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venerdì 24 giugno 2022

VENTO DI LIGURIA

Ricordo ancora nitidamente una violenta risonanza sensoriale, un flash che è stato per me come una finestra aperta su un diverso continuum. Mi trovavo in un periodo oscurissimo della mia miserabile esistenza, confinato mio malgrado in uno squallido paese chiamato Cardano al Campo. Camminavo per la via principale, diretto all’edicolante. Un’inaspettata ventata di Liguria onirica mi ha rapito. All’improvviso ero in un altro luogo. Vedevo portici di mattoni di pietra nuda scavati nei costoni di una montagna, con un cielo rilucente di giallo e di azzurro. Un mare di un turchese intensissimo ruggiva, i cavalloni che cercavano di raggiungere la via lastricata di selciato. L’odore di salsedine penetrava nelle mie narici, il verso dei gabbiani giungeva alle mie orecchie. Ma la cosa più sconvolgente di questa esperienza è che mentre la provavo ero un’altra persona. Avevo l’aspetto di una spia con occhiali neri e portavo con me una valigia il cui contenuto capivo essere di inestimabile valore. Quasi certamente consisteva in microfilm. Mi vedevo anche dall’esterno, come se avessi una coscienza extracorporea in grado di guardare la scena quasi fosse proiettata su un teleschermo. Il mio aspetto era molto diverso da quello che ho in realtà: ero un tipo mediterraneo, con i capelli brizzolati e la barba di due o tre giorni. Avrei potuto passare per una specie di gangster mafioso. I miei pensieri scorrevano in una lingua del tutto diversa dalla mia. In quel nido scavato all’interno di una manciata di secondi nella struttura del Tempo, ero persino ignaro di Cardano al Campo, della lingua italiana, dei miei ricordi. Poi, proprio come era venuta, quella percezione empatica si è dissolta per lasciare il posto al vuoto della mia routine. Ogni cosa mi appariva grigia in modo insopportabile, tanto che ho cercato con ogni sforzo di aggrapparmi alla memoria del mio stato alterato per recuperare quel mondo alternativo, quella Liguria con tutta la sua piena consapevolezza. Non ci sono riuscito, ma sono stato colpito da una fortissima sensazione di déjà vu: ho saputo che avevo già vissuto un’altra volta quelle stesse identiche sensazioni a Milano, mentre camminavo in Piazza del Duomo, sotto un porticato nei pressi della Rinascente. Venivo dalla galleria Vittorio Emanuele II, e nel fissare una colonna ero stato trasportato dalla tiepida brezza di sensazioni sconosciute. Anche in quell’occasione, un forellino nel sacco sensoriale si era chiuso proprio quando pensavo di essere riuscito ad impadronirmi del cronotopo e dei ricordi di questa mia esistenza parallela, impedendomi ogni altra agnizione. Poi c’era stata una specie di formattazione, di oblio. Eppure il déjà vu stesso era un canalicolo che dimostrava la natura complessa dell’evento, riportando in vita ciò che era sepolto. Adesso so per certo che un giorno riuscirò a compiere il salto, a trasferirmi fisicamente dall’altra parte. Verrà un ultimo flash, quello della discontinuità, quello del teletrasporto...

