sabato 3 dicembre 2016


IL LIBRO DEI TESCHI 

AKA: Vacanze nel deserto
Titolo originale:
The Book of Skulls
Autore: Robert Silverberg
Lingua originale:
 Inglese
Genere: Fantastico, dark fantasy 
I pubblicazione: 1972
I pubblicazione italiana: 1975
   (Andromeda n. 18)
II pubblicazione italiana: 1991
   (Classici Urania n. 172*)
  
III pubblicazione italiana: 2004
   (con nuova traduzione)
Casa editrice: Fazi Editore
Collana: Le strade
Numero collana: 85
Numero pagine: 255
Codice ISBN: 9788881125463
Traduzione: Marco Pittoni

*Non è il n. 192, come erroneamente riportato su Fantascienza.com.

Trama:

Siamo nell'epoca dei Beatnik. Quattro studenti pieni pieni zeppi di fumo e di illusioni si dirigono verso il deserto dell'Arizona alla ricerca di una conventicola monastica che custodirebbe il segreto dell'immortalità. È la Confraternita dei Teschi, il cui testo sacro è il Libro dei Teschi (Liber Calvariarum), articolato in numerosi Misteri. Una copia manoscritta dell'antico testo è stata ritrovata per puro caso da Eli, un giovane filologo ashkenazita newyorkese studioso di lingue morte. Il testo è scritto in un idioma definito "corrotto" e di difficile comprensione, che consiste in una forma di tardo latino in cui emerge già una sorta di proto-catalano. Subito l'ashkenazita parla della sua scoperta ai suoi compagni di stanza, convincendoli a seguirlo in quella che fin da subito appare come un'impresa dissennata. Secondo il Libro dei Teschi, la Confraternita non sottopone alla Prova singoli candidati, ma esclusivamente gruppi di quattro. Solo due dei quattro possono ottenere di essere accolti: degli altri uno dovrà suicidarsi e uno dovrà essere ucciso. I quattro giovani, di estrazione sociale molto diversa, si mettono in viaggio, alternando fede assoluta nella promessa di vita eterna a momenti di scetticismo. Le cose non andranno come previsto... 

Recensione:

Pur essendo Silverberg un eminente autore di fantascienza (talvolta con sfumature fantasy ed erotiche, come nel Ciclo di Majipoor), questo suo capolavoro non tocca la SF nemmeno di striscio. Nonostante ciò alcuni lettori considerano pertinente al genere fantascientifico l'immortalità custodita dalla Confraternita dei Teschi. Immortalità a mio avviso fantomatica, se devo essere sincero. Non mi pronuncio troppo per non spoilerare, ma devo ammettere che gli eventi non chiariranno affatto se i settari simili a fratacchioni ossessionati dai teschi siano davvero in possesso della formula magica per tenere lontano l'artiglio di Azrael e sconfiggere la Morte. Se anche fosse, non si tratterebbe comunque di una trovata tecnologica futuribile, semmai di magia.

Il libro ha uno schema narrativo piuttosto inconsueto: non è diviso in capitoli consequenziali, ma presenta in modo alterno le riflessioni dei quattro protagonisti che procedono verso la loro meta, dividendo la narrazione in brevi sezioni intitolate ogni volta col nome del narratore che espone e commenta gli eventi: Eli, Ned, Timothy, Oliver. 

Il Bello, il Ricco, il Sodomita e l'Ebreo

Eli è l'ebreo ashkenazita. È descritto come un tipico rappresentante della fauna anerobica di New York. Passa le sue giornate nei sotterranei dell'università a frugare tra volumi polverosi abbandonati alla rinfusa. Dismorfofobico, probabilmente pieno di complessi di inferiorità per il suo aspetto fisico corrispondente ai peggiori stereotipi antisemiti, lamenta di continuo la sua estrema difficoltà ad avvicinare le ragazze, il cui contatto fisico desidera ardentemente. Insomma, si tratta di un nerd erotomane che suppura nelle sue fantasie pornografiche.

Ned è il sodomita. Descritto come una "checca", è in realtà unicamente attivo e non disdegna fugaci avventure con ragazze, che sceglie in modo sistematico tra le più racchie, penetrandole al solo scopo di far spurgare il fallo in mancanza di amanti di sesso maschile. Nativo di Boston, la sua famiglia è di orgine irlandese e fortemente cattolica. Nonostante l'opprimente educazione religiosa ricevuta, Ned è stato capace di maturare un senso critico e di distaccarsi dal mondo dei preti. Interessato in modo morboso alla poesia decadente, coltiva lui stesso velleità poetiche. Secondo alcuni, si tratterebbe di uno tra i primi personaggi omosessuali nel panorama della fantascienza. Non essendo però quest'opera ascrivibile alla SF, bisognerà cercare altrove. 

Timothy è il ricco. Proviene da una potente famiglia aristocratica WASP in cui per ben otto generazioni nessuno ha mai avuto la benché minima necessità di lavorare. A causa di questa condizione privilegiata è fermamente convinto che il mondo intero sia come il villaggio dei Puffi. Ogni cosa la vede come un gioco e in realtà non crede realmente al contenuto del Libro dei Teschi. Per lui l'impresa è soltanto un'occasione per una nuova avventura. Eppure sotto questa personalità larvale e anodina, il plutocrate deve convivere con qualcosa di terribile, che farebbe strillare dall'orrore la massima parte delle lettrici, specie quelle più sensibili.

Oliver è il bello. Campagnolo del Kansas, incarna il tipico modello di americano robusto e biondo, amatissimo dalle femmine per cui dimostra a sua volta una fortissima attrazione. Ipersessuale, è tuttavia poco attratto dalla subcultura della droga tanto in auge nel contesto studentesco della Beat Generation: sostiene che il suo massimo sballo lo ottiene con un bicchier di vino rosso ma evidentemente non sa che il fumo passivo di erba equivale a quello attivo. Sotto la maschera del contadinotto ingenuo nasconde un segreto che all'epoca era ritenuto terribile, mentre al giorno d'oggi potrebbe al massimo dare origine a una canzonaccia di Povia.

I Frati del Diavolo 

I fratacchioni della Confraternita dei Teschi sono furbi, come tutti i loro simili di altri ordini. Non sono poi tanto ascetici. Ben poco rilevante è il fatto che si fabbricano una birra di frumento e un liquore d'erbe, bevendone ad ogni pasto. Il fatto più significativo è che usano delle prosperose adepte di sesso femminile per far tracimare il loro surplus di produzione spermatica, facendo passare queste pratiche per buone e sante. In altre parole, sono dediti a tregende e a sabba, con la scusa di riportare l'armonia nel mondo. Sono pieni zeppi di baggianate New Age e fanno credere di provenire da Atlantide, di essere tanto vetusti da aver visto con i propri occhi i tempi dei Faraoni e i tempi di Cristo. A volte viene ai giovani studenti il sospetto che i fratacchioni siano eredi degli Aztechi, dato che hanno il convento pieno zeppo di ornamenti fabbricati nello stile di quelle genti mesoamericane. Con le adepte lascive i falsi santi parlano una lingua che nessuno riesce a identificare: Eli ipotizza che possa trattarsi proprio della lingua degli Aztechi. Evidentemente lo studente non conosce una sola sillaba della splendida lingua Nahuatl, e sarebbe bastato anche leggerne una descrizione per riconoscerla all'istante, tanto peculiari sono i suoi suoni. In realtà si può dimostrare che gli Aztechi non c'entrano proprio nulla. La dieta dei monaci esclude il mais e ritiene come solo cereale lecito il frumento, segno che la setta non può avere un'origine mesoamericana, senza contare il fatto la lingua in cui è scritto il Libro dei Teschi. Tutto è molto sospetto e innumerevoli sono gli indizi che puntano a una mistificazione. Una mente acuta non si sarebbe lasciata ingannare. Il Nono Mistero del testo scacro della Confraternita recita: "Il prezzo di una vita deve essere sempre un'altra vita". Sembra una frase moderna: in epoca medievale, data la diversità della forma mentis, lo stesso concetto sarebbe stato espresso in modo completamente diverso. 

Un'opera autentica e antibuonista

Quello che mi è piaciuto in questo capolavoro di Silverberg è il suo profondissimo disprezzo per la piaga della political correctness, per quel buonismo disgustoso e ostentato che affligge questi tempi sciagurati. Cosa a dir poco splendida e mirabile, non vi si trova ombra di femminismo. Al giorno d'oggi non si potrebbe più scrivere un testo così potente. Ad ogni riga si solleverebbero carampane isteriche e strepitanti (di entrambi i sessi), tanto che l'autore finirebbe boicottato e non arriverebbe da nessuna parte. Se possiamo leggere in santa pace Il Libro dei Teschi, se possiamo trovarlo in qualsiasi biblioteca o libreria e nessuno ci fracassa i coglioni, è perché si tratta di un fossile. Siamo di fronte a qualcosa che è giunto dall'epoca pre-buonista ed è rimasto immune alla censura che poi si sarebbe imposta in tutto il declinante Occidente. Un fenomeno analogo, anche se in forma ben più estrema, ha colpito i Canti di Maldoror di Lautréamont, che sono acquistabili da chiunque, eppure se qualcuno oggi scrivesse e pubblicasse cose simili finirebbe in galera all'istante. 

La lingua del Liber Calvariarum

Robert Silverberg non ci fornisce nemmeno un esempio concreto della lingua in cui è scritto il Libro dei Teschi. Nemmeno una frase fatta e finita. Ci fa capire che si tratta di una forma intermedia tra il latino volgare e uno stadio primitivo del catalano, evidentemente infarcita di un gran numero di prestiti e di locuzioni dal latino ecclesiastico. Senza dubbio un idioma informe e instabile, poco adatto ad esprimere idee di particolare complessità. Non c'è bisogno di chiedersi perché l'autore non abbia immaginato il testo sacro scritto in latino: senza dubbio l'ha fatto per aumentare l'atmosfera di fitto mistero e di turbamento. Va notato che la lingua catalana conserva il vocabolo latino calvaria "teschio", che si è evoluto in calavera (pl. calaveres). La stessa voce si trova anche in altre lingue neolatine della Penisola Iberica: spagnolo calavera, portoghese e galiziano caveira. Non mi risulta che esistano forme simili in altre regioni della Romània. Notevole è l'anaptissi, che tuttora non ha una chiara spiegazione. La protoforma doveva suonare CALAVAIRA. Supplico in minima parte alla mancanza dell'autore: la formulazione di Liber Calvariarum nel suo volgare "corrotto" doveva essere qualcosa come ELLU LIBRU DE ELLAS CALAVAIRAS. Come già in altre occasioni, Silverberg mostra un certo interesse per la linguistica, tanto da inventare nomi che presuppongono un certo ragionamento, metodico e affascinante. Non sembra tuttavia essere un filologo tanto appassionato da dare origine a veri e propri trattati. 

Le glosse Yiddish

La versione di Fazi Editore include un glossario che spiega alcuni termini espressivi della lingua Yiddish che ricorrono nella narrazione, usati dall'ashkenazita Eli. Ho potuto constatare che questo glossario manca del tutto nell'edizione di Mondadori del 1991, Classici Urania n. 172. Allo stesso modo non si trova traccia di questa appendice nelle versioni in altre lingue: evidentemente è stata aggiunta espressamente per l'edizione italiana del 2004. Alcuni termini sono di chiara etimologia germanica, mentre altri sono assai incerti e presentano caratteri quasi onomatopeici. Particolare attenzione merita una serie di vocaboli allitteranti: schmeggege, schlemihl, schlemazel, schmendrick, schlep, il cui significato corrisponde all'incirca a "minchione". Essi vengono spesso salmodiati da Eli tutti in fila ogni volta che ammette qualche errore commesso. Altre parole sono tratte tali e quali dalla lingua ebraica, come goy "non ebreo", col suo plurale goyim; altre ancora sono di chiara origine germanica, come shvartzer "negro"

Reazioni nel Web

Su Anobii si trova un certo numero di commenti, alcuni dei quali eulogistici e altri un po' critici. Riporto quindi il link, convinto di fare cosa utile e gradita (devo avvisare però che qualche utente spoilera): 

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