sabato 31 ottobre 2015

GALLETTI REALI E FANTOMATICI CECI

La pietra dello scandalo questa volta è un brano delle Satire di Orazio, in cui è descritto il personaggio di Cicirrus, un antenato di Pulcinella. A dare il nome alla macchietta è la parola cicirrus, che significa "galletto" e che doveva essere in uso nel paese degli Osci. Questo vocabolo corrisponde alla perfezione alla glossa greca κίκιρρος, riportata da Esichio e tradotta con ἀλεκτρυών, ossia "galletto da combattimento". Non ci vuole l'intelligenza di un Einstein per dedurre che questo lemma cicirrus, κίκιρρος è in ultima analisi di origine onomatopeica, e corrisponde grossomodo al nostro chicchirichì. Non si ha motivo di pensare che l'onomatopea sia un vizio esclusivamente moderno solo perché nelle scuole si insegna una lingua latina non colloquiale.


Perché Orazio ha dato questo nome a un suo personaggio guittesco? Secondo alcuni perché era litigioso come un galletto. Così è infatti descritto: 

Nunc mihi paucis
Sarmenti scurrae pugnam Messique Cicirri,
Musa, velim memores et quo patre natus uterque
contulerit litis.

"Ora Musa vorrei
che tu ci ricordassi in poche parole la guerra del buffone Sarmento
e di Messo Cicirro e da quale padre nati l'uno e l'altro
vennero alla zuffa.

Quale che possa essere il motivo di un simile antroponimo, la sua identità con la glossa di Esichio è il punto di partenza di ogni ulteriore speculazione. 

Eppure un nostro avversario, un archeologo, pur di screditare le conoscenze scientifiche e far prosperare la pseudoscienza, si ostina a negare una realtà dei fatti tanto evidente (e se vogliamo persin banale), sostendo assurdamente che il termine cicirrus significherebbe invece "cece", e che Messo Cicirro avrebbe tratto il suo nome da un grosso neo piriforme che aveva in faccia: sarebbe quindi stato, incredibile dictu, una sorta di Bruno Vespa dell'epoca. Questo è quanto ha da dire sull'argomento:

«Il tutto appare completamente logico, se non fosse che i cicirri sono i ceci, termine italico e non greco, tuttora chiamati così nel sud (http://ilquotidianodellabasilicata.ilsole24ore.com/it/ e Vespertine Vignettes a review of Sicilian Vespers by Cedric Hampson in PDF) e non i galli e che Esichio, che scrive in greco, non sapendolo ha preso una cantonata. Quasi solo su questo è stata costruita l'ipotesi della restituta.
Il brano di Orazio (satira 1,5) è questo:
"L’illustre stirpe di Messio sono gli Osci; vive ancora la Signora di Sarmento: i nati da questi due antenati vennero allo scontro. Per primo Sarmento: “Dico che sei simile ad un cavallo selvaggio.” Ridiamo e lo stesso Messio: “Va bene” e muove la testa: “o se la tua fronte non avesse il corno tagliato”, disse, “cosa faresti quando minacci così con le corna tagliate ?” Una ignobile cicatrice gli deturpava la fronte pelosa dalla parte sinistra della faccia. Dopo aver lanciato molti motti in faccia e sulla malattia campana chiedeva se ballasse la danza del pastore Ciclope: diceva che non aveva bisogno della maschera e dei tragici coturni. Cicirro all’indirizzo di questi motteggi diceva molte cose: chiedeva se aveva già donato al Lari la catena per grazia ricevuta; per il fatto che era scrivano, per nulla minore era su di lui il diritto della sua padrona; chiedeva infine perché qualche volta era fuggito lui, al quale sarebbe bastata una libbra di farro dato che era così piccolo e gracile. Insomma la cena si prolungava piacevolmente."»

