venerdì 12 giugno 2020

 
COBRA VERDE

Titolo originale: Cobra Verde
Paese di produzione: Germania Ovest
Anno: 1987
Lingua: Tedesco, Ewe   
Durata: 111 min
Genere: Avventura
Regia: Werner Herzog
Soggetto: Bruce Chatwin (dal romanzo Il viceré di Ouidah)
Sceneggiatura: Werner Herzog
Produttore: Lucki Stipetić
Produttore esecutivo: Walter Saxer, Salvatore Basile
Fotografia: Viktor Růžička
Montaggio: Maximiliane Mainka
Musiche: Popol Vuh
Scenografia: Ulrich Bergfelder
Costumi: Gisela Storch
Interpreti e personaggi:
    Klaus Kinski: Francisco Manoel da Silva/Cobra Verde
    King Ampaw: Taparica
    José Lewgoy: Dom Octavio Coutinho
    Salvatore Basile: Capitano Fraternidade
    Peter Berling: Bernabé
    Guillermo Coronel: Euclides, il taverniere nano
    Nana Agyefi Kwame II: Re Bossa Ahadee
    Nana Fedu Abodo: Yovogan
    Kofi Yerenkyi: Bakoko
    Kwesi Fase: Kankpé
    Benito Stefanelli: Capitano Pedro Vicente
    Kofi Bryan: Messaggero del Re Bossa
    Carlos Mayolo: Governatore di Bahia 
    Marcela Ampudia: Bonita
    Maria Elvira Chavez Mejia: Wanderleide
    Luz Marina Rodriguez Molina: Valkyria
    Awudu Adama
    Ho Ziavi' Zigi Cultural Troupe: Coro di ragazze danzanti
Doppiatori italiani:
    Dario Penne: Francisco Manoel da Silva/Cobra Verde
Location:
    Colombia (Villa de Leyva, Valle del Cauca), Brasile, Ghana
Colonna sonora:
   Cobra Verde è il sedicesimo album dei Popol Vuh (1987).
   Contenuto:
   1. Der Tod des Cobra Verde (4:35)
   2. Nachts: Schnee (1:51)
   3. Der Marktplatz (2:30)
   4. Eine andere Welt (5:07)
   5. Grab der Mutter (4:30)
   6. Die singenden Mädchen von Ho, Ziavi" (Zigi Cultural
       Troupe Ho, Ziavi) (6:52)
   7. Sieh nicht überm Meer ist's (1:26)
   8. Hab Mut, bis daß die Nacht mit Ruh' und Stille kommt
      (9:32)
   2006 bonus track
      OM Mani Padme Hum 4" (Piano Version) (5:28)
   Compositore: Florian Fricke (tranne il coro danzante)
 
