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sabato 5 settembre 2020

L'OPERA DI EDWARD BERNAYS E LA MORTE DELLA BLOGOSFERA

 

Edward Bernays (Vienna, 1891 - Cambridge, 1995) era nipote di Sigmund Freud: suo padre Ely era fratello di Martha Bernays, moglie del Padre della Psicanalisi - ed era sposato con la sorella di quest'ultimo, Anna Freud Bernays. Oggi sono pochi a ricordare il suo nome, eppure la sua importanza nella storia del genere umano è stata capitale. Egli conosceva i segreti del potere della comunicazione, che gli furono rivelati direttamente da Satana. Fu una delle persone più potenti, spietate e maligne mai apparse sulla faccia di questo pianeta.  

Fu giustamente definito Padre delle relazioni pubbliche. Egli fu anche il primo spin doctor, alla lettera "esperto in colpi a effetto", specializzato nel procurare consenso elettorale ai personaggi politici di cui era consulente, servendosi di opportune "strategie di immagine"

Le idee di partenza sono quelle dell'antropologo Gustave Le Bon, del chirurgo Wilfred Trotter, dello scrittore Walter Lippmann e dello stesso Sigmund Freud. Le masse sono come colonie di batteri. Inutile cercare di convincerle di qualcosa in cui non credono. Qualsiasi argomentazione razionale si utilizzerà nel tentativo di far cambiare loro idea su qualcosa, non si otterrà successo alcuno. Per raggiungere lo scopo prefisso è necessario manipolare l'opinione pubblica. Si può dire che Bernays sia stato il primo a utilizzare sugli esseri umani le teorie di suo zio, allo scopo di controllare la popolazione e di mutarne le proprietà definitorie. Così è iniziata la progressiva metamorfosi dei cittadini americani in consumatori, promossa con nefasto successo dal Padre delle relazioni pubbliche. Riporto in estrema sintesi alcune delle sue imprese più significative, che hanno lasciato nella Storia conseguenze durature, talvolta drammatiche. 
 
Bernays scatenò l'odio antitedesco 
 
A soli 26 anni, Bernays era un consulente del Committee on Pubblic Information (anche noto come Creel Committee), nato poco dopo l'entrata degli Stati Uniti nella Grande Guerra contro la Germania e l'Austria. Il popolo americano era ostile all'intervento bellico e questo era imbarazzante per il governo. Bernays diede un contributo determinante nel produrre un'isteria antitedesca nelle plebi e rendere desiderabili le ostilità. I suoi slogan: "Portare la democrazia in tutta Europa" e "Fare del mondo una democrazia più sicura". Si riconosce il suo zampino nei manifesti dello Zio Sam con la scritta "I want you for the US Army" e in quelli con il Kaiser rappresentato come un gigantesco scimmione con l'elmo chiodato e una clava con scritto KULTUR, intento a rapire una giovane donna bionda.
Alcune conseguenze:
Ci furono linciaggi, ondate di panico e persecuzioni di cittadini di origine tedesca; molte persone con cognome tedesco furono costrette a cambiarlo per salvarsi la pelle. Questo è il motivo per cui negli States ci sono tanti Goodman (che in origine erano Gutmann), Weaver (che in origine erano Weber), Wood (che in origine erano Wald), etc. 

Bernays diede fama di filantropi ai tiranni
 
John Davison Rockefeller era odiato mortalmente dagli operai, perché era uno spietato tiranno che stritolava le loro vite. I comunisti volevano addirittura rapirlo e ucciderlo. Ebbene, Bernays riuscì a trasformarlo in un filantropo, donatore di smisurati patrimoni! Il mutamento promosso fu più profondo di quanto non si immagini. Se l'operaio viene costretto a turni massacranti coi caporali pronti a randellarlo, se le sue condizioni di vita sono malsane, se la sua alimentazione è scarsa, si manterrà un permanente focolaio di odio e di insurrezione. Le idee socialiste e anarchiche diverranno prevalenti, fino a portare ad attentati e ad altre violenze. Se invece all'operaio saranno dati quattro spiccioli in più con cui comprarsi del cibo in quantità sufficiente, se gli sarà data la possibilità di avere una casetta prefabbricata, se si potrà permettere l'acquisto e il mantenimento di un'utilitaria, ecco che i focolai socialisti ed anarchici saranno soffocati. Nessuno penserà più ad insorgere. Così è stato: Bernays ha fatto sì che per molti anni le idee considerate pericolose dai datori di lavoro perdessero il loro fascino tra i lavoratori. Nel 1939, all'Esposizione Universale che si tenne a New York, lo Spin Doctor fece esibire in un padiglione una famiglia di ex comunisti, per dare testimonianza del trionfo della società dei consumi.
 
