venerdì 29 aprile 2016

IL PANETTONE: ORIGINE ED ETIMOLOGIA


Quando si indaga sull'origine di uno dei simboli di Milano, il panettone (in meneghino panatton /pana'tun/), ecco che ci si imbatte in narrazioni leggendarie quanto inverosimili.

Il "Pan del Toni"

La più comune è all'origine di una falsa etimologia, che vuole il panettone derivato da Pan de(l) Toni, dal nome del fornaio che l'avrebbe inventato.
Questo è quanto riportato da Wikipedia (29/04/2016):

Il cuoco al servizio di Ludovico il Moro fu incaricato di preparare un sontuoso pranzo di Natale a cui erano stati invitati molti nobili del circondario, ma il dolce, dimenticato nel forno, quasi si carbonizzò. Vista la disperazione del cuoco, Toni, un piccolo sguattero, propose una soluzione: «Con quanto è rimasto in dispensa – un po' di farina, burro, uova, della scorza di cedro e qualche uvetta – stamane ho cucinato questo dolce. Se non avete altro, potete portarlo in tavola». Il cuoco acconsentì e, tremante, si mise dietro una tenda a spiare la reazione degli ospiti. Tutti furono entusiasti e al duca, che voleva conoscere il nome di quella prelibatezza, il cuoco rivelò il segreto: «L'è 'l pan del Toni». Da allora è il "pane di Toni", ossia il "panettone".

La storiella apocrifa del "Pan del Toni" è confutata dalla costumanza medievale e rinascimentale di servire i dolci cotti al forno come antipasto. Così in narrazioni più estese di quella riportata da Wikipedia si descrive il cuoco in ansia perché dopo un banchetto tanto sontuoso gli ospiti si aspettavano un dolce altrettanto eccezionale. Lo sconosciuto inventore di tale favola ha semplicemente proiettato nel passato l'uso a tutti noi ben noto, e ritenuto inveterato, di servire i dolci unicamente a fine pasto.

Questo racconta invece Pietro Verri nella sua Storia di Milano, descrivendo un lauto banchetto svoltosi nel 1524:  

Lavate  prima  le  mani  con  acqua  nanfa,  posto  in  tavola primamente focaccine fatte col zuccaro et acqua rosata, e marzapani et offellette e pane biscotto; lo scalco portò poi fegati arrostiti di capponi, galline, et anitre, aspersi con sugo di aranci, e lattelli di vitello,  e  cotornici  e  tortore molto grasse, arrostite nello spiedo;  terzo,  furono  portati  pavoni  e conigli arrosto, e varii piattelli di carne di manzo trita, condita con zenzevero, canelle e garofani; da poi capponi  e  lonze  di  vitello  a  rosto,  con  piattelli  di  carne di  caprioli, con uva in aceto composta. Poi petti di vitello, capponi a lesso, con tortellette di formaggio e cinamomo, coperte con bianco mangiare, ovvero sapore composto con mandorle, zucchero e sugo di limone;  poco da poi teste di vitello condite con passule e pignoli, e gran pezzi di carne di manzo, con senape e ulive; da poi  colombi, anatre, lepretti acconci con pere, limoni e aceto. D'indi a poco furono portati porcelletti arrosto intieri, coperti di salsa verde; poco appresso papari grassi, cotti con cipolle e pepe; dopo lo scalco fece portare i latticini e fritelle fatte a modo tedesco; e cose fatte di cacio di molte sorti. Ultimamente si posero mirabolani, citrini, kebuli, e corteccie di cedro e zucche confettate. Ho tralasciato il pane bianco come neve, e vini bianchi e rossi, al nettare o all'ambrosia non cedenti, di che i Tedeschi maravigliosamente se ne godevano e con grande stupore. V'erano molti cantori e suonatori di varie sorti con trombe e tamburi, che rallegrarono molto i convitati, nel qual  mangiarono  certamente  più  di  trecento  uomini.