Trama: 
Una siccità spaventosa colpisce il Sertão, una desolata regione del Brasile, uccidendo il bestiame del fattore Francisco Manoel da Silva. L'uomo biondo e segaligno si trova costretto a lavorare come garimpeiro in una fangosa miniera d'oro, una specie di girone infernale a cielo aperto. Quando il padrone lo priva della paga, Da Silva insorge e lo uccide. Si rifugia quindi nella foresta, dove assume il nome di Cobra Verde (ossia "Serpente Verde") e diventa un temutissimo bandito che semina il terrore nel Sertão. Durante una visita in una città, assiste alla fustigazione di un mandingo. Un compagno dello schiavo legato al palo cerca di fuggire, ma incontra lo sguardo truce e gelido del Cobra Verde, che con la sola forza di volontà lo convince a ritornare al luogo della punizione e a sottoporsi alle frustate. Dom Octávio Coutinho, un proprietario terriero, è testimone dell'accaduto e ne resta profondamente colpito: dice quindi al bandito biondo che gli servono uomini come lui e gli propone di fare il guardiano degli schiavi che lavorano nelle sue piantagioni di canna da zucchero. Cobra Verde accetta l'incarico, pensando bene di nascondere la propria problematica identità di fuorilegge. Per un po' tutto sembra filare liscio. I guai iniziano per via di un fatto oltremodo singolare: l'uomo manifesta una strana reazione alla vista dei corpi femminili, caratterizzata da inturgidimento dei corpi cavernosi e da sommovimento dei dotti seminali, accompagnata da impellente necessità di eiettare lo sperma a contatto con l'oggetto del desiderio. Accade così che Cobra Verde, già noto per essere un infaticabile montatore, particolarmente arrapato dalle donne di colore, si lascia sedurre dalle figlie mulatte di Dom Coutinho, possedendole carnalmente e ingravidandole tutte. "Tanto non ho niente da perdere", dice tra sé e sé prima di iniziare a penetrare quel ben di Dio. Secondo le costumanze barbariche di quel contesto, Dom Coutinho avrebbe potuto far uccidere all'istante il seduttore delle sue figlie - che ormai gli ha rivelato la propria identità banditesca. Invece gli propone un affare lucroso ma pericolosissimo, sperando di provocarne così la morte. Francisco Manoel da Silva Verde è incaricato di recarsi in Africa, nel Regno di Dahomey, allo scopo di riaprire la rotta atlantica del commercio degli schiavi, forzando il blocco navale imposto dagli Inglesi. Gli concedono l'apposita patente di mercante di esseri umani e gli aprono un conto in banca, in cui saranno depositati i proventi del suo lavoro. Arrivato in Dahomey, il Re Bossa Ahadee lo riceve e si lascia da lui convincere a riprendere le forniture di schiavi; gli concede anche di prendere possesso della roccaforte portoghese di Elmina, abbandonata da tempo, facendone la propria residenza. Tra quelle mura il brasiliano trova Tarapica, un robusto Yoruba libero, unico superstite della precedente spedizione. I due diventano subito soci e riescono con successo a restaurare la rotta atlantica, inviando carichi di schiavi in Brasile. La loro fortuna dura poco: il Re Bossa, che è mentalmente instabile, accusa Da Silva di un gran numero di crimini fantomatici, tra cui l'avvelenamento del levriero reale. La condanna è la pena di morte per decapitazione. Accade l'insperato: il nipote del sovrano fa rapire nottetempo Da Silva e Tarapica, pensando di utilizzarli in un complotto. Il suo intento è infatti quello di rovesciare Re Bossa e di salire al trono. L'impresa ha qualcosa di eroico. L'uomo venuto dal Brasile addestra un esercito di donne gerriere, riuscendo col duro impegno nel suo intento di portate a compimento la Rivoluzione. Le cose però non vanno come si attendeva. Non appena il tiranno è stato abbattuto, il nuovo Re abbandona chi gli ha permesso di ottenere la vittoria. La vita di Da Silva è sconvolta da una ferale notizia: la schiavitù è stata abolita dal Brasile. Il suo conto in banca è stato confiscato. Non gli rimane più alternativa. Non può ritornare nella sua terra d'origine, dove lo aspetta la forca. Ammesso e non concesso che riesca ad arrivarci, visto che l'Inghilterra ha messo una taglia sulla sua testa. I suoi sogni sono annientati: le sue ultime forze le impiega nel vano tentativo di mettere in mare una grossa barca senza remi e senza vela. 
 

Incipit: 

"La madre di Francisco Manoel sospira,
Francisco, sento tanto dolore, ho paura.
La madre di Francisco Manoel sta gridando.  
La siccità è durata per quasi dodici anni,
Son malate le pietre, il mondo sta finendo,
E se soffri t'inganni.
Io ora morirò. Fa' piano, questa panca per tristezza si spezza.
Non muoverti, sta' fermo.
L'alba, la terra, l'acqua stan diventando nere.
Dio perplesso fa finta che sia il suo volere.
Francisco nel suo viaggio legge un verso del cielo,
Non fissare lo sguardo al sabbioso orizzonte, alla spiaggia salata,
Non chiedere ragioni, non indagare il torto: inutili questioni.  
Il Fato ti riserva questo regalo antico,
Ti manderà un'amante, ti manderà un amico."

