giovedì 30 marzo 2017

GLI ESITI DEL LATINO VOLGARE IN SICILIA E UNO STRANO NEGAZIONISMO

Esistono negazionisti che non riconoscono l'esistenza e la genealogia della lingua siciliana. Li chiamo negazionisti, senza indugio, e affermo che il loro è negazionismo puro e semplice, perché consiste nella negazione di una realtà incontrovertibile. Secondo i chierici traditori che propugnano queste idee aberranti, nell'isola non sarebbe mai esistito un latino volgare: la conquista araba avrebbe imposto l'uso della lingua araba e cancellato in men che non si dica ogni traccia di lingua romanza: soltanto una forma di greco sarebbe sopravvissuta nei distretti nordorientali. In seguito, cessata la dominazione araba, ad essere parlato dalle classi alte dell'isola sarebbe stato il latino ecclesiastico, tirato fuori dalla naftalina per l'occorrenza. Per questo motivo non pochi negazionisti sostengono l'esistenza di una vera e propria "romanizzazione secondaria" in seguito alla conquista normanna, innestatasi su un contesto arabofono e grecofono come un elemento intrusivo a partire dalla realtà artificiale della lingua dotta del clero. 

Una prima formulazione di questa folle tesi fu fatta negli anni '30 dello scorso secolo dal romanista Gerhard Rohlfs (1892-1986), che tuttavia in seguito la rinnegò, attribuendola alla propria impetuosità giovanile. L'abiura del Rohlfs non esito ad attribuirla a un processo di maturazione come quello che rende il cognac migliore al passar degli anni: egli ha identificato come aberrazioni alcune sue teorie e con grande senso critico ha provveduto a rimuoverle. Eppure nel mondo accademico italico l'élite massonica ha passato sotto silenzio la notizia di questa abiura, formando al contempo fanatici sostenitori della nullità di varietà romanze che sono tuttora parlate da centiniaia di migliaia di persone, che hanno avuto una loro genesi e che non possono essere piovute dall'Iperuranio di Platone. Il folle enunciato di Rohlfs è in altre parole divenuto un dogma. I suoi partigiani riportano come prova l'assenza di documentazione scritta del latino volgare nell'isola fino ad epoca molto tarda, così ne negano l'esistenza tout court. Tutto ciò si fonda sul demente presupposto dell'archeologismo, secondo cui l'assenza di una lingua scritta implica l'assenza della lingua parlata.

Con buona pace dei sostenitori di una discontinuità insanabile nella Romània di Sicilia, la lingua latina volgare è esistita nell'isola senza soluzione di continuità, come provato dagli sviluppi fonetici regolari che sono ben riconoscibili da un'analisi anche sommaria del lessico di base. Non si scorge nessun elemento di frattura. Fornisco un sintetico quadro dei cambiamenti del sistema vocalico occorsi nei secoli. Come di costume quando si considera l'origine delle lingue romanze dal latino volgare, le forme latine di origine, sostantivi e aggettivi (salvo qualche eccezione), sono fornite all'accusativo, perché quella è nella maggior parte dei casi la base delle forme volgari.

La vocale a latina, breve o lunga, resta a.

annu(m) > annu "anno" 
caballu(m)*
> cavaḍḍu "cavallo"   
latro: > latru "ladro"
patre(m) > paṭṛi "padre"
ma:sculu(m) > masculu "maschio"
ma:tre(m)
 > maṭṛi "madre"
  
*Forma volgare, nel sermo nobilis si usava equu(m).

La vocale e breve latina dà e aperta. 

bellu(m)* > beḍḍu "bello" 
fel > feli "fiele"
ferru(m) > ferru "ferro" 
melmeli "miele" 
ventu(m) > ventu "vento" 
 
   *Forma volgare, nel sermo nobilis si usava pulchru(m).

Può dare i in alcuni contesti: 

mentula(m) > minchia "pene" 

La vocale e lunga latina dà i.

fe:mina(m) > fimmina "femmina"
me:nse(m)
 > misi "mese"
re:ne:s
> rini "reni"
te:la(m)
 > tila "tela" 

La vocale i breve latina resta i.

cicere(m) > cìciri(1) "cece" 
illu(m)
 > iḍḍu "lui" 
nive(m)
> nivi "neve"
pice(m)
> pici "pece"
pisce(m)
 > pisci "pesce"
 
(1)Non *cicìrri

La vocale i lunga latina resta i.  

fi:lu(m) > filu "filo"
fi:ne(m)
 > fini "fine"
vi:nu(m)
> vinu "vino" 

La vocale o breve latina dà o aperta.

bonu(m) > bonu "buono"
cor
> cori "cuore"
homo:
 > omu "uomo"
mortua(m)
 > morta "morta"
orbu(m) >
orvu "cieco" 

La vocale o lunga latina dà u.

ante ho:ra(m) > antura "poco fa"
dolo:re(m)
> duluri "dolore"
flo:re(m)
> sciuri "fiore" 
so:le(m) > suli "sole"
vo:ce(m)
 > vuci "voce" 

