità del modello ad albero genealogico. Ciò accade quando una lingua risulta dalla fusione di due lingue tra loro mutuamente inintelligibili (non importa se siano o meno tra loro imparentate). In questi casi, il lignaggio della lingua ibrida dovrà essere rappresentato da due radici. Jacques riporta il caso del Michif, una lingua di contatto basata sul francese del Canada e sul Cree. I parlanti sono detti Métis e sono discendenti di franco-canadesi che si sono uniti in matrimonio con donne native Cree e di altre nazioni native come gli Ojibway. Un parlante Michif che non conoscesse altra lingua, non sarebbe in grado di comprendere né il francese né il Cree. I sostantivi sono in prevalenza presi dal francese. I verbi e la grammatica sono invece per lo più di origine nativa, a parte i verbi "essere" e "avere", presi dal francese con tutta la loro coniugazione irregolare. Nell'articolo sono riportate due frasi, con le parole di origine francese in grassetto:
1) o-pâpa-wa êtikwenn kî-wîkimê-yiw onhin la fâm-a "suo padre evidentemente ha sposato quella donna".
2) stit=enn pchit orfelin "lei era una piccola orfanella".
2) stit=enn pchit orfelin "lei era una piccola orfanella".
Numerose altre frasi in questa lingua possono essere raccolte nel Web, con un po' di pazienza. Jacques, sconsolato, afferma che "l'applicabilità del modello ad albero genealogico su scala globale dipende in modo cruciale dalla rarità di lingue come il Michif". La vedrei in un modo un po' meno drammatico. In qualsiasi modo si formi una lingua, a partire dalla sua piena definizione, la sua evoluzione è in ogni caso descritta da un albero, quali che siano le sue radici. Questo perché appena qualcuno la parli, la lingua prende ad evolvere naturalmente, cambiando, dando vita a nuove varietà, prendendo a prestito parole da altre lingue, etc. Anche se una lingua nuova fosse creata da uno stregone che porta agli uomini la voce degli Spiriti, nel momento in cui cominciasse a essere la lingua parlata da un gruppo, diverrebbe una lingua naturale ed evolverebbe dando origine a lingue discendenti, a diramazioni.
Mi sono imbattuto in questo blog in modo quasi casuale. Ho trovato articoli di grandissimo interesse (in particolare quelli di linguistica storica). Vorrei prendere contatto con l'autore per chiedergli se sia possibile "riprendere" parte del materiale per il sito che curo da tanti anni, www.centrostudilaruna.it. Il sito ospita una sezione (un po' eterogenea) di studi indoeuropei.
RispondiEliminaCiao Alberto, benvenuto in questo spazio! Sono l'autore della maggior parte degli articoli: quando si tratta di contributi altrui è segnalato in calce. In particolare sono miei i post di linguistica storica. Certo, è possibile riprendere il materiale, indicando l'autore e i link. Grazie di tutto, a presto!
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