Recensione: 
Le febbrili vicende narrate dalla pellicola hanno come epilogo l'annichilimento del protagonista, che in ogni istante della sua esistenza terrena ha lottato invano contro quell'orrida e plumbea cosa chiamata "realtà". Un uomo deformato dalla poliomielite procede sulla battigia, con andatura quadrupede. La sua figura distorta e sofferente sembra il sigillo geroglifico dell'avventura fallimentare di Cobra Verde, quasi il sardonico e beffardo commento delle spaventose forze che muovono il Destino. Nelle originali intenzioni del regista, Francisco Manoel da Silva sarebbe dovuto morire affogato mentre cercava di far scivolare tra le onde la pesantissima imbarcazione. La morte sarebbe stata per lui la fine dei tormenti della vita, ma non avrebbe aggiunto nulla alla narrazione. Egli appartiene a quella specie di uomini che non si sentono a loro agio da nessuna parte. 
 
"Come descrivere questa mia stupida esistenza? Come dire quanto sia triste e solitaria, senza famiglia, senza amici? Il solo uomo bianco in questo paese, forse nell'intero continente. Intanto sono diventato padre di 62 bambini, ma questo non mi procura alcuna soddisfazione. Può darsi che l'anno prossimo io possa tornare, e sposarmi. Vorrei vivere nella terra del ghiaccio e della neve. Ovunque, purché sia lontano da qui. Il caldo è crudele e non dà tregua, ti scorre dentro il corpo come una febbre. Eppure, nonostante ciò, il mio cuore si fa ogni giorno più freddo." 
 
Quando si è in Brasile, l'Africa è una terra utopica. Quando si arriva in Africa, il Brasile è il Giardino dell'Eden.  
 
 
Visioni apocalittiche 
 
Fortissimo è il tema herzoghiano della decadenza cosmica, che pochi sembrano aver notato. Il bandito Cobra Verde giunge in una città, suscitando il terrore della popolazione, Si scatena un fuggi fuggi generale, tutti corrono a nascondersi, urlando in preda alla disperazione. Un bambino cerca di trasportare un barile facendolo rotolare, poi vi rinuncia. Nella piazza, piena di sporcizia, una scrofa brunastra grufola oscenamente mentre viene montata con fatica da un magro verro grigio chiazzato di bianco. La prima volta che ho visto il film ho avuto una distorsione percettiva: ai miei occhi quel verro è sembrato un cane! Solo guardando con attenzione ho potuto capire che quello non era un atto di bestialità tra specie diverse. C'è un altro dettaglio degno di nota, non facile a stamparsi nella memoria perché l'azione accade in pochi secondi: è in corso un funerale e qualcuno ordina a gran voce di riportare la bara indietro nella chiesa. Il prete, colto dal marasma e oppresso dai paramenti sgargianti, si affretta a salire le scale da cui era appena sceso, inseguendo il feretro. I partecipanti lo imitano prontamente, accalcandosi e incespicando, come se si fossero defecati nelle brache!  

La Venere Nera 

Spicca una scena surreale di altissimo valore simbolico. Cobra Verde raggiunge una regione selvosa in cui sorge lo scheletro di una grande chiesa in rovina. A un certo punto passa un convoglio di schiavi e di asini, con molti bagagli. In due reggono una portantina velata di bianco. Il bandito spara e mette tutti in fuga. Poi urla: "Il danaro o la vita!" Dalla portantina esce una Venere Nera, coperta di un lungo velo bianco. La donna prosperosa risponde con voce sensuale: "La vita!" Avanza con movenze languide, mimando una danza erotica, quindi si getta tra le braccia dell'uomo. I due si conoscono e sono amanti. L'uomo percorre molte miglia a piedi ogni giorno per potere incontrare la Venere Nera. È scalzo e afferma di non potersi fidare delle scarpe. Non si fida nemmeno di un cavallo, proprio come non si fida della gente. "La sola cosa che voglio è andare via di qui verso un altro mondo", aggiunge. Non ha la benché minima idea delle delusioni che lo attendono.   

