lunedì 10 agosto 2020

I GARAMANTI, UN POPOLO MELANOLIBICO

I buonisti fautori del politically correct cercano di cancellare il passato facendo becero revisionismo, impegnandosi con ogni mezzo per far passare per verità cose che sono soltanto crasse e sudicie bugie. Ogni tanto salta fuori da qualche angiporto un decostruzionista postmoderno con una folle idea da imporre, pena essere considerati "razzisti" o addirittura "suprematisti bianchi". Così accade qualcosa di portentoso: in quel che resta della Settima Arte, Achille, Heimdall e Anna Bolena diventano nativi dell'Africa subsahariana. Secondo alcuni "studiosi", l'Impero Romano sarebbe stato retto da persone dalla pelle più scura del carbone e del fumo delle fucine. A detta loro sarebbero stati neri persino Romolo e Remo. Non ci sono limiti a questa bramosia di riscrivere la realtà. Andando avanti di questo passo, faranno un film sul III Reich in cui Heinrich Himmler sarà ritratto come "colorato". 
 
Detesto la politica e ho in abominio i media che deformano anziché informare. Vediamo come stavano davvero le cose. Vediamo come sono documentate e cosa possiamo dedurne. Nell'Antica Roma le persone che oggi sono chiamate "di colore" erano considerate simili alle ombre del Tartaro. Il loro colore della pelle e i loro tratti somatici erano associati a Caronte e all'Ade. Non siamo di fronte a quello che i moderni chiamano "razzismo", perché non esistevano le stesse categorie concettuali, eppure era un odio ancora più forte di quanto possiamo immaginare. Si pensava che i neri portassero sventura, dato il legame che veniva loro attribuito con gli Inferi. Durante una parata, Settimio Severo nel corso di una campagna in Britannia fece nascondere un militare di colore perché era convinto che fosse un sicuro presagio di sconfitta (Historia Augusta, cap. 22). Proprio quella Britannia che i giornalisti del Fuffington Post considerano un avamposto dell'Africa. Qualcuno fa notare che Settimio Severo era nato in Libia. Vero, ma la sua famiglia era di origine romana, anche se aveva adottato da tempo la lingua numidica. Non è lecito dipingerlo come un Obama del mondo antico! 

Ecco il testo dell'Historia Augusta, tanto per avere un'idea: 

Signa mortis eius haec fuerunt: ipse somniavit quattuor aquilis et gemmato curru praevolante nescio qua ingenti humana specie ad caelum esse raptum; cumque raperetur, octoginta et novem numeros explicuisse, ultra quot annos ne unum quidem annum vixit, nam ad imperium senex venit. cumque positus esset in circulo ingenti aereo, diu solus et destitutus stetit, cum vereretur autem, ne praeceps rueret, a Iove se vocatum vidit atque inter Antoninos locatum. die circensium cum tres Victoriolae more solito essent locatae gypseae cum palmis, media, quae ipsius nomine adscriptum orbem tenebat, vento icta de podio stans decidit et humi constitit; at quae Getae nomine inscripta erat, corruit et omnis conminuta est; illa vero quae Bassiani titulum praeferebat, amissa palma venti turbine vix constitit. post murum apud Luguvallum visum in Britannia cum ad proximam mansionem rediret non solum victor sed etiam in aeternum pace fundata, volvens animo quid ominis sibi occurreret, Aethiops quidam e numero militari, clarae inter scurras famae et celebratorum semper iocorum, cum corona e cupressu facta eidem occurrit. quem cum ille iratus removeri ab oculis praecepisset, et coloris eius tactus omine​ et coronae, dixisse ille dicitur ioci causa: "Totum fuisti, totum vicisti, iam deus esto victor". et in civitatem veniens cum rem divinam vellet facere, primum ad Bellonae templum ductus est errore haruspicis rustici, deinde hostiae furvae sunt adplicitae. quod cum esset aspernatus atque ad Palatium se reciperet, neglegentia ministrorum nigrae hostiae et usque ad limen domus Palatinae imperatorem secutae sunt.
 
Questi sono alcuni versi tradizionalmente attribuiti al poeta africano Publio Annio Floro (detto anche Lucio Anneo Floro o Giulio Floro, 70/75 d.C. - 140 d.C.), che descrivono uno schiavo nero come "feccia dei Garamanti": 
 
Faex Garamantarum nostrum processit ad axem
et piceo gaudet corpore verna niger,
quem nisi vox hominem labris emissa sonaret,
terreret visu horrida larva viros.
dira, Hadrumeta, tuum rapiant sibi Tartara monstrum:
custodem hunc Ditis debet habere domus. 

Traduzione: 
 
"La feccia dei Garamanti è giunta alla nostra parte del mondo e lo schiavo nero gioisce del suo corpo del color della pece,
terribile fantasma che spaventerebbe col suo aspetto, se solo il suono delle sue labbra non allontanasse gli uomini. 
Hadrumeta, lascia che l'oltretomba porti via questo mostro: egli dovrebbe far la guardia alla casa del Dio degli Inferi." 
 
Questi versi sono contenuti nell'Anthologia latina, un'opera composta verosimilmente nel VI secolo d.C.; il loro autore è denominato Floro. Non è scontato che si tratti proprio di Lucio Anneo Floro. Per alcuni i due autori sono ben diversi e quello dei versi sui Garamanti deve essere considerato ignoto. Se passiamo al contenuto, notiamo subito che il significato letterale di faex è "merda". Un insulto ben violento. Va detto che in ogni caso non esistevano lavori o incarichi per principio interdetti agli Africani dalla pelle scura. 
 
Dall'analisi delle fonti emerge un forte disprezzo misto a paura verso i Garamanti (in latino Garamantes, Garamantae, in greco Γαράμαντες). Eppure si parla di un popolo glorioso, che costruì un impero nel Sahara, caratterizzato da avanzate opere di ingegneria idraulica. I Garamanti erano considerati da un'antica tradizione gli inventori dell'apicoltura e con ogni probabilità anche dell'idromele, che di tale arte nobilissima costituisce il miglior frutto. Coltivavano uva, fichi, orzo e frumento, che costituivano la base della loro alimentazione. Lucio Cornelio Balbo li sottomise nel 69 d.C., per punire una loro spedizione contro Leptis Magna. Da allora furono clienti di Roma.  

 
Le fonti dell'Antico Egitto del Medio Regno ci parlano dei Libi come di un popolo dalla pelle chiara, con capelli rossicci. Questo non contraddice il fatto che i Garamanti avevano un aspetto molto diverso, come tra l'altro è ben attestato dall'iconografia di epoca romana. Esistevano popoli Leucolibici, con pelle, occhi e capelli chiari, e popoli Melanolibici, con pelle, occhi e capelli scuri. I Garamanti erano per l'appunto Melanolibici. La cosa piacerà molto poco ai fautori del politically correct, eppure la devo riportare: i neri Garamanti, che usavano i carri da guerra, davano la caccia ai Trogloditi, anch'essi scuri di pelle, li riducevano in schiavitù e ne facevano mercato, vendendoli ai Romani. La triste verità è questa: un sistema sociale complesso edificato in un ambiente sommamente ostile necessita di manodopera per poter sussistere. Si può capire con facilità che questa manodopera non può essere prestata volontariamente e con gioia, potendo essere soltanto il frutto di una feroce coercizione. 
 
Etimologia del nome dei Garamanti 
 
Ebbene, i Garamanti traevano il loro nome da quello della loro capitale, Garama (l'odierna Germa, 150 km a ovest di Sebha). Questo stanziamento aveva sostituito un nucleo abitato più antico, denominato Zinchecra, che comunque non era situato molto lontano. Il toponimo Garama trova corrispondenza nel proto-berbero. Nelle attuali lingue berbere è tuttora vivo il vocabolo iγerman "castelli, fortezze". Certo, questa radice potrebbe anche essere entrata in proto-berbero da una lingua perduta parlata in precedenza.  

L'antica lingua perduta dei Garamanti
 
Come ci ricorda Roger Blench (2014), sono note numerose iscrizioni attribuibili ai Garamanti. Sono scritte in caratteri berbero-libici, eppure soltanto poche sono comprensibili. Il perché è presto detto: sono redatte in una lingua non berbera. Si può ipotizzare che si tratti di una lingua nilo-sahariana, anche se potrebbe essere una lingua isolata e perduta. La traduzione delle iscrizioni dei Garamanti è stata indicata dallo stesso Blench come una priorità per il mondo scientifico. Purtroppo ho fondate ragioni di dubitare che il suo appello sarà raccolto. 
 
 
Epigoni 
 
I discendenti dei Garamanti sono le genti del Fezzan (in italiano anche Fasania), il cui aspetto è ben compatibile con quanto affermato dalle fonti antiche sopra esposte. La loro lingua è berbera. A quanto ho appreso su un manuale della lingua araba parlata in Libia (Griffini, 1913), nel Fezzan si produce una birra fatta coi datteri - o almeno la si produceva in tempi non troppo lontani dai nostri.

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