Marco "Antares666" Moretti

mercoledì 8 giugno 2022

UN OSTROGOTO IN IDAHO

Al banchetto nuziale della Principessa Amalaswintha, il nobile Hathureiks aveva bevuto troppo idromele e a causa della sua intemperanza si sentiva gonfio. Chiese così al Re Thiudareiks il permesso di alzarsi dal tavolo per andare a soddisfare i suoi bisogni corporali. Il Grande Re glielo concesse, e così Hathureiks si alzò ed uscì barcollante dalla sala. Dalle finestre entravano refoli di vento. L’aria di Ravenna era fresca, e presto sarebbe calato il tramonto. Mentre si avviava verso le latrine, il nobile inciampò e cadde a terra. Quando si risvegliò, con un gran mal di testa, si accorse con sorpresa di non trovarsi più nella dimora del Re degli Ostrogoti, Thiudareiks, bensì in un pagliaio. L’aria era cambiata, ora aveva una punta di freddo particolarmente fastidiosa. Hathureiks si mise a sedere e si guardò attorno. Tutto ciò che i suoi occhi incontravano gli pareva fuori luogo e stonato. La sua vista fu attirata da un paio di stivali verdognoli, fatti di un materiale che non aveva mai visto in tutta la sua vita. Mentre si domandava che razza di scarpe fossero e chi diamine potesse mai averle fabbricate, cercò di mettersi in piedi. All’improvviso si accorse che il suo gonfiore era sparito, e che anzi aveva una fame terribile, come se tutto il cibo e le bevande che aveva ingurgitato alla festa fossero state già smaltite da molto tempo. Cosa disdicevole per un arimanno, aveva perso la spada, la daga e la cintura. La sua splendida tunica era ora ridotta a brandelli, e anche delle brache non rimaneva granché. Si avviò verso l’ingresso, quando ecco che intravide la sagoma di un uomo.
Hathureiks lo fissò, incuriosito. Si vedeva che era un agricoltore, anche se gli abiti erano di una foggia mai vista prima. Somigliavano solo vagamente ai costumi di un uomo libero dei Goti, nel senso che comprendevano calzoni e una veste affine a una camicia - che non proseguiva oltre la cintola. Poteva star certo che il visitatore non fosse un romano, ma non riusciva a trovare alcun criterio per classificarlo.
- Dannazione! - esclamò l’agricoltore allibito - E tu chi diavolo sei? In vita mia non ho mai visto un uomo come te!
- Manna im Gutthiudos, gabaurans fram kunja Amale. Namo mein Hathureiks - fu la risposta dell’ostrogoto. Entrambi provarono la stranissima sensazione di capire qualcosa di ciò che l’altro aveva detto, pur non afferrando appieno il senso compiuto di ogni parola.
- Ha-thoo-reeks? Uno strano nome! Da dove vieni? - chiese il contadino. Dopo una breve pausa cercò di presentarsi: - Io sono Bernard Faine, di Glenns Ferry, Idaho.
- Ik qam hidre us thiudangardja Thiudareikis Mikilins - affermò Hathureiks cercando di articolare i suoni il meglio possibile, ma l’uomo dell’Idaho non capì affatto la sua risposta. Rimase pensoso per un attimo, mentre osservava l’aspetto di chi aveva di fronte. Era molto alto e magro, di una bellezza insolita per un abitante della Contea di Elmore. Aveva i capelli biondi sciolti che gli arrivavano fino alla cintola, una folta barba dello stesso colore e occhi cerulei. Se fosse stato lavato e agghindato nel modo giusto, le ragazze del paese se lo sarebbero conteso di certo.
La prima cosa che venne in mente a Bernard Faine sulla possibile identità di quel vagabondo fu che si trattasse di una specie di tedesco. Se non fosse stato per la sua strana lingua e i suoi vestiti decisamente inusuali, avrebbe potuto benissimo essere un cantante folk venuto dal Sud e colpito da amnesia.
L’avrebbe portato dai suoi vicini Amish perché gli chiarissero qualcosa, ma al momento era più urgente aiutarlo. Non sembrava essere nel pieno delle sue forze. A questo punto arrivarono il figlio e la figlia di Faine, fiorenti di robusta gioventù. Rimasero basiti nel vedere l’ospite, anche se a causa della loro giovane età non avevano ancora formato pregiudizi troppo solidi. Decisi a comunicare si presentarono, prima lui e poi lei, come Johnny e Kathrine Faine.
Per un istante gli occhi di Hathureiks si illuminarono come il cielo primaverile nel sentirli parlare con il loro accento piano, forse perché gli parve di capire almeno in parte cosa i due stavano dicendo. Qualche parola, qualche fonema frammentario che dimostrava una remota origine comune in quelle stringhe parlate mutuamente incomprensibili. A volte l’ostrogoto trasecolava nell’identificare qualcosa di familiare in mezzo a suoni che sembravano venire da un universo alieno, altre volte invece gli pareva di udire echi dell’ignota lingua latina.
Si presentò a sua volta ai due rampolli, ripetendo la stessa frase che aveva pronunciato per la prima volta davanti all’anziano capofamiglia. Più guardava i tre e più si convinceva che la loro stirpe fosse in qualche modo imparentata con quella dei Goti.
Bernard Faine chiamò sua moglie Ann, che propose a Hathureiks di lasciarsi accompagnare nella fattoria. Lì avrebbe avuto un bagno caldo e sarebbe stato rifocillato. Lui si lasciò docilmente guidare. Quando si fu lavato, gli furono donati abiti nuovi. Non fu facile trovarne della sua misura: alla fine fu rivestito con un elegante completo lasciato alla signora Faine dal suo primo marito all’epoca del divorzio. Non era certo perfetto, ma perlomeno non presentava difficoltà insormontabili all’atto di abbottonare la camicia e di tirare la cerniera dei pantaloni.
A tavola, di fronte a una ciotola piena di latte e di fiocchi di cereali, Hathureiks pronunciò una parola. - Miluks - disse. Bernard Faine ebbe un’illuminazione ed articolò il corrispondente termine inglese. Milk.
La pronuncia della sillaba era oscura, come ormai in tutti gli Stati Uniti, e suonava quasi mook, ma una traccia di articolazione liquida fu sufficiente all’ostrogoto per capire che si trattava di una parola molto simile a quella usata nella sua lingua nativa.
- Millooks - disse a sua volta il capofamiglia, cercando di imitare Hathureiks. - Millooks, latte - ripeté subito dopo, entusiasta.
Kathrine portò in tavola una brocca piena d’acqua. Hathureiks indicò subito il recipiente: - Wato! Thata ist wato!
- Acqua! Questa è acqua! - gli fece eco con gioia il sorridente Bernard Faine, sempre più convinto di aver risolto ogni problema di comunicazione. Water. This is water. La somiglianza era innegabile. Si fece il segno della croce e recitò la consueta preghiera di benedizione, come faceva ogni volta che si accingevano a mangiare. Mentalmente ringraziò il Signore per avergli mandato quell’ospite. Con grande sorpresa di tutti, anche Hathureiks si segnò e recitò quello che sicuramente doveva essere il Padre Nostro nella sua lingua.
- Atta unsar, thu in himinam, weihnai namo thein, qimai thiudinassus theins, wairthai wilja theins, swe in himina jah ana airthai. Hlaif unsarana thana sinteinan gif uns himma daga, jah aflet uns thatei skulans sijaima, swaswe jah weis afletam thaim skulam unsaraim, jah ni briggais uns in fraistubnjai, ak lausei uns af thamma ubilin; unte theina ist thiudangardi jah mahts jah wulthus in aiwins. Amen.
L’ingenua idea che Bernard Faine si stava facendo ne ricevette un po’ un colpo, in quanto la preghiera, pur riconoscibile, si mostrava molto diversa dal corrispondente inglese. Non solo, anche se somigliava di più a quella degli Amish che lui aveva sentito tante volte dai vicini, era comunque lontana. Se la base era di certo uguale a quella dell’inglese e del Pennsylvania Dutch, molte parole erano impenetrabili, e non vi si trovavano affatto termini familiari, che avrebbero dovuto essere simili in tutte le lingue di origine europea. Mentre il capofamiglia meditava su queste cose, l’ostrogoto stava mangiando a quattro palmenti, come se non avesse ingurgitato niente da molti giorni.
Non c’era altra soluzione: era necessario imparare il più possibile da Hathureiks. Nel frattempo disse al figlio di andare a chiamare Amos Guth, che di certo lo avrebbe aiutato a comprendere meglio la situazione. A volte la tecnofobia degli Amish lo angustiava, perché rendeva tutto dannatamente più complicato.
Ora che aveva calmato i morsi della fame, Hathureiks stava impiegando tutte le sue migliori risorse mentali per capire cosa diavolo gli fosse capitato. Una cosa era certa, al di là di ogni dubbio possibile: quello non era il Paradiso promesso dalla Chiesa Ariana, e neppure il Walhalla di cui parlavano i miti pagani della sua gente. Non poteva esserlo. Anche se si stava meglio e più in salute, non vedeva né Wodans né Thunrs sedere sui loro troni, né tantomeno le Orde dei Caduti banchettare. C’era invece gente dall’apparenza comune, che non aveva nessuna caratteristica soprannaturale e non era fatta di puro spirito come angeli e beati. Siccome la ragione doveva in qualche modo essere dei pagani o dei cristiani, si deduceva che quel paese - che contraddiceva ogni racconto - era un paese della Terra degli Umani, popolato da mortali proprio come il paese dei Franchi o quello dei Burgundi. Prova ne era, tra l’altro, il fatto che i nativi avevano bisogno di pregare per ringraziare Dio del cibo.
Doveva esserci stato un grande vento che lo aveva portato oltre le Grandi Montagne, le Alpi, per farlo volare lontano e precipitarlo in una nazione di cui non avrebbe neanche sospettato l’esistenza. Oppure aveva rivissuto l’esperienza dei Sette Savi Dormienti. Si raccontava quella storia persino nella Gutiskandja che aveva visto l’albore dei Goti. Sette cristiani, per sfuggire alle terribili persecuzioni dell’Imperatore Decio, si erano rifugiati in una terra impervia fino ad asserragliarsi in una caverna. Quindi un sonno profondo li avrebbe avvolti facendoli dormire per secoli. Una volta svegli, questi cristiani avrebbero avuto la sorpresa di trovarsi in un mondo che era andato avanti di diversi secoli, un mondo in cui la Fede di Cristo non era più perseguitata con ferocia.
Questa era l’ipotesi che Hathureiks riteneva più probabile. Di certo Bernard Faine non era il dio Wodans, altrimenti sarebbe stato monocolo e non si sarebbe di certo segnato. Ma restava un interrogativo. Se i Sette Savi erano stati fatti dormire da Dio che li voleva salvi dalla furia imperiale, che merito poteva avere lui, un nobile della Corte di Thiudareiks a Ravenna, per essere caduto in uno stato così prodigioso?
Mentre ruminava inconcludenti considerazioni, suonò un campanello. Hathureiks si mise in guardia, perché non aveva mai sentito un suono simile in vita sua. Poi capì che doveva essere l’equivalente del bussare sui battenti o del chiamare a gran voce, perché la porta fu subito aperta. Johnny entrò insieme a un uomo vestito di nero, che salutò e fu fatto accomodare. Bernard Faine lo presentò all’ospite come Amos Guth. Al sentire il suono di quel cognome, Hathureiks fu colto da una grande gioia, perché si pronunciava quasi come il nome del popolo dei Goti.
- Isu thu manna Gutthiudos? Istu razda thein razda Gutne? - gli chiese, pieno di trepidazione, aspettandosi una risposta nella stessa lingua, un appiglio alla realtà conosciuta.
Vedendo che l’uomo vestito di nero era basito e non proseguiva, si presentò brevemente: - Ik im Hathureiks Austragutne, sunus Walareikis Amale.
In realtà la sintassi era molto diversa da quella del Pennsylvanian Dutch, a prescindere da tutto, e l’Amish non la riconobbe; allo stesso modo non riuscì a distinguere i nomi propri di persona e di popolo dai nomi comuni.
- Che razza di tedesco è mai questo? - riuscì infine a dire, pur convinto al pari dell’anziano Faine che quell’idioma fosse in qualche modo connesso alla vasta famiglia delle parlate anglosassoni e germaniche. La giovane Kathrine chiese all’ostrogoto di recitare il Padre Nostro. Così si segnò e iniziò a pregare. Hathureiks, un po’ annoiato, fece altrettanto nella lingua dei Goti.
Come ebbe udito ciò, ad Amos Guth venne un sospetto. Si ricordava vagamente di aver sentito qualcosa di simile in televisione, molti anni prima. Solo che non ricordava il contesto. Si segnò e recitò la preghiera nella sua lingua avita.
- Unser Vadder im Himmel, dei Naame loss heilich sei, dei Reich loss komme. Dei Wille loss gedu sei, uff die Erd wie im Himmel. Unser deeglich Brot gebb uns heit, un vergebb unser Schulde, wie mir die vergewwe wu uns schuldich sinn. Un fiehr uns net in die Versuchung, awwer hald uns vum Iewile. Fer dei is es Reich, die Graft, un die Hallichkeit in Ewichkeit. Amen.
Però, ci siamo quasi, anche se continuo a non capire, pensò Bernard Faine. Amos Guth notò subito la sostanziale identità di diverse radici: unsar, in himinam, namo, thein, qimai, wilja, e via discorrendo, di cui gli balzava all’attenzione la somiglianza ad Unser, im Himmel, Naame, dei, komme, Wille.
Hathureiks dal canto suo si convinse che questo Guth, pur portando il nome delle genti della Gutiskandja, fosse in realtà della stirpe dei Franchi. Gli ricordava vagamente la parlata della prima moglie del suo Sovrano.
All’improvviso l’Amish si ricordò dove aveva sentito la preghiera recitata da Hathureiks. Una decina di anni prima, mentre si trovava proprio dai Faine, non aveva saputo resistere alla tentazione di seguire un programma alla televisione. Era un documentario in bianco e nero, che mostrava lo scrittore John Ronald Reuel Tolkien in una singolare intervista. Prima di parlare al microfono, Tolkien si era segnato e aveva recitato proprio la stessa formula, anche se la pronuncia era un po’ diversa. Atta unsar... Conclusa la sua preghiera, intesa come esorcismo, l’autore del Signore degli Anelli aveva dichiarato senza mezzi termini che l’intero mondo tecnologico è Mordor, ossia l’Inferno. Questa posizione aveva trovato Guth perfettamente d’accordo. In seguito si era procurato i libri di Tolkien e li aveva letti con grande passione, ed aveva anche trovato traccia di quell’intervista. Aveva anche ritrovato i giornali della biblioteca che riportavano la notizia si diceva che l’esorcismo pronunciato contro i maligni poteri di un semplice microfono era il Padre Nostro in una lingua antica - anche se non ricordava più quale.
- Prendi subito il mio carretto e va’ da mia moglie! Dille che non sarò a casa per pranzo! - chiese a Johnny Faine. Quello che aveva scoperto era troppo importante.
Bernard capì all’istante, così portò in soggiorno un proiettore collegato ad un sofisticato lettore cd e al suo pc. Si mise alla testiera, pronto a registrare ogni output.
Dopo due ore tutti erano ancora lì, con gli occhi sgranati davanti allo schermo.
- Hunds! - disse Hathureiks indicando la figura di un cane. Tutti capirono che la parola dog gli era del tutto sconosciuta, ma riconobbero nel vocabolo da lui indicato il termine inglese hound, usato come lemma tecnico per indicare il segugio.
Quando tutti furono abbastanza pratici dell’altrui lessico di base, cominciarono a sorgere problemi. Amos Guth si rese conto che Hathureiks non poteva capire nessuna parola della lingua dotta, e i corrispondenti che forniva di fronte alle immagini proiettate erano del tutto dissimili. Quando comparve un altare, lui lo definì hunslastaths, mentre l’inglese altar gli suonava una parola aliena. Anziché un equivalente di sacrifice, usava la parola hunsl.
Tutta una serie di parole non gli evocavano assolutamente nulla, anche se qualche volta gli pareva di aver già sentito qualcosa che vi poteva somigliare. I suoi pensieri si arrestarono tutti di colpo quando udì il termine philosophy: non era forse quella Philosophia di cui il precettore Boethius aveva invocato così a lungo la consolazione? Ricordava sempre con affetto quell’uomo di immensa sapienza, così pensò bene di pronunciarne il nome, come per una sorta di associazione freudiana.
- Sebereinus Boethius! - disse. A Guth cadde il telecomando di mano. L’intera faccenda stava sfuggendogli di mano. Questo era decisamente troppo anche per lui.