Bernays cambiò le abitudini alimentari americane 
 
Una ditta produttrice di salumi lamentava le scarse vendite di bacon. Ormai la pancetta affumicata era considerata un cibo antiquato, fuori moda, addirittura rustico. Nelle città si era imposta una colazione molto leggera: una tazza di caffè, un bicchiere di succo di frutta e un paio di fette di pane tostato. Proprio a Bernays fu dato l'incarico di incrementare le vendite di bacon. Egli non usò una campagna pubblicitaria classica, basata sulle qualità del prodotto. Fece molto di più. Si attivò per cambiare le abitudini degli Americani e ci riuscì. Assoldò diversi medici famosi perché sostenessero la necessità di una colazione abbondante e diffuse le loro interviste, in modo tale che ogni famiglia fosse martellata dalla propaganda. I giornalisti fecero partire il tam tam mediatico ed ecco: la colazione a base di uova fritte e bacon fu presentata come "la colazione di tutti gli Americani" (All Americans' breakfast). Il successo fu travolgente: in breve tempo le vecchie abitudini frugali furono abbandonate. Di più, furono dimenticate. La colazione di tutti gli Americani era diventata tale retroattivamente, da tempi immemorabili! 
Conseguenze:
Il cambiamento dell'alimentazione in America non si è limitato alle uova col bacon, ma ha generato un'epidemia di voracità che ha indotto sempre più persone a ingurgitare quantità immense di cibo spazzatura (junk food). L'obesità è diventata un autentico flagello, portando a un aumento enorme dei casi di infarto e di ictus.
 
Bernays fece fumare le donne 
 
Negli anni '20 dello scorso secolo il rapporto tra le donne e il fumo non era semplice come ai nostri giorni. Non era ritenuto conveniente che una donna fumasse. Anzi, l'atto era un vero e proprio tabù. Le cosa sono cambiate in modo drastico a partire dal 1929, quando a Bernays fu dato dall'industria del tabacco l'incarico di incrementare le vendite. Un comune pubblicitario si sarebbe limitato a vantare i prodotti di una marca di sigarette. Bernays ebbe un'idea mefistofelica: comprese quanto sarebbe stato imponente il successo se fosse riuscito a espandere il mercato, facendo fumare non soltanto gli uomini, ma anche le donne. Se avesse cercato di convincere la società americana usando sofismo, di certo non ci sarebbe riuscito. Così presentò il cambiamento come una cosa già compiuta, come un dato di fatto. Ciò che era sconveniente sarebbe sembrato desiderabile! Ecco che fece sfilare alcune splendide modelle intente a fumare sigarette e incaricò alcuni giornalisti di comporre un articolo intitolato "Le Torce della Libertà" (Torches of Freedom). Fu qualcosa di travolgente. Le donne si buttarono in massa sulle sigarette, mettendosi a fumare come comignoli! Secondo le fonti, il trionfo di Bernays sarebbe stato causato dal fatto che tramite il fumo ogni donna poteva pensare di avere un pene. Secondo me è qualcosa di più sottile: ogni donna poteva mostrare un simbolo della fellatio e del potere della sua bocca sul fallo!
Alcune conseguenze:
Tutti i cancri che nel corso del decenni hanno ucciso milioni di donne a causa del fumo sono da imputarsi interamente a Bernays.   
 
Bernays mandò Hitler al potere 
 
L'ascesa di Adolf Hitler al potere fu condizionata da molte concause e non è facile comprenderne i meccanismi in dettaglio. Sappiamo però per certo che Bernays ebbe la sua parte, e fu una parte molto importante. La consapevole manipolazione delle tremende energie dell'inconscio collettivo fu qualcosa in cui l'Uomo di Braunau divenne un maestro indiscusso, animato dalla certezza di poter controllare in ogni momento le forze ctonie che aveva scatenato. Il Ministro della Propaganda del III Reich, Joseph Goebbels, era un grandissimo ammiratore di Bernays, al punto che non si curava minimamente di un dettