Visualizzazione post con etichetta lingua aramaica. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta lingua aramaica. Mostra tutti i post

lunedì 4 aprile 2022


I TEMPLARI E IL GIOVANNISMO 

Una delle ipotesi più strane formulate nel tentativo perennemente vano di spiegare il mistero dei Templari, è quella che li collega al Mandeismo o Giovannismo. Secondo alcuni studiosi o sedicenti tali, tra cui si annoverano anche i famigerati Leigh e Baigent, i Poveri Cavalieri di Cristo sarebbero in qualche modo venuti in contatto con i Mandei in Mesopotamia e ne avrebbero assunto segretamente la religione. In altre parole, questa interpretazione ammette che i Templari avrebbero praticato una forma di Gnosticismo non connesso con il Catarismo. 

I Mandei, chiamati anche Cristiani di San Giovanni, sono i soli eredi diretti degli Gnostici ancora viventi alla luce del sole. Essi continuano di generazione in generazione una religione di tipo gnostico sicuramente antica: alcuni pensano che vi aderisse già il padre di Mani. Documentati nel III secolo dopo Cristo, i Mandei sono qualcosa che lega il mondo antico a quello odierno attraverso una linea di successione autentica e ininterrotta. A differenza dei Neognostici, che hanno ripreso insegnamenti antichi leggendoli sulla carta. 

Si devono tuttavia fare alcune precisazioni di importanza capitale. Il Mandeismo è molto diverso dalle altre forme di Gnosticismo antico, al punto che qualcuno ha formulato l'idea che si tratti di uno Gnosticismo non cristiano, poi cristianizzato solo in superficie. 

Il Mandeismo non è propriamente anticosmico. Sostiene sì che il mondo materiale è opera dello Spirito delle Tenebre, Ruha, ma ammette anche che l'anima dei morti fa ritorno alla Luce subito dopo la morte, in modo quasi automatico. Il rito fondamentale di questa religione è il Battesimo d'Acqua di Giovanni il Battista e non vi esiste invece alcun equivalente del Battesimo di Fuoco o di Spirito. Infatti il Mandeismo è  chiamato anche Giovannismo proprio per il ruolo centrale di Giovanni il Battista. I Mandei si battezzano più volte nella loro vita nelle acque di un fiume sacro, che nella loro lingua aramaica è sempre chiamato Giordano. Propugnano il matrimonio come unione carnale, e sostengono anzi  che nessuno può salvarsi se non ha contratto tale vincolo - in netta opposizione con le religioni dualiste anticosmiche. Il ciclo delle rinascite lo credono una maledizione riservata a chi muore senza essersi sposato. Questa condanna del celibato, ritenuto peccato, dimostra in modo irrefutabile la lontananza dalla teologia catara. Non è ammesso il proselitismo: per diventare Mandei occorre avere almeno un parente che lo sia per nascita. 

I Mandei non solo non ammettono un Cristo venuto sulla Terra, ma addirittura lo considerano malvagio e incarnato. Chiamano questo uomo, Ishu Mshiha (Gesù Terreno), un impostore: dicono infatti che fu crocifisso realmente nella corpo terreno e contrapposto allo Spirito di Luce, Manda d-Haiye. Secondo la tradizione mandea, Cristo sarà smascherato alla fine dei tempi dall'angelo Anosh Uthrà, identificabile con l'Enoch biblico. Egli "accuserà Cristo il romano, il mentitore, figlio di una donna che non
è dalla luce" e "smaschererà Cristo il romano come mentitore; egli sarà legato dalle mani dei giudei, i suoi devoti lo legheranno e il suo corpo sarà trucidato"

Questa avversione per Cristo si adatterebbe alla perfezione alla pratica del calpestamento del crocifisso ricorrente tra i Templari.  Per rendere più verosimile l'ipotesi, Baigent e gli altri citano alcune testimonianze del rifiuto di Cristo. Alcune frasi, che sarebbero state pronunciate durante la cerimonia di iniziazione, sono ad esempio riportate nel libro Il Santo Graal di M. Baigent, R. Leigh e H. Lincoln, edito da Arnoldo
Mondadori Editore S.p.A.: 

"Tu credi erroneamente, perché egli [Cristo] è in verità un falso
profeta. Credi soltanto in Dio nel cielo, e non in lui". 

"Non credere che l'uomo Gesù, crocifisso dai Giudei in Outremer, sia
Dio e possa salvarti" 

"Credi solo in un Dio Superiore" e "Non riporre grande fede in questo
[Cristo], perché è troppo giovane". 

Se devo essere franco, non ho molta fiducia nell'attendibilità di questi documenti. Non riuscendo a trovarne traccia da nessuna parte, se non appunto nell'opera di Baigent, attendo che qualche esperto che ha più conoscenza di me mi illumini. Fino ad allora, sarò propenso a ritenere questo materiale falso e costruito ad hoc per dimostrare la tesi del Giovannismo templare. 

Il problema è che non si capisce come il Mandeismo sia potuto passare nel Tempio, visto che è una religione priva di attività missionaria. Dovremmo pensare all'esistenza di un mandeo eterodosso entrato nelle file dei Templari per poi spargere tra di loro una religione mandea modificata - cosa di cui non esistono documenti e che appare di per sé molto improbabile. 

Chi accetta l'interpretazione giovannita della dottrina occulta dei Templari, identifica il Baphomet con la testa di Giovanni il Battista. Il problema è che non si ha nessuna documentazione di un rito battesimale mandeo tra i Poveri Cavalieri di Cristo. Nessuno afferma che essi propugnassero forme di anabattismo, né tantomeno che ripetessero un battesimo d'acqua più volte in un anno. Non risulta neppure che avessero un particolare culto per Giovanni il Battista. 

Ammettendo l'ipotesi di una dottrina templare occulta, si dovrebbe sperare di trovare le prove di una forma di religione finora ignota che spieghi alla perfezione tutti i fatti documentati. Comunque la si metta, non si riesce ad avere che una visione sfocata dell'argomento,
soprattutto perché gli accademici rimangono chiusi nella loro torre d'avorio ed evitano con cura di cimentarsi in un'ardua battaglia contro le forze della Disinformazione. 

sabato 1 gennaio 2022

 
SALÒ O LE 120 GIORNATE DI SODOMA

Titolo originale: Salò o le 120 giornate di Sodoma
Paese di produzione
: Italia, Francia
Anno
: 1975
Lingua: Italiano, francese, tedesco, sanscrito  
Durata
: 145 min (versione originale)
       117 min (versione rimontata e distribuita)
       111 min (versione italiana censurata)
Genere
: Grottesco, drammatico 
Sottogenere: Pseudo-snuff, scatofilia
Regia
: Pier Paolo Pasolini
Soggetto
: Pier Paolo Pasolini (tratto da Le 120 giornate
     di Sodoma
del Marchese de Sade e dagli scritti di
     Roland Barthes e Pierre Klossowski)
Sceneggiatura
: Pier Paolo Pasolini, Sergio Citti, Pupi
    Avati (collaboratori non accreditati)
Produttore
: Alberto Grimaldi, Alberto De Stefanis,
    Antonio Girasante (ultimi due non accreditati)
Fotografia
: Tonino Delli Colli
Montaggio
: Nino Baragli, Tatiana Casini Morigi,
    Enzo Ocone
Effetti speciali
: Alfredo Tiberi
Musiche
: Pier Paolo Pasolini, Ennio Morricone
Scenografia
: Dante Ferretti
Costumi
: Danilo Donati
Interpreti e personaggi
    Paolo Bonacelli: Il Duca
    Giorgio Cataldi: Il Monsignore
    Uberto Paolo Quintavalle: L'Eccellenza
    Aldo Valletti: Il Presidente
    Hélène Surgère: La Signora Vaccari
    Elsa De Giorgi: La Signora Maggi
 
   Caterina Boratto: La Signora Castelli
    Sonia Saviange: La Pianista
    Marco Lucantoni: Prima vittima (maschio)
    Anna Troccoli: Prima vittima (femmina)
    Sergio Fascetti: Sergio - vittima (maschio)
    Bruno Musso: Carlo Porro - vittima (maschio)
    Antonio Orlando: Tonino - vittima (maschio)
    Claudio Cicchetti: Vittima (maschio)
    Franco Merli: Franco - vittima (maschio)
    Umberto Chessari: Vittima (maschio)
    Lamberto Book: Lamberto Gobbi (vittima, maschio)
    Gaspare Di Jenno: Vittima (maschio)
    Giuliana Melis: Vittima (femmina)
    Faridah Malik: Fatimah - vittima (femmina)
    Graziella Aniceto: Graziella - vittima (femmina)
    Renata Moar: Vittima (femmina)
    Dorit Henke: Doris - vittima (femmina)
    Antiniska Nemour: Vittima (femmina)
    Benedetta Gaetani: Vittima (femmina)
    Olga Andreis: Eva - vittima (femmina)
    Tatiana Mogilansky: Figlia
    Susanna Radaelli: Figlia
    Giuliana Orlandi: Figlia
    Liana Acquaviva: Figlia
    Rinaldo Missaglia: Collaborazionista (soldato)
    Giuseppe Patruno: Collaborazionista (soldato)
    Guido Galletti: Collaborazionista (soldato)
    Efisio Etzi: Collaborazionista (soldato)
    Claudio Troccoli: Collaborazionista (repubblichino
       di leva)
    Fabrizio Menichini: Collaborazionista (repubblichino
       di leva)
    Maurizio Valaguzza: Bruno - collaborazionista
       (repubblichino di leva)
    Ezio Manni: Ezio - collaborazionista (repubblichino
       di leva e criptocomunista)
    Paola Pieracci: Ruffiana
    Carla Terlizzi: Ruffiana
    Anna Maria Dossena: Ruffiana
    Anna Recchimuzzi: Ruffiana
    Ines Pellegrini: Serva nera 
    Alessandro Gennari: Ufficiale della OVRA
    Dante Trazzi: Reclutatore
Doppiatori originali
    Giancarlo Vigorelli: Il Duca
    Giorgio Caproni: Il Monsignore
    Aurelio Roncaglia: L'Eccellenza
    Marco Bellocchio: Il Presidente
    Laura Betti: La Signora Vaccari 
Titoli in altre lingue: 
   Inglese: Salò, or the 120 Days of Sodom
   Tedesco: Die 120 Tage von Sodom
   Francese: Salò ou les 120 Journées de Sodome
   Spagnolo: Saló o los 120 días de Sodoma
   Svedese: Salò, eller Sodoms 120 dagar
   Russo: Сало, или 120 дней Содома
   Giapponese: ソドムの市 (Sodomu no ichi)
 
Trama: 
Anno del Signore 1944, Marzabotto, Repubblica di Salò. La narrazione si divide in tre parti, in qualche modo ispirate alla geografia dell'Inferno di Dante; in particolare ricalca la tripartizione del Girone dei Violenti. Questa peculiare struttura dantesca si trova già nell'opera di Sade. 
 
1) Antinferno 
Quattro libertini sadiani, i Signori, soprannonimati il Duca, il Monsignore, L'Eccellenza e il Presidente, si chiudono in una villa sontuosa con un gran numero di giovani prigionieri provenienti da familie antifasciste e sovversive, rastrellati dai soldati repubblichini e dalle SS. Siglano quindi un patto di sangue: ciascun Signore dà una propria figlia in sposa a un altro suo pari. Stabiliscono il Codice, che detta alle loro vittime le draconiane regole di condotta, che le degradano a oggetti. La villa è isolata dal resto del mondo, i Signori vi esercitano il potere assoluto. I prigionieri sono destinati a compiere orge sodomitiche, incestuose e adulterine. Gli atti vaginali sono banditi e puniti con l'amputazione di un arto. Anche per il più piccolo e insignificante atto di devozione religiosa è decretata come punizione la morte.
 
2) Girone delle Manie 
La prima Megera, la Signora Vaccari (così chiamata dal cognome del suo primo cliente), descrive le sue esperienze sessuali giovanili seguendo con voce cantilenante le note del piano. Parte da quando aveva sette anni e un professore dall'enorme favone le ha schizzato sulla faccia il materiale genetico, per poi proseguire con descrizioni sempre più hard, come quello del libertino che era schifato dalla visione della sua vulva e che l'ha fatta girare a pancia in giù per iniziarla alla penetrazione anale. I pruriginosi racconti della Signora Vaccari infiammano i Signori, che si abbandonano a sevizie sui gracili corpi delle loro vittime, aiutati dalle reclute repubblichine. Uno di questi militari mette una ragazza corvina a carponi e le infila nell'intestino il gigantesco fallo eretto. Lei urla di strazio, poi si quieta mentre il suo violatore anale la stantuffa. Purtroppo la sequenza viene guastata dall'intervento del laidissimo presidente, un lubrico sodomita passivo che pretende di essere sodomizzato dal giovane: gli impone di estrarre il membro dal budello della fanciulla, quindi se lo spinge tra le chiappe! Come dimenticare la visione incubica del volto distorto e congestionato del Presidente, mentre il bombardiere gli devasta lo sfintere?  
Dopo essersi sfiniti con una giornata di eccessi, i Signori si ritirano in una grande stanza da letto, quindi disquisiscono dottamente su tematiche come l'etica del libertinismo e l'intrinseca anarchia del potere. Tra cicchetti di whisky e ciniche barzellette, citano a memoria testi di Klossowski, Baudelaire, Proust e Nietzsche, talvolta facendo qualche piccola confusione. 
Ogni nuovo giorno, le aberrazioni riprendono vigore. Un ragazzo e una ragazza, entrambi dai capelli biondicci, vengono uniti in un matrimonio farsesco e subito dopo separati. Viene loro impedito di copulare e finiscono sottoposti separatamente a sevizie. Poi le vittime vengono tenute al guinzaglio e viene imposto loro di comportarsi come cani. Ogni dignità umana è annichilita. Il cibo viene gettato o messo in ciotole metalliche. In un'occasione, un boccone di polenta è riempito a bella posta di chiodi: la ragazza che lo porta alla bocca, una delle figlie-spose, subisce lesioni e perde un copioso fiotto di sangue.
 
3) Girone della Merda 
La seconda Megera, la Signora Maggi, intrattiene i Signori e gli ospiti parlando della sua infanzia travagliata, del suo esordio nel mondo della prostituzione, delle sue pratiche anali, oro-anali e scatofile. Narra la storia di un vecchio libertino moribondo, che intendeva spirare adorando il buco del culo di una puttana. Così la Signora Maggi ha avvicinato le sue natiche alla bocca del libertino, che ha le leccato avidamente l'ano infilando la lingua nel budello. Quindi l'adoratore ha chiesto di poter ingurgitare gli escrementi, che lei gli ha prontamente rilasciato in bocca. Si riconosce subito una forma di Viatico Nero, una specie di rito satanico in cui viene parodiata e dissacrata la Transustanziazione. 
Tra le altre cose, la Signora Maggi racconta di aver ucciso sua madre nel corso di un litigio, perché non voleva accettare le sue attività prostitutive. Una prigioniera biondiccia piange a dirotto, perché pensa alla propria madre morta per proteggerla. Il suo strazio eccita i Signori e in particolare il Duca, che defeca uno stronzo scuro sul pavimento e obbliga la vittima a mangiarlo con un cucchiaio. 
Il culmine del Girone è un banchetto fecale a base degli escrementi raccolti dalle vittime, per festeggiare il matrimonio dell'Eccellenza con Sergio, un giovane biondiccio dai capelli mossi vestito da sposa e imboccato con abbondanti forchettate di merda. Viene poi indetto un concorso di bellezza per premiare colui o colei che ha il deretano più bello: prigionieri e prigioniere sono messi a carponi nella semioscurità, in modo tale che nessuno possa indovinare il loro sesso (cosa che potrebbe condizionare il giudizio). Il premio è la morte immediata, tramite una pistolettata in una tempia. Vince Franco, un ragazzo dai tratti somatici marcati, ma la revolverata promessa è a salve: non sfugge ai carnefici che la morte sarebbe una benedizione e che non può essere facilmente concessa.
 
4) Girone del Sangue 
Le danze iniziano con un matrimonio fittizio, in cui il Presidente, il Duca e l'Eccellenza, acconciati come vecchie carampane, si uniscono ad altrettanti soldati. La cerimonia è celebrata dal Monsignore, che poco dopo sarà lui stesso posseduto sodimiticamente da un giovane nerboruto dotato di un colossale cazzone, una vera e propria sciabola di carne che affonda nell'intestino. Dopo essere stato sfondato e riempito di sperma, il Monsignore fa un giro d'ispezione tra i prigionieri nelle loro stanze. Si è instaurato un odioso sistema di tradimenti e delazioni. Tutti iniziano a tradirsi a vicenda in modo sistematico: Claudio rivela che Graziella nasconde una fotografia, Graziella a sua volta rivela che Eva e Antiniska hanno segretamente una relazione sessuale lesbica. Le due amanti, colte in flagrante, denunciano il repubblichino di leva Ezio, accusandolo di copulare ogni notte con una serva africana. I Signori sorprendono gli amanti nudi e avvinghiati. Ezio alza il braccio sinistro col pugno comunista e viene crivellato da molti colpi di arma da fuoco; la serva africana viene fulminata subito dopo con una revolverata nel cranio. Umberto, da vittima che era, viene scelto per sostituire Ezio. L'indomani, il Duca riunisce le vittime per annunciare i nomi di coloro che saranno sottoposti alla punizione capitale tramite tormenti aberranti: sono le quattro figlie-spose, sei ragazzi e sei ragazze, per un totale di sedici. A ciascun condannato viene consegnato un nastro azzurro. Chi non è stato chiamato, se continua la sua collaborazione, può sperare di seguire i Signori a Salò.
La terza Megera, la Signora Castelli narra la storia di un libertino che tortura in modo atroce le vittime usando macchinari manovrati da carnefici vestiti da diavoli. Nel cortile, i condannati vengono straziati, mutilati, marchiati, bruciati, impiccati, scotennati, stuprati, impiccati, mentre ogni libertino sadiano fa il suo turno per contemplare questi orrori, come un voyeur masturbante. La Pianista, affacciatasi alla finestra aperta, si rende improvvisamente conto con orrore delle atrocità che vengono commesse: si getta nel vuoto e muore di colpo nell'impatto, col cranio fracassato.  
 
5) Epilogo 
Due giovani soldati repubblichini, testimoni delle torture e delle uccisioni, ballano assieme qualche goffo passo di valzer. Uno chiede all'altro quale sia il nome della ragazza che lo sta aspettando e questi risponde che si chiama Margherita.
 
Citazioni: 
 
"Tutto è buono quando è eccessivo."
(Il Monsignore) 

"Ebbene sua eccellenza, si è convinto: è dall'abisso di coloro che non godono ciò che godo io e soffrono i peggiori disagi che deriva il fascino di poter dire a se stessi "comunque io sono più felice di questa canaglia che si chiama popolo". Ovunque gli uomini siano uguali e non esista questa differenza nemmeno la felicità esisterà mai."
(Il Duca) 

"Noi Fascisti siamo i soli veri Anarchici. Naturalmente, una volta che ci siamo impadroniti dello Stato. Infatti la sola vera Anarchia è quella del Potere."
(Il Duca)

"Imbecille! Come potevi pensare che ti avremmo ucciso? Non lo sai che noi vorremmo ucciderti mille volte, fino ai limiti dell'Eternità, se l'Eternità potesse avere dei limiti?" 
(Il Monsignore) 
 
"Vi renderete conto che non esiste cibo più inebriante, e che i vostri sensi trarranno nuovo vigore per le tenzoni che vi attendono."
(La Signora Maggi, parlando della merda)
 
"Wie ihr wohl wißt, es genügt nicht... den selben Menschen immer wieder zu töten. Es ist dagegen zu empfehlen so viel Wesen wie möglich umzubringen."
("Come ben sai, non è soddisfacente uccidere la stessa persona più e più volte. Sarebbe raccomandabile uccidere quanti più esseri viventi possibile").
(La Signora Castelli)

Dialoghi: 

Il Duca: "Il gesto sodomitico è il più assoluto per quanto contiene di mortale per la specie umana. Il più ambiguo, perché accetta le norme sociali per infrangerle."
Il Monsignore: "C'è qualcosa di più mostruoso del gesto del sodomita, ed è il gesto del carnefice"
Il Duca: "È vero, ma il gesto del sodomita ha il vantaggio di poter essere ripetuto migliaia di volte."
Il Monsignore: "Si può trovare anche il modo di reiterare il gesto del carnefice."  
 
Presidente: "Carlo! Metti le dita così. Sei capace di dire "non posso mangiare il riso" tenendo le dita così?"
Carlo: "Non posso mangiare il riso!"
Presidente Durcet: "E allora mangia la merda!"

Corrispondenze dei Signori nell'opera di Sade: 
 
   Il Duca: Il Duca di Blangis
   Il Presidente: Il Banchiere Durcet (Presidente della Banca
       Centrale)
   Il Monsignore: Il Vescovo
   L'Eccellenza: Il Presidente de Curval (Presidente della
       Corte d'Appello) 
 

Recensione: 
Lo scandalo provocato da questa potente pellicola è stato immenso e non accenna a placarsi. Ancora a distanza di tanti anni, moltissimi commentatori definiscono il capolavoro pasoliniano "violento", "vomitevole", "una pugnalata nello stomaco", "allucinante" e via discorrendo. A dire il vero, posso guardare anche le sequenze più truci con assoluta tranquillità mentre mangio, senza perdere l'appetito. Mi rendo conto che la mia reazione è qualcosa di molto raro. Essendo la mia stirpe destinata all'Estinzione, non ho alcuna paura. Tutto ciò che nella vita mi può capitare, avrà la sua fine quando Azrael verrà a ghermirmi. Così non è per coloro che hanno procreato. Ogni genitore, vedendo Salò, si sentirà invadere dall'inquietudine e dal terrore. Penserà questo: "E se capitasse a mio figlio? E se capitasse a mia figlia?" Oppure: "E se capitasse ai miei nipoti, ai miei pronipoti?"  
Sono stati scritti innumerevoli trattati nel tentativo di spiegare il significato delle sequenze sadiane, ritenute di volta in volta metafore del potere della borghesia, del potere della dittatura fascista, del consumismo, della società edonistica, persino della scuola dell'obbligo. Ecco così che il Duca, il Monsignore, l'Eccellenza e il Presidente acquistano l'apparenza di geroglifici del potere dinastico, religioso, giudiziario ed economico. Tutte questa massa di estenuanti elucubrazioni politiche e sociali lascia il tempo che trova e in fin dei conti non risolve nulla. Sono consapevole che la parola "metafora" era usata dallo stesso regista. Penso che fosse lo spirito di quei tempi, in cui nessuna narrazione era accettata dal pubblico se non era vista come una "metafora" di qualcosa. Trovo che sia necessario andare oltre. Me ne esco così con una chiave d'interpretazione per certi versi rivoluzionaria: e se Salò fosse la pura e semplice storia di un gruppo di carnefici sodomiti e delle pratiche da loro inflitte a vittime inermi? Se fosse da interpretarsi in senso letterale? Se vedo un cazzone che si infila nel culo, perché diamine dovrebbe essere un'allegoria di qualcosa? Semplice. È innanzitutto un cazzone che si infila nel culo! È il potere in sé ciò che il regista ci mostra, il potere dell'essere umano sull'essere umano. In quanto tale, senza infingimenti. Per Caligola era un atto di voluttà infliggere supplizi efferati esercitando un arbitrio assoluto sulle vite dei suoi sudditi, che erano terrorizzati dalla sua presenza. Non c'era alcun bisogno di una spiegazione razionale. È proprio questo che non capiscono i critici cinematografici, i radical chic intellettualoidi, etc.
Troppo spesso si è detto che Salò sarebbe il testamento poetico di Pasolini, ma penso che poche cose siano più lontane dal vero. Egli cercava infatti di realizzare una Trilogia della Morte, contrapposta alla Trilogia della Vita, che era composta da Il Decameron (1971), I racconti di Canterbury (1972) e Il fiore delle mille e una notte (1974). Ebbene, nelle sue intenzioni Salò doveva essere proprio il primo film della Trilogia della Morte. Si converrà che con un simile progetto in mente, non si fanno testamenti di sorta. Mi piacerebbe riuscire a immaginare come sarebbero stati il secondo e il terzo capitolo della Trilogia della Morte! Purtroppo, non potremo mai nemmeno immaginarcelo.
 
Il potere della censura
 
Se si dovesse fare un riassunto dell'accanita persecuzione giudiziaria che si è abbattuta su questo film, forse non basterebbe un'enciclopedia per esaurire l'argomento. Furono aperti più di 30 processi postumi (secondo alcuni sono stati 31, secondo altri addirittura 33) e la pellicola passò da un sequestro all'altro. Ogni volta che veniva proiettata, c'era qualche grave rogna che portava nuovamente alla sua scomparsa. Trovo difficile mettere a fuoco questo complesso percorso persecutorio. Rimando quindi alle numerose fonti presenti nel vasto Web, in cui si possono trovare dettagli e approfondimenti. Ecco un link che può essere utile:


Pasolini fu assassinato sulla spiaggia dell'Idroscalo di Ostia, il 2 novembre 1975, prima dell'uscita del film. Giuseppe "Pino" Pelosi, un diciassettenne di Guidonia Montecelio già noto come ladro e "ragazzo di vita", fu arrestato e incolpato dell'omicidio. Ammise di aver investito molte volte il corpo del regista con l'automobile, schiacciandolo in seguito a una lite furibonda. Per tale delitto fu quindi condannato, eppure a distanza di molti anni negò ogni coinvolgimento. Il caso rimane irrisolto. Sono state fatte moltissime ipotesi, anche complottistiche, per spiegare l'accaduto. Nessuno potrà mai togliermi dalla mente l'idea che le motivazioni della morte del regista abbiano in qualche modo a che fare con Salò. A parer mio, politici potenti devono aver commissionato l'uccisione, perché non volevano che la popolazione arrivasse a concepire atti sessuali considerati  eversivi. Oggi nel Web si trovano con grande facilità immagini e video di atti di sesso anale e di coprofagia, solo per fare qualche esempio, ma dobbiamo tener conto della realtà dell'Italia dell'epoca, dominata dalla Democrazia Cristiana, in cui non si respirava ed era un problema già menzionare le gambe dei tavoli. Non c'è più la soffocante cappa della censura che rese difficile la vita a Pasolini, ma dobbiamo combattere contro la minaccia del politically correct, ancor più grave e corrosiva.  


L'anarchia di ogni potere 
 
Queste sono le parole del regista sulla sua opera: 

"Il film è preso da ‘Le 120 giornate di Sodoma’ di De Sade, ma è ambientato durante la Repubblica di Salò, cioè tra il ’44 e il ’45. Quindi c’è molto sesso. Ma il sesso che c’è nel film è il tipico sesso di De Sade, la cui caratteristica è esclusivamente sadomasochistica, in tutta l’atrocità dei suoi dettagli e delle sue situazioni. A me questo sesso interessa come interessa a De Sade, per quello che è, ma nel mio film tutto questo sesso assume un significato particolare ed è la metafora di ciò che il potere fa del corpo umano. La mercificazione del corpo umano, la riduzione del corpo umano, è tipica del potere, di qualsiasi potere. Quindi il mio film è un film contro qualsiasi forma di potere e precisamente contro quella che io chiamo l’anarchia del potere, ed è questa la ragione per cui ho scelto Salò e la Repubblica fascista di quel periodo, perché mai come in quel momento il potere è stato anarchico, arbitrario e gratuito, potendo fare qualsiasi cosa". 
 
E ancora: 
 
"Il reale senso del sesso nel mio film è quello che dicevo, cioè una metafora del rapporto del potere con chi gli è sottoposto. Tutto il sesso di de Sade, cioè il sadomasochismo di de Sade, ha dunque una funzione ben specifica, ben chiara. Cioè quella di rappresentare ciò che il potere fa del corpo umano, la riduzione del corpo umano alla cosa, la mercificazione del corpo. Cioè praticamente l'annullamento della personalità degli altri, dell'altro. È quindi un film non soltanto sul potere, ma su quello che io chiamo "l'anarchia del potere", perché nulla è più anarchico del potere, il potere fa praticamente ciò che vuole e ciò che il potere vuole è completamente arbitrario, o dettatogli da sue necessità di carattere economico che sfuggono alla logica comune. [...] Questo vuole essere un film sull'inesistenza della storia. Cioè la storia così come vista dalla cultura eurocentrica, il razionalismo e l'empirismo occidentale da una parte, il marxismo dall'altra, nel film vuole essere dimostrato come inesistente... Beh! Non direi per i nostri giorni, lo prendo come metafora del rapporto del potere con chi è subordinato al potere, e quindi vale in realtà per tutti. Evidentemente la spinta è venuta dal fatto che io detesto soprattutto il potere di oggi. È un potere che manipola i corpi in modo orribile, che non ha niente da invidiare alla manipolazione fatta da Himmler o da Hitler. Li manipola trasformandone la coscienza, cioè nel modo peggiore, istituendo dei nuovi valori che sono dei valori alienanti e falsi, i valori del consumo, che compiono quello che Marx chiama un genocidio di culture viventi, reali, precedenti."

Il concetto è sacrosanto: ogni dittatore è anarchico, perché non deve rendere conto a nessuno e non riconosce alcun potere superiore al suo. Ovviamente i suoi sottoposti sono soltanto ingranaggi nel meccanismo di stritolamento. L'anarchia è come la corona, soltanto il Sovrano la può portare. Se a farlo è qualche suddito, allora diventa un crimine e un pericolo.
Facciamo un esempio concreto. Adolf Hitler non amava Max Stirner. Eppure era in tutto e per tutto uno stirneriano puro: solipsista, nichilista, individualista, egoista, capace di affermare l'unico e la sua proprietà. Non tollerava che altri al di sotto di lui portassero avanti queste idee, perché ciò avrebbe significato l'inizio della fine del suo potere.
Naturalmente la parola "anarchia" in questo contesto non ha nulla a che vedere col significato che comunemente le masse le attribuiscono.
 

Aldo Valletti nel ruolo del Presidente

Il fulvo e paonazzo Valletti (Roma, 1930 - Roma, 1992) fu scelto per la sua fisionomia grottesca, per i suoi lineamenti faineschi, da freak. I suoi occhi microscopici e scuri ardono di una luce assolutamente malsana. Quando chiesero a Pasolini perché gli avesse assegnato il ruolo del Presidente, rispose così: "Si tratta di un generico che in più di vent'anni di lavoro non ha mai detto una battuta".
In una intervista sul film, il regista affermò questo: "I signori e i potenti li ho scelti parte tra gli intellettuali in grado di recitare (Uberto Paolo Quintavalle, e alcuni doppiatori), parte tra persone che non dovessero recitare ma solo essere (Giorgio Cataldi e Aldo Valletti), e parte tra attori (Paolo Bonacelli, Elsa de Giorgi)".
Ezio Manni, che interpretò un repubblichino di leva, ebbe a dire: "Valletti era così come lo vedi in Salò, un imbranato. Era dolce, timoroso, a fine giornata si chiudeva in albergo e non usciva più. Diceva che doveva prepararsi per il giorno dopo, poi veniva sul set e sbagliava tutto. Si scordava le battute, si bloccava. Quando doveva torturare i ragazzi con la candela accesa, gli tremava la mano. Nella scena della mia uccisione, non gli sparava la pistola, una frana".
Per questi motivi e per la sua scarsa capacità recitativa che fu scelto di farlo doppiare da Marco Bellocchio, collaboratore di vecchia data del regista.
Uberto Paolo Quintavalle aggiunge altre informazioni non proprio eulogistiche: "Un ex seminarista che non si era poi fatto prete e aveva tirato avanti fino allora, per venticinque o trent'anni cioè, dando ripetizioni di latino e facendo la comparsa all'Opera di Roma o a Cinecittà".  
Eppure la barzelletta del Presidente su Perotto è tuttora definita "agghiacciante". A me sembra del tutto innocua. Eccola. Un uomo deve incontrare un amico di nome Perotto, a notte fonda. Si può immaginare che intenda sodomizzarlo. A un certo punto sente qualcuno muoversi. "Sei Perotto?", chiede. Quello risponde: "Quarantotto!"
Certo, il fatto considerato "agghiacciante" dal pubblico è che la barzelletta è raccontata in presenza di una ragazza sgozzata, uccisa per aver compiuto un atto di devozione religiosa.
 
 
Paolo Bonacelli nel ruolo del Duca

Senza dubbio Paolo Bonacelli, nato a Civita Castellana nel 1937, è il migliore attore tra coloro che hanno recitato in questa pellicola. Lo trovo una spanna al di sopra degli altri. La sua interpretazione incarna alla perfezione lo spirito perverso del Divin Marchese! Sprovvisto di pazienza, vorrebbe piegare l'Universo al suo volere, dando in escandescenze quando per qualche motivo non ci riesce. I suoi tremendi scatti d'ira sono proverbiali. Prima di Salò, Bonacelli aveva al suo attivo una parte di attore in ben 18 film. Tra questi menzioniamo L'arcidiavolo (Ettore Scola, 1966), Giordano Bruno (Giuliano Mondaldo, 1973), il bizzarro Milarepa (Liliana Cavani, 1974) e il profetico La banca di Monate (Francesco Massaro, 1975).
A questo punto devo riportare uno strano fatto che mi è accaduto qualche anno fa. Si tratta di un caso di prosopagnosia. Era il 2020. A causa dei postumi di un'infezione da SARS-CoV-2, il mio cervello ha avuto per quasi un anno gravi difficoltà a riconoscere i volti. Quando vidi una foto del Duca, interpretato magistralmente da Bonacelli, lo scambiai per Ramzan Khadyrov. "Ecco, questo è il ceceno biondiccio!", commentai su Facebook a un carissimo amico, che rimase esterrefatto. In realtà la somiglianza tra l'attore e il politico ceceno è a dir poco vaga. Detto ciò, non credo proprio che Khadyrov sarebbe entusiasta delle attività sodomitiche del Duca! 
 
 
Sul ponte di Perati 

A un certo punto, il Duca biondiccio intona un canto della Brigata Alpina "Julia", seguito dagli altri Signori e da alcuni degli ospiti. Riporto nel seguito il testo completo della canzone, di cui nel film si sente soltanto una sintesi delle prime due strofe. Alcuni versi sono redatti in un veneto molto italianizzato, mentre altri sono in italiano.

Sul ponte di Perati

Sul ponte di Perati
bandiera nera:
l'è il lutto degli Alpini
che va a la guera.

L'è il lutto della Julia
che va a la guera
la meglio gioventù
che va sot'tera.

Sull'ultimo vagone
c'è l'amor mio
col fazzoletto in mano
mi dà l'addio.

Col fazzoletto in mano
mi salutava
e con la bocca i baci
la mi mandava.

Queli che son partiti
non son tornati
sui monti della Grecia
sono restati.

Sui monti della Grecia
c'è la Vojussa
col sangue degli Alpini
s'è fatta rossa.

Un coro di fantasmi
vien zo dai monti:
l'è il coro de li Alpini
che son morti.

Gli Alpini fan la storia,
la storia vera:
l'han scritta con il sangue
e la penna nera.

Alpini della Julia
in alto il cuore:
sul ponte di Perati
c'è il Tricolore!

Il componimento commemora la grande battaglia del Ponte di Perati tra la Grecia e l'Albania (24 aprile 1941), che coinvolse truppe italiane e greche. Dopo sei mesi di combattimenti durissimi e logoranti, la 9° Armata Italiana occupò nuovamente il ponte, congiungendosi con le forze tedesche. Perati è il villaggio di Perat in Albania. 
Il Duca ovviamente considera la bandiera nera menzionata nel canto come il vessillo fascista, derivato direttamente da quello anarchico - piaccia o no. In occasione della proiezione del film il 10 gennaio 1976, ci fu un risvolto penale. L'Associazione Nazionale degli Alpini fu offesa e indignata nell'udire il canto intonato da ripugnanti aguzzini: alle proteste seguì subito una denuncia. I nervi erano scoperti, bastava un nonnulla per finire in tribunale!  


Uberto Paolo Quintavalle nei panni dell'Eccellenza 

L'Eccellenza è un uomo di un'intelligenza vivissima e attento ai dettagli. Scansiona l'intera realtà che si offre ai suoi sensi e la mappa con la potenza delle sue sinapsi. Vuole sapere tutto. In particolare pretende che i racconti sui libertinaggi siano completi della descrizione particolareggiata dei cazzoni smisurati dei protagonisti. Quando ho voluto passare dal personaggio alla conoscenza del suo interprete, sono rimasto sorpreso. L'attore, nato a Milano nel 1926 e deceduto a New York nel 1997, era di famiglia aristocratica, iscritta nel Libro d'Oro della Nobiltà Italiana. Era figlio di Bruno Antonio Quintavalle, Conte di Monasterolo d'Adda, e di Paola Marelli, figlia dell'industriale Ercole Marelli. Era giornalista e scrittore, ma non aveva precedenti esperienze cinematografiche. Collaborò con il Corriere della Sera e proprio nel contesto giornalistico conobbe Pasolini, essendo tra i primi ad essere informato del progetto del film sodomitico. Fu autore di diversi romanzi, tra cui La festa (1953), Code senza lucertola (1965), Il viaggiatore supercompresso (1964), Pao Pao, anticamera del paradiso (1965), Il Dio riciclato (1989) e In cerca di Upamanyu (1995). Devo assolutamente approfondire la conoscenza degli scritti di questo autore.


Giorgio Cataldi nei panni del Monsignore

All'inizio del Girone del Sangue, durante la surreale celebrazione del matrimonio posticcio tra tre dei Signori e gli stalloni, vediamo il Monsignore vestito come un antico sacerdote di Baal. Indossa un surreale abito di porpora che è come un'impalcatura grottesca. Il ministro, nell'atto di officiare le unioni tra i suoi compari travestiti grottescamente da carampane e altrettanti montatori, pronuncia parole incomprensibili che si sentono a malapena. Come le ho udite, mi è parso che avessero la sonorità di un antico idioma della Mezzaluna Fertile. Non sono del tutto sicuro che la formula sia la stessa per tutte le "coppie"; in ogni caso, riascoltando di continuo l'ultima celebrazione, quella in cui la voce dell'officiante è più chiara, sono riuscito a distinguere questo frammento: "atmàn daghishmàn vaesatràn atmanàm mahèma itma samarkàn...". Seguono altre due o tre parole che non sono riuscito in alcun modo a trascrivere. La mia trascrizione potrebbe essere distorta e inesatta. All'inizio ho pensato che questa fosse la perduta lingua di Sodoma. Presto l'illusione è caduta e mi sono accorto che è sanscrito pronunciato in modo approssimativo. Senza approfondire troppo, così di getto si possono tradurre le seguenti parole: 
 
ātman "tu stesso", "il sé"
vaiśastra "governo, regola"
ātmānaṃ "corpo" 
mahema "che possiamo onorare"
samarhana "mostrare onore", "offerta fausta" 
 
Si comprende all'istante che queste traduzioni sono compatibili con una formula nuziale. Così il mistero è risolto. Quello che non è del tutto chiaro è cosa può aver indotto Pasolini a compiere questa scelta. Credo che fosse ben consapevole della necessità di dare una lingua concreta a Sodoma e che per questo abbia ideato la sequenza: voleva attrarre l'attenzione. Ovviamente non era a conoscenza di come si parlasse nella Pentapoli, si è limitato a darcene un'idea e trasmettere il dubbio, l'inquietudine che la conoscenza di tale eredità possa essersi trasmessa in modo esoterico, segreto, dall'epoca di Lot fino ad oggi. Ha così preso il sanscrito, che tanto era conosciuto da ben poche persone in Italia. In fondo, aveva scarsa importanza l'ontologia linguistica sodomitica: Dante Alighieri non sapeva nulla della lingua parlata dai Demoni dell'Inferno, eppure ci ha trasmesso un immortale "Papè Satàn, papè Satàn aleppe".  
Oltre al film sodomitico, l'attore Giorgio Cataldi ha interpretato soltanto La ragazza alla pari (Mino Guerrini, 1975). Non si hanno molte informazioni sulla sua vita: si ignora persino la sua data di nascita, nemmeno si sa se sia tuttora in vita. Dovrebbe essere nato a Roma e apparteneva all'ambiente degradato delle borgate. Fu scoperto da Pasolini, che probabilmente rimase colpito dalla sua espressività e dai suoi occhi cerulei. Avrebbe dovuto interpretare il ruolo del protagonista di Accattone (1961); non poté farlo perché si trovava in prigione e fu così sostituito da Franco Citti. Non comparve nel primo film di Pasolini. Comparve nell'ultimo.
 

Le tre Megere e la Pianista
 
Il duetto comico-grottesco della Signora Vaccari e della Pianista è memorabile. È un numero di bravura recitato in perfetto francese. Pasolini era un entusiasta ammiratore del regista còrso Paul Vecchiali, nato ad Ajaccio nel 1930. In particolare era rimasto impressionato dal film Femmes Femmes (1974), alla cui proiezione aveva assistito a Venezia. Volle così che le sue protagoniste, la bionda Hélène Surgère (1928 - 2011) e la rossiccia Sonia Saviange (vero nome Christine Vecchiali, 1923 - 1987), recitassero proprio in Salò. Il duetto a quanto pare si trova nel film di Vecchiali ed è stato qui riproposto tal quale. Il risultato può dirsi eccellente. Mi piace molto Elsa de Giorgi (1914 - 1997) nel ruolo della Signora Maggi, famosa dovunque per il suo sensualissimo culo. L'attrice era di stirpe nobile, figlia di un'antica famiglia aristocratica umbro-marchigiana, i Giorgi Alberti di Bevagna e Camerino, patrizi di Spoleto. Purtroppo di questi tempi non la ricorda più quasi nessuno, ma è stata un'attrice e una scrittrice molto prolifica; come regista ha diretto il film Sangue più fango uguale logos passione (1974), oggi praticamente introvabile.
La meno riuscita delle tre Megere sembra essere la Signora Castelli, interpretata da Caterina Boratto (1915 - 2010). Forse questa mia impressione deriva dal fatto che la vedo fredda rispetto alle sue compari e che le è stato riservato un ruolo meno prominente. Inoltre va detto che lo spettatore, arrivato in pieno Girone del Sangue già sovraccarico di input sensoriali bizzarri, si trova davanti alle scene di tortura ed è meno incline a prestare troppa attenzione alla figura della tenutaria. 
 

Le feci finte 

Gli escrementi usati nelle scene di coprofagia non erano ovviamente reali, soprattutto per motivi sanitari. Furono realizzati moltissimi stronzi posticci con una grossolana mistura di cioccolato, cacao in polvere, marmellata di arancia amara, canditi e altri ingredienti dai sapori stridenti (sembra che ci fosse anche del formaggio spalmabile, ma non ne sono sicuro). Nessuna fonte riporta contemporaneamente tutti gli ingredienti citati: alcuni menzionano i canditi anziché la marmellata, altri il cacao in polvere anziché il cioccolato; devo dire che non sono riuscito a reperire la ricetta dell'intruglio nel Web. Le reazioni di disgusto erano comunque reali, anche se non arrivano ai conati di vomito che sarebbero stati indotti in molte persone dal materiale fecale autentico. Sembra che il solo Bonacelli abbia gradito molto il dolciume dall'aspetto escrementizio, ingozzandosene con avidità! Non sarebbe male fondare una branca della pasticceria che imita gli escrementi! Non mancherò di tenere informati dei miei esperimenti culinari gli eventuali lettori.
 
Dio! Dio! Perché ci hai abbandonati? 
 
Pasolini non fa mancare nemmeno qualche interessante spunto di riflessione teologica. Una ragazza, immersa in una tinozza piena zeppa di feci calde assieme alle sue compagne, a un certo punto insorge, si leva piena di rabbia ed esclama: "Dio! Dio! Perché ci hai abbandonati?" Il suo urlo disperato riecheggia quello di Cristo sul Golgota, pronunciato poco prima di spirare sulla croce: "Eloì, Eloì, lemà sabactàni?" (variante: "Elì, Elì, lama sabachthani"). In aramanico significa per l'appunto questo: "Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?" La risposta che mi sento di dare alla ragazza è la seguente: "Se Dio fosse egli stesso un libertino sadiano, proprio come i quattro Signori, sarebbe tutto più chiaro."  
 
Scomode analogie 
 
Salta agli occhi che il tiranno dotato di maggior potere è proprio la divinità. Che sia il Dio delle religioni abramitiche oppure un qualsiasi essere divino/demoniaco di una qualsiasi tradizione politeista, in fondo poco importa. Il concetto di divinità, introdotto nel mondo a causa della paura, mostra una sorprendente somiglianza con quello di libertino sadiano. La divinità detta la sua legge assurda e arbitraria, costringe l'adoratore con la minaccia, la punizione, l'insopportabile senso di colpa e di peccato. Questo è il fondamento dell'idea stessa di religione normativa, una funesta innovazione formatasi nel Neolitico.  


Il problema del finale 
 
Pasolini a un certo punto si trovò di fronte a una serie di enormi difficoltà. Che conclusione dare alla vicenda dei quattro libertini sadiani? Gli vennero in mente quattro diversi finali alternativi, nessuno dei quali ritenne soddisfacente. Eccoli, in estrema sintesi: 

1) A un certo punto compare una bandiera rossa al vento, con la scritta "È amore".  
2) Tutto finisce nella sala delle orge, coperta da bandiere rosse, in cui vittime e carnefici si scatenano al ritmo del boogie woogie. La bardatura comunista rappresenta l'arrivo di una nuova epoca.
3) I quattro Signori, usciti dalla villa, parlano tra loro, cercando di fare il punto sull'accaduto e sul suo significato. Finiscono quindi con l'autoassolversi, ritenendo le loro uccisioni "insignificanti" in confronto a quanto sta avvenendo nel mondo sconvolto dalla guerra.
4) Due giovani repubblichini, timidi e impacciati, ballano come se fossero ragazzo e ragazza, mentre la radio trasmette una canzone sdolcinata tipica di quei tempi. 
 
I finali 1) e 2) avrebbero mandato tutto in merda. No, non si può smerdare così una sublime sequela di atti di sadismo, sodomia e coprofagia con stronzate politiche banali, retoriche, inconsistenti, stupidissime. Pasolini lo capì all'istante. Sarebbe scaduto nella "morale psichedelica" tanto in voga in quegli anni. Sapete, le idiozie dei nuovi lotofagi che volevano trasformare Stalin in un figlio dei fiori. Il punto è che il regista detestava tutto ciò in modo viscerale. A quanto pare il finale 2) venne realmente girato, anche se non fu poi utilizzato: risultò confuso, caotico, del tutto vano. Il finale 3) avrebbe posto un problema ancora maggiore: siccome i fatti si svolgevano a Marzabotto, come mostrato chiaramente da un cartello stradale, si profilava il grave rischio di far passare il film per una giustificazione o minimizzazione della strage che avvenne in quel luogo il 29 settembre 1944. 
Come si poteva uscire da questo blocco? Pasolini scelse quindi il finale 4), quello dei due ragazzi repubblichini danzanti. 


Curiosità 
 
Maurizio Costanzo lavorò alla prima versione della sceneggiatura. Pupi Avati diede al copione alcuni contributi non accreditati. A quanto pare, chiese in modo esplicito che il suo nome fosse cancellato, forse perché si vergognava. 
 
Gli stalloni, dotati di falli colossali, in realtà portavano protesi peniene fatte di gomma e molto realistiche, tanto che si possono vedere persino le venature del prepuzio. 

Il film ha avuto una diffusione molto limitata a livello mondiale ed è tuttora bandito in molti paesi. Il paese in cui ha avuto una maggior diffusione è la Svezia, dove nel 1976 ha venduto ben 125.000 biglietti. Ciò significa che è stato visionato dall'1,5% della popolazione svedese. 
 
L'enigma del furto delle pizze
 
Nel corso della lavorazione del film, settantaquattro pizze di negativi scomparvero dalle celle frigorigere degli stabilimenti Technicolor di Cinecittà. Furono rubate anche bobine di altri due film: Il Casanova di Federico Fellini (Federico Fellini, 1976) e Un genio, due compari, un pollo (Damiano Damiani, 1975). Le tre pellicole avevano in comune la casa di produzione, la PEA, di proprietà di Alberto Grimaldi. Non si seppe mai chi trafugò questo materiale. Per la sua restituzione fu chiesto un riscatto di cento milioni di lire, ma Grimaldi rifiutò di cedere al ricatto. Il montaggio Salò fu effettuato comunque utilizzando due artifici:
1) i cosiddetti "doppi", ossia le scene girate da un'inquadratura diversa;
2) le pellicole "intermediate", che permisero di ricostruire i negativi tramite una tecnica innovativa messa a punto dalla Kodak.
Le pizze sottratte furono infine ritrovate dai Carabinieri il 2 maggio 1976, dopo l'uscita del film e dopo la morte del regista. È stato ipotizzato che Pasolini sia caduto nell'agguato all'Idroscalo di Ostia in seguito a un'informazione sul supposto ritrovamento delle pizze. Le prove tuttavia non sembrano esserci. 
 

Il genere nazi-erotico 
 
La critica ha spesso considerato Salò come il capostipite del genere nazi-erotico, detto anche nazisploitation, diffuso a metà degli anni '70 dello scorso secolo. Si tratta di una dozzina di pellicole imperniate sugli agghiaccianti esperimenti condotti da carnefici nazisti su prigionieri e prigioniere dei campi di concentramento. Le analogie con l'opera pasoliniana sembrano piuttosto superficiali, limitate all'imitazione di qualche sequenza. È più verosimile che il vero capostipite del nazi-erotico sia Salon Kitty (1976), diretto da Tinto Brass. Tuttavia si deve notare che l'attrice Antiniska Nemour, la provocante brunetta dai capelli crespi e dai vivaci occhi scuri, comparve in un nazi-erotico due anni dopo aver interpretato Salò: è L'ultima orgia del III Reich (1977), diretto da Cesare Canevari. La bella Antiniska mi è molto simpatica perché mi ricorda F., un'amica conosciuta ai tempi di Splinder.
Non sono un patito di film di nazisploitation, tuttavia devo notare che attualmente non potrebbero essere più girati e nemmeno concepiti nell'anticamera del cervello.  
 
Memorie di strani giorni
 
Ero uno studente universitario. Ricordo ancora un viaggio sul treno, in una giornata estiva assolata. C'era un pazzo che enunciava i fondamenti della sua fede. Affermava che il pane mangiato durante il giorno è pane, mentre il pane mangiato durante la notte è sterco. Evocava la coprofagia e menzionava a gran voce il titolo dell'opera del Marchese de Sade, Le 120 giornate di Sodoma. Con ogni probabilità, era rimasto traumatizzato dalle sequenze del film di Pasolini.  
 
Etimologia di Salò 

Il toponimo Salò non ha etimologia chiara. Tuttora rappresenta una grave crux: non si sono trovate proposte convincenti. Bisogna scartare senza indugio le storielle inventate ad hoc da topi di biblioteca ottocenteschi, che vogliono il nome di Salò derivato da un fantomatico lucumone etrusco Saloo o da un'altrettanto insostanziale regina etrusca Salodia. Possiamo dire questo: la forma latina del toponimo, attestata in epoca medievale, è Salodium, da cui deriva l'aggettivo salodiano. Verosimilmente la consonante -d- è antica e non deriva da eufonia, come vorrebbero i romanisti. Varianti di Salodium sono Salude e Salaude. Queste strane variazioni sono antiche e di difficile spiegazione.  Bisogna scartare, alla luce di queste attestazioni complesse, la derivazione dal latino salūs "salute". Nel Web si trova spesso menzionata una derivazione da una voce latina fantomatica, *salodium, che indicherebbe "sale e stanze di cui erano ricche le ville a lago di epoca romana". Si tratta di una formazione artificiosa fatta derivare dall'italiano sala, di chiara origine longobarda. Non poteva esistere in epoca imperiale. Da scartarsi anche l'accostamento al francone *sahla "salice". In realtà la forma germanica è errata, deve essere *salha, come l'antico alto tedesco salaha "salice". La proposta è implausibile già soltanto per la natura inesplicabile del suffisso -od- / -aud- / -ud-. Si potrebbe accostare Salò a idronimi paleoeuropei formati dalla radice *sal-, ma temo che ci vorranno molti anni di studi per arrivare a una conclusione ragionevole. Una curiosità: gli abitanti di Salò in gergo sono chiamati Salàm "Salami" o Salamì "Salamini".

venerdì 20 agosto 2021

IL MISTERO DEL VINO DI SICOMORO

Il sicomoro (Ficus sycomorus) era molto considerato nell'antico Egitto, essendo l'albero sacro alla Dea Hathor, patrona della fecondità. Era anche chiamato "albero dell'Eternità" e "albero dei Faraoni": col suo legno venivano fabbricati i sarcofagi. I frutti del sicomoro, simili a fichi di colore chiaro e rossiccio, erano un cibo molto apprezzato. Provenendo da un albero sacro, erano associati all'immortalità e spesso venivano posti nelle tombe come offerta per i defunti. Oltre a questo, con tali fichi veniva prodotta una bevanda inebriante, che è da tempo scomparsa. A quanto pare era forte, al punto che bruciava la gola ed era paragonato alla fiamma (vedi The Fig in Ancient Egypt su Reddit). Diversi anni fa mi sono imbattuto in contributi di navigatori che si chiedevano perché il vino di sicomoro non fosse più stato prodotto. Non ho più trovato tracce dei loro interventi, ma cercherò di dare una risposta a questo importante interrogativo. 
 

Non mi stupisce troppo l'incapacità di trovare qualsiasi traccia di uno specifico termine egiziano per indicare una bevanda prodotta dai fichi del sicomoro. Col passaggio al Cristianesimo, caddero in disuso e furono obliate molte parole che appartenevano alla sfera semantica degli antichi culti. Altre furono invece conservate in copto, perché non suscettibili di ricevere un'interpretazione positiva in senso cristiano. A scomparire furono proprio quelle parole che non poterono subire l'esaugurazione, perché i concetti che esprimevano erano incompatibili con la nuova religione, che non fu esente da manifestazioni di fanatismo e di furore iconoclastico. Qualcosa di simile come accadde anche in latino, dove parole come templum e altāre si conservarono, mentre i sinonimi fānum e āra furono colpite da interdetto e scomparvero dalla lingua popolare. 
 
Si potrebbe dedurre che il vino di sicomoro era bevuto unicamente in occasione di rituali funebri, motivo per cui finì con l'essere abolito. La sua memoria si sarebbe quindi persa rapidamente. Non sono però chiari i dettagli di questo processo di scomparsa di un'antica eredità. 
Sbagliano coloro che hanno ipotizzato che la causa della scomparsa di questa bevanda sia stato l'Islam. Evidentemente non era già più conosciuta quando gli Arabi hanno conquistato l'Egitto. Per quanto la Shari'a proibisca l'alcol, non è sempre stata applicata con lo stesso rigore e non si può pensare che abbia causato la completa scomparsa di ciò che considera haram. Fautori dell'uso smodato del vino non sono mancati dalla Turchia alla Spagna moresca, così come i pederasti! Dovremmo pensare che il fanatismo cristiano in Egitto sia stato molto più efficace, eliminando tutto ciò che era intrinsecamente connesso con i riti pagani. Il problema non era il potere ubriacante della bevanda, bensì il fatto che fosse offerta alle divinità antiche e che non avesse alcun uso profano.  
Forse un simile tabù era già da tempo presente presso gli Ebrei. Sarebbe assurdo poter disporre di una risorsa abbondante come i frutti di sicomoro e non sfruttarla per la produzione di bevande alcoliche, quando basterebbe poco per farlo. Esisteva persino la professione di raccoglitore di fichi di sicomoro. La raccolta non veniva eseguita manualmente, bensì servendosi di strumenti affini a rastrelli, dato che i frutti crescono anche sul tronco degli alberi. Non sappiamo se questi fichi entrassero a far parte della produzione della sicera, assieme ad altri ingredienti, anche se non come unica componente. Non dispendo di sufficienti dati per definire la questione, ho pensato che fosse interessante chiedere a un rabbino molto esperto un'opinione per chiarire meglio questi dubbi, se nelle consuetudini israelitiche esista qualche interdizione a questo proposito. Ho quindi trovato un'inattesa pista sul Web, che mi ha permesso di giungere a una conclusione ragionevole.  

La soluzione del mistero 

Una neopagana che si fa chiamare Hearth Moon Rising riporta nel suo sito un'importante informazione. La pagina è la seguente:  


Questo è il testo tradotto: 
 
"Non sono stata capace di scoprire tramite i miei libri o una ricerca in Internet se il fico del sicomoro sia mai stato fermentato per i riti di Hathor. Ho scoperto che questo fico è talvolta davvero fermentato in vino, ma che ha un gusto di aceto che lo rende più adatto come medicina che come divertimento."
 
Il vino di sicomoro conteneva alcol acetico, ossia etanolo con tendenza a generare acido aceto, che conferiva un tipico sapore acido e irritante. Ecco perché si diceva che "bruciava la gola". Era bevuto soltanto per finalità religiose perché non era buono. Ho avuto esperienza di vino e di idromele in incipiente stato di inacetimento. Nel primo caso era un vino vecchio e imbottigliato male. Nel secondo caso era un idromele prodotto da amici a partire da una decozione conservata in condizioni non ottimali. La sensazione di entrambe le bevande era la stessa. Erano ancora commestibili, ma berle dava un certo fastidio e infiammavano le vie urinarie. La bevanda sacra alla Dea Hathor doveva essere simile. Una divinità egizia poteva imporre ai suoi devoti le cose più stravaganti, anche baciare il culo dei babbuini! Figuriamoci se era un problema bere una pozione un po' acida. Il punto è che quando la gente è diventata cristiana, nessuno glielo faceva più fare di ingurgitare qualcosa di poco gradevole. Allo stesso modo, il popolo di Israele non aveva motivo alcuno di usare quei fichi asprigni per la produzione di alcolici, quando disponeva di buona uva, frutta adatta, cereali e miele. Con questo, il mistero è risolto. 
 
Note etimologiche

Questa è l'evoluzione del nome del sicomoro nella lingua degli Egizi dalle origini al suo periodo finale: 

 
Egiziano (Antico Regno)
nht "sicomoro" (pronuncia /'na:hat/
 
Egiziano (Medio Regno)
nht "sicomoro" (pronuncia /'na:ha/
 
Egiziano (Nuovo Regno) 
nht "sicomoro" (pronuncia /'nɔ:hə/, /'no:hə/)
 
Copto
ⲛⲟⲩϩⲉ (pronuncia /'nu:hə/
 
Da questo fitonimo deriva il nome di persona maschile Sinuhe, che significa "Figlio del Sicomoro". Nell'Egiziano del Medio Regno doveva pronunciarsi /siˀ'na:ha/. Si deve notare che il nome, di genere maschile, contiene un elemento che è morfologicamente femminile.
 
Questo è il nome del sicomoro in alcune importanti lingue semitiche:  

Ebraico 
שִׁקְמָה  šiqmā "sicomoro" (pronuncia biblica /ʃiq'ma:/
        altre trascrizioni: shikma, shikmah
     singolare costrutto: שִׁקְמַת־  šiqmat "sicomoro di"
     plurale: שִׁקְמִים  šiqmīm "sicomori" 
     plurale costrutto: שִׁקְמֵי־‎‎  šiqmē "sicomori di"
Note: 
Il singolare è di genere femminile, il plurale è invece di genere maschile. Indica l'albero e il suo frutto. 

Aramaico 
šeqmā "sicomoro" (albero e frutto) 
      (prestito dall'ebraico) 
   altri significati: "fico selvatico", "fico acerbo" 
   variante: šqem, šiqmā, šaqmā "sicomoro" 
   plurale: šiqmīn "fichi di sicomoro"
   plurali alternativi: šeqmātā, šeqmē 
tittā "sicomoro" (frutto) 
   varianti ortografiche: titā, tettā 
Note: 
Il vocabolo tittā, attestato come designazione del fico del sicomoro, è affine all'accadico tittu, tētu "fico" e all'ebraico תְּאֵנָה  te'ēnā "fico". In aramaico esiste anche tā "mora di gelso; emorroide", affine all'accadico tuttu "mora di gelso" e all'ebraico תוּת t "mora di gelso".

Accadico 
messikanu "sicomoro" (varianti: musukanu, musukannu,
    mesukannu, etc.);
sukannu "sicomoro" 
Note: 
Si tratta di prestiti dal sumerico (vedi sotto). Alcuni ritengono che in ebraico si trovi parola isolata mesukkān "sicomoro" in Isaia 40, 20, ma non sono sicuro che sia vero: sembra invece che sia un fraintendimento di הַֽמְסֻכָּ֣ן hamsukkān "impoverito, danneggiato". La questione sembra non essere risolta a tutt'oggi, ci sono studiosi che insistono col dire che mesukkān è un albero, anche se la traduzione "sicomoro" non è accettata da tutti. Secondo Haupt (1917), l'albero sarebbe invece da identificarsi con l'Acacia nilotica. Se questo vocabolo esistesse, sarebbe evidentemente un prestito dal sumerico tramite l'accadico.  
 
Arabo  
جُمَّيْز  jummayz "sicomoro" 
سَوْقَم  sawqam "sicomoro" (Yemen, obsoleto)
سَقُوم  saqūm "sicomoro" (Algeria) 
Note: 
Il primo di questi nomi del sicomoro, jummayz, ha una corrispondenza nell'ebraico mishnaico: גמזיות "sicomori", con ogni probabilità da vocalizzarsi come gummazyōt. I due nomi sawqam e saqūm sono chiari prestiti dall'aramaico.

Questo è il nome del sicomoro nella lingua di Sumer: 

Sumerico 
1) šam "sicomoro" (glosse accadiche: "sukannu",
    "musukanu", fonte: Uruanna, II.509); 
2) giš mes maganna "sicomoro", alla lettera "albero
     di Magan" (giš è un determinativo e non si pronuncia). 
Note: 
Magan era un paese mitico la cui identificazione finora non è stata determinata con sicurezza. Alla luce di questa evidenza, finora negletta, può essere identificato con l'Oman: l'unica delle terre proposte ove cresce il sicomoro. Resta però il fatto che questo vocabolo avrebbe potuto indicare anche alberi diversi. Sarebbero necessari studi più approfonditi.  
Chiaramente l'accadico messikanu (e varianti) è derivato proprio da giš mes maganna.

Sicomoro e sicamino 

In greco σῡκόμορος (sykómoros) è etimologizzato come "fico-gelso", da σῦκον (sŷkon) "fico", μόρον (móron) "mora di gelso". Si tratta di un'etimologia popolare. In realtà la parola sembra un adattamento dell'ebraico šiqmā (vedi sopra). Si tratta però di un ragionamento circolare, in quanto il nome ebraico del sicomoro è a sua volta derivato dalla stessa radice mediterranea da cui hanno avuto origine anche il greco σῦκον e il latino fīcus (verosimile prestito dall'etrusco). Esiste poi in greco un altro fitonimo collegato a questo: συκάμινος, variante συκάμνος "gelso bianco", "gelso nero", che nel greco d'Egitto è usato anche col significato di "sicomoro". Questa parola è derivata direttamente dal plurale aramaico šiqmīn "fichi di sicomoro" ed è passata in latino come sȳcamīnus
 
Ancora su un equivoco
 
Il vino di sicomoro è menzionato nell'opera di Paolo Mantegazza, Quadri della natura umana. Feste ed ebbrezze (1871). Il fisiologo monzese ha riportato in un elenco un gran numero di bevande fermentate, con una breve nota sulla sua produzione e spesso anche sul paese in cui sono usate. Molte informazioni sono preziose, altre sono invece abbastanza discutibili. Così egli scrive:
 
Vino di sicomoro, succo dell'albero. Inghilterra 
 
A questo punto mi viene un sospetto. Mantegazza deve aver commesso lo stesso errore in cui è incappato Michel Houellebecq, definendo "sicomoro" l'acero montano. La causa è senza dubbio derivata dall'uso volgare di chiamare "sicomoro" svariate specie di aceri e persino il platano (sycomore o sycamore in inglese, sycomore in francese). Questa abitudine deprecabile è contraria all'etimologia della parola e di certo è derivata dall'ignoranza di qualche autore moderno: ancora nel XIV secolo il francese sicamour indicava correttamente la pianta africana e mediorientale di biblica memoria.