- Ni kann ik hwat’ist filausaufja, ni thatohun hwat’ist, ak gaman ik thatei Boethius sinteino mathlida bi thizai waiht du alamannam, rodjands razda sildaleika.
Bernard Faine, che si era premunito di un registratore, riuscì a immortalare in un file mp3 quanto detto da Hathureiks. Presto la frase fu tradotta. Tramite la ricerca nella Rete, era stato trovato un dizionario i cui vocaboli collimavano con quelli raccolti. La lingua era etichettata come Gotico, ed era indicata come l’idioma usato da Wulfila per la sua famosa traduzione della Bibbia. L’ostrogoto aveva detto di non sapere cosa fosse la filosofia, di non averne la minima idea, ma di ricordare che Boethius ne parlava sempre a tutti, usando una lingua meravigliosa - e si suppone non comprensibile ai suoi ascoltatori.
Ma com’era possibile tutto questo? Non aveva il benché minimo senso, e su questo sia Faine che Guth concordavano. Non era possibile anche solo pensare che un uomo potesse essere prelevato dall’epoca dei Regni Barbarici e scaraventato nell’Idaho del XXI secolo. Il caso più simile sarebbe stato quello di John Titor, il crononauta che a quanto pare era venuto dal futuro di una linea temporale parallela. Se ne era parlato molto a lungo, senza mai poter arrivare a conclusioni certe. Eppure anche questa analogia sembrava forzata, dal momento che Hathureiks non era giunto dal futuro, bensì dal passato, e non era stato certo sbalzato dal suo cronotopo per mezzo di una qualche tecnologia.
Soltanto dopo una lunghissima discussione Bernard Faine riuscì ad averla vinta e a convincere Amos Guth della plausibilità della teoria del wormhole. Un cunicolo spontaneo si sarebbe formato come un ponte in grado di connettere due regioni molto distanti dello spaziotempo, e un evento estremamente improbabile era occorso: un essere umano ci era passato dentro senza averne alcun danno, riapparendo in un altro luogo e in un altro secolo. Sulla natura di questo cunicolo, regnava il buio concettuale più assoluto.
Una cosa era certa, quale che fosse l’origine di questo incidente cosmico: degli agricoltori di Glenns Ferry non potevano assolutamente gestirlo, pur con tutta la loro buona volontà e la loro istruzione autodidatta. Esisteva una sola alternativa: dovevano recarsi al più presto all’Università dell’Idaho, a Boise. Lì avrebbero potuto di certo sottoporre Hathureiks all’esame di ogni genere di luminari.
Bernard Faine telefonò a Julius Schulz, un suo cugino che lavorava al Dipartimento di Fisica, e gli descrisse in dettaglio la complessa situazione in cui si era venuto a trovare così all’improvviso. Decise che sarebbero partiti la mattina prima dell’alba con la sua macchina, in quanto un viaggio con il carretto di Guth non sarebbe stato auspicabile. Assieme a sua moglie Ann, preparò ogni cosa in fretta e furia. Un solo giorno non sarebbe bastato di certo, così prese con sé un po’ di soldi.
Quando arrivarono al campus, Julius Schulz era già lì ad attenderli, pieno di trepidazione per l’eccezionalità della scoperta che gli avevano comunicato.
- Salve Julius! - lo salutarono. Lui rispose al saluto e strinse loro la mano.
- Questo è Hathureiks l’Ostrogoto! - disse Amos Guth presentando il viaggiatore nel tempo. Era davvero imponente e di una virile bellezza che lo facevano spiccare tra molti uomini, e lo studioso dovette riconoscerlo. Per un attimo nella sua mente si agitò l’idea che Hathureiks rappresentasse un essere primordiale e incontaminato, e che dai suoi tempi l’intera umanità fosse molto degenerata. La consunzione genetica, pensò, per poi cacciare in un angolo del cervello questa locuzione.
- Hails! - disse con impeto Hathureiks. Strinse la mano di Schulz, anche se tra il suo popolo quello non era un saluto, bensì un modo di sancire un contratto. La rapidità con cui aveva imparato molte cose, tra cui l’uso delle forchette, era sorprendente. Pur capendo abbastanza bene l’inglese essenziale, aveva difficoltà ad articolarne i suoni sfuggenti e preferiva usare la lingua dei suoi Padri.
- Non avrei mai pensato di sentire pronunciare la lingua di Wulfila dalla viva voce di un suo parlante! - disse Julius Schulz. Quella singola parola, hails, gli faceva una strana impressione, come di sfasamento. Conosceva bene i Faine e i Guth, e sapeva che erano persone di onestà cristallina, così non gli era mai venuta neanche di striscio l’idea che la faccenda potesse essere un complicato imbroglio.
- Anche per noi è stata una sorpresa, di quelle che non possono che capitare una volta sola nel corso di una vita! - concordò l’Amish.
Bernard Faine propose di andare a mangiare qualcosa, e l’invito fu da tutti ben accolto. Julius Schulz li guidò alla mensa universitaria. Mentre mangiavano, discussero di innumerevoli dettagli. Ogni circostanza fu spiegata più volte con comodo davanti a una birra e a un hamburger, destando un’impressione sempre crescente nel membro del Dipartimento di Fisica. Pur avendo le idee ancora confuse, Bernard Faine fece vertere la conversazione sull’ipotesi del wormhole, chiedendo a suo cugino se un evento simile fosse possibile o se si trattasse di una mera farneticazione fantascientifica.
- In teoria un wormhole dovrebbe formarsi a causa del collasso di una stella supergigante - spiegò Schulz - Una stella con una massa talmente grande da impedire persino la formazione di un orizzonte degli eventi. Uhmm, mi aspetterei di trovarne uno in una regione dello spazio profondo, non certo qui sulla Terra.
Nonostante sempre più voci lo attaccassero nella comunità scientifica, il Principio della Censura Cosmica godeva ancora di un certo credito, e pochi fisici amavano discuterne in pubblico senza un intenso sentore di disagio. Per non parlare della teoria dei Molti Mondi, che era riprovata e tacciata di eresia dagli organi di controllo del pensiero accademico.
Eppure in un qualche modo questa anomalia, questo essere sconveniente, bisognerà pur spiegarlo, pensò il fisico depresso.
- Statemi a sentire - disse dopo una lunga pausa - Dobbiamo cominciare a sottoporre Hathureiks a tutta una serie di esami. Lo porteremo dai medici e dai biologi, che dovranno sottoporlo ad analisi del sangue, elettroencefalogramma e mappatura genetica approfondita. Posso far sì che al caso sia data la massima priorità.
Faine era ansioso di conoscere la verità. - Per noi non ci sono problemi - replicò - Spero che potremo restare al campus per tutto il tempo necessario.
- Certamente - lo rassicurò Julius Schulz - Siete miei ospiti. Dopo le analisi fisiologiche dovremo portarlo al dipartimento di Linguistica e poi a quello di Psicologia. Il soggetto sarà sottoposto a regressione ipnotica.
- Potremo consultare liberamente tutte le informazioni che saranno così ottenute, o sarà un segreto di Stato? - domandò Amos Guth. - Spero che non interverranno i Militari - aggiunse Bernard Faine, angosciato da una simile prospettiva. Più di una volta l’Esercito era intervenuto sottraendo ed occultando per sempre conoscenze che sarebbero state di diritto un patrimonio dell’umanità.
Lo studioso li rassicurò: - Vi posso garantire che avrete libero accesso a tutti i risultati delle analisi, e che l’Esercito non ne saprà nulla. Dopo aver fatto tutti questi studi, verrete da me insieme a Hathureiks al Dipartimento di Fisica. Farò venire anche un filosofo.
Fu così che il nobiluomo ostrogoto fu consegnato all’Università dell’Idaho per gli accertamenti. Ogni volta che finiva un esame e che i risultati venivano elaborati con la massima celerità, Faine e Guth ne venivano informati. Un universitario era stato incaricato da Julius Schulz di spiegare loro ogni cosa, pur senza scendere troppo in incomprensibili dettagli tecnici, in modo che non ci fosse nulla di nascosto.
Ogni test non fece altro che confermare l’origine di Hathureiks. Le tutte le sequenze del DNA mostravano compatibilità con quelle estratte dal materiale archeologico tramite le più moderne tecnologie. Non c’erano dubbi, quello era un membro della famiglia degli Amali, un consanguineo stretto di Thiudareiks, Teodorico il Grande. I marcatori genetici confermavano l’origine scandinava della dinastia. Il sistema immunologico dimostrava che non apparteneva agli ultimi secoli della Storia umana, e per impedire l’insorgere di malattie anche gravi a partire da banali incidenti gli furono iniettati molti sieri. Anche la tolleranza al fondo radioattivo era esigua: se non fossero intervenuti prontamente, sarebbe di certo morto di leucemia o di cancro nel giro di pochi mesi.
- Tu non sai il pericolo che stavi correndo, ragazzo biondo! - gli dicevano sempre i medici con simpatia. Ormai era un simbolo per l’Università, e tutti gli volevano bene. La sua incredibile mitezza contraddiceva tutti i luoghi comuni sui cosiddetti Barbari. Coloro che chiamavano vandali i devastatori e gli imbrattatori, si sarebbero di certo stupiti non poco nel sapere che un uomo così buono era un parente stretto proprio del popolo dei Vandali.
Quando Hathureiks passò al Dipartimento di Psicologia, divenne presto una miniera di informazioni. Tutto ciò che diceva in stato di ipnosi era accuratamente registrato su supporto digitale, trascritto e inviato a una moltitudine di studiosi. Ne emersero l’intera versione della Bibbia di Wulfila, una quindicina di poemi epici pagani del tutto sconosciuti, che parlavano delle origini dei Goti e delle mitiche imprese dei loro sovrani, più un centinaio di bellissime poesie. Alcune erano struggenti, come il Canto di Berigs, altre erano resoconti di battaglie e di antichi massacri.
Il tempo passò. Ci furono poche novità, a parte le telefonate furibonde di Ann Faine che reclamava suo marito, spalleggiata dalla famiglia Guth. Hathureiks in quei giorni era felice come mai era stato nella sua vita passata, e si divertiva a giocare a football americano nella squadra universitaria. Dicevano che sarebbe diventato un campione di importanza mondiale, in quanto senza bisogno di doparsi conseguiva ottimi risultati e ci metteva un immenso entusiasmo. A dispetto della sua fisionomia segaligna, aveva una grande forza, superiore alla media. Era un eccezionale compagno di banchetti per gli studenti. Quando scoprì il whiskey divenne subito un suo fervido estimatore, dichiarando che nemmeno la bevanda più fine servita alla Corte di Thiudareiks poteva competere con quel potente liquore nato dal fuoco. I suoi successi con le donne erano già leggendari dopo una settimana. Ogni notte andava a trovare due o tre ragazze diverse, una dopo l’altra. Si fece la reputazione di uno stallone instancabile, di un amante che tutte si sarebbero contese anche a costo di usare le unghie.
Quando Bernard Faine ed Amos Guth furono convocati nell’Aula Magna, vi trovarono una rappresentanza dell’intermo ambiente accademico di Boise. Professori insigni erano giunti dalla California salendo sul primo aereo.
- Ragazzi, voi diventerete famosi! - disse loro Julius Schulz - Hathureiks è giunto qui da un cronotopo del tutto diverso, e con il suo prezioso contributo ha fatto progredire incomparabilmente molte scienze.
- Immagino che per questo non potrete ridarcelo - azzardò Amos Guth.
- Dobbiamo mandarlo all’Università della California, e credo che vorranno fargli fare il giro del mondo - rispose il fisico - Se resterà tempo.
- Come sarebbe a dire se resterà tempo? - chiese Bernard Faine.
- Quando i Professori avranno finito il loro discorso, venite nel mio ufficio al Dipartimento di Fisica, così vi spiegherò in dettaglio cosa ho scoperto - disse suo cugino, con tono sibillino. I due ebbero uno strano presentimento, ma non dissero nulla. Il discorso, ampolloso e contorto, durò più di un’ora. La cerimonia terminò con abbracci e baci accademici. Sia a Bernard Faine che ad Amos Guth fu conferita una laurea honoris causa in Lingue e Letterature Straniere.
Verso sera si recarono da Schulz. Questi li accolse con aria grave e li fece entrare. La sensazione che qualcosa non andasse si intensificò.
Si accomodarono, e il fisico chiese loro se volevano un bourbon. Consapevoli della gravità della situazione e prevedendo una seduta difficile, entrambi accettarono con piacere.
- Nessuno sembra averci pensato - esordì Julius Schulz - In qualsiasi modo Hathureiks sia giunto fin qui dal suo tempo di origine, ora è nel nostro Universo un elemento estraneo. I bilanci di massa-energia non tornano più per causa sua. Può sembrare una cosa insignificante la presenza di un uomo in più in un cosmo tanto vasto, ma qui si viene a toccare la quantistica.
- Temo di non avere nozioni sufficienti per capire argomenti tanto difficili - disse Faine - Figuriamoci poi il mio amico, che notoriamente condanna il mondo moderno, vivendo come nel XVIII secolo.
- Cercherò di spiegarmi in termini più semplici - lo tranquillizzò Schulz - Immagina che tutto l’Universo sia una nuvola composta da innumerevoli goccioline microscopiche. Queste goccioline formano strutture confuse che sono tutte governate però da leggi ferree che non ammettono eccezioni. Che non devono ammetterne.
- In altre parole - disse Amos Guth - Stai parlando di un Disegno Intelligente. Pensavo che voi scienziati negaste Dio.
- Mettiamola così - rispose lo studioso - Nell’ordine che governa il cosmo, tutto è stabilito dai numeri. Se pensi che sia Dio la causa di ciò, per me va benissimo, non è questo il problema. Il problema è che questi numeri, sono etichette che descrivono le goccioline di cui stiamo parlando. Ognuna ha determinati numeri che la distinguono. Il punto è che tutti questi numeri sono tra loro legati. Se ne cambia uno, devono cambiare anche tutti gli altri, all’istante. Cosa accade ora se anche una singola gocciolina che non appartiene all’Universo vi capita dentro per sbaglio? Se una regola che non ammette eccezioni viene difatto violata? Ci sono due soluzioni soltanto. O la gocciolina estranea si dissolve sparendo nel nulla, o viene intaccata e decade l’intera struttura dell’Universo!
Faine era perplesso. - Continuo a non capire - borbottò. In realtà un guizzo una specie di campanello di allarme stava suonando all’impazzata nel suo cranio.
Julius Schulz continuò la sua esposizione.
- Il filosofo Philip Kindred Stein mi ha dato la conferma di tutte le mie deduzioni, gli sembra tutto plausibile. Hathureiks è una chimera, un masso erratico caduto qui da un regno che per quanto ci riguarda dovrebbe appartenere alla non-esistenza, in quanto assolutamente separato dalla struttura olografica del nostro Continuum. Nel migliore dei casi, l’ostrogoto comincerà ad ammalarsi e si disgregherà fino a cadere in polvere e a svanire. Se questo non accadrà, tutto ciò che vediamo sarà condannato. Tutto. Noi, l’intero pianeta, il sistema solare, la nostra galassia, tutto ciò che esiste fin oltre gli oggetti quasi stellari più remoti. Non ci sarà scampo, l’opera che i religiosi pensano essere di Dio sarà corrotta e diverrà un tremolio nel Nulla per poi tacere in eterno.
- Questo Universo potrebbe non avere difese immunitarie sufficienti, potrebbe cadere in trappola - proseguì - Guai se la struttura di Hathureiks fosse stata incorporata nell’Ologramma. Quanto vengo a sapere è molto preoccupante. Mi risulta che abbia amato molte ragazze, e qualcuna di loro potrebbe portare il suo seme nel ventre.
Un terrore abissale si dipinse sui volti di Faine e del suo amico.
- Credo che adesso dovremmo andare da lui e stargli vicini - disse Amos Guth alzandosi dalla sedia. Mentre si avviava alla porta insieme a Bernard Faine, l’occhio gli cadde su un quadro appeso alla parete. Una riproduzione del Violinista di Chagall. Un pezzo di cornice era stato smangiato, come se dei grossi tarli lo avessero rosicchiato. Trasecolando, l’Amish si avvicinò al dipinto, notando la natura frattale di quello sfregio.

