martedì 25 agosto 2020

 
IL GRANDE INGANNO DEL WEB 2.0
 
Autore: Fabio Metitieri
Anno: 2009
Genere: Saggio
Temi trattati: Web, blog, siti, media, giornalismo 
Lingua: Italiana
Editore: Laterza
Collana: Saggi tascabili Laterza (n. 322)
Codice ISBN-10: 8842089176
Codice ISBN-13: 978-8842089179
Formato: Copertina flessibile
Pagine: 182
 
Sinossi:
In un’Internet di massa, trovare ciò di cui si ha bisogno è sempre più difficile, ma ancor più difficile è valutarne l’attendibilità. È il prodotto dell’ideologia del Web 2.0 – quello di blog e social network – che preconizza la scomparsa degli intermediari dell’informazione, dai giornalisti alle testate di prestigio, dai bibliotecari agli editori, presto sostituiti dalla swarm intelligence, l’intelligenza delle folle: chiunque può e deve essere autore ed editore di se stesso. Il ‘mondo Web 2.0’, dove nessuno è tenuto a identificarsi e chiunque può diffondere notizie senza assumersene la responsabilità, realizza davvero un sogno egualitario, o piuttosto un regno del caos e della deriva informativa? 

Indice dell'opera:
 
Sommario
  La crisi dell'autorevolezza, fra l'ornitorinco e i lemming
  Imparare dagli errori per costruire un'intelligenza collettiva
  Istruzioni per la lettura e ringraziamenti
 
1. I nativi digitali come scoiattoli incapaci
  Quando tutto è Google
  I docenti contro i blog e contro il plagio
  Internet: strumento neutro o cattiva maestra?  
  Il copyright e le bufale: perché Internet non è onnisciente
 
2. Il Web 2.0 e gli user generated content
   Il Web 2.0: una brillante operazione di marketing
   Il negazionismo, i "flame" e i "barcamp"
   Il valore dei contenuti generati dagli utenti
 
3. La conversazione perduta dei blog
   La conversazione dai mercati ai blog, alle biblioteche
   Il successo dei blog e il fallimento dei bloggher
   Il desiderio di link e la piramide dei blog
   Un appunto sui veri Vib e su Beppe Grillo
   La conversazione nei media e la reputazione del villaggio
   Chi vuole distruggere l'idea comunitaria della Rete?
 
4. I dolori della stampa tradizionale e i new media
   La crisi della stampa e il fascino indiscreto del "rag"
   Ridurre i costi sfruttando gli Ugc
   Bloggher-giornalisti, new media e citizen journalism
 
5. Il caos che collabora: i wiki e le folksonomie
   Wikipedia e la resa delle enciclopedie
   L'anonimato, Knol e le folle di idioti
   Le folksonomie: i volatili tra gli zoologi e i cuochi
 
6. Le biblioteche, la filosofica open e i blog
   Le soluzioni 2.0 nelle biblioteche
   Gli "open archive": i blog degli accademici
   Validazione e valutazione negli open archive e nei blog
 
7. I difetti dei motori e i pregi delle persone
   Google, gli altri motori e il semantic web
   Le persone come fonti di informazione
   I social network e l'eccesso di socialità
 
8. Old media e new media allo sbaraglio
   Il racconto degli old media: Internet, Second Life e gli stupri
   Gli old media, i blog e il fallimento di Second Life
 
Conclusioni come valutare e come pubblicare
   L'infomation literacy, questa sconosciuta
   Valutare e pubblicare con giudizio (e con qualche metodo)
   Attrezzarsi per il Medioevo 2.0
 
Riferimenti bibliografici 

Recensione: 
 
