sabato 12 febbraio 2022


I PROTOCATARI DI MONFORTE

Piemonte Dualista
 

Erano passati poco più di vent'anni dalla morte di Leotardo di Vertus, suicida dopo una breve ma folgorante carriera iconoclasta a neanche un anno dalla sua illuminazione. L'Arcivescovo di Milano, Ariberto di Intimiano, non voleva credere ai rapporti che gli arrivavano da Alrico, Vescovo di Asti, tanto gli sembravano sconcertanti. Vi era un borgo del Piemonte, sito su un colle delle Langhe, in cui i feudatari e la popolazione avevano aderito a una nuova religione. Un fatto inconcepibile per i porporati, rappresentanti della normatività e incapaci di comprendere qualsiasi cosa esulasse dalla loro idea di universo gerarchico. Questo centro dell'eterodossia era Monforte (all'epoca scritto anche Monteforte), attualmente noto come Monforte d'Alba, in provincia di Cuneo. Il capo religioso di questa comunità si chiamava Gerardo, e la Contessa Berta lo proteggeva, ospitando lui e i suoi confratelli nel proprio castello.

Alcuni studiosi propongono un'interpretazione semplicistica dei fatti, affermando che il deleterio interesse di Ariberto di Intimiano verso le genti di Monforte fu dettato dal timore di perdere il controllo militare di una regione delle Langhe strategicamente importante per i suoi complessi rapporti con l'Impero. Sostengo invece un'ipotesi diversa: per comprendere gli eventi del XI secolo occorre innanzitutto pensare come un uomo di quegli anni tumultuosi. Ridurre tutto a moventi politici oggi comprensibili non giova alla Storia.

A causare la reazione dell'Arcivescovo di Milano fu soprattutto il terrore superstizioso di un profondo turbamento dell'ordine sociale, scaturito da una nuova visione del mondo. Gerardo di Monforte predicava il disprezzo dei beni materiali e del giuramento, riteneva vanità ogni forma di politica e di interesse nelle cose mondane. Se una simile idea si fosse sparsa tra le genti, il destino della società feudale sarebbe stato segnato. Questi santi uomini uscivano da ogni compromesso con la Chiesa di Roma e con le sue regole: rifiutavano come diabolico qualsiasi segno di religiosità esteriore.

Ciò che fece Ariberto è una chiara conferma di quanto affermo. Infatti non agì come i crociati avrebbero fatto a Béziers. Inviò contro i signori di Monforte potenti eserciti e nel 1028 ne espugnò il castello. Una volta vittorioso, non disse però "Ammazzateli tutti, Dio riconoscerà i suoi". Lo scopo era la cattura, non lo sterminio. Ordinò infatti la deportazione in massa dei Monfortini superstiti a Milano, dove li costrinse a inurbarsi in attesa di essere giudicati. Impiegò del tempo prima di decidersi ad emettere una condanna, e volle farlo solo dopo aver interrogato a lungo Gerardo sulla dottrina professata da lui e dai suoi seguaci. Senza bisogno di torture, Gerardo espose in dettaglio ciò in cui credeva, e la sua testimonianza fu messa per iscritto. Le fonti per la conoscenza di questo argomento sono Landolfo Seniore e Rodolfo Glabro, entrambi contemporanei ai fatti.

Questo conferma quanto già emerso narrando la vita di Leotardo: avendo inesperienza dell'Eresia, la Chiesa di Roma era a quell'epoca abbastanza garantista, e pensava di poter aver ragione delle opinioni avverse solo usando l'autorità delle Scritture.

Le credenze di Gerardo di Monforte mostrano un chiaro influsso del Bogomilismo, ma la natura della sua impalcatura teologica era quella tipica di un'eresia dotta. Non si trattava quindi del semplice emergere di individui suggestionati dalle parole di sconosciuti Fundaiti: all'origine di tutto vi erano una o più persone di cui sappiamo per certo soltanto che avevano dimestichezza con Platone e con Origene.

