mercoledì 6 gennaio 2016


L'ULTIMO TRAMONTO
SULLA TERRA DEI McMASTERS

Titolo originale: The McMasters
Paese: USA
Anno: 1970
Genere: Western, Blacksploitation
Durata: 97 min (originale) / 89 min
Regia: Alf Kjellin
Sceneggiatura: Harold Jacob Smith
Musiche: Coleridge-Taylor Perkinson
Cast:
   Richard Alden (Lester)
   R.G. Armstrong (Watson)
   Marion Brash (Sig.ra Watson)
   David Carradine (Penna Bianca)
   John Carradine (Predicatore)
   Dane Clark (Spencer)
   Neil Davis (Sylvester)
   Paul Eichenberg (Jud)
   Alberto Hockmeister (Sceriffo)
   Burl Ives (McMasters)
   L.Q. Jones (Russel)
   Nancy Kwan (Robin)
   Jack Palance (Kolby)
   Brock Peters (Benjie)
   Frank Raiter (Grant)
   Lonnie Samuel (Bull)
   Alan Vint (Hank)

Trama (da filmtv.it):
Benjie, soldato di colore arruolato nell'esercito nordista, ritorna nella cittadina di Ironwood nel Sud degli Stati Uniti dopo la guerra civile. Il vecchio proprietario terriero Mc Masters lo accoglie come un figlio e lo prende come socio nella sua fattoria. Purtroppo però la maggior parte dei cittadini, che parteggiavano durante il conflitto per i sudisti, si dimostrano ostili nei suoi confronti e anche dei Mc Masters, che gli hanno dato ospitalità. Benjie reagisce, ma le cose si complicano quando sposa una giovane pellerossa. Narrazione robusta e ritmo sostenuto, con qualche forzatura di troppo.

Recensione: 
Lo hanno definito più volte un film ideologico, ma a parer mio tratta una realtà di fatto che fino a non molto tempo fa era viva e vitale negli Stati del Sud. A chi in Italia continua a cianciare di razzismo, per lo più senza cognizione di causa, consiglio vivamente di guardare questo film crudo e disturbante. Un tempo veniva trasmesso spesso su reti televisive private: ricordo ancora di averlo visto diverse volte, reagendo alla sua visione come se avessi ricevuto un pugno nello stomaco. Ai nostri giorni questo costume di mandare in onda film salutari è purtroppo andato smarrito. Sarebbe opportuno ripristinarlo: l'auspicio è che di fronte alla violenza delle scene di razzismo autentico, saltino agli occhi le sudicie manipolazioni di chi vorrebbe attribuire l'etichetta di "razzista" a tutti coloro che non condividono le storture del politically correct


Guerre razziali nel culo del mondo

Guardando le tristissime sequenze di The McMasters si ha un'impressione cruda e sgradevole: se l'Universo avesse un orifizio anale, il desolato villaggio di Ironwood sarebbe collocato al suo interno, nel bel mezzo di una massa di emorroidi. Un microcosmo desertico abitato da forme di umanità degradata e insignificante, che pure si danno mazzate sul cranio di santa ragione per motivi di una futilità infinita. La lotta si articola in una specie di triangolo razziale: il primo vertice è costituito dai possidenti di Ironwood, tutti di origine anglosassone; il secondo vertice è formati dagli Indiani, che vivono in condizioni abiette nel deserto, sopravvivendo grazie ai furti di bestiame; il terzo vertice consiste nell'unico afroamericano presente nella narrazione, l'ex schiavo Benjie. Si nota una spaventosa sproporzione in questo spinoso problema a tre corpi: è come se un solo uomo, in virtù delle sue lontane origini nel Continente Nero, fosse dotato di un potere destabilizzante assoluto, che manda in frantumi ogni precedente equilibrio, come un singolo sassolino in grado di far ghiacciare all'improvviso un lago che si trova in condizioni di metastabilità. A far precipitare gli eventi è il matrimonio tra Benjie McMasters e una donna indiana, Robin, celebrato proprio nella chiesa del paese. Infatti i proprietari terrieri vedono questo evento non soltanto come un affronto, ma anche come un concreto pericolo, dal momento che sancisce l'alleanza tra un nero - corpo estraneo nel tessuto del paese - e la tribù indiana, sempre pronta ad insorgere in armi. In realtà l'alleanza tra i McMasters e gli Indiani non è così scontata: nonostante tutti i benefici ricevuti, Penna Bianca fa sapere che i suoi non hanno alcun interesse a difendere la proprietà di un nero che si comporta come un bianco, mettendo steccati e confini sulla terra. Persino quando la moglie di Benjie viene violentata dai visi pallidi, Penna Bianca non fa una piega. Gli anziani della tribù fanno anzi capire che per loro è una cosa normale. "Conosciamo i bianchi", fa sapere lapidario il capo. Alla fine Penna Bianca e i suoi uomini aiuteranno l'afroamericano ferito, uccidendo i suoi nemici a fucilate. Il protagonista non riuscirà a riprendersi dall'annientamento del suo mondo e dal fallimento dei suoi progetti. Rifiuterà di stare tra gli Indiani e, cocciuto all'ennesima potenza, aggrappandosi al dorso di un cavallo si trascinerà verso le ceneri del suo ranch. "Non hai più una casa!", è l'urlo finale che gli viene rivolto dall'indiano, che rimbomba fino all'orizzonte di terra arida e di sterpi.  