Come si vede, nel banchetto citato - che è piuttosto tipico - a inizio pasto sono stati serviti marzapane, pandolci e biscotti, mentre a fine pasto comparivano agrumi canditi e zucche confettate. Non si può dire vi fosse un'associazione biunivoca tra la fine del pasto e i dolciumi.

Il dolce a fine pasto e una locuzione pseudolatina 

Esiste anche un'altra cantonata legata all'ingannevole certezza dell'eternità del costume del dolce a fine pasto. La tipica espressione dulcis in fundo non è latina, con buona pace di quanti lo credono. È semplicemente latino maccheronico. Intanto, il vocabolo latino per indicare il dolce (sostantivo) sarebbe un neutro, dulce, anche se nell'antica Roma il concetto sarebbe stato espresso diversamente, ad esempio con lucunculus. Notiamo poi che fundus indica soprattutto un campo, un podere. Nessun parlante latino avrebbe detto "in fundo" per significare "alla fine". Così "dulcis in fundo" è una frase latina perfettamente accettabile solo se la si traduce con "la persona dolce nel podere", che a conti fatti non significa assolutamente nulla.

Un'altra storiella apocrifa

Una diversa origine del mito del Pan del Toni è riportata da Wikipedia (29/04/2016):

Messer Ulivo degli Atellani, falconiere, abitava nella Contrada delle Grazie a Milano. Innamorato di Algisa, bellissima figlia di un fornaio, si fece assumere dal padre di lei come garzone e, per incrementare le vendite, provò a inventare un dolce: con la migliore farina del mulino impastò uova, burro, miele e uva sultanina. Poi infornò. Fu un successo strabiliante, tutti vollero assaggiare il nuovo pane e qualche tempo dopo i due giovani innamorati si sposarono e vissero felici e contenti.

Ha tutta l'aria di una fiaba tipo Cenerentola o Biancaneve, ancor meno credibile della leggenda del banchetto di Ludovico il Moro.

Il "pane di tono"

Sembra decisamente più plausibile la descrizone attribuita da Wikipedia a Pietro Verri (29/04/2016):

Pietro Verri narra di un'antica consuetudine che nel IX secolo animava le feste cristiane legate al territorio milanese: a Natale la famiglia intera si riuniva intorno al focolare attendendo che il pater familias spezzasse "un pane grande" e ne porgesse un pezzo a tutti i presenti in segno di comunione. Nel XV secolo, come ordinato dagli antichi statuti delle corporazioni, ai fornai che nelle botteghe di Milano impastavano il pane dei poveri (pane di miglio, detto pan de mej) era vietato produrre il pane dei ricchi e dei nobili (pane bianco, detto micca). Con un'unica eccezione: il giorno di Natale, quando aristocratici e plebei potevano consumare lo stesso pane, regalato dai fornai ai loro clienti. Era il pan di scior o pan de ton, ovvero il pane di lusso, di puro frumento, farcito con burro, miele e zibibbo.

Va detto che foneticamente il passaggio da pan de ton /pan de 'tɔn/ a /pana'tun/ è impossibile proprio come l'origine dal summenzionato Pan del Toni: una -o- aperta /ɔ/ non può evolvere in una vocale chiusa /u/. Si tratta chiaramente di una paretimologia, anche se più dotta rispetto a quella suggerita dalla leggenda del fornaretto milanese.

Un inaspettato pacchetto memetico

Un problema non indifferente è che non sono riuscito a trovare menzione nell'opera del Verri di quanto riportato in Wikipedia. Non ho cercato in tutta la sua produzione, è chiaro. Mi sono limitato alla Storia di Milano, sia perché in altri siti la storia del "pane di tono" è attribuita in modo esplicito a tale opera, sia perché difficilmente il Verri avrebbe potuto parlare del panettone nel suo Dei delitti e delle pene o nei suoi scritti di economia. Questo è un link che permette lo scaricamento e la consultazione della Storia di Milano, opera non coperta da diritti d'autore.   