L'eccezionalità di questa esperienza religiosa sta nel fatto che non si trattava di pura e semplice speculazione filosofica, sterile e astratta, ma di un'idea rivoluzionaria ed affascinante, capace di far presa anche su un pubblico incolto.

I costumi dei Protocatari di Monforte erano tipici di una comunità dualista, ma erano in qualche modo portati all'estremo e praticati con un entusiasmo che un moderno riterrebbe fanatico. Oltre ad astenersi dalla carne, tutti vivevano in assoluta castità. Quelli che avevano contratto matrimonio non consumavano alcun rapporto. Tale era il ribrezzo che nutrivano per qualsiasi forma di sessualità, che sognavano uno stato di perfezione in cui gli esseri umani si sarebbero riprodotti in modo asessuato come le api. Non si sa bene se questa singolare caratteristica fosse una reminiscenza classica o un'innovazione dovuta a un singolo individuo. Si potrebbe pensare che Gerardo non alludesse a tempi che sarebbero giunti nel malvagio universo materiale, ma a quella che secoli dopo sarebbe stata nota ai Catari come Terra dei Viventi.

La cristologia mostrava forti somiglianze con quella dei Bogomili, con negazione dell'Incarnazione e della Passione. Anche la Trinità veniva respinta alla radice, al punto che Padre, Figlio e Spirito Santo erano ritenute semplici interpretazioni allegoriche. Non solo erano docetisti, ma arrivavano addirittura ad identificare Cristo con una proprietà di Dio. La vergine Maria era ritenuta una semplice allegoria della volontà di fare del bene, e quindi priva di una reale esistenza.

Anche l'Antico Testamento era accolto nel canone (cosa inconsueta), ma ogni parola era sottoposta a un'interpretazione simbolica. In questo si vede l'estrema evoluzione dell'allegoria biblica di Origene.

Una caratteristica che rendeva questi Protocatari simili ai Messaliani era la pratica della preghiera continua, alla quale veniva attribuito il potere di espellere i demoni che dominavano il corpo. Credevano fermamente che l'unico modo possibile per sfuggire alla dannazione eterna fosse una morte tra i tormenti. Era una forma violenta di Endura, chiamata Martyrium.

L'organizzazione sacerdotale era semplice, dividendosi in due livelli. Il livello più basso corrispondeva ai credenti del Catarismo, mentre il livello più alto, quello dei Maggiorenti (Maiores), corrispondeva ai Perfetti. Anche le donne potevano essere consacrate Maggiorenti. Si fa poi riferimento alla misteriosa figura di una specie di Pontefice identificato con lo Spirito Santo, di cui però non si sa nulla: è ben possibile che si tratti di una figura allegorica. La morale pretesa era per tutti molto rigida. Mentre tra i Catari del XII-XIII secolo gli obblighi per i Credenti erano minimi, la comunità di Gerardo era interamente pervasa dal fervore.

Un altro elemento peculiare era la totale rinuncia alla proprietà privata: ogni bene era in comune. In questo si può quasi cogliere qualche eco della dottrina degli antichi Gnostici Carpocraziani, definiti da qualcuno comunisti ante litteram

L'odio verso la vita era così totale da impressionare Ariberto da Intimiano. I suoi incubi erano funestati da visioni apocalittiche in cui gli insegnamenti dei Protocatari attecchivano in tutto il mondo. Gerardo di Monforte fece notare all'Arcivescovo che sono in pace con il mondo solo coloro che appartengono al mondo. Quando Ariberto si accorse che la predicazione eterodossa cominciava a diffondersi tra la popolazione di Milano, fu invaso dal terrore e si decise a una soluzione estrema: nel 1031 ordinò che tutti i Monfortini fossero bruciati vivi sul rogo. Fu allora eretta una grande croce, affinché i condannati che lo desiderassero potessero abbracciarla e abiurare la loro fede. Pochissimi si prostrarono davanti all'idolo accettando di adorarlo. Gerardo e la massima parte dei suoi seguaci accettarono con gioia ed eroismo l'agonia tra le fiamme fino a ridursi lentamente in cenere, certi di liberarsi attraverso tali strazi dalle atrocità dell'inferno materiale.

Il martirio dei Protocatari destò una grande impressione tra gli astanti: era iniziato qualcosa che l'Arcivescovo non poteva controllare. Il luogo dell'esecuzione fu in loro memoria chiamato Monforte dai milanesi, che ricordarono a lungo i fatti. Ancora oggi conserva il suo nome ed è noto come Corso Monforte.

Per qualcuno il Carroccio inventato da Ariberto sarà anche un simbolo di libertà. Non per me. 
 

Dialogo tra Gerardo Protocataro
e l'Arcivescovo Ariberto
 
Gerardo: "Rendo immense grazie a Dio Padre Onnipotente, al Figlio e allo Spirito Santo, perché voi tanto diligentemente procurate d’interrogarmi, e colui che dall’inizio vi conobbe nei lombi di Adamo, conceda che per lui viviate e per lui moriate, e che regnando con lui nei secoli dei secoli siate nella gloria. Vi farò sapere, qualunque sia l’animo con cui me lo chiediate, la mia vita e la fede dei miei fratelli. Lodiamo soprattutto la verginità; chi, invece, l’ha persa, può osservare la castità perpetua, col permesso del nostro superiore. Nessuno di noi ha rapporti intimi con la propria moglie, ma se la tiene amorosamente come madre o sorella. Non ci nutriamo mai di carne; preghiamo senza interruzione e digiuniamo continuamente; i nostri superiori, a turno, pregano sempre, giorno e notte, affinché non passi ora senza orazioni. Abbiamo ogni nostra proprietà in comune. Nessuno di noi finisce la vita senza tormenti, onde possiamo sfuggire i tormenti eterni. Crediamo e confessiamo il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Crediamo di poter essere legati o sciolti da coloro che hanno la potestà di legare e di sciogliere. Ci atteniamo al Vecchio Testamento e al Nuovo e ai Sacri Canoni, che leggiamo ogni giorno..." 

Tutte queste cose diceva Gerardo, che a tutti i presenti apparivano grandi e terribili...

Ariberto: "Perché vi sposate se poi non procreate figli?"

Gerardo: "Se tutto il genere umano si congiungesse in modo da non sentire la corruzione, esso si riprodurrebbe senza coito, come le api."

Ariberto: "A chi spetta l’assoluzione dei vostri peccati? Agli apostoli, al vescovo o al sacerdote?"

Gerardo: "Abbiamo un papa, non quello romano, che ogni giorno visita i nostri fratelli dispersi per il mondo, e quando Dio ce lo concede, allora con somma devozione ci è donata l’assoluzione dei nostri peccati."

Ariberto: "La vostra vita in che modo finisce nei tormenti?"

Gerardo: "Se noi moriamo per le torture inflitte da uomini malvagi, siamo felici; se poi talvolta la morte viene secondo natura, chi ci è vicino, prima di esalare l’anima, in qualche modo ci uccide..."

Toponomastica

A Milano c'è una via dedicata a Tertulliano, mentre non c'è nessuna via dedicata al Profeta Mani, a Marcione o a Valentino. Intendo scrivere al più presto all'URP del Comune per sottolineare tale grave lacuna. Intendo inoltre chiedere al Comune di Milano che in corso Monforte venga affissa una targa che spieghi che la via è stata dedicata al martirio dei catari di Monforte d'Alba, che, costretti dal vescovo di Milano, hanno scelto di gettarsi nel fuoco piuttosto che rinnegare la propria fede. Ho potuto constatare di persona che in Francia si sta recuperando una memoria storica della tragedia catara, con l'affissione di targhe commemorative in luoghi pubblici. È ora che anche in Italia si inizi per questa via.
(Albedo)

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