Marco "Antares666" Moretti

giovedì 2 giugno 2022

ARCHEOLOGIA TRANSUMANISTA

1. Non licet esse Christianos

Il Dipartimento di Archeologia Sperimentale Transumanista dell'Università di Colonia ferveva di attività. Al team della Dottoressa Louise Kenzler era stata chiesta una ricostruzione minuziosa di un antico marchingegno: un microchip sottocutaneo che all’epoca dell’Imperatore Traiano veniva usato per spiare gli imputati sospettati di Cristianesimo. Ancora non si riusciva a ricostruire l’insieme delle conoscenze cibernetiche dell’Antica Roma, ma tutte le ricerche portavano a supporre che l’Intelligenza Artificiale fosse già molto avanzata nella prima epoca imperiale. Le tecniche di localizzazione indoor furono portate al massimo sviluppo sotto l’Imperatore Decio: sembra che i pochi Paleocristiani scampati alla sua persecuzione siano riusciti a salvarsi per via di un satellite difettoso. Ecco spiegata la leggenda dei Sette Dormienti di Efeso. I superstiti, liberi dal monitoraggio si erano immersi in un sonno criogenico, probabilmente in una cella frigorifera che si trovava nelle profondità di una montagna cava.
Mentre la Dottoressa Kenzler si stava dedicando all’impostazione di un nuovo loop temporale, suo fratello Ulrich entrò nel laboratorio. Il suo volto era abbronzato in seguito a una settimana bianca sull’Himalaya. Era ancora vestito con il completo sciistico, con tanto di reattore dorsale e di stivali completi di retrorazzi. Baciò l’amata sorella e andò nel retro a cambiarsi. Presto sarebbero cominciati i diverbi.

2. Facebook e l’Imperatore Costantino

Il Vescovo di Roma, Silvestro, entrò trafelato nella Stanza Imperiale del Divino Costantino. Aveva un pc portatile con sé, dell’ultimo modello. Come fu ricevuto, mostrò subito all’Imperatore il risultato della sua ricerca in Google.
Vi compariva un commento che Flavio Valerio Costantino aveva lasciato su un blog dieci anni prima. Le lettere latine comparivano come un marchio d’infamia destinato a durare nei secoli, forse per sempre. Eccone la traduzione imbarazzante: Che si fottano i Cristiani e la loro superstizione sanguinaria! Decio non ha finito il suo lavoro!
L’avatar rimandava all’account di Flavius_V_Constantinus, univocamente associato proprio a lui, al figlio di Costanzo Cloro. Era una situazione al limite del surreale, e ora il Vescovo di Roma gliene chiedeva conto. Come poteva questo spietato bestemmiatore fare ora voto che tutti i suoi sudditi seguissero quella che impudentemente chiamava la sua religione? Che faccia tosta di un voltagabbana opportunista! Altro che conversione!
L’Imperatore Costantino salutò il Vescovo Silvestro con un cenno e gli disse di aspettare. Stava discutendo animatamente con la sua concubina, Minervina.
- Guarda che ti ho beccato con quella troia che adesso ha distrutto il suo profilo! - strillò la donna, in preda a un’evidente crisi isterica. La gelosia la divorava.
Un tempo, quando Caio Giulio Cesare era ancora un frugoletto, si stava meglio: non erano ancora giunti i Crononauti ad appestare il mondo con i loro maledetti pc portatili connessi alla Grande Rete Intercosmica. Già quando Cesare era giovane le cose stavano precipitando. Il filmato che lo ritraeva mentre dava in escandescenza perché stava perdendo i capelli era diventato un mito ed era giunto persino nelle terre oltre il Mare Oceano. I Galli e i Libi sghignazzavano vedendo il monarca effeminato scagliare lontano il pettine pieno di capelli e di forfora dopo essersi tinto e cotonato.
“Accidenti ai Crononauti!”, pensò Costantino, fremente per l’ira. “Per colpa loro ogni singolo pensiero lasciato in giro in un attimo di esuberanza rimarrà registrato e documentabile per l’eternità!”
A questo punto il Regista diede il segnale di stop. La simulazione tridimensionale si spense all’improvviso e la rete sinaptica empatica dei sequenziatori fu lasciata in standby. La pausa sarebbe durata due ore, poi sarebbe stata avviata una nuova procedura di calcolo. Anche per quel giorno i Ricostruzionisti avevano fatto un ottimo lavoro. Tutti sapevano che non era facile scavare in quei perigliosi meandri storici, ma alla fine con la tenacia si riusciva sempre a rievocare tutto con precisione micrometrica. Ancora qualche piccolo sforzo, e il backup delle più importanti personalità umane scomparse sarebbe diventato una realtà acquisita.

