domenica 4 giugno 2023

LA LEBBRA IN NORVEGIA

Ricordo ancora le atrocità delle mostre missionarie, che fui spesso costretto a visitare quando ero un moccioso. L'idea portante era la seguente: l'Africa Nera descritta come un continente interamente popolato da lebbrosi. La gente era portata a credere che la lebbra non riguardasse la popolazione europea bianca, "caucasica", come direbbero gli anglosassoni. Il sentire generale imponeva di considerare la lebbra "una cosa da ne(g)ri" (all'epoca non c'era l'ossessione per gli eufemismi), in ogni caso "una cosa da gente del Terzo Mondo". Niente di più falso! Ricordo ancora una frase di Gianmarco S.: "La lebbra esiste anche in Italia, solo che viene tenuta nascosta". La lebbra esiste dovunque. 


Il batterio della lebbra (Mycobacterium leprae) fu scoperto nel 1873 in Norvegia dallo scienziato Gerhard Henrik Armauer Hansen (1841 - 1912). Anche se pochi ne sono al corrente, a quei tempi la Norvegia era una nazione poverissima e piena zeppa di lebbrosi. Sia la forma lepromatosa che quella nervosa del morbo erano presenti. La prima porta alla crescita di noduli e orrendi tuberi carnosi pieni di pus, fetidissimi, mentre la seconda porta a perdita della sensibilità, cancrene e mutilazioni spontanee delle dita e degli arti. Esistevano anche pazienti con forme miste. La situazione era tragica. Verso la metà del XIX secolo, nella città di Bergen quasi il 4% della popolazione aveva la lebbra. Era la concentrazione più alta in Europa. Anche le isole Lofoten erano molto colpite, seppur in misura minore rispetto a Bergen. Come mai? Ve lo spiego in estrema sintesi. La terribile malattia era un'eredità dell'epoca gloriosa dei Vichinghi: gli impavidi guerrieri avevano portato il contagio in patria, essendo rimasti infettati nel corso delle loro scorrerie e dei loro traffici, in Inghilterra e in paesi ben più lontani. Da allora la lebbra non se n'era più andata dalla Terra dei Fiordi, arrivando persino nella remota Lapponia. L'andamento dei contagi è stato soggetto ad oscillazioni: la malattia sembrava in declino nel XVIII secolo, ma riprese la sua crescita agli inizi del XIX secolo, tanto da destare serie preoccupazioni, perché stavano comparendo casi persino in zone in cui non si erano mai visti lebbrosi, come ad esempio Oslo. Lo stigma sociale era fortissimo: molti cambiavano nome per non gettare discredito sulla propria famiglia. A Bergen, i malati venivano radunati nell'ospedale St. Jørgens di Marken fin dal XV secolo. Nel 1816, il sacerdote Johan Ernst Welhaven scrisse una lettera disperata alle autorità per denunciare le tremende condizioni dell'ospedale, definendolo "un cimitero per i vivi". Autorità sorde e cieche, infinitamente distanti, come accade fin troppo spesso. Va detto che nei decenni successivi le cose sono cambiate in modo notevole. 