A sentir lui, Cicirro avrebbe la stessa origine di Cicerone. La spiegazione sarebbe la cosiddetta malattia campana, che "faceva verrucosi e come cornuti nel volto" e che Orazio cita esplicitamente. Questo però non è una prova a favore della teoria del cece. Infatti a leggerne le descrizioni, questa malattia non consisteva in un semplice neo o in una singola verruca, ma in qualcosa di ben più deturpante. Vengono in mente i condilomi giganti acuminati, che in alcuni casi possono portare alla formazione di strutture simili a corna e che sono chiamati popolarmente "creste di gallo". Così, ammettendo la malattia campana come origine dell'antroponimo, Messo Cicirro sarebbe letteralmente Messo il Galletto, a motivo delle sue creste di gallo.

Questo però non basta. Veniamo infatti ad apprendere che secondo l'archeologo - che sarà anche un buon archeologo ma che quando pretende di occuparsi di linguistica proferisce soltanto assurdità - nei dialetti dell'Italia Meridionale, la parola "cicìrri", con l'accento sulla seconda sillaba, significherebbe "ceci".

Vediamo invece come stanno le cose. Prendiamo un sito nel Web, e riportiamo senza modifiche i dati che riporta, limitandoci ad aggiungere un paio di note: 

Dialetto

Voce

Basilicata

cic’r

Calabria

ciciaru

Campania

cìcero

Liguria

çeìxo (sing.), çeìxi (pl.)*

Piemonte

cisi

Puglia

cìcere

Sardegna

cixiri (pronuncia: cijiri), basolu pittudu o tundu

Sicilia

cìciru



*In realtà è çeixo /'seiʒu/, pl. çeixi /'seiʒi/: l'autore della lista ha collocato male l'accento, che cade sulla e. Così fainâ de çeixi "farinata di ceci".

E ancora:

ceci

aiolu pizzutu

Sardegna

siniscola

ceci

cic’r

Puglia

Bari

ceci

ciceri

Calabria

locride

ceci

ciceri

Puglia

Soleto (Lecce)

ceci

ciciari

Calabria

Reggio Calabria

ceci

ciciri

Calabria

Casabona

ceci

ciciri

Calabria

Delianova
(Reggio Calabria)

ceci

cìciri

Puglia

nardò

ceci

ciciri

Puglia

Salento Sud

Ceci abrustoliti

càlia

Calabria

Reggio Calabria

cecio

cic’

Lazio

Pastena (FR)

cecio

ciciru

Puglia

Salento Sud

cecio o ceci

ciciru o ciciri

Sicilia

Avola SR



**Il lemma càlia è l'unico nella lista a non continuare la parola latina per "cece": è infatti dal verbo caliari "seccare al sole", di chiara origine araba (< qala "arrostire"). 

Anche se non sempre riportato nelle liste di vocaboli di cui sopra, l'accento è sistematicamente sulla prima sillaba: si dice cìciri, non *cicìrri. Anche se qualcuno scrive impropriamente cicirri, come nel documento pdf in inglese allegato dal sostenitore delle pronuncia ecclesiastica, questo è soltanto un espediente grafico per trascrivere il siciliano cìciri /'tʃitʃiri/ o il lucano cic'r /'tʃitʃərə/. Il motivo è anche piuttosto chiaro a chi abbia una minima nozione di lingua latina scolastica e di filologia romanza: in latino è cicer, genitivo ciceris, con -e- breve, e quindi con accento sulla prima sillaba. Non esiste la benché minima giustificazione per una forma con accento sulla seconda sillaba.

Tutto è molto semplice: dire che nei dialetti meridionali la parola *cicìrri significa "ceci", anziché il corretto cìciri, è una falsificazione. Bisognerà poi capire se siamo di fronte a una falsificazione inconsapevole o consapevole.

Vediamo di riassumere il procedimento del nostro avversario, che si ostina a definire "non scientifica" la conoscenza contenuta nelle opere dell'intero mondo accademico sulla lingua latina. Vediamo invece quanto sia "scientifico" il suo modo di ragionare.

1) Egli prende una parola dagli odierni dialetti dell'Italia Meridionale;
2) Ne altera l'accento e la pronuncia, foggiando un falso per poterlo usare per i propri scopi;
3) Proietta questa parola all'indietro nei secoli:
4) Prende una parola attestata in Orazio e la identifica con la parola da lui fabbricata e illecitamente proiettata nel passato romano. 

Non c'è che dire: Galileo si starà rigirando nella tomba come una trottola.

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