Da un po' di tempo rifletto su un bizzarro argomento, che secondo me riveste il massimo interesse etnologico: l'originale lingua dei Pigmei. Pochi sanno infatti che le popolazioni africane conosciute come Pigmei non conservano una lingua loro propria, ma hanno appreso nel corso dei secoli le lingue delle popolazioni vicine con le quali hanno sviluppato rapporti di dipendenza. Così la grande maggioranza parte dei Pigmei parla lingue Bantu, mentre qualche gruppo ha adottato lingue di ceppo diverso.
Secondo Cavalli-Sforza, due sarebbero i tipi genetici sprovvisti di una lingua propria nota: i Pigmei e i Sardi. I Sardi attuali infatti parlano una lingua derivata direttamente dal Latino. Anzi, il Sardo è una delle lingue neolatine meglio conservate. Prima di apprendere il Latino, i Sardi parlavano Punico e Nuragico. Il Punico era una linga affine all'Ebraico, mentre sul Nuragico si possono fare soltanto congetture, anche se con tutta probabilità era affine al Basco.
Va detto che mentre i Pigmei dell'Africa non conservano una lingua loro propria, ci sono molti altri gruppi detti Khoi-San, ossia i Boscimani e gli Ottentotti, che hanno lingue peculiari e irriducibili a qualsiasi altro ceppo. Due popoli di cacciatori-raccoglitori della Tanzania, i Sandawe e gli Hadza, hanno lingue prive di parentele, né tra di loro né con altre lingue, salvo forse quelle di gruppo Khoi-San.
Se si guarda la situazione fuori dall'Africa, si scopre che anche in Asia esistono popolazioni di bassa statura, con capelli crespi e la pelle molto scura: sono quelli che gli Spagnoli chiamarono Negritos. I primi esploratori venuti dalla Spagna che si imbatterono in queste genti si dissero certi della loro origine africana. Tra questi popoli ci sono i Semang della Malesia, gli Aeta delle Filippine e altri gruppi sparsi per l'arcipelago dell'Indonesia. Nessuno di questi gruppi parla una lingua propria: la situazione è simile a quella dei Pigmei Africani. La massima parte di loro ha adottato una lingua del ceppo Austronesiano, come ad esempio il Malese. Ci sono anche altri popoli peculiari di origine certamente remota: i Vedda di Sri Lanka e le genti delle Isole Andamane. Gli Andamanesi hanno mantenuto lingue proprie, a differenza degli altri ceppi, che sono del tutto prive di qualsiasi somiglianza nel resto del mondo. Tale è l'arcaicità degli Andamanesi che ignoravano del tutto il modo di accendere il fuoco. Per colmo dell'ironia, un proverbio dei Pigmei dell'Africa suonerebbe irrispettoso se applicato agli Andamanesi: "La scimmia non è un uomo, solo perché non sa accendere il fuoco".
A dire il vero se si studiano bene le lingue dei Pigmei dell'Africa e quelle dei Negritos dell'Asia, si scopre che qualche parola antica è sopravvissuta. Nell'idioma dei Baka, ad esempio, il 30% del vocabolario è di origine sconosciuta. Tra i gruppi africani sono prive di relazioni esterne le parole relative alla vita nella foresta, alla raccolta del miele, oltre ai numerali. Anche tra i Semang (che parlano Malese) e i Vedda (che parlano Singalese) si trovano molti termini isolati. Presso i Vedda si segnalano ad esempio termini come GALREKKI 'ascia', RUHANG 'amico', KUKKA 'cane', OKMA 'bufalo', TOMBA 'lumaca' e via discorrendo. Così esisterebbe modo di approfondire gli studi fino a capire qualcosa di più. Cercando in Rete, ho trovato alcuni interessantissimi documenti, anche se il materiale che trattano è limitato. Purtroppo noto che non c'è molta apertura mentale. Mi sono infatti imbattuto in un post scritto da un anglofono, che usa il Rasoio di Occam, negando la possibilità che tutte quelle lingue siano andate perdute. Così, in nome di una semplicità dogmatica e compulsoria, questa persona è arrivata a sostenere che gli antenati dei Pigmei erano esseri del tutto privi di parola, e che a un certo punto hanno imparato a parlare dai loro vicini. "Cosa c'è da stupirsi?" - si domanda addirittura in un passo - "In fondo le scimmie antropomorfe non hanno ancora imparato a parlare".
Non mi hanno mai convinto le teorie di Hannah Arendt sulla "banalità del Male". Il Male non è mai banale, proprio in virtù della sua esistenza come principio ontologico separato. Dopo aver letto il post insulso di questo sedicente studioso, sto però cominciando a capire che esistono anche realtà che sono ben al di sotto dello stesso concetto di banalità.
Post molto interessante... l'ho letto con molta curiosità. Nella vita mi occupo di archeologia, sono un'archeologa da campo, più che da biblioteca, tuttavia ho una certa competenza sia nelle lingue semitiche antiche che in quelle indoeuropee... nei miei studi e nelle mie ricerche non mi sono mai imbattuta nei Pigmei, ma posso dirti con certezza che le lingue perdute sono innumerevoli e che, sicuramente, di alcune, non si serba persino alcuna memoria... mi fa sorridere non poco la soluzione ingenua dell'internauta che citi quasi a fine del tuo articolo... al contrario di quanto questi pensa accade molto spesso che lingue intere vadano perse... soprattutto è un fenomeno che si osserva fra le popolazioni tribali prive di scrittura. Una lingua è cosa viva, in costante mutamento... e la mancanza di scrittura, come la frequenza dei contatti con popoli che usano una lingua diversa, accelerano terribilmente tale fenomeno. Delle volte sopravvivono una manciata di lessemi, come nel caso dei Vedda, a testimoniare una più antica lingua, altre volte non sopravvive proprio nulla. Tuttavia il Professor Luigi Luca Cavalli-Sforza, nello studio che citi, da genetista quale lui è, dimostra un'ingenuità che mi intenerisce nei confronti della linguistica: il concetto di "lingua propria" riferito ad un tipo genetico è evanescente, aleatorio, accademico... per esempio: in che senso il Sardo non è la "lingua propria" dei Sardi? Per un linguista lo è: il latino è una lingua indoeuropea, ma questo in nessun modo la dequalifica come "lingua propria" dei Romani e dei Latini di una certa epoca, ti pare?
RispondiEliminaInfine, chiunque faccia ricerca sul campo come me te lo può confermare, bisogna sempre stare attenti e pronti a ridiscutere tutto. Sempre. Poichè talvolta, la realtà, supera qualunque fantasia.
Carissima Annunakighosts, benvenuta in questo spazio e grazie dell'intervento! Concordo con quanto dici e mi limito a fare qualche precisazione su Cavalli-Sforza. Egli è in effetti un genetista e non un linguista. Per "lingua propria" intende una famiglia di lingue che a grandi linee può essere collegata a un certo tipo genetico, per motivi ovviamente storici. Quando si dice che i Sardi non hanno una "lingua propria", significa semplicemente che pur essendo geneticamente molto diversi dalle altre popolazioni europee, non esiste una lingua che sia loro esclusiva. La lingua sarda ancora oggi parlata in diverse varietà discende dal latino che a un certo punto i Sardi adottarono e va compresa nel novero delle lingue indoeuropee: non è germogliata nell'isola. E' possibile che la lingua nuragica precedente fosse giunta dall'Iberia. Il professor Eduardo Blasco Ferrer ha pubblicato un'opera oltremodo interessante che a parer mio prova questa ipotesi. Resta quindi la domanda: "Che lingua parlavano i Sardi prima di adottare una lingua affine al proto-basco?"
RispondiEliminaMa è una domanda che puoi porti all'infinito: che lingua parlavano nel Sannio e nel Lazio prima di adottare quel curioso ibrido fra Etrusco, Lingua indoeuropea e alfabeto fenicio che chiamiamo Latino?
RispondiEliminaUn abbraccio grande! Mi piace il tuo blog!
Grazie a te, carissima, sono felice che il mio blog ti piaccia :) Ricambio l'abbraccio!
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