3. L’epopea del Vescovo Ambrogio

Yoshio Okahata osservava il portone del Duomo di Milano che recava plasmata nel bronzo la vita del Vescovo Ambrogio. In particolare fu colpito dalla penitenza dell’Imperatore Teodosio, inginocchiato davanti ad Ambrogio. Quanto era realistico quel fregio coperto da antica ruggine verdognola! Teodosio contrito dettava qualcosa, mentre Ambrogio lo trascriveva tramite il suo pc portatile. Un Compaq, era evidente. Forse sarebbe stato meglio dire Compaquus, perché si pensava che all’epoca i marchi avessero quasi tutti un suffisso –us poi caduto. Il rito penitenziale sarebbe stato pubblicato su tutti i principali quotidiani online in tempo reale. Il turista giapponese si domandò dove poter reperire le copie di backup di quegli archeositi web ormai scomparsi da tempo immemorabile: era uno storico di fama mondiale, giunto a Milano per studiare le testimonianze del tardo Impero Romano. Scavare nelle polverose miniere di dati era la sua passione, e una commozione sincera lo coglieva fino alle lacrime ogni volta che riportava alla luce qualche dato coerente da quell’oceano di bit fossili.
Quanto era realistico il fregio sulla parte inferiore del portone bronzeo, che illustrava Ambrogio apparso miracolosamente mille anni dopo la sua morte nel bel mezzo della Battaglia di Parabiago! Il Vescovo adorno di porpora impugnava il pastorale, fiero sul suo cavallo impennato, trasmettendo gli ordini attraverso un cellulare Nokia. Gli storici erano quasi all’unanimità sicuri che quello smartphone fosse un Nokia, anche se esisteva uno zoccolo duro di oppositori che sostenevano si trattasse di un Panasonicus.
Si stava facendo tardi. Un bip proveniente dall’orologio da polso scosse Yoshio Okahata dai suoi sogni ad occhi aperti. Il suo tempo libero era appena scaduto, adesso doveva tornare all’Archivio Storico per il turno serale. Per certi versi il suo lavoro non era dissimile da quello degli antichi minatori, solo che si occupava di estrarre dati preziosi che rischiavano altrimenti di andare perduti senza rimedio. Mentre si avviava a passi sostenuti verso il grande palazzo dell’Archivio Storico, Yoshio si sentì fiero di se stesso e del suo prezioso lavoro. Era grazie a persone come lui che la Memoria del Genere Transumano continuava ad esistere.

4. Transhumanist Commercial Partnership 
 
Occhi azzurri come l’antico cielo. Penetranti, abissali, vere e proprie porte su un mondo alieno. Sguardo torvo, sopracciglia inarcate. Baffetti inconsueti, capelli corvini impomatati. All’ultimo piano di un grattacielo di New York, il Direttore della TCP smanettava al suo laptop, seduto su una scrivania di rovere sintetico plasmato da fibre plastiche metallorganiche nei Laboratori dell’Immortalità. Cravatta rossa, lunga. Camicia bianca. Sul lato destro della sua camicia candida pendeva un tesserino di riconoscimento. A sinistra c’era il logo dell’azienda, con l’antico geroglifico IBM bene in vista. A destra recava impresso il nominativo. HITLER, Adolf. Sotto c’era una piccola foto dell'Amministratore Delegato, utile per un riconoscimento immediato, qualora ce ne fosse stato bisogno. Sullo schermo del laptop la chat era accesa. All’altro capo Josif Stalin rispondeva ai messaggi.
Il grande schermo si affievolì e divenne bianco come l’antica neve, ormai da tempo immemorabile scomparsa. Anche l’immagine di Adolf Hitler svanì. Il Ricostruzionista si rivolse al pubblico, esponendo le sorprendenti difficoltà incontrate nella rievocazione di quello che un tempo era noto come “XX-XXI secolo”, che ora tutti conoscevano come Primo Transumanismo. Eppure gli eventi accaduti in quei decenni erano stati fondamentali per la definizione della Nuova Era, il balzo prigoginico che aveva portato alla rapida nascita della Nuova Specie. Nell’udire le parole del Ricostruzionista, dal pubblico salì qualche borbottio. Il Dottor Andrew Gross, che era seduto all’ultima fila, meditò stancamente sul Principio di Indeterminazione di Heisenberg, pensando che forse era già troppo tardi.

Marco "Antares666" Moretti

domenica 29 maggio 2022

LUCENTE, RAPIDO, LETALE

Il corpo dell’indigeno giaceva lì seduto in quel girone di fango, carbonizzato. Nelle mani stringeva ancora gli elettrodi. Il Capo Ricercatore della Società Petrolifera, Jim Lodd, diede uno sguardo alle apparecchiature e subito constatò che erano bruciate. Un’altissima tensione le aveva attraversate, fondendo la loro struttura in un magna nanomolecolare del tutto indistinto. Miliardi di dollari erano stati investiti invano in quella rete neurale ipersenziente. Adesso dei microelaboratori restava solo il Nulla: uno spesso strato di ossido nero ne ricopriva la maggior parte della superficie. Eppure sembrava che per il nativo andare incontro a una simile morte fosse stata una cosa irrilevante. Il corpo aveva l’aspetto di una mummia vecchia di secoli, intrisa di fetido salnitro. Portava solo residui di calzoni neri stracciati e non aveva alcun copricapo: il cranio pelato aveva lo stesso colore giallastro della palta circostante, della sostanza contaminata che ricopriva tutto quel cratere. La dentatura della vittima era ben in mostra in quel sorriso ebete che neppure il rigor mortis aveva saputo cancellare. Gli incisivi prominenti formavano un’arcata grottesca, che non si poteva neppure credere appartenente a un essere umano. In effetti sembrava più un ominide che altro, una specie di subumano oligogenetico. Gli occhi annientati dalle esalazioni caustiche sprigionate all’improvviso dal terreno, erano piccoli globi rinsecchiti all’interno delle orbite infossate, mentre le palpebre rigonfie somigliavano ad oscene grandi labbra. Solo a stento si sarebbe potuta distinguere i residui della maglietta dalla cute sclerotizzata e solcata da profondi canaloni. 
Chiunque sia stato, ha mostrato un certo ingegno nel suo sporco lavoro, pensò Jim Lodd. Proprio un bel modo di iniziare la giornata! Ma i sistemi di sicurezza non erano quantistici, impostati su combinazioni uniche di nucleoni e di colle gluoniche? A oltrepassare tali barriere non poteva essere stato una semplice spia industriale: sarebbe rimasta folgorata al primo tentativo. Per qualche attimo lo scienziato fu colto da un lieve stato di trance, con dettagli di insidiosi trasferimenti dimensionali che si accalcavano nella sua memoria. Equazioni finanziarie si mescolavano a rappresentazioni multidimensionali di equazioni di Schrödinger in grafi senza senso. Gemiti di fatica lo riportarono alla realtà. Per quanto si sforzassero, i manager non riuscivano a staccare quegli stramaledetti elettrodi dalle mani del morto. Ma quelle erano mani o piuttosto artigli? I tendini avevano spaccato la pelle accartocciata in diversi punti, emergendo come corde delle antiche balestre. Le unghie si erano spezzate per la potenza della stretta, spaccandosi alla radice e facendo uscire la polpa livida. Uno spettacolo impressionante. Guardando meglio, Lodd si accorse che c’erano dei fili ridotti ad ammassi di materiale nerastro, sporgevano dal corpo dei blocchi di metalloplastica tenuti ancora ben stretti dal subumano.
Altri impiegati della Società Petrolifera accorsero per vedere se potevano aiutare i loro compagni e il loro principale. Nulla da fare, neanche unendo i propri sforzi a quelli dei nuovi arrivati era possibile ottenere qualcosa. Eppure erano solo tre ossa deformi e un po’ di carne di mummia! Niente da fare, pareva saldato al terreno, come se gli fosse stato colato dentro del piombo fuso. Uno dei top manager della squadra esagerò e pensando di liberare un elettrodo strappò il braccio destro di quel cadavere rachitico. Non uscì neanche una goccia di sangue dalla carne lacerata: i fluidi ematici si erano coagulati nelle vene e nelle arterie, formando grossi ammassi della consistenza di formaggio nero. Una folata di carogna appestò l’aria. Sotto la crosta secca del derma e dei muscoli superficiali, la decomposizione dei tessuti interni era andata avanti. Le cose stavano prendendo una brutta piega.
Si rese necessario chiamare il Responsabile Extra-Rete, Job Names, che avrebbe avuto l’autorità di far intervenire l’Esercito. Pochi minuti dopo che il Capo Ricercatore l’ebbe chiamato, Job Names arrivò in quella miniera a cielo aperto. Era un uomo calvo e dal fisico asciutto, dagli occhi neri e furbi. Tutti lo conoscevano per il suo costante buonumore e per la sua capacità di mantenere la calma nei momenti difficili. Altri, più malevoli, dicevano che la sua euforia fosse causata dal doping – era un ciclista dilettante – e che la sua ponderatezza fosse soltanto ignavia mascherata. Quando vide lo scempio, rimase di sasso, e tutta l’aria ridanciana che ostentava fino a pochi attimi prima svanì. Non gli importava niente dell’uomo-scimmia, tanto ne avrebbero sintetizzati altri a basso costo. Tirchio com’era, sapeva valutare il dare e l’avere in ogni situazione che si presentasse. Il vero colpo allo stomaco fu il fato degli elettrodi, la cui distruzione avrebbe comportato un nuovo contratto con la Gross-Kampff.
Senza alcun preavviso, una scocca fece sobbalzare le mani del morto. Nessuno si aspettava di vedere un segno di vita negli elettrodi. Non era possibile. Non secondo le leggi della fisica che ancora si ostinavano a voler governare l’Universo, con buona pace dei Vingeani.
- Diavolo! – esclamò Jim Lodd – Se non c’è tensione e i circuiti sono inceneriti, come accidenti fa quella cosa a scintillare?
- Io non ho visto niente! – strillò Erd Fakes, esasperato da tre notti insonni e vicino alla soglia di un’esplosione isterica. Tutta quella faccenda non gli sembrava di buon auspicio.
- Invece sì, guardate! – urlò Job Names indicando le barre metalliche 
Le macchine si stanno riattivando! Forse riusciamo a recuperarle!
Di fronte a quanto detto dal Responsabile Extra-Rete, Erd Fakes non poteva permettersi di perdurare nel suo scetticismo, e anche se i suoi occhi continuavano a non cogliere mutamenti, assunse un’espressione stranita.
Job Names non riusciva a trattenere la propria frenesia: - Ecco ancora che si muove!
- Lo vedete? – disse Jim Lodd – Avevo ragione io! Qualcosa sta dando energia…
Non fece neanche in tempo a finire la frase: un lampo di luce viola scaturì dal sinistro marchingegno penetrandogli nel cranio e schiantandolo al suolo, tra le miriadi di rottami informatici e di liquami cianurali di terre rare radioattive. La poltiglia scura sembrò inumidirsi per un istante, come se fosse intrisa da un’occulta ondata di acqua filtrata dalle viscere della pianeta. Nonostante il terrore, una paralisi nervosa impediva a tutti di muovere anche un solo muscolo. Nessuno dei presenti riusciva a credere ai propri occhi, per quanto assurdo era ciò che i sensi stavano loro comunicando. In preda a un panico muto, come bruchi paralizzati da una vespa parassitogena, i top manager non poterono che subire in modo passivo gli eventi. Ridotti ad oggetti, avevano perso la loro stessa ontologia. L’attività ectoplasmica non accennava a cessare. Dall’elettrodo distrutto e vulcanizzato uscì all’improvviso un lampo di orrore liquido in forma di scarafaggio. La blatta bioluminescente viaggiava su una guida tensoriale invisibile, percorrendo con avidità la traiettoria che le era stata destinata ancor prima che l’eternità avesse inizio. Le antenne erano tese, ricetrasmittenti collegate alle galassie più remote, in grado di captare i segnali di morte di quasar agonizzanti nel cancro cosmico. Volando sul cursore d’aria, l’immondo artropode dell’etere zampettò fino alla faccia del Responsabile Extra-Rete, penetrandogli ardente in un nervo ottico, scavando il proprio destino ultimo in quella molle cavità grigiastra e cedevole.