Quando ho ordinato in libreria quest'opera, sono stato guardato male dalla commessa, che stupefatta ha farfugliato qualcosa come: "Ma è un contenuto datato!" La cosa le sembrava abbastanza scandalosa, neanche avessi ordinato un trattato sui processi digestivi dei mangiatori di feci o sulla diffusione dell'incesto tra madre e figlio. Non mi sono lasciato scoraggiare. Una settimana dopo mi è stato consegnato il volume, nella cui lettura mi sono presto immerso. Già conoscevo l'esistenza de Il grande inganno del Web 2.0: ne avevo reperito alcune recensioni e brani sparsi nella Rete, che mi avevano subito incuriosito. Per molto tempo avevo invano cercato di accedere a una copia in formato pdf, così alla fine mi sono deciso a optare per l'acquisto del volume cartaceo. Alcune ricerche mi hanno permesso di venire a conoscenza di alcuni importanti dettagli. L'autore era un giornalista ed è deceduto proprio nell'aprile del 2009, mentre era in corso la pubblicazione del libro in questione. Per quanto riguarda l'obsolescenza dei contenuti, mi sembra una questione di lana caprina: per indagare a fondo un fenomeno di capitale importanza è necessario consultare ogni fonte a disposizione, non soltanto i lavori più recenti. 
 
La visione che Metitieri ha del Web è cupa e in particolare si caratterizza per una forte ostilità verso la Blogosfera, che in parole semplici e pratiche è considerata alla stregua di un gigantesco immondezzaio. Già soltanto i titoli dei paragrafi del trattato sono tutt'altro che lusinghieri: i blogger sembrano dipinti non soltanto come coglioni, dementi, plagiari, parassiti e inquinatori, bensì come veri e propri soldati del Caos, consapevoli agenti dell'Entropia il cui fine è la distruzione di ogni punto di riferimento. In pratica siamo di fronte a una raccolta di osservazioni sparse, a tratti interessanti e a tratti tediosissime, inframmezzate da un pastone acido di contenuti a dir poco irritanti. Si capisce subito che l'oggetto della polemica non è un'astrazione, ma un avversario con un nome e un cognome: Giuseppe Granieri. Proprio lui, l'autore del saggio Blog Generation, pubblicato per la prima volta nel 2005. Metitieri applica molte volte la citazione (Granieri, 2005), più di rado (Granieri 2006), in pratica a ogni sorta di contenuti da lui ritenuti discutibili: Granieri confonde il Web con la Blogosfera, identifica i due concetti; Granieri afferma che la vecchia conoscenza, quella dell'epoca pre-Internet, sia obsoleta e vana; Granieri afferma che il blog è la storia intellettuale dell'individuo e che un individuo senza un blog è percepito come debole, etc. etc. Non che io abbia un'enorme simpatia per le tesi granieresche, però ho l'impressione che queste critiche a getto continuo nascondano un profondo livore personale.    

L'autore inizia la sua trattazione evidenziando tutti i limiti dei nativi digitali, la V Generation (dove V sta per virtual). Questi giovani, che non avevano mai conosciuto un mondo senza Internet, già confidavano nell'onnipotenza e nell'onniscienza di Google pur essendo incapaci di leggere lunghi testi on line. Abbastanza indigeste sono le continue geremiadi sull'inesorabile declino delle biblioteche cartacee, del mondo universitario e dei media tradizionali. Il tema centrale di queste lamentazioni bibliche è la crisi dell'autorevolezza, provocata dall'avvento del cosiddetto Web 2.0. A questa denominazione non è riconosciuta alcuna sostanza. In altre parole non si avrebbe alcuna differenza tra un Web 1.0 e una sua versione successiva, il Web 2.0: sarebbe tutto derivato da un equivoco comunicativo. Mi sarà permesso di dissentire. Il Web 1.0 era la Rete Solitaria, formata da una serie di pagine simili a vetrine, con i cui gestori era molto difficile interagire. La linea di demarcazione a mio avviso si è avuta quando hanno cominciato ad esserci intense comunicazioni tra utenti, proprio tramite la Blogosfera. 
 
Metitieri aveva forse un'opinione troppo elevata della professione che esercitata: la considerava come un ideale sublime per cui valeva la pena di combattere. Il nemico del giornalismo erano proprio i blog nel loro insieme. Lo stesso concetto di blog fin dall'inizio suscitava la furiosa reazione dei media tradizionali. Per molti giornalisti, i blog erano le membra informi di un colossale Moloch, che chiamavano "macchina del fango". Adesso che al desiderio di link è subentrato il deserto dei link, la polemica mostra segni di affievolimento.     

Riporto alcuni esempi che possono essere utili a illustrare ciò che intendo dire.
 
Nella migliore delle ipotesi, i Millennial erano ancora girini spermatici in nuoto nei testicoli paterni, quando Beppe Grillo inscenò uno sketch in cui Spadolini aveva un telefono mozzo con solo la parte audio, mentre all'altro capo della linea c'era Brezhnev con un altro telefono mozzo con soltanto il microfono in cui impartire ordini. Erano tempi non sospetti: Grillo era un comico e non esisteva il MoVaffaimento. Ecco, i media tradizionali sono come il telefono di Spadolini di grillesca memoria. Politicanti, giornalisti e presentatori parlano e i cittadini ascoltano, subiscono senza poter mai replicare. Una comunicazione verticale e unidirezionale. Nessun cittadino poteva nemmeno diffondere in modo efficace le proprie opinioni ad altri suoi simili: ogni cosa che venisse detta o scritta non arrivava da nessuna parte. 
 
In epoca pre-blog, un giornalista compose un articolo sull'omosessualità militare, cominciando a discorrere di Alessandro il Grande per passare poi a Röhm e a Mishima. Un interessante articolo, ma con un dettaglio di non poco conto. Il nome attribuito a Röhm era Eric anziché Ernst, sia nel testo che nella foto. Sono andato su tutte le furie e ho subito scritto una mail alla redazione, chiedendo che fosse pubblicata una rettifica dell'errore. Non ebbi alcun riscontro. Come doveva essere in epoca antecedente l'introduzione dell'email? Anche peggio. Questa è l'autorevolezza del giornalismo: non è garantita alcuna accuratezza delle informazioni, non si può interagire, non si può reagire alle stronzate, non si possono emendare errori marchiani, non si può comunicare in alcun modo. Si può soltanto subire, con buona pace di Metitieri. Tramite il Web tutti possono sapere che il tal giornalista ha scritto una stronzata. Tutti lo possono leggere. Forse non servirà a molto, ma qualche internauta prima o poi incapperà senz'altro nel testo e si renderà conto dell'accaduto.  
 
Anche l'accademia mostra problemi simili. Ho identificato diversi errori marchiani, talvolta sesquipedali, fatti da professori su alcuni loro testi. Facchetti, che pure è un ottimo etruscologo, ha fatto molti voli pindarici a partire da una parola greca tradotta in modo erroneo come "topi", mentre in realtà significa "mosca"; da questi roditori inesistenti ha dedotto un verbo col senso di "consumare". Pur avendo pubblicato un articolo sulla questione, non ho avuto nessun riscontro. Fattovich in un suo lavoro sull'antico irlandese ha tradotto erroneamente con "naviglio" una parola che significa "ombelico". Anche in questo caso, pur avendo reso pubblica la questione in un articolo sul mio blog, non ho avuto riscontro alcuno. Voglio credere che sia perché i miei lavori non sono stati indicizzati bene da Google, sfuggendo così all'attenzione. Altrimenti dovrei dedurre, visto che gli errori degli accademici citati sono rimasti al loro posto, che il ragionamento sia stato un "metitierismo" di questo genere: "Se una cosa è scritta su un blog, allora è merda e non vale nulla." Anche se è vera, oserei aggiungere. Eppure sono convinto che i miei articoli siano utili: prima o poi qualche internauta leggerà e trarrà le sue conclusioni. In fondo è anche colpa della mia accidia: avrei potuto scrivere una mail ai docenti per segnalare gli errori. Non l'ho fatto, ho preferito dare la possibilità di una discussione pubblica e costruttiva, impossibile ai tempi della civiltà del libro stampato. 
 
Concordo con Metitieri sull'importanza dell'information literacy, che è la capacità di reperire fonti (on line e off line) e di valutarle. Reputo tuttavia che la validazione dei dati reperiti nel Web non affatto così ardua come viene suggerito, anzi, è una sfida oltremodo interessante. Spesso si rimanda a contenuti cartacei informatizzati, ad esempio in Webarchive o altrove. La cosa può funzionare anche senza che ci sia un signore chiamato "bibliotecario", che magari non sa nulla dell'argomento trattato. La generalizzazione è stigmatizzata, spesso confusa con la più che legittima inferenza statistica. Quando però si parla dei blog, la generalizzazione è ritenuta lecita dai giornalisti. C'è la tendenza a non distinguere i singoli portali e le singole informazioni, come se valutandone una ne conseguisse in via diretta la valutazione di tutte le altre. Se 99 blogger su 100 sono superficiali e non considerano il problema delle fonti, questo non significa che tutti i blog siano automaticamente sterco, per definizione. Così non si può dire che se su un blog è presente un'inconsistenza, tutto ciò che vi è contenuto debba essere automaticamente inconsistente. 
 
Per i politici di ogni genere e di ogni nazione, la comunicazione tra i cittadini è una iattura, qualcosa di sommamente funesto. Solo per citare un caso, Erdoğan ebbe a dire che il Web è come un'autobomba. Da quando ho iniziato la mia attività nei blog su Splinder, ci sono stati decine di tentativi da parte di forze politiche varie, tutti volti a reprimere la Blogosfera, ad impastoiarla con i mezzi più elaborati e stravaganti. Hanno tentato di accusare i blogger di stampa clandestina. Hanno tentato di trasformare ogni blogger (anche il perditempo che parlava della diarrea dei gatti) in un giornalista iscritto a una specie di albo, con l'obbligo di assumere un redattore e un legale. Hanno tentato di punire in modo draconiano ogni contenuto blogosferico etichettabile arbitrariamente come "apologia di reato" o "istigazione": ci fu addirittura una proposta, per fortuna naufragata, che arrivava a prevedere pene fino a 12 anni di carcere. Hanno tentato di ostacolare i blogger servendosi del copyright, minacciando di oscurare senza l'intervento del giudice ogni portale che riportasse anche solo il titolo di un articolo di giornale o che mostrasse anche soltanto un'immagine presa dalla Rete. Hanno cercato di censurare i blogger imponendo un gravoso obbligo di rettifica, da applicarsi in tempi rapidissimi alla minima denuncia o segnalazione. La piattaforma blogosferica Splinder è stata acquistata soltanto per essere chiusa; nessuno potrà mai convincermi che i motivi della sua cessazione non fossero di natura politica. Tutto questo è accaduto in Italia, in quella che è considerata una delle democrazie più avanzate del pianeta. Ci si aspetta che cose simili siano tipiche dei paesi del terzo e del quarto mondo. Ci sono luoghi in cui i blogger finiscono finiscono incarcerati e torturati, addirittura macellati e appesi ai viadotti autostradali. All'epoca c'era il timore paranoico che presto o tardi in Europa si sarebbe potuto instaurare un regime autoritario che avrebbe liberato le galere dai criminali per riempirle di blogger. Faccio notare che Metitieri non ha menzionato nulla di tutto ciò, nulla di ciò che ha potuto vedere mentre era in vita.

Errori folksonomici 
 
L'autore critica il sistema di categorizzazione dei portali blogosferici, da lui etichettato come folksonomia (dall'inglese folksonomy). Lo contrappone al sistema di catalogazione dei volumi nelle biblioteche cartacee, facendo intendere che si tratta di un'attività nociva e apportatrice di marasma. Si capisce subito che il paragone è abusivo e insostanziale. A dire il vero, non avevo mai sentito usare quella strana parola prima di conoscere Il grande inganno del Web 2.0. Non si è mai parlato di folksonomie ai tempi di Splinder, soltanto di categorie e di categorizzazione. Esisteva anche un nome dato a queste etichette dei post, ossia tag. In alcune piattaforme blogosferiche esisteva l'identità tra categoria e tag, in altre si trattava invece di due concetti diversi. Ci terrò a precisare che le folksonomie sono raramente utili e danneggiano innanzitutto il blogger. Se si etichettano male i contenuti, si rischiano poi pesanti conseguenze nella loro indicizzazione da parte di Google. Non ho mai visto nemmeno un blogger animato dalla pretesa di organizzare i contenuti in una classificazione folksonomica basata su una logica rigorosa. Spesso la folksonomia è improvvisata e incoerente. L'accidia frena ogni tentativo di miglioramento. Trovo assurdo che Metitieri descrivesse questi sistemi di etichette come l'arrogante pretesa di rifondare la Scienza, quando è soltanto cazzeggio. Neanche si parlasse delle imprese di Linneo o di Darwin! 
 
Altre recensioni e reazioni nel Web 

L'internauta .mau. ha definito il saggio di Metitieri "Una voce fuori dal coro e molto interessante". Poi però ha aggiunto "peccato parli troppo dei blog". La Blogosfera è in buona sostanza considerata merda. Ecco un estratto in cui si spiega il concetto: 
 
Però a mio parere la vis polemica ha portato l'autore a perdere un po' di vista la sua tesi principale, e cioè che da un lato oggi risulta sempre più difficile validare e valutare la correttezza di un fatto, perché non ci sono più fonti autorevoli, e dall'altro si nota come la gente stia perdendo il proprio senso critico e si limiti a ricerchine banali senza un'analisi critica dei primi risultati che escono. Aver passato buona parte del libro a denigrare i blog, generalmente prendendo come esempio per antonomasia i saggi di Giuseppe Granieri, dà loro troppa importanza, e nasconde appunto il vero e condivisibile problema dell'attendibilità delle fonti. 
 
Per Chiara Marra ci troveremmo addirittura di fronte al "Vaccino alla saggistica di De Biase e Granieri". A questo titolo altisonante aggiunge quindi: "quando internet non è positivista". Non capisco bene cosa intenda dire. Forse pensa che il Web debba essere animato dalla fede di poter giungere a spegnere e accendere il sole come se fosse una lampadina?  
 
Woland ha scritto: 

Le ipotesi erano pure giuste ma lo svolgimento è superficiale nei due punti essenziali:
1)la falsità utopistica della sostutizione dell'intelligenza delle masse agli intermediari dell'informazione e 
2) i rapporti tra editoria tradizionale e editoria elettronica 

Questi due punti andavano sviluppati meglio e invece nel libro non si trova molto di più degli enunciati messi in IV di copertina. 
Magari togliendo un po' di spazio all'inutile e ridondante sproloquio su blog blig blug etc etc 

Ercole aggiunge: 

Un saggio "quasi totalmente inutile" 

Amare riflessioni 
 
Usando il suggestivo linguaggio dell'intervento di Woland, ecco un estremo sunto del pensiero che si ha l'impressione di poter estrarre dall'opera metitieresca: 

Se c'è la scabbia, è colpa dei blog blig blug.
Se c'è la lebbra, è colpa dei blog blig blug.
Se c'è la peste, è colpa dei blog blig blug.
Se c'è la guerra, è colpa dei blog blig blug.
Se c'è il terrorismo, è colpa dei blog blig blug.
Se c'è lo stupro, è colpa dei blog blig blug.
Se cìè la crisi, è colpa dei blog blig blug.
Se le cose vanno male, è colpa dei blog blig blug.

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