La vocale u breve latina resta u.  

cruce(m) > cruci "croce"
nuce(m)
> nuci "noce" 
russu(m) > russu "rosso" 
surdu(m)surdu "sordo" 
turri(m) > turri "torre"  

La vocale u lunga latina resta u

fu:mu(m) > fumu "fumo" 
iu:dice(m)
 > jùrici "giudice"
lu:ce(m)
 > luci "luce"
lu:na(m)
 > luna "luna" 
mu:ru(m)
> muru "muro" 

In vari dialetti si producono fenomeni di metafonesi molto peculiari, che comportano la formazione di dittonghi e mutamenti vocalici. Così beddu "bello" può essere pronunciato bièddu, bìeddu, biddu. Per maggiori dettagli rimando a questo interessante documento, opera di Silvio Cruschina dell'Università di Cambridge:


Per quanto riguarda il consonantismo, si hanno diversi mutamenti comuni ad altri dialetti del Meridione. 

Il nesso cl- e il nesso pl- evolvono entrambi in chi-; il nesso fl- evolve in sci-

cla:ve(m) > chiavi "chiave"
cla:vu(m) > chiovu "chiodo"
clu:dere*chiùriri "chiudere"
plangere
> chiànciri "piangere"
platea(m) > chiazza "piazza"
plu:scchiù "più"
fla:tu(m) > sciatu "fiato"
flu:mensciumi "fiume"

   *Volgare per claudere.

La liquida seguita da semiconsonante -i- dà origine a un suono velare. 

fi:liu(m) > figghiu "figlio"
fi:lia(m) > figghia "figlia"
muliere(m)* "donna" > mugghièri, mugghièra "moglie"
  *In lat. classico era mulìere(m), poi passato a mulière(m) per regolare mutamento. 

La liquida seguita da altra consonante si oscura fino a dare origine a un dittongo in -u-.

alteru(m) > auṭṛu "altro"
altu(m) > autu "alto"
calceae > causi "calzoni"
falsu(m) > fausu "falso" 

Per inciso, questo mutamento è una prova lampante dell'origine diretta del siciliano dall'antichità, perché continua il suono che tale consonante aveva nel latino volgare. Il latino ecclesiastico non ha traccia di questa pronuncia. La caratteristica durò così a lungo da intaccare anche i germanismi: es. meusa "milza"

Il nesso -mb- si assimila in -mm-; il nesso -nd- si assimila in -nn-. Questo sviluppo si trova non soltanto nell'Italia Meridionale, ma anche nei dialetti italiani mediani (es. quello di Roma).

camba(m)*camma, gamma "gamba"
palumba(m)
 > palumma "colomba"
plumbu(m)
 > chiummu "piombo"
grande(m)
 > ranni "grande" 
manda:re
mannari "mandare"
mundu(m) > munnu "mondo" 
quando:
> quannu "quando" 

La liquida del latino volgare, quando forte, ha prodotto un suono cacuminale (retroflesso), che si è sviluppato anche nella lingua sarda. Così il siciliano cavaḍḍu è molto simile al sardo quaddu e varianti. Appare evidente che una simile pronuncia è dovuta all'evoluzione di un remoto elemento di sostrato preromano che accomunava la Sicilia alla Sardegna. 

collu(m) > coḍḍu "collo"
gallu(m)
 > aḍḍu "gallo"
galli:na(m) > aḍḍina "gallina"
nullu(m) > nuḍḍu "nessuno" 

Come vediamo, non pochi sviluppi dei dialetti della lingua siciliana sono parte di un continuum più vasto e non sono assolutamente spiegabili in termini di latino ecclesiastico.

Origini della delirante teoria di Rohlfs

A questo punto ci si può porre una domanda. Cosa ha portato Gerhard Rohlfs a vaneggiare? La risposta è semplice: è stata la tendenza alla semplificazione estrema e allo schematismo, che accomuna i romanisti agli archeologi e che ha la sua origine nei metodi di insegnamento tipici del mondo scolastico. Procediamo per passi per comprendere la nascita e la crescita di un'aberrazione che arreca ancora danni.

1) Rohlfs è partito dalla constatazione seguente: non esisterebbe in siciliano traccia alcuna di uno strato arcaico di latinità, come invece avviene in altre parlate del Meridione. Così in Sicilia abbiamo dumàni "domani" anziché crai < lat. cras "domani". Allo stesso modo abbiamo testa "testa" anziché capa < lat. caput "capo, testa".
2) Rohlfs ha dedotto che non essendo attestati i suddetti vocaboli arcaici nell'isola, questi non siano mai esistiti. Questa deduzione bacata è diventata un dogma. Si tratta della fallacia logica detta non sequitur: crai "domani" non esiste nella Sicilia odierna (dato di fatto) => crai "domani" non è mai esistito in Sicilia, neanche in epoca in cui non esistono documenti (assunzione gratuita e infondata) => crai "domani" non può essere esistito in Sicilia per impossibilità ontologica (articolo di fede).
3) Rohlfs ha quindi definito su questa base il siciliano come una "lingua romanza moderna".
4) Dato che una "lingua romanza moderna" nell'estremo Meridione non si spiega, Rohlfs ha creduto di poterla definire una realtà estranea, proprio come la pecora e il coniglio in Australia.
5) Non esistendo una fonte attendibile per questa lingua romanza "nuova", ecco che Rohlfs la riconduce al latino ecclesiastico. La teoria deleteria ha così preso forma.