Il Dio dell'Odio e della Vendetta 

Il maggiore Kolby, interpretato dal disturbante Jack Palance, è un feroce pretoriano del Dio del Male, che in Persia era chiamato Ahriman. L'aspetto del reduce confederato è terribile: occhi piccoli e neri, ma in cui arde un'inestinguibile luce di odio, il braccio sinistro amputato ben sopra il gomito e ridotto a un moncherino. La manica dell'uniforme grigia del Sud, cucita per nascondere il residuo dell'arto mutilato, crea un effetto straniante, di innaturalità. In occasione del funerale di alcuni dei suoi uomini, uccisi nel corso di un'incursione al ranch di Benjie McMaster, ecco che Kolby prende la parola. Non soltanto egli difende il discutibile operato di quelli che or della fine sono soltanto stupratori e assassini, ma si impegna in argomentazioni teologiche. Finito il sermone del prete, il mitissimo Spencer, che prova nausea per la violenza imperante a Ironwood, invoca il Dio che ha come essenza l'Amore e la comprensione. Subito il maggiore mutilato si scaglia contro di lui, invocando il Dio della Spada Vendicativa. Marcione di Sinope non avrebbe avuto dubbi, se solo avesse potuto vedere il film di Kjellin. Veterotestamentaria nell'essenza più profonda, l'America menziona spesso Cristo, ma di fatto lo espellerebbe volentieri dalla propria esistenza per affermare il più belluino culto del Signore degli Eserciti, padre di ogni genocidio e di ogni persecuzione. Marcione distingueva in modo nettissimo tra il Dio dell'Amore, Padre di Gesù, e il Dio della Legge, ossia la spietata divinità dell'Antico Testamento, le cui opere sono interamente malvagie. Ecco, tra gli americani abbondano i fanatici che rivolgono le loro invocazioni al Dio della Legge, sempre inclini a benedire le impiccagioni. Senza saperlo, Kjellin ha scritto un'interessante pagina di Dualismo moderno, facendo scontrare due uomini che possono essere visti come emissari delle due Divinità. Questa ispirazione si perde nel Nulla di Ironwood, mentre il becchino getta palate di terra molle sui corpi dei morti.

Doppio finale  

Il film fu rilasciato in due versioni, di cui una più breve e nota come The McMasters... Tougher than the West Itself. In questa versione alternativa l'assalto finale vede il trionfo del maggiore Kolby e dei suoi mirmidoni, che freddano Benjie. Come si può ben capire, la natura dei due finali è profondamente diversa. Non che la cosa abbia avuto una qualche rilevanza, dato che la pellicola di Kjellin fu comunque un insuccesso. Secondo la critica, la duplicità del finale è un problema, perché oscura gli intenti morali del regista. Nel Web ho trovato ben poche informazioni; sembra in ogni caso che le due versioni si siano originate dall'impossibilità di decidere tra l'etica e il botteghino. Il pubblico americano, che vede l'etica in termini unicamente sessuali e che ama i linciaggi, avrebbe di certo preferito The Macmasters... Tougher than the West Itself. Nel resto del mondo, ci sarebbe stata invece una certa ripugnanza per un simile trionfo dei malvagi, così agli eventi è stato dato un corso che appare appena più favorevole al protagonista. Appena più favorevole, perché in ogni caso la vicenda di Benjie McMasters si conclude con una catastrofe.

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