 
La poesia del Taverniere Nano 

In questo film trova spazio una delle più bizzarre ossessioni di Herzog: la tematica nanesca! Già il bambino che spinge il barile desta qualche sospetto, in quanto non ci si riesce a togliere dalla mente l'idea che sia in realtà un nano. Poi, quando Cobra Verde entra nella locanda, vediamo che il suo gerente è un autentico nano. Per la precisione, è affetto da nanismo ipofisario (infatti è abbastanza ben proporzionato nelle membra). Il taverniere si presenta: il suo nome completo è Euclides Alves da Silva Pernambucano Wandereley. Il bandito nota subito il cognome Da Silva. Non è improbabile che i due siano lontani parenti. Euclides ha un'innata vena poetica e lo dimostra subito: "Soltanto la mia schiena e il mio torace sono deformi. La notte sogno di trasportare un'intera catena di montagne sulle mie spalle." Cobra Verde ne è subito ammirato. "Hai più fegato tu di tutta questa città", commenta. Euclides gli porta da mangiare, con ogni probabilità riso e fagioli. Il fuorilegge resta fino a notte fonda a farsi una bella bevuta di acquavite di canna, e nel frattempo ascolta con grande interesse. Riporto il dialogo:      

Cobra Verde: "Come fai a sapere tante cose?"
Euclides: "Le so dal nostro prete, e lui le ha imparate dal nostro vescovo." 
Cobra Verde: "E da dove viene la neve?" 
Euclides: "Aah! Puoi vederla tu stesso, viene giù dalla luna. C'è tanta neve sulla luna. È per questo che la vedi così bianca. Bianca e fredda. Se guardi con attenzione la vedi." 
Cobra Verde: "Come succede?" 
Euclides: "Beh, ecco, la luna tira su l'acqua che le serve dall'oceano e poi, quando arriva la notte, le cime delle montagne attraggono i fiocchi di neve. Dentro la neve c'è del sale, ma solo tanto quanto ce n'è nelle nostre lacrime." 
Cobra Verde: "E dove si trova?"
Euclides: "Oh, molto, molto lontano. Devi andare verso ovest. Ci vogliono quattro anni a dorso di cavallo e dieci a piedi. E alla fine del viaggio troverai delle grandi, grandi montagne, che si innalzano sempre più alte, fino a raggiungere le nuvole, e quando avrai raggiunto le nuvole, allora là troverai la neve. La neve cade solo durante la notte, e viene giù leggera come le piume, ed è la luna a mandarcela e ce la manda giù attraverso le nuvole. E quando arriva, è come se l'intero mondo diventasse leggero, come il cotone. Soffice e leggero. E allora anche i leoni diventano bianchi, e anche le aquile reali. Tutto si avvolge in un candido mantello e non capisci più dov'è l'inizio e dov'è la fine. E quando cammini in mezzo alla neve, i tuoi piedi non pesano assolutamente niente. E i fiocchi ti girano intorno, ti accarezzano, ti sfiorano leggeri, come piume di uccelli."
Euclides (dopo una pausa): "Fra un anno o due venderò questa locanda, andrò ad ovest e mi arrampicherò in cima a quella montagne!"  
Cobra Verde: "Io andrò verso il mare. Il Sertão inaridisce i cuori e uccide il bestiame." 
Euclides: "Quando arrivi al mare fai molta attenzione. Perché è da lì che nascono gli uragani, e anche i fiocchi di neve. Almeno così ti ci eleveranno padre!" 
Cobra Verde (stringendo la mano ad Euclides): "Non ho mai avuto un amico in tutta la mia vita. Addio amico!"  

Tutto questo è puro genio! È struggente! Una visione utopica della neve e del gelo.   
 
Zucchero insanguinato  
 
La lavorazione della canna da zucchero è lunga e complessa. Richiede grande cura ed esperienza, oltre alla dura fatica. Dom Coutinho ne illustra per sommi capi le varie fasi. A un certo punto Cobra Verde è testimone di un fatto orribile. Uno schiavo mandingo rimane con un braccio intrappolato in un ingranaggio. Un suo compagno è costretto a recidere l'arto servendosi di un machete. Il fatto è ritenuto pura e semplice quotidianità. È ritenuto normale. Quindi irrilevante. Eppure all'improvviso siamo messi di fronte a una tremenda verità: in questo mondo tutto è insanguinato, persino lo zucchero!  