Marco "Antares666" Moretti

domenica 20 giugno 2021

 
 JOHNNY MNEMONIC
 
Titolo originale: Johnny Mnemonic
Paese di produzione: Stati Uniti d'America
Anno: 1995
Lingua: Inglese
Durata: 96 min
Genere: Fantascienza
Sottogenere: Cyberpunk, distopia
Regia: Robert Longo
Soggetto: William Gibson (dall'omonimo racconto)
Sceneggiatura: William Gibson
Produttore: Dan Carmody
Fotografia: François Protat
Montaggio: Ronald Sanders
Effetti speciali: Rory Cutler
Musiche: Brad Fiedel
Scenografia: Nilo Rodis-Jamero
Interpreti e personaggi:
    Keanu Reeves: Johnny Mnemonic
    Dina Meyer: Jane
    Ice-T: J-Bone
    Takeshi Kitano: Takahashi
    Dennis Akayama: Shinji
    Dolph Lundgren: Karl, il predicatore di strada
    Henry Rollins: Spider
    Barbara Sukowa: Anna Kalmann
    Udo Kier: Ralfi
    Tracy Tweed: Pretty
    Falconer Abraham: Yomamma
    Don Francks: Hooky
    Diego Chambers: Henson
    Sherry Miller: Segretaria di Takahashi 
    Gene Mack: Laslo
    Jamie Elman: Toad 
    Douglas O'Keeffe: Guardia della Pharmakom 
    Marlow Vella: Bambino LoTek
    Howard Szafer: Strike
    Paul Brogren: Stump
    Arthi Sambasivan: Infermiera
    Michael A. Miranda: Stick
    Coyote Shivers: Buddy
    Susan Tsagkaris: Cantante d'opera
    Christopher Comrie: Cronista della rivolta di Pechino
    Robin Crosby: Ragazza nella stanza d'albergo
    Lynne Adams: Yakuza col lanciarazzi
    Caitlin Carmody: Gemella nella hall
    Erin Carmody: Gemella nella hall
Doppiatori italiani
    Francesco Prando: Keanu Reeves
    Cristina Boraschi: Jane
    Nino Prester: J-Bone
    Dario Penne: Takahashi
    Sergio Di Stefano: Shinji
    Alessandro Rossi: Karl, il predicatore di strada
    Francesco Pannofino: Spider
    Vittoria Febbi: Anna Kalmann
    Antonio Sanna: Ralfi
    Stefanella Marrama: Pretty
    Enrico Pallini: Yomamma  
 
Trama: 
Anno del Signore 2021. La società è governata dalle multinazionali. Un Internet virtuale e 3D pervade in modo capillare ogni aspetto della vita. A causa della continua esposizione ai computer e alle loro radiazioni si è diffusa una malattia neurologica pandemica chiamata NAS, ossia "Nerve Attenuation Syndrome" ("Sindrome da attenuazione nervosa"). Johnny è un corriere mnemonico, che riesce a stoccare un'immensa quantità di dati nel cervello grazie a un innesto, anche a costo di perdere i suoi ricordi d'infanza per fare spazio. Questi dati innestati sono molto sensibili e di somma importanza per le multinazionali, quindi devono essere contrabbandati. Johnny ha un incarico da un gruppo di scienziati a Pechino e mostra qualche riluttanza quando scopre che i dati superano la sua capacità di memoria anche con la compressione. Riesce comunque a convincersi visto che la tariffa elevata sarà sufficiente a coprire il costo dell'operazione per rimuovere il dispositivo. Il corriere avverte che deve far estrarre i dati entro pochi giorni, altrimenti subirà danni permanenti che potrebbero anche causargli la morte. Gli scienziati crittografano i dati con tre immagini casuali tratte da un filmato televisivo e iniziano a inviare queste immagini al ricevitore a Newark, nel New Jersey. A questo punto vengono attaccati e uccisi da sicari della Yakuza, guidati dal terribile Shinji, che fa una strage prima che le immagini crittografate possano essere completamente trasmesse. Johnny scappa con una parte delle immagini ma viene inseguito sia dalla Yakuza che dalle forze di sicurezza della Pharmakom, una multinazionale farmaceutica gestita da Takahashi, a cui appartengono i dati trafugati. Johnny inizia ad assistere a brevi immagini della proiezione femminile di un'Intelligenza Artificiale che tenta di aiutarlo, ma lui è costretto a interrompere la comunicazione. A Newark, il corriere deve incontrare il suo boss Ralfi, che però gli fa il bidone, facendolo inoltrare nel territorio degli anarchici LoTek guidati da J-Bone. Nel frattempo Jane, una guardia del corpo potenziata dalla cibernetica, sorprende Ralfi in un locale mentre è intento a smaialare con due transex. Si scatena una rissa tremenda. Jane trova Johnny immobilizzato e lo salva: il suo boss stava lavorando con la Yakuza e voleva ottenere il dispositivo di archiviazione a qualunque costo. Shinji si irrita e fa a pezzi l'isterico Ralfi con un laser, mentre Jane porta il corriere in una clinica gestita da Spider, un benefattore dell'umanità che rivela di essere il destinatario dei dati degli scienziati di Pechino: quello che è nascosto in quel cranio è la cura della NAS sottratta alla Pharmakom. Spider afferma che la Pharmakom si rifiuta di rilasciare questa cura risolutiva poiché ottiene maggiori guadagni con rimedi palliativi. Sfortunatamente, anche la parte delle immagini di crittografia che Johnny ha preso non è sufficiente per decifrare i dati, e Spider suggerisce di vedere Jones alla base dei LoTeks. Proprio in quel momento arriva il gigantesco Karl, un biondo vichingo cristiano e fanatico che di mestiere fa sia il predicatore che il sicario. Lo aveva assunto Takahashi per portargli la testa di Johnny, da cui estrarre i dati. Spider viene crocifisso, torturato e ucciso da Karl, mentre Johnny e Jane riescono a fuggire. I due raggiungono la base LoTek e apprendono da J-Bone che Jones è un delfino un po' incrostato, usato una volta dalla Marina militare. Il cetaceo può aiutare a decifrare i dati nella mente di Johnny. Proprio mentre iniziano la procedura, Shinji e la Yakuza, Takahashi e il vichingo cristiano attaccano la base. Takahashi affronta Johnny ma viene ucciso da Shinji, che vuole i dati per sé. Johnny combatte Shinji e dopo una lotta estenuante riesce a decapitarlo. Takahashi moribondo ha un ripensamento e consegna una parte della chiave di crittografia a Johnny prima di morire, ma questo ancora non basta. J-Bone gli dice allora che dovrà hackerare la sua stessa mente con l'aiuto di Jones. Johnny, Jane, J Bone e i Lo Tek riescono a sconfiggere le restanti forze nemiche. Il brutale religioso Karl viene fulminato da un potentissimo flusso di raggi gamma durissimi e bruciato fino alle ossa cibernetiche. Inizia il secondo tentativo di recupero dei dati. Aiutato dall'intelligenza artificiale femminile, il corriere mnemonico riesce a scaricare il suo contenuto craniale e allo stesso tempo recuperare i perduti ricordi d'infanzia. L'intelligenza artificiale si rivela essere la versione virtuale della madre dello stesso Johnny, che era anche la fondatrice di Pharmakom, prima di ribellarsi all'azienda che tratteneva la cura. Mentre J-Bone trasmette le informazioni sulla cura del NAS attraverso Internet, Johnny e Jane guardano da lontano mentre il quartier generale di Pharmakom va in fiamme a causa della protesta pubblica. J-Bone per festeggiare si sbarazza anche del cadavere bruciato del vichingo cristiano facendolo gettare nelle acque lutulente del Miskatonic, il fiume che attraversa Newark. 
 