Non è difficile confutare la ricostruzione storica e linguistica usata da Rohlfs e dai suoi seguaci, tuttora molto attivi. 

1) Il dominio dei Bizantini inizia nel VI secolo. In Sicilia il greco diventa la lingua corrente, mentre il latino volgare è scomparso oppure ha lasciato qualche residuo locale.
    I nostri avversari assumono che le date abbiano un potere magico: quello di operare la trasformazione demica di un territorio all'istante, proprio come è inculcato agli studenti nelle scuole. L'esperienza mostra che le lingue neolatine hanno una grande vitalità e che la loro estirpazione è tutt'altro che facile.  

2) Nell'anno 827 inizia la conquista della Sicilia per mano degli Arabi. Questo processo porta alla nascita dell'Emirato di Sicilia. 
   I nostri avversari assumono che al comparire dei primi turbanti in Trinacria, la lingua araba si sia subito diffusa come un'epidemia di peste, portando alla quasi totale arabizzazione dei Siciliani, come per magia. 
3) In Sicilia, a causa della separazione dalla Romània, scompare ogni traccia di esiti del latino volgare eventualmente superstite. Si estingue del tutto ogni eredità dell'Impero, mentre il greco bizantino permane.
    I nostri avversari non sono in grado di provare questa fantomatica estinzione dell'eredità del latino volgare di Sicilia. Non possono fornire la data in cui sarebbe morto il suo ultimo parlante, né posseggono una macchina del tempo per appurare quale fosse la situazione linguistica dell'isola, ad esempio nel X secolo. Certo, al pari dei settari archeologi, si illudono di possedere queste conoscenze, date loro dalla mitica sfera di cristallo. 
4) Nel 1061 giungono in Sicilia i Normanni. All'inizio sono mercenari in un contesto di staterelli musulmani indipendenti e in declino, ma presto si impongono e alla fine si impadroniscono dell'isola fondando un regno. Il Regno di Ruggero II d'Altavilla include oltre alla Sicilia e all'Italia Meridionale anche l'area costiera della Tunisia e della Tripolitania.
    I nostri avversari credono che la Sicilia abbia cambiato più lingue degli abiti cambiati da una donzella appariscente e volubile! 
5) I Normanni fanno giungere in Sicilia un gran numero di coloni, soprattutto dalla Marca Aleramica (attuale Monferrato).
    In pratica i nostri avversari postulano una spaventosa frattura genetica in Sicilia, la cui popolazione sarebbe stata più volte rimossa per intero e rimpiazzata da nuovi venuti. L'analisi del genoma degli isolani rileva la stratificazione di diversi contributi e non giustifica la tesi della sostituzione demica. Per approfondimenti rimando al sito Genealogiagenetica.it.    
6) Nel 1198, morta Costanza d'Altavilla, figlia di Ruggero II, il dominio della Sicilia passa agli Svevi. 
   Ecco pronta una nuova epoca di sostituzioni linguistiche!

Ogni passaggio fa acqua da tutte le parti. Appare evidente che i fatti storici registrati sono soltanto la superficie: non bastano per comprendere a fondo la realtà linguistica in divenire. Secondo queste narrazioni confuse e confabulanti, non appena i Normanni stabilirono il Regno di Sicilia, avrebbero provocato un vero e proprio esodo di Arabi, al punto che le terre sarebbero rimaste quasi del tutto deserte. Per avere qualcuno su cui regnare e per introdurre quella che alcuni studiosi chiamano "agricoltura cristiana" (facendo quasi intendere che i musulmani mangiassero sabbia e sassi anziché cereali), gli Altavilla avebbero richiamato in Sicilia una massa immensa di persone dalla Lombardia (così era chiamata allora l'intero Settentrione). Questo popolamento ha dato origine a dialetti peculiari che vanno sotto il nome di gallo-italico di Sicilia. Sono totalmente diversi dai dialetti siciliani nativi di cui ci stiamo occupando e sono chiaramente riconoscibili.
    Confutazione: Se l'isola fosse rimasta deserta come affermano i nostri avversari, la lingua dei coloni della Marca Aleramica sarebbe prevalsa e noi avremmo al giorno d'oggi soltanto parlanti di varietà gallo-italiche. Così non è. 

I negazionisti che affermano l'inconsistenza del siciliano e la sua origine dal Nulla ignorano tutte le criticità insite nei loro vaniloqui. Questo però non basta. Negli ultimi anni sono andati anche oltre. Procedono nel loro assurdo atteggiamento negando addirittura l'esistenza dei Normanni!

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