Questo è l'unico brano che ho trovato sulla preparazione del pane nella città lombarda in riferimento all'uso della farina di puro frumento:

Generalmente si mangiava in Milano pane di mistura; e l'anno 1355 vi era in tutta la città un forno solo che fabbricasse il pane bianco di puro frumento; pane che allora era di lusso; e questo forno privilegiato chiamavasi il prestino dei Rosti, ed era vicino  alla  piazza  dei  Mercanti.

Altrove si dice che a Milano nel 1288 esistevano ben quattrocento fornai che cuocevano il pane e mille taverne per la vendita del vino. Se il pane di puro frumento era una tale rarità da essere prodotto da un unico fornaio ancora nel XIV secolo, si pensa che sia una fanfaluca l'idea che il giorno di Natale tutti quei fornai producessero panettoni di puro frumento à gogo per tutta la cittadinanza.  

Questo poi è l'unico brano che ho trovato sull'uso di pani grandi in occasione del Natale:

Nella vigilia del Santo Natale si faceva ardere un ceppo ornato di frondi e di mele, spargendovi sopra tre volte vino e ginepro; e intorno vi stava tutta la famiglia in festa. Questa usanza durava ancora nel secolo decimoquinto, e la celebrò Galeazzo Maria Sforza. Il giorno del Santo Natale i padri di famiglia distribuivano, sin d'allora, i denari; acciò tutti potessero divertirsi giuocando. Si usavano in quei giorni dei pani grandi; e si ponevano sulla mensa anitre e carne di maiale; come anche oggidì il popolo costuma di fare.

Come si vede, non si fa menziona al pane di lusso o "pane di tono", e neppure si dice che col passar dei secoli da una grande forma di pane si è giunti al panettone fatto e finito, con tanto di miele, burro e zibibbo. Anzi, sembra che il Verri affermi che ancora ai suoi tempi il giorno di Natale le famiglie del popolo consumassero forme di pane semplice, di mistura, ma soltanto più grandi del consueto. 

L'origine del testo riportato da Wikipedia e da altre fonti nel Web non mi è chiara, in ogni caso ho il sospetto che si tratti di una fabbricazione, di un pacchetto memetico fabbricato da una singola persona e in seguito propagatosi. Se mi fossi sbagliato nella mia analisi delle fonti e qualcuno lo dimostrasse, me ne scuserò pubblicamente - anche se dubito che questo accadrà. 

Maggior credibilità delle fonti in inglese

Più sobria è la Wikipedia in inglese (29/04/2016), che comunque menziona le leggende sul panettone ma dà anche la corretta etimologia della parola, un semplice accrescitivo di panetto, come anche un alunno delle scuole elementari potrebbe ben comprendere.  

In Italy the panettone comes with an often varied history, but one that invariably states that its birthplace is in Milan. The word "panettone" derives from the Italian word "panetto", a small loaf cake. The augmentative Italian suffix "-one" changes the meaning to "large cake".

Dopo aver accennato a una dubbia continuità con tradizioni dell'Impero Romano, si fa comunque cenno al problematico "pane di tono" (vedi sopra):

The origins of this cake appear to be ancient, dating back to the Roman Empire, when ancient Romans sweetened a type of leavened cake with honey. Throughout the ages this "tall, leavened fruitcake" makes cameo appearances in the arts: It is shown in a sixteenth-century painting by Pieter Brueghel the Elder and is possibly mentioned in a contemporary recipe book written by Bartolomeo Scappi, personal chef to popes and emperors during the time of Charles V. The first recorded association of panettone with Christmas can be found in the writings of 18th century illuminist Pietro Verri. He refers to it as "Pane di Tono" (luxury cake). 

Conclusioni 

Quanto discusso in questo articolo fa riflettere su un paio di cose:
1) Ogni informazione reperibile è soggetta a distorsioni, che ne possono compromettere in modo grave l'attendibilità;
2) Aspetti della nostra vita quotidiana che a noi paiono ovvi, hanno nella maggior parte dei casi un'origine incerta, che è estremamente difficile poter determinare.

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