Recensione:  
Il film di Longo ha tratto la sua ispirazione da un racconto cyberpunk di William Gibson, Johnny Mnemonico (Johnny Mnemonic), uscito nel 1981 e candidato in quello stesso anno al Premio Nebula per il miglior racconto breve. Nel 1986 questo racconto è stato incluso nell'antologia gibsoniana La notte che bruciammo Chrome (Burning Chrome). In ogni caso, si deve notare che il film non è un semplice adattamento dell'opera di Gibson, che pure ha lavorato alla sceneggiatura: ne ricalca soltanto in parte la trama e introduce svariati elementi nuovi. Si ravvisa soprattutto una forte influenza del romanzo cyberpunk Luce virtuale (Virtual Light, 1993), dello stesso autore, che assieme ad Aidoru (1996) e American Acropolis (1999) forma la Trilogia del Ponte. Questa trilogia non mi piace granché e presenta molteplici contraddizioni. In pratica sono stati compiuti innesti di Virtual Light in Burning Chrome. Secondo quanto affermato dallo stesso Gibson, il film è stato rieditato dai produttori per renderlo più "mainstream", posto che questa parola abbia ancora un senso. Si dice che l'uscita giapponese sia più vicina alla visione originale del regista e dello sceneggiatore, ma non sono riuscito a visionarla. L'ambientazione è perennemente notturna, come se il mondo intero non conoscesse più la luce del sole. Non mancano tuttavia precedenti, basti pensare alla tenebrosa Gotham City, il teatro delle gesta di Batman, in cui non si è mai vista un'alba da secoli. Credo che lo si possa definire un capolavoro assoluto e lo riguardo sempre volentieri.
 
 
Ralfi smaiala! 
 
Nell'ecosistema criminale in cui imperversa la Yakuza, Ralfi è un pesce piccolo che vegeta nel sottobosco. Oltre che di contrabbando di dati, si occupa dell'ingaggio di guardie del corpo e ha una netta predilezione per le transessuali. Fa una battaglia di lingue con la bionda Pretty, che è già in erezione, pronta a inginocchiarsi per continuare a leccare, mentre l'afroamericana Yomamma preferisce mettersi a pecora per ricevere il fallo nel budello. Le due shemale scherniscono Jane facendo esplicita menzione delle loro attività preferite. Ecco la conversazione: 
 
Ralfi (rivolto a Jane): "Hai mai consideratà un'attività fisica... un po' violenta?" 
Yomamma: "Come quella che si fa sulla schiena..." 
Pretty (facendo la linguetta): "O sulle ginocchia!" 
 
Questi dettagli sono passati inosservati, a quanto pare gli spettatori non hanno nemmeno intuito la presenza del cazzone tra le gambe di queste scherane.
 
 
Occhi divini! 
 
Memorabile è lo sguardo da folle di Jane, interpretata magistralmente da Dina Meyer. Avrei voluto incontrarla io una donna che mi guardasse in quel modo, con quegli occhi spiritati! Piena zeppa di adrenalina e sensualissima: non si potrebbe desiderare di meglio. Combatte contro due guardie del corpo transessuali che la bullizzano. Una di queste shemale, l'afroamericana Yomamma, finisce sgozzata con un rapidissimo colpo di stiletto e ha soltanto il tempo di esalare l'ultimo insulto: "Brutta puttana!" L'altra, la bionda Pretty, riesce invece a sottrarsi alla morte, pur finendo massacrata a pugni e a calci. Al giorno d'oggi questo film non potrebbe più essere girato: sarebbe considerato omofobo e trànsfobo.
 

Il vichingo cristiano 
 
Karl, chiamato semplicemente "spazzatura" dagli Anarchici LoTek, è quanto nel XXI secolo di Gibson si avvicina di più al Re Olaf II di Norvegia. Rido degli idioti decostruzionisti che si affannano a ritenere il sovrano norvegese come un "democratico fautore della tolleranza religiosa" e a descrivere i Vichinghi come "nani scuri di pelle coi capelli corvini e crespi" o "simili ai Mandingo". Notiamo le pose grottesche e teatrali di Karl, che fa ridicoli gesti religiosi con le dita, facendo danzare un pugnale sagomato come un crocefisso. Il suo linguaggio è pieno di kenningar molto significative: "far tornare a Gesù" significa "uccidere". Quando il visore di un LoTek inquadra il vichingo cristiano, compare questa sintetica descrizione: 
 
RADICAL HUMAN
MODIFICATION
CYBER-ENHANCED
MUSCULAR STRUCTURE
 
 
FULL CUSTOM
BIOMECHANICS
EXERCISE
EXTREME CAUTION
 
J-Bone: "A quel figlio di puttana non gli è rimasto nemmeno un osso naturale nel corpo." 
Toad: "E davvero un predicatore?"
J-Bone: "Predicatore? Quel gran bastardo ha preso Dio e tecnologia per il verso sbagliato. Farebbe fuori chiunque per pagarsi gli impianti che ha nel corpo." 
Toad: "Vuoi che lo segua?"
J-Bone: "No, staglio lontano. È pericoloso." 
 
Nel finale allo spettatore viene un brivido: sembra che lo scheletro biomeccanico del redivivo Olaf II, morto bruciato dai raggi gamma durissimi, cominci a muoversi e a rianimarsi! Uno zombie cristiano! Per fortuna il brivido dura poco: il movimento delle ossa metalliche è dovuto al gancio di un paranco, con cui la carcassa del fanatico viene issata e scaraventata nei tristi flutti del Miskatonic. 
 
 
Gli affascinanti paradossi dell'Anarchia 
 
I LoTek traggono il loro nome dalla locuzione Low Technology, ossia "bassa tecnologia", perché si oppongono alla riduzione dell'essere umano a una macchina. Sono luddisti irriducibili e sono nemici giurati di ogni forma di autorità. Eppure sono costretti a utilizzare la tecnologia per combattere contro l'establishment. Questa è la base del loro paradosso intrinseco, definitorio. Vagano tra le macerie per sfuggire al controllo delle classi dominanti e hanno il loro rifugio inespugnabile nel Ponte. Utilizzano meccanismi per fare incursioni nelle trasmissioni televisive, cercando di risvegliare la gente obnibilata con messaggi traumatici. Dipendono in tutto e per tutto da un delfino rifatto da molteplici innesti di piastre e di meccanismi, che di biologico conserva ben poco. Per portare avanti la loro guerra sono costretti ad avere una struttura gerarchica. J-Bone dà ordini e i suoi sottoposti li eseguono. J-Bone e Spider sono capi. Toad è uno sfigato che non ha voce in capitolo. Questo contraddice in modo radicale il presupposto dell'Anarchia. Ricordo ancora quando un amico, C., mi parlava degli Anarchici, dicendomi che in gioventù aveva frequentato il Circolo del Ponte della Ghisolfa. Gli chiesi come potessero prendere delle decisioni in quel contesto, dato che un anarchico non dovrebbe riconoscere autorità alcuna senza venir meno ai suoi princìpi. C. mi rispose che il costume era quello di ricorrere alla votazione tramite un'assemblea. La cosa mi parve incredibilmente grottesca e lasciai cadere l'argomento. Tanto non si cavava un ragno dal buco. Bizzarra è comunque la coincidenza tra la denominazione della comunità anarchica milanese, il Ponte, e la creazione di Gibson.      
 

Archeofuturo e incongruenze

Quando correva il 1995, il 2021 sembrava un futuro lontanissimo. Innumerevoli casi dimostrano come sia insidioso ambientare storie in un tempo che dista dal proprio soltanto pochi decenni. Si corre il rischio di costruire uno pseudo-futuro grottesco, con una tecnologia troppo progredita per certi aspetti e incredibilmente arretrata per altri. Ci limitiamo a fare alcuni esempi. A un certo punto Johnny prende un Concorde per Newark, nel New Jersey, proprio dove abitava Portnoy, l'enfant terrible che costringeva le donne puritane a succhiarglielo e faceva mangiare il suo sperma alla madre nascondendolo tra le bistecche. Nel mondo reale, i Concordes sono stati ritirati nel 2003. Notiamo immediatamente altre incoerenze spaventose, stridenti. I teleschermi funzionano con il telecomando, in un mondo dotato di cielo televisivo e pullulante di visori immersivi per la realtà virtuale 3D. Ci aspetteremmo che personaggi che hanno congegni installati nel cervello fossero capaci di accendere e di spegnere un teleschermo servendosi del pensiero o di un semplice gesto. Poi ci sono ancora i fax come normale mezzo di trasmissione dei dati (esempio: "Mando il fax a Newark"). Ebbene sì, tiro fuori per l'ennesima volta il fatto che in Neuromante si usano ancora i telefoni a gettoni. Il prete-sicario Karl usa un videotelefono, ma non è uno smartphone. Non esiste il concetto di smartphone come computer portatile. Non è stata prevista la civiltà dello smartphone. Certo, i visori 3D immersivi esistono anche nella nostra realtà, ma sono ancora poco diffusi, non sono certo il modo usuale di connettersi al Web. Il nostro Web è ancora bidimensionale, si fonda sul principio della pagina che viene sfogliata dal browser. Quando Johnny si connette a un terminale, indossando il visore 3D, mima la presenza di una tastiera inesistente, facendo gesti nel vuoto come se stesse premendo tasti. Siamo ancora lontani da questo livello tecnologico, sempre ammesso che sia proprio questa la tendenza verso cui ci stiamo dirigendo. Nel Web 3D gibsoniano non esiste praticamente socialità. Non troviamo nulla di anche remotamente simile a un blog o a un social: gli sviluppi della Rete Sociale non sono stati previsti da Gibson. Per quanto riguarda i congegni installati nel cervello, siamo ancora ai primi passi, con esperimenti fallimentari portati avanti da Elon Musk, uno stravagante magnate che ha le immense disponibilità finanziarie per mettere in atto i propri deliranti desiderata. Anche l'evoluzione dell'universo criminale nella pellicola non somiglia a quella del nostro corso storico. Mafia e Triadi sono state assorbite dalla Yakuza, che domina il pianeta. Un processo accelerato e forse semplicistico, che non tiene conto della complessità estrema e dell'intrinseca entropia tumorale di queste realtà.    
 