Prima che Hansen facesse la sua sensazionale scoperta, nella comunità scientifica norvegese esistevano opinioni molto diverse sulla natura e sull'origine della lebbra. Le riporto in questa sede:  
 i) Alcuni erano convinti che la lebbra fosse una malattia cronica al pari dell'artrosi reumatoide, causata dalla terribile durezza delle condizioni di vita imperanti nei distretti più miseri (Hjort). 
 ii) Alcuni erano convinti che la lebbra fosse una malattia ereditaria, descritta come "discrasia" e "squilibrio del sangue" (Danielssen, Boeck). Per combatterla proponevano uno strettissimo isolamento sessuale di chi manifestava sintomi, per evitare la nascita di sempre nuovi lebbrosi.
 iii) Alcuni erano convinti che la lebbra fosse una malattia risultante da una dieta povera e costituita quasi esclusivamente da pesce, tipica delle popolazioni rivierasche. In altre parole, la lebbra sarebbe stata una conseguenza diretta dell'ittiofagia. In effetti i casi erano in maggior crescita proprio nelle regioni costiere abitate da pescatori. Questa convinzione resistette fino agli inizi del XX secolo (Hutchinson).
 iv) Alcuni erano convinti che la lebbra fosse una forma di scabbia trasmessa dagli acari e resa particolarmente aggressiva dalla debilitazione delle persone colpite. In altre parole, la lebbra era connessa con la cosiddetta scabbia norvegese, descritta per la prima volta da Danielssen e Boeck. 
Inutile dire che tutte queste idee erano antiscientifiche e prive di qualsiasi fondamento. La difficoltà di comprensione dei meccanismi di trasmissione e dello sviluppo della patologia ostacolava seriamente la ricerca. Come ha dichiarato il professor Magnus Vollset, "tra l'infezione e l'insorgenza della malattia possono trascorrere da sei mesi a vent'anni; la malattia si sviluppa in fasi che possono variare da poche settimane a diversi anni." 
Già nel 1856 era stato istituito per Decreto Reale un registro nazionale dei pazienti (Lepraregisteret; in inglese The National Leprosy Registry of Norway). Il suo fondatore e gestore è stato Ove Guldberg Høeg (1814 - 1863), che nello stesso anno aveva affermato profeticamente: "Elaborando questi dati, identificheremo la causa della lebbra." Questo è stato il primo registro nazionale del mondo intero, per qualsiasi malattia: un passo avanti di capitale importanza. I suoi dati sono stati di fondamentale importanza per il lavoro di Hansen. Nell'immediato è mancata la consapevolezza dell'importanza estrema della scoperta del micobatterio della lebbra. Questo per tre motivi: 
1) Il trasferimento della malattia agli animali da esperimento è fallito (sono stati fatti persino tentativi coi piccioni e i conigli);
2) La coltura del microrganismo è fallita; 
3) Non è stato possibile dimostrare la presenza del microrganismo in tutti i pazienti.
Tuttavia, Hansen ha notato che il calo dell'incidenza era maggiore nelle aree in cui il ricovero ospedaliero era stato applicato in modo più rigoroso, dimostrando così la natura infettiva e non ereditaria della malattia. 
In seguito alle disposizioni legislative, con applicazione di particolari misure di salute pubblica (1877, 1885), si è verificato un rapido e importante declino della malattia tra gli anni '90 del XIX secolo e i primi anni del XX secolo. 


Nell'estate del 1992 ho visitato il lebbrosario di Bergen, adibito a museo (Lepramuseet). È un bell'edificio di legno, dove si possono contemplare fotografie, ritratti di lebbrosi atrocemente deturpati, mappe di diffusione della malattia e informazioni sulla lunga lotta per l'eradicazione del patogeno. 
Toccando con la punta di un dito un quadro esposto nel lebbrosario-museo, mi sono preso una scossa statica e ho avuto il presentimento di qualcosa di grave. La sera stessa, in albergo, ho constatato di avere un foruncolo sulla gamba sinistra. In apparenza era simile a una pustola acneica. Me lo sono grattato e mi è uscito del pus rigato di sangue. La mattina successiva, ho visto che la lesione si era indurita. Più di vent'anni dopo, quella formazione era ancora al suo posto. Non è mai stata del tutto riassorbita. Un dermatologo l'ha vista e senza molto interesse l'ha classificata come un "fibroma", negando ogni nesso causale tra la sua formazione e la visita a quel luogo, in cui non doveva più sussistere alcun fomite di contagio, da molto tempo. Data la mia grande ipocondria, sono addirittura arrivato a pensare che si trattasse di una forma di lebbra paucibacillare, con pochi micobatteri attivi in alcune terminazioni nervose e incapaci di diffondersi al di fuori della loro sede. Mi ero convinto che le mie difese immunitarie fossero riuscite a circoscrivere l'infezione, limitata a quella singola escrescenza e all'insensibilità di qualche nervo limitrofo. Passato tanto tempo, sono finalmente dell'idea che il dermatologo avesse piena ragione. Altre lesioni si sono formate, ma non me ne curo. :)

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