martedì 25 luglio 2023

UN RELITTO PALEOSARDO IN SARDO CAMPIDANESE E LOGUDORESE: CADONE 'MERCORELLA'

In sardo campidanese e logudorese esiste la parola cadòne (variante cadòni), che indica la mercorella (Mercurialis annua). Quest'erba è considerata un nemico dei viticoltori, perché è radicata l'idea che dia un cattivo sapore al vino, rendendolo amaro e indesiderabile. Una simile idea, non verificata scientificamente, potrebbe essere un'antico pregiudizio superstizioso. Siccome l'etnologia studia, tra le altre cose, i pregiudizi e le superstizioni dei popoli, questa è una cosa della massima importanza, che può aiutarci a far luce su un'epoca remota, anteriore all'arrivo dei Romani. 
Varianti locali: 
  caroni 
  codone
  codoni
  gadoni
  aghedone
  cadòi 
  catone 

A quanto pare, cadoni burdu indica anche altre specie, come Chenopodium album, Chenopodium polyspermumChenopodium vulvaria. La confusione è grande. Si menziona anche il fatto, di per sé bizzarro, che nel Web ci sono pagine in cui il fitonimo cadoni è attribuito a "un tipo di giunco o canna palustre"

Fraseologia: 
Custu binu tenit sabori de cadòni! "Questo vino ha sapore di mercorella!" (ossia è da buttare perché imbevibile). 

Sinonimi di mercorella in italiano: 
erba mercuriale
erba mercurina 
farinaccio
erba puzzolana 
piede anserino 

Glosse in altre lingue: 
francese: mercuriale 
inglese: pigweed
spagnolo: cenizo

Abbiamo la glossa di Dioscoride (traduzione latina) catone "atriplice" (Atriplex hortensis), che indica una pianta annua commestibile del genere delle Amarantacee. In parole povere, è una specie di bietolone. 

Un primo tentativo di ricostruzione paleosarda 

Si ritrova una ricostruzione kathuni (senza asterisco) nel sito dell'Associazione Culturale Messaggero Sardo, in un contributo relativo all'etimologia del cognome Cadoni:  

Non sono riuscito ad appurare il nominativo dell'autore di questo breve articolo - che non cerca neppure di identificare un'origine ipotetica per il fitonimo problematico. 
In un altro articolo, pubblicato sempre sullo stesso sito, si trova invece la ricostruzione "khatuni" (senza asterisco e virgolettata), attribuita invece alla lingua etrusca, senza alcuna fonte o prova concreta: 


Paralleli in Euskara 

All'improvviso, un giorno, mentre mi struggevo alla ricerca di un'etimologia credibile per il fitonimo sardo, ho avuto un'idea che mi è parsa degna di nota. Dai miei banchi di memoria stagnante è emersa un'informazione che credevo di aver dimenticato dall'epoca in cui avevo studiato l'opera del professor Larry Trask: in basco kedar (varante: gedar) significa "fuliggine", ma anche "cosa disgustosa", "oscenità", "fiele". Ho subito controllato e ho potuto constatare che il mio ricordo era corretto. In origine, kedar doveva significare "cosa schifosa", "cosa amara". A parte la diversità del suffisso, che in basco mostra una rotica forte, mentre in sardo ha una nasale, la radice è sicuramente la stessa. 

A partire dai dati disponibili, possiamo procedere nelle nostre elucubrazioni. Queste sono le protoforme ricostruibili: 

Paleosardo: *katoni "cosa amara" 
   > *kadoni 
Nota: 
Si nota che la trafila che ha portato dalla forma paleosarda agli esiti nelle varietà locali di sardo campidanese e logudorese non si spiega bene in termini di regolari sviluppi romanzi. 
 
Protobasco (ortografia di Mitxelena): *kedaR- / *gedaR-
      "cosa amara" 
   Basco: kedargedar "fuliggine", "oscenità", "fiele" 
Link: 
Nota: 
Trask riporta soltanto le varianti gedarre e kedarra, con vocale finale che non sembra essere l'articolo; Morvan riporta l'enigmatica variante kelder.  
L'alternanza di /k/ e /g/ in protobasco iniziale depone a favore di un antico prestito, la cui origine non è però determinabile. Anche la consonante intervocalica /d/ è problematica e potrebbe derivare, tramite /t/ da un gruppo più antico con un elemento nasale /nt/, poi ridotto. Forse resta traccia di questa situazione nella variante kelder riportata da Morvan. La radice potrebbe essere ke "fumo" (varianti: khe, kee, kei, ki, ge, eke, ike; vedi Trask e Mitxelena), anche se non ne sono affatto sicuro (si potrebbe ipotizzare che il significato originale della radice fosse "schifo, fastidio"). Approfondiremo la complessa questione in altra sede.
Link:

Un parallelo in berbero 

Nel berbero della Cabilia esiste la parola aktūn (variante: waktūn) "piede anserino". Evidentemente è un prestito antico giunto dalla Sardegna. La protoforma ricostruibile è  questa: 

Proto-berbero: *ākVtūn "piede anserino" 
Origine: prestito dal paleosardo 
  Berbero di Cabilia: aktūn, waktūn
Nota: 
Il prefisso (w)a- che si trova in (w)aktūn è un articolo maschile fossilizzato. La vocale indeterminata -V- nella protoforma era con ogni probabilità /a/.

Un racconto di Agostino d'Ippona 
(De Civitate Dei, XXII, 8)

Un viticoltore di Uzalis, in Africa Proconsolare, era disperato perché aveva ottenuto una vendemmia assolutamente imbevibile. Così, piuttosto che gettar via tutto il contenuto di 200 anfore, ordinò a un suo schiavo di portare una caraffa nel santuario di Santo Stefano e di lasciarvela tutta la notte. L'indomani versò una piccola quantità del vino della caraffa in ciascuna anfora. Il vino guasto divenne all'istante eccellente. L'aneddoto di Agostino d'Ippona è riportato e commentato da Hugo M. Jones nella sua seminale opera Il tardo Impero Romano, 284-602 d.C. (The Later Roman Empire, 284-602, prima edizione 1981): "Storie ingenue come questa senza dubbio erano state sempre credute dal gregge dei comuni fedeli, ma è un segno dei tempi che un uomo della statura intellettuale di Agostino desse loro importanza." (Vol. III, pag. 1417). 
Forse il racconto fa riferimento, per quanto indiretto, proprio alla mercorella. Quando il vino andava a male, ad esempio a causa di muffe, la gente di cultura sardo-africana era portata a credere che la causa fosse un'infestazione di tale erba. Questo potrebbe far parte delle somiglianze linguistiche e culturali tra le genti del Nordafrica dell'epoca romana e i Sardi. 

Le opinioni dei romanisti

Giulio Paulis, nella sua opera I nomi popolari delle piante in Sardegna (1992), parte dall'aggettivo latino catus "furbo, astuto", "prudente", "saggio", "acuto (detto di suono)", arrivando a dedurne un significato originario di "aguzzo", "pungente". Quindi fa derivare la parola sarda cadone e le sue varianti dall'aggettivo latino con la semantica da lui ricostruita. La variante aghedone viene invece ricondotta ad acētum "aceto" con l'aggiunta di un suffisso, come se fosse un *acētōne(m). Anche Lorenzo Pianu sostiene queste ipotesi. 

Pseudoetimologie e farragini varie

Alcune ricostruzioni alternative, che hanno tutto l'aspetto di favole grottesche, si trovano nel vasto Web. Si basano su criteri anteriori alla nascita del metodo comparativo o su fantasie ideologiche di ogni genere. Così mi sono imbattuto in un tentativo di derivare cadone da un immaginario *aucato (genitivo *aucatonis), col senso di "zampa d'oca" (auca in latino tardo). L'etimologia è stata costruita a partire dalla denominazione "piede anserino" data alle piante del genere Chenopodium (dalle parole greche khēn "oca" e poûs "piede"), applicando un improbabile cumulo di suffissi. Fantasie romanistiche che sembrano formarsi tramite generazione spontanea! I bizantinisti vogliono vedere nel fitonimo sardo una frase greca, κάδω (kádō) "rovino" + οἶνος (oînos) "vino" - a dire il vero ci vorrebbe l'accusativo οἶνον (oînon) - con allusione al sapore amaro che la mercorella darebbe alla bevanda di Bacco. Ritagliano le parole del latino e del greco, tratte dai dizionari, poi ne fanno collage, nell'estremo tentativo di spiegare Omero con Omero. 

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