domenica 12 ottobre 2014

LA PRONUNCIA ECCLESIASTICA DEL LATINO MOSTRA GRAVI INCONGRUENZE

La pronuncia ecclesiastica o scolastica del latino è paragonabile a un veicolo assemblato alla rinfusa usando pezzi provenienti da una Ferrari con altri provenienti da una Cinquecento. In certi tratti si mostra sorprendentemente arcaica, in certi altri troppo innovativa. Per capire questo, esponiamo in modo sintetico alcuni dati significativi. 

1) La consonante -m finale 

Il latino ecclesiastico mostra sempre una pronuncia forte della consonante finale -m. Così vediamo che solum è pronunciato con la stessa consonante finale dell'inglese fathom e del tedesco Freitum. Una volta mi capitò addirittura di sentire un luminare siciliano pronunciare bacterium come bakketériume.
I Romani avevano la tendenza a pronunciare questo suono in modo molto debole, così lo si trova spesso trascurato nella scrittura già in epoca antica. Doveva essere una lieve nasalizzazione della vocale, che ha lasciato traccia soltanto in alcuni monosillabi come cum e sum

Questo ci tramanda Prisciano di Cesarea (V sec.): 

"M obscurum in extremitate dictionum sonat ut 'templum', apertum in principio ut 'magnus', mediocre in mediis ut 'umbra'."
(Institutiones grammaticae, lib. I, 29)

Nella poesia addirittura le comuni terminazioni -am, -em, -um seguite da vocale scompaiono e non vengono contate come sillaba, cosa che sarebbe inesplicabile se la pronuncia fosse stata quella in uso nelle scuole.  

Il grammatico Servio Mario Onorato (IV sec.) chiama miotacismo la pronuncia piena di -m davanti a parola iniziante per vocale, ritenendolo un vizio: 

"Myotacismus fit, quotiens post partem orationis in m littera desinentem sequitur alia pars oationis quae inchoat a vocali, ut 'hominem amicum'. Hoc vitium vitare possumus aut per suspensionem pronuntiandi aut exclusione ipsius m litterae. sed melius est ut suspensione pronuntiandi hoc vitium relinquamus, si enim voluerimus m litteram excludere, vitamus quidem myotacismum, sed cadimus in hiatum."
(Commentarius in artem Donati, De barbarismo) 

2) La consonante -n- nei gruppi -ns- e -mn- 

In epoca classica il nesso consonantico -ns- era pronunciato come -s- in molti casi: la debole nasalizzazione della vocale lunga precedente tendeva a svanire. Inoltre il nesso consonantico -mn- era pronunciato quasi come -m-. Così è tramandato, che nelle parole consul e columna la consonante -n- non veniva pronunciata: /'ko:sul/ e /ko'luma/ devono essere trascrizioni fonetiche attendibili. 

Marco Fabio Quintiliano afferma infatti:
"Columnam et consules exempta n littera legimus."
(Institutio oratoria, lib. I, 29). 

Prisciano parla della pronuncia della consonante /n/ in questi termini:
"N quoque plenior in primis sonat et in ultimis partibus syllabarum, ut nomen, stamen; exilior in mediis, ut amnis, damnum." (Institutiones grammaticae, lib. I, 30). 

Il latino ecclesiastico ha invece i gruppi -ns- e -mn- pronunciati in modo netto: la sillabazione è con-sul, co-lu-mna

Le parole latine entrate in basco in epoca antica mostrano proprio la pronuncia -m-: basco damu "danno" < lat. damnu(m).  

In epoca tarda si è verificata una reazione alla pronuncia di -mn- come -m-, forse perché non si poteva tollerare che una consonante singola -m- facesse posizione: è stato restaurato il nesso consonantico -mn- che ancora oggi si usa nelle scuole e che è alla base delle successive evoluzioni nelle lingue romanze. A riprova di ciò è comparsa una grafia -mpn-: dampnum, calumpnia. Da questo gruppo -mn- in italiano si è avuto regolarmente -nn-: italiano danno < lat. damnu(m)

Ovviamente parole italiane come pensare e mensile non fanno testo, perché sono termini dotti importati dai letterati attingendo direttamente al latino scolastico: forme genuine sono invece pesare e mese

Ne consegue che comunque la si metta, la pronuncia ecclesiastica non riflette la situazione del latino classico. 

3) Le semiconsonanti palatali e il loro effetto 

Il latino ecclesiastico distingue nettamente -i- in funzione semiconsonantica da -e- atona seguita da vocale, pronunciando sempre questa -e- come vocale piena. Così platea è letto /'pla-te-a/, in netta contrapposizione con hospitium, pronunciato /o-'spi-tsjum/. Vediamo che nel latino reale questa -e- atona seguita da vocale è diventata una semiconsonante che si è presto confusa con -i-, e quando l'assibilazione di -t- ha cominciato ad apparire nel II secolo d.C., il fenomeno coinvolgeva sia forme con -i- che forme con -e-.

L'evoluzione del latino platea nelle lingue romanze mostra affricata o sibilante: italiano piazzaspagnolo plazafrancese place (da cui anche inglese place "luogo"); la stessa parola è stata presa a prestito dal tedesco, dando origine a Platz

Anche in questo caso la pronuncia ecclesiastica mescola elementi postclassici da una parte ed elementi troppo arcaici dall'altra.    

4) Le consonanti -t- e -c- seguite da semiconsonante palatale 

Spesso a prova della pretesa palatalizzazione di -c- in epoca antica, vengono fornite coppie come nuntiusnuncius, Fetiales e Feciales, e via discorrendo. Si vede che in realtà chi fa questo si dà la zappa sui piedi. Queste coppie si spiegano semplicemente ammettendo che -t- e -c- seguite da semiconsonante -i- sono venute a confluire in un suono prepalatale /t'/ a partire dal II secolo d.C., il che ha dato origine all'ambiguità grafica. 

Questo mutamento è stato più rapido e precoce di quello che ha intaccato -c- seguito da vocale anteriore, ad esempio in parole come cena /'ke:na/, cista /'kista/, e non può essere usato come prova di una supposta palatalizzazione in tali contesti. Anzi, prova che la pronuncia ecclesiastica è incorerente. Infatti in essa si distingue chiaramente il suono di otium (pronunciato /'o-tsjum/) da quello di tribunicia (pronunciato /tri-bu-'ni-tʃa/), come pure quello di amicitia (pronunciato /a-mi-'tʃi-tsja/) da quello di Lucius (pronunciato /'lu-čus/). Se così fosse stato, non ci sarebbero state grafie come nuncius per nuntius.   

Il passo successivo è l'assibilazione, che ha portato il suono /t'/ derivato da -ti- e da -c- all'assibilazione, che viene descritta abbondantemente dai grammatici latini, che si erano ben resi conto del fenomeno. Un'attestazione precoce si ha in un'iscrizione, CRESCENTSIANUS (140 d.C.), ma a quell'epoca il mutamento non era ancora la regola.

In epoca decisamente tarda Servio parla di un suono simile a un sibilo sviluppato tra -t- e -i-, e si sforza ancora di combatterlo, chiamando questo vizio iotacismo: 

"His ita se habentibus dicit esse quaedam vitia, quibus quidem monen non tribuit, tamen vitanda praecepit. sunt autem iotabismi labdacismi myotacismi hiatus et collisiones. Iotacismi sunt, quotiens post ti vel disyllabam seuitur vocalis, et plerumque supra dictae syllabae in sibilum transeunt, tunc scilicet, quando medium locum tenet, etiam sic positae, sicut dicuntur, ita etiam sonandae sunt, ut 'dies' 'tiaras'.  (Commentarius in artem Donati, De barbarismo)

5) La consonante -d- seguita da semiconsonante palatale 

La pronuncia ecclesiastica mantiene integra la consonante -d- seguita dalla semiconsonante -i-, ad esempio nella parola medius. Quando la -t- si assibilò, la stessa sorte toccò alla -d- in simile contesto, che produsse una consonante affricata sonora -z- /dz/. In italiano rimangono ancora in eredità parole come mezzo, che mostrano questo mutamento. 

Servio ci parla di questo fenomeno di iotacismo insieme all'assibilazione di -ti- (vedi punto precedente), e in altra sede parla della corretta pronuncia della parola Media, indicante una provincia della Persia, raccomandando di pronunciare la -d- senza sibilo : Media fert tristes sucos: di sine sibilo proferenda est: Graecum enim nomen est, et Media provincia est.  (Commentarii in Vergilii Georgica, 2, 126)

Se la pronuncia ecclesiastica prescrive lo iotacismo di -ti-, perché dunque si astiene dallo iotacismo di -di-? Su quali basi? Ancora una volta, si dimostra come la pronuncia ecclesiastica sia raffazzonata e inconsistente, usando diversi pesi e diverse misure in ogni contesto. 

Conclusioni 

Cosa possiamo dedurre dalle evidenze sopra riportate? Possiamo affermare senza dubbio che anche se la lingua volgare e colloquiale mutava, la pronuncia classica era ancora ritenuta dalle classi colte la norma a cui conformarsi in epoca abbastanza tarda: i mutamenti volgari erano stigmatizzati dai grammatici. Una volta crollato l'Impero, questi tentativi sono cessati e la trasmissione della lingua aulica può dichiararsi estinta. La pronuncia ecclesiastica è nata dal tentativo di leggere gli antichi documenti ad opera di persone ormai di lingua romanza e prive dei necessari strumenti filologici: non stupisce che mostri così tanta incoerenza.  

Quello che è assolutamente grave è che al giorno d'oggi esistano ancora persone che coniugano incompetenza, arroganza e malizia, cercando di retrodatare la pronuncia ecclesiastica all'età paleolitica, senza tenere in minimo conto le testimonianze stesse dei grammatici dell'antica Roma. 

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