 
Contenuti profetici 
 
Il lavoro di Gibson e di Longo mostra tutta la sua potenza profetica negli sviluppi dell'industria farmaceutica, non nella descrizione dei gingilli tecnologici. Quando i produttori di farmaci hanno come sola legge il profitto, si arriva a paradossi le cui ricadute sono estremamente nocive per l'intero genere umano. Può sembrare banale ma non è affatto così. Facciamo un semplice esempio che mi riguarda molto da vicino. Sarebbe possibile guarire dal diabete II con un intervento agevole e privo di complicanze, asportando un'esigua quantità di grasso presente all'interno del pancreas, causa primaria della spiacevole disfunzione. Ovviamente questa terapia risolutiva spiace all'industria farmaceutica: se fosse possibile guarire dal diabete II, crollerebbe tutta la produzione di farmaci per la sua difficile terapia, oltre a tutto l'indotto di aggeggi (aghi, pungidito, strisce reattive, etc.). Continuare a curare il diabete II è molto più redditizio che eliminarlo una volta per tutte. Così, avendo bisogno di insulina e di altri medicamenti, sono condannato a rimanere uno schiavo vita natural durante, condannato a una morte atroce se mi venissero a mancare le cure necessarie. Per uno come me che si ribella alla dieta e che si ingozza di panettone a colazione, ce ne sono decine che in preda al terrore si costringono a una dieta da Auschwitz, finendo col ridursi a scheletri. Chi paga per tutto questo dolore?  
 
 
Il mito del fantasma nella macchina  

Uno dei cardini del Cyberpunk e più in generale del Transumanismo, è senza dubbio il mind uploading, ossia il caricamento su computer dell'autocoscienza di una persona morta. La fede nella realizzabilità pratica del mind uploading nasce dall'idea che il cervello umano funzioni esattamente come un elaboratore elettronico. A sua volta, Gibson aveva uno strano concetto che lo portava a considerare come organismi biologici, funzionanti per mezzo di organi simili a quelli del corpo umano. Da tutti questi equivoci si è formato il singolare modo di vedere la realtà proprio degli scrittori di questo peculiare sottogenere della fantascienza. Così ebbe a dire in un'occasione il padre del Cyberpunk: "In realtà sono stato in grado di scrivere Neuromante perché non sapevo nulla di computer... non sapevo letteralmente nulla. Quello che ho fatto è stato decostruire la poetica del linguaggio di persone che già lavoravano sul campo. Stavo nel bar dell'hotel alla convention di fantascienza di Seattle ad ascoltare questi ragazzi che sono stati i primi programmatori di computer che abbia mai visto parlare del loro lavoro. Non avevo idea di cosa stessero parlando, ma quella era la prima volta che sentivo la parola “interfaccia” usata come verbo. E sono svenuto. Wow, questo è un verbo. Seriamente, poeticamente è stato meraviglioso." (Gibson, 2020). In un'altra intervista, che purtroppo non sono più in grado di reperire, lo stesso autore dichiarava di essere rimasto molto perplesso quando ha potuto osservare l'interno di un computer. Fino a quel momento aveva creduto che anche i computer avessero qualcosa di corrispondente al fegato, al cuore e al pancreas. La sua delusione è stata immensa. Abbiamo così chiarito l'idea che tra l'organismo biologico e la macchina possa esistere una prosecuzione, una compatibilità assoluta, tale da poter permettere all'autocoscienza di trasmigrare dal suo supporto naturale a un processore artificiale.     
 
  
Curiosità 
 
Robert Longo e William Gibson originariamente intendevano realizzare un film d'autore con un budget limitato, ma non sono riusciti a ottenere finanziamenti necessari. In seguito Longo avrebbe commentato che il progetto "è iniziato come un film d'autore da 1,5 milioni di dollari, ed è diventato un film da 30 milioni di dollari, perché non siamo riusciti a ottenere <solo> un milione e mezzo".  

Il personaggio Molly Millions, dalla storia originale, è stato cambiato in Jane per il film. Sono personaggi molto simili, tranne per il fatto che Molly aveva lame di rasoio retrattili sotto le unghie e una vista aumentata. Si ritiene che il cambiamento sia dovuto al fatto che il personaggio di "Molly" è stato annesso ai diritti per qualsiasi possibile futuro adattamento cinematografico di Neuromante.
 
Durante la scena nella stanza sul retro del Crazy Bob's Computer Store, sembra che Johnny chieda un "iPhone", dodici anni prima che fosse lanciato. Certo, sarebbe bello poter credere che lo sceneggiatore abbia inventato la parola, diventata poi il nome di un onnipresente pezzo di tecnologia dell'informazione. In realtà le cose non stanno così. Johnny chiede un "Eyephone", una rudimentale interfaccia montata su testa e progettata da Jaron Lanier. Infatti chiama il congegno "Thomson Eyephone", con riferimento al fatto che il brevetto di Lanier è stato acquistato da Thomson Electronics. La pronuncia di iPhone e di Eyephone è identica: /'aɪfoʊn/. Nonostante questo, né Gibson né Longo sono stati in grado di prevedere gli sviluppi della telefonia mobile. Un articolo di fede della narrativa cyberpunk è la facilità di innestare impianti nel cervello delle persone, mentre un semplice smartphone rimane inconcepibile.   

La diffusione illimitata di Internet nei primi anni '90, e la conseguente rapida crescita della cultura dell'alta tecnologia, avevano reso il cyberpunk sempre più rilevante: questa è stata una motivazione primaria per la decisione della Sony Pictures di finanziare il progetto con decine di milioni. La Sony si è resa presto conto del potenziale per raggiungere il proprio target demografico attraverso il marketing su Internet e la sua nuova divisione tecnologica ha promosso il film con una caccia al tesoro online che offre 20.000 dollari US in premi. Un dirigente è stato citato per aver osservato: "Vediamo Internet come un passaparola turbo. Invece di una persona che dice a un'altra persona che sta accadendo qualcosa di buono, è una persona che lo dice a milioni!" Il sito web del film ha facilitato un'ulteriore promozione incrociata vendendo prodotti Johnny Mnemonic emessi da Sony Signatures, come una maglietta "Hack your own brain" e tazze di caffè Pharmakom. Gibson è stato schierato per rispondere alle domande sul videogioco dei fan online. Il romanziere, abitualmente solitario, nonostante abbia creato nel cyberspazio una delle metafore centrali dell'era di Internet, non era mai stato personalmente su Internet. 0Ha paragonato l'esperienza a "fare una doccia con l'impermeabile addosso" e a "cercare di fare filosofia in codice Morse". La sua tecnofobia è sorprendente. 

Nel 2021, Robert Longo ha creato una nuova versione del film, interamente in bianco e nero. Come ha detto a Screen Slate, "Quando ho visto la prima versione del film in bianco e nero, ero così felice. Era molto più vicino a quello che immaginavo che fosse, di sicuro. Sapevo che trasformarlo in nero- e-bianco lo avvicinerebbe a come l'avevo immaginato fin dall'inizio.Nel mio lavoro, mi ispiro a film come Agente Lemmy Caution: Missione Alphaville (1965), La jetée (1962), cose del genere. I film in bianco e nero non sono realmente in bianco e nero. Sono un po' grigi. Il contrasto è davvero aumentato ora (in questo montaggio), quindi è molto in bianco e nero". 

Circa al minuto 44 della pellicola, il vichingo cristiano Karl usa un videotelefono nascosto in un libro. Piuttosto che una Bibbia latina, sembra essere incastonato nelle pagine 103-104 del "Venerabilis Caesaris Baronii SRE Cardinalis Bibliothecarii Epistolae Et Opuscula Pleraqve Nunc Primum Ex Archetipis In Lucem Eruta", una raccolta di opere latine del Venerabile Cesare Baronio (1538 -1607), cardinale e storico cattolico italiano. I passaggi di queste pagine recano un testo elogiativo dell'imperatore del Sacro Romano Impero Rodolfo II (1552-1612). Sebbene entrambi i personaggi siano interessanti, il libro e il passaggio non hanno alcuna relazione significativa con il film, quindi molto probabilmente sono stati scelti solo per via del loro aspetto cristiano. 

Altre recensioni e reazioni nel Web

Segnalo la dottissima recensione dell'amico Giovanni "X" De Matteo, Johnny Mnemonic: se vi pare che questo 2021 sia brutto, pubblicata sul sito Quaderni d'altri tempi. Il titolo rimanda a una raccolta di Philip K. Dick, Se vi pare che questo mondo sia brutto (The Shifting Realities of Philip K. Dick, 1995). Il citazionismo estremo ha sempre impreziosito i trattati di Giovanni "X". Non potrei mai stare al suo pari in quanto a conoscenze letterarie e cinematografiche. Questo è il link: