domenica 10 gennaio 2016


HIMMELSKIBET
(LA NAVE DEL CIELO)
La prima attestazione di memi New Age
in Occidente

Anno: 1918
Paese: Danimarca
Titolo danese: Himmelskibet (La Nave del Cielo)
Titolo inglese: A Trip to Mars
Aka: L'Astronave; Viaggio verso Marte
Regia: Holger-Madsen
Fotografia: Friederik Fuglsang, Louis Larsen
Scenografia: Carlo Jacobsen
Direttore artistico: Axel Bruun
Sceneggiatura:
Sophus Micha
ëlis
Adattato da: Himmelskibet, romanzo di Ole Olsen
Genere: Fantascienza
Produzione: Nordisk Film
Lunghezza: 1993 metri (6 bobine)
Formato: Bianco e nero, muto
Sottotitoli: danese e inglese
Cast:
  Gunnar Tolnæs (Avanti Planetaros)
  Zanny Petersen (Corona)
  Nicolai Neiiendam (Professor Planetaros)
  Alf Blütecher (Dottor Krafft)
  Svend Kornbeck (David Dane, l'Americano)
  Philip Bech (Il Grande Saggio marziano)
  Lilly Jacobson (Marya, la Principessa di Marte)
  Frederik Jacobsen (Professor Dubius)
  Birger von Cotta-Schønberg (compagno di
      viaggio orientale)
  Alfred Osmund (sacerdote marziano)
  Nils Asther (cittadino marziano ferito)

Trama e recensione (da mymovies.it):
Il capitano di marina Avanti Planetaros viene spinto dal padre astronomo a viaggiare nello spazio interstellare per raggiungere nuovi mondi. Diventa così aviatore ed è, insieme col giovane scienziato dottor Krafft, tra coloro che premono per costruire una navicella spaziale. Nonostante l’opposizione del beffardo professor Dubius, Planetaros mette insieme un equipaggio di intrepidi e parte. Durante il lungo viaggio, l’equipaggio diviene inquieto e per poco si sfiora l’ammutinamento. Alla fine raggiungono Marte e scoprono che il pianeta è abitato da un popolo che ha raggiunto un più alto stadio di sviluppo, senza malattia, dolore, violenza, cupidigia, pulsioni sessuali né paura di morire. Avanti si innamora di Marya, figlia del principe della Saggezza, capo dei marziani. Marya, che lo ricambia, decide di partire con lui per portare la saggezza dei marziani agli arretrati terrestri.Quest’ambiziosa produzione su un viaggio nello spazio è, in un certo senso, una pietra miliare nel genere fantascientifico. Il fascino dell’epoca per l’aviazione è evidente: la navicella spaziale ha ali e propulsore e i membri dell’equipaggio indossano divise da aviatore in pelle. Anche se i marziani, simili a druidi, possono sembrare involontariamente comici, dal punto di vista della storia culturale le idee del film su un mondo utopico sono affascinanti. Ole Olsen, menzionato nei credits come coautore della sceneggiatura, sperava, insieme col noto scrittore Sophus Michaëlis, che il film avrebbe parlato ai cuori degli spettatori ispirando loro “sentimenti ideali”, specie il pacifismo. Ma i critici danesi dell’epoca derisero la seriosa stupidità del film ed indicarono senza esitare i suoi molti difetti rispetto a The Birth of a Nation, proiettato per la prima volta a Copenaghen un mese dopo Himmelskibet.
(Casper Tyberg)

N.B.
Il film non va confuso con l'omonimo Himmelskibet (2014), che parla di tutt'altro.

Recensione e considerazioni antropologiche: 
Questo film è stato proiettato al Cineforum Fantafilm nel settembre del 2009: proprio in quell'occasione l'ho visto per la prima volta. Quello che mi ha sorpreso è stata una cosa che nessuno sembra finora aver notato. La popolazione di Marte descritta nel film non era formata da semplici pacifisti: erano veri e propri Hippies ante litteram. E non basta. Vi erano già definiti, uno per uno, tutti i temi di quella pandemia memetica che decenni più tardi sarebbe stata chiamata New Age. In altre parole, non mi convince affatto la vulgata corrente, che nella sua banalità vuole i Marziani di Himmelskibet una semplice reazione agli orrori della Grande Guerra. Si tratta piuttosto della prima documentazione in assoluto di un movimento di cui all'epoca nessuno poteva ancora avere sentore. Un seme che si sarebbe sviluppato appieno soltanto in seguito, generando un albero mostruoso. Si deve notare che putacaso la New Age non ha origini chiare e ben documentate: ho letto diverse e contrastanti versioni a proposito della sua formazione. C'è chi la vuole nata nella California dei tardi anni '60.
Solo per fare un esempio, questo è quanto riporta Wikipedia (10/01/2016): 

"Il termine "New Age" (letteralmente "nuova era") iniziò a essere diffuso dai mass media statunitensi nei tardi anni sessanta, per descrivere le forme di controcultura spirituale interessate a pratiche e concetti come la meditazione, il channeling, la reincarnazione, la cristalloterapia, la medicina olistica, l'ambientalismo e numerosi "misteri" di difficile interpretazione come gli UFO o i cerchi nel grano, o anche i bambini indaco.
Questa corrente di pensiero esiste certamente già dagli anni settanta, e probabilmente deriva almeno in parte dalla controcultura degli anni sessanta. Le generazioni precedenti erano già arrivate a interessarsi ad alcuni (ma non a tutti) degli elementi principali del "sistema di sistemi di credenze" (o paradigma) della New Age, per esempio a pratiche come lo spiritualismo, la teosofia, l'antroposofia o la medicina alternativa." 


Altri parlano di gruppi operanti nell'Inghilterra degli anni '50, ma in genere non si va molto indietro. Soltanto Massimo Introvigne intuisce che il fenomeno ha radici più antiche, arrivando ad attribuirne l'origine alla teosofa Alice Bailey (anni '20). Si rimanda al sito del CESNUR per approfondimenti. Gli antropologi che si occupano del fenomeno dovrebbero tenere conto anche della testimonianza di Himmelskibet e spostare indietro la cronologia. Evidentemente il nucleo di tutto ciò che sarebbe seguito è stato una comunità di cultori della Teosofia formatasi in Danimarca già prima del 1918, tutta intrisa di dottrina swedenborghiana e di suggestioni pseudo-induiste. Di quella stessa setta dovevano far parte proprio Holger-Madsen, Sophus Michaëlis e Ole Olsen. Il nome Sophus, corradicale del greco Sophia, è ben evocativo. Orbene, risulta che tale antroponimo fosse proprio il primo dei suoi nomi di battesimo (gli altri sono August Berthel), e questo è a parer mio un indizio del fatto che i suoi genitori fossero teosofi. Essendo nato a Odense nel 1865, si può dedurre che il virus attivo dai tardi anni '60 del XX secolo era già definito nel suo corredo memetico un centinaio di anni prima. Si arriva così a concludere che la New Age è nata da una semplice mutazione memetica della Teosofia. Peccato che il mondo accademico non compia indagini davvero approfondite su questi argomenti. 

La Teosofia non era cosa da operai. Era in grado di sussistere e di svilupparsi soltanto tra gente ricchissima che conduceva esistenze dorate, che poteva permettersi di passare la vita a baloccarsi in elucubrazioni esoteriche ingarbugliatissime. La percezione degli orrori che devastavano il mondo, come la Grande Guerra, giungeva in tali cenacoli soltanto per interposta persona. Dubito fortemente che un solo teosofo abbia mai visto i campi del massacro di Verdun con i propri occhi. La soluzione a tutto ciò che rende la vita degli esseri umani un inferno veniva così definita in un modo del tutto nuovo, ossia nel vivere la Nuova Era utopica come se questa fosse già reale, dando origine a una trasmissione infettiva dei memi. Nel film questa idea è ben illustrata dall'unione tra Avanti Planetaros e la bellissima Marya, figlia del Grande Saggio di Marte. Questi accetta di concedere Marya al capitano terrestre e di farla partire con lui, a patto che i due piccioncini si impegnino in un'opera capillare di diffusione del sentire marziano tra le genti della Terra. Ecco il concetto di "cambio di paradigma" già espresso alla perfezione in Himmelskibet. Che poi la Principessa di Marte debba accettare il piccolo sacrificio di soggiacere alla libidine di Planetaros è un dettaglio in sostanza irrilevante.  


Per fortuna il film non è soltanto melensaggine e baggianate New Age marziane. Non mancano i momenti di sano e divertente grottesco. In particolare è memorabile il finale, in cui il Professor Dubius (nomen omen), reso folle dall'ira e dall'odio, sale su una montagna e invoca Thor affinché con un fulmine schianti la Nave del Cielo. Tuttavia l'Aso dalla barba rossa non solo non ascolta le preghiere di Dubius, ma rivolge contro di lui il Mjöllnir, folgorandolo e facendolo precipitare in un baratro.

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