 
Il concetto di razza in Brasile 

Nel Profondo Sud degli States, nella Confederazione, bastava una goccia di sangue africano per fare di una persona un "negro". Anche se il suo aspetto era in tutto e per tutto quello di un bianco. Ricordo vagamente un film in cui una divina attrice, credo che fosse Ava Gardner, si trovava ad essere considerata una "negra" perché nelle sue vene scorreva un ottavo o un sedicesimo di sangue nero. In Brasile è in vigore un concetto completamente diverso, fondato sul fenotipo anziché sull'interezza del corredo genetico. In altre parole, una persona è classificata come preto "nero", pardo "mulatto" (alla lettera "marrone, bruno") o branco "bianco", non tanto per via dei suoi ascendenti, bensì del suo mero aspetto fisico, della sua apparenza. Quindi una persona con un ottavo o con un sedicesimo di sangue nero è considerata bianca a tutti gli effetti. Le interazioni tra queste parti della popolazione seguono dinamiche complesse e difficilmente comprensibili. Solo per fare un esempio, di solito gli uomini pardos cercano di sposare una moglie bianca o comunque dalla pelle più chiara della propria. Il personaggio di Manoel Francisco da Silva ci mostra uno schema di comportamento molto diverso: egli è un uomo dai caratteri somatici nordici, che potrebbe essere un discendente dei Goti, ed ama possedere carnalmente un gran numero di donne nere o mulatte - tanto che ci si potrebbe anche chiedere se in vita sua abbia mai conosciuto una bianca. In Brasile è una pratica comune e radicata viaggiare in lungo e in largo, intrattenere relazioni occasionali con donne sconosciute e ingravidarle, senza che la cosa comporti biasimo sociale. Le realtà di quella terra sono incredibili e varie. Pochi sanno che la Confederazione continua a vivere nel comune di Americana (Stato di San Paolo), dove la Bandiera Ribelle è tuttora molto venerata dai discendenti degli esuli giunti dopo la fine della Guerra di Secessione. Ebbene, non di rado si vedono persone di colore portare con orgoglio il vessillo dei Confederati! 

Anacronismi e altre incongruenze 

La vicenda di Cobra Verde inizia verso il 1880 e si conclude esattamente nel 1888, anno in cui avvenne la definitiva abolizione della schiavitù nell'Impero del Brasile. Il Re del Dahomey, Bossa Ahadee, è vissuto in realtà un secolo prima degli eventi narrati nel film: noto anche come Tagbesu (Tagbessou), regnò dal 1740 al 1774. Negli anni in cui è ambientata la pellicola regnava invece Glele (Glèlè), detto anche Badohou, che morì nel dicembre del 1889.   
 
Sono stato colpito dall'insegna della taverna il cui gerente è il nano Euclides: riporta la scritta "BAR RESTAURANTE". Una scritta che suona molto moderna. Sappiamo che la parola "bar" nella sua attuale accezione era già in uso nel mondo anglosassone, eppure mi sembra strano che fosse già stata importata in Brasile sul finire del XIX secolo. Probabilmente è un insidioso anacronismo di cui Herzog non si è accorto. Può anche darsi che io mi sbagli, sarebbero necessarie ricerche approfondite che esulano dallo scopo di una recensione e che richiederanno una trattazione in altra sede.
 
Nel paese africano notiamo la presenza di abbondanti fichi d'India (nome scientifico: Opuntia ficus indica), cosa un tantino singolare. Non ho approfondite conoscenze di botanica storica che mi permettano di dire se tale specie è attecchita in Africa. Sappiamo che è ben acclimatata in Sicilia, così potrebbe anche darsi che fosse presente nel Dahomey sul finire del XIX secolo. Quando ho appreso che il film è stato in parte girato in Colombia, lì per lì ho pensato che l'incongruenza potesse avere questa origine. Sembra tuttavia che le scene ambientate in Africa non siano state girate in Sudamerica, bensì in Ghana, così il problema persiste. 

Ricorre un errore geografico abbastanza marchiano. Mentre il Regno di Dahomey si trovava in quello che oggi è chiamato Benin, il forte portoghese di Elmina sorge nel territorio del Ghana, a oltre 500 chilometri dalla capitale del Re Bossa. Per raggiungerlo è necessario andare dal Dahomey verso occidente, cosa che Francisco Manoel da Silva non avrebbe potuto fare con una semplice passeggiata. 
 
Il fratacchione paraninfo 

La religione del Dahomey era il culto Voodoo (Vodun). Un pingue missionario si trova a corte da tempo, ma i suoi tentativi di ottenere conversioni alla Chiesa Romana si sono sempre dimostrati pressoché inutili. L'ecclesiastico, vagamente somigliante a un Bud Spencer semicalvo, invecchiato ed incattivito, vestito con un saio bianco, ha approfittato dell'ospitalità del Re Bossa per spargere il proprio seme in un gran numero di ventri femminili fecondi, generando così tanti figli da rendere difficile la conta. In particolare le figlie le fa prostituire senza scrupolo alcuno: in poche parole è un pappone della peggior specie. Nessuno mette in dubbio il suo fervore religioso, che però non impedisce interpretazioni a dir poco bizzarre delle dottrine eucaristiche cattoliche: quando sta distribuendo la comunione ai suoi pochi parrocchiani, non esita a dare l'ostia in bocca a una capra maculata!  
 
 
Il viceré di Ouidah  
 
Bruce Chatwin scrisse un lungo e complesso romanzo, intitolato Il viceré di Ouidah (prima edizione: 1980), pubblicato in Italia da Adelphi (1983). Werner Herzog ha comperato dallo scrittore i diritti cinematografici sull'opera, in modo tale da poterne trarre ispirazione per il suo film. La trama del romanzo in questione è per necessità molto più elaborata di quella di Cobra Verde: moltissimi dettagli e sviluppi narrativi non sono stati trasposti in pellicola. L'opera di Chatwin all'epoca fu considerata "eccessivamente violenta" e "barocca" dai soliti critici radical chic pieni di nauseante buonismo politically correct. L'ispirazione venne allo scrittore nel corso di una sua visita in Benin, in un periodo molto difficile di torbidi politici. La figura di Francisco Manoel da Silva è ispirata a quella di Francisco Félix de Sousa (scritto anche Souza), un negriero vissuto agli inizi del XIX secolo. Nato a Bahía nel 1754, morì a Ouidah nel 1849, alla venerabile età di 94 anni. Era riuscito a diventare il Viceré (chacha) del Regno di Dahomey. È stato definito "il più grande mercante di schiavi". Pochi sanno che i suoi discendenti, che portano il suo cognome, sono tuttora tra le famiglie più potenti dell'intera Africa, se non addirittura la più potente. Si trovano in Benin, Ghana, Togo e Nigeria. Una cosa sorprendente salta subito agli occhi: mentre Francisco Félix de Sousa somigliava un po' a Garibaldi ed era biondiccio, i suoi discendenti sono tutti neri. Non è così difficile comprenderne il motivo: il Viceré ebbe un harem di donne native e fu padre di un'ottantina di figli. Fu sepolto in un santuario della religione Vodun, che praticava assiduamente nonostante l'adesione di forma alla Chiesa Romana. 
 
Il Dahomey e le sue responsabilità 
 
Appare subito evidente che l'origine del concetto di regalità nelle culture dell'Africa subsahariana ha avuto origine nell'Egitto dei Faraoni. Il Re del Dahomey era considerato una divinità sulla terra. La sua vita era regolata da strani tabù. Ad esempio gli era vietato guardare il mare. Quando il Re Bossa Ahadee finisce detronizzato, viene murato vivo con le sue mogli nella sua estrema dimora-tomba. Pur votate alla morte, le donne si occupano di praticargli una specie di eutanasia. Pochi sembrano considerare una dato di fatto: i regni africani erano società guerriere che praticavano la schiavitù. Il Dahomey era in perenne guerra con gli Egba e ne traeva un gran numero di schiavi, che poi venivano venduti al Brasile e ad altre nazioni. I regni africani erano i principali fautori del mercato di esseri umani. Migliaia di prigionieri finivano incatenati in orrendi pozzi. In fondo tutto ciò è abbastanza coerente, dato che la schiavitù è stata pratica comunissima dovunque per millenni e nessuno pensava come una persona del XXI secolo. I fanatici attivisti del buonismo politically correct si rifiutano di considerare queste cose, perché il loro intento è quello di riscrivere la Storia secondo i propri desiderata ideologici. Non esiste qualcosa di simile all'uomo nero innocente da contrapporre all'uomo bianco perverso e maligno: Homo sapiens è dominato dalla schizofrenia. Come diceva l'Ispettore Derrick, umano e disumano possono convivere in ognuno di noi.

 
Il coro danzante
 
Ho incontrato non poche difficoltà per identificare la lingua del coro di ragazze danzanti che cantano alla fine del film, mentre scorrono i titoli di coda. Già in una sequenza le si era viste ed erano presentate dal corrotto fratacchione come il suo "coro di monache". Sono partito dal nome del gruppo, Ho Ziavi' Zigi Cultural Troupe, per arrivare al suo luogo di origine, che è Ziavi, nel distretto di Ho, in Ghana. Ho poi trovato nel Web materiale che mi ha permesso di risalire alla lingua delle canzioni. Si tratta della lingua Ewe, appartenente al ceppo Gbe. È parlata in Ghana e in Togo da più di 3 milioni di persone. Allo stesso ceppo appartiene anche la lingua Fon, anche detta Fon-gbe, parlata in Benin, Togo e Nigeria da circa 1,5 milioni di persone. Il Fon era proprio la lingua ufficiale del Regno di Dahomey. 
 
Curiosità 
 
Lo schiavo rimasto con un braccio intrappolato e spappolato in una macchina è stato interpretato da un attore mutilato, che portava una protesi. Girare la scena è stato quindi molto semplice: il braccio finto finito tra gli ingranaggi della pressa ha dato l'impressione di un incidente reale! 
 
Il produttore ha suggerito a Herzog di impiegare attori afroamericani per i ruoli delle persone di colore, ma lui si è rifiutato in modo categorico e ha voluto reclutare professionisti africani locali. Una scelta che approvo appieno.
 
La parte del film ambientata in Africa è stata girata per prima, in quanto è stata ritenuta più complessa e difficile. La parte ambientata in Brasile è stata girata subito dopo. La città in cui Cobra Verde sparge il terrore è ben riconoscibile: è Villa de Leyva, in Colombia. Si riconoscono subito i suoi edifici in stile coloniale. Herzog ha dimostrato la propria maestria riuscendo a rappresentare un'atmosfera di disfacimento che manca nel borgo attuale. 

Nel 1994 nacque a Cleveland (Ohio) il gruppo musicale Cobra Verde, post-punk e hard rock, tuttora attivo. La sua denominazione trae chiaramente origine dal film herzoghiano. Il primo album pubblicato ha un titolo molto suggestivo: Viva la Muerte.
 
 
L'epilogo 
 
Questo è stato il quinto e ultimo film in cui Werner Herzog ha diretto Klaus Kinski, dopo Aguirre furore di Dio (1972), Nosferatu - Il principe della notte (1979), Woyzeck (1979) e Fitzcarraldo (1982). Spesso i recensori insistono nel chiamare Kinski "attore-feticcio" di Herzog. Non so da dove questa bislacca denominazione abbia tratto la sua origine, fatto sta che il rapporto tra i due non è mai stato semplice. Sembra che all'origine della rottura ci sia stato un episodio di aggressione fisica. Il biondo e intemperante attore a quanto pare si lanciò contro il regista tentando di strangolarlo. Una foto molto diffusa nel Web ci mostra lo scatto dell'aggressore, gli occhi pieni di odio e il volto stravolto dalla possessione diabolica. Non ci sono dubbi: Kinski era un uomo con più di un aspetto, per usare un modo di dire comune tra i Vichinghi. In altre parole, egli era un genuino berserk. Guardando la foto, comprendiamo all'istante il significato della locuzione "avere il verme negli occhi", che descriveva i guerrieri invasati. Al culmine del suo dispotismo, il bizzoso attore pretese che Herzog rimuovesse il direttore della fotografia, Thomas Mauch, che aveva collaborato ai suoi film fin dal principio. Mauch fu sostituito, ma lo stesso Kinski non comparve in altri film herzoghiani. In seguito il regista descrisse il suo rapporto con lui nel film documentario Kinski, il mio più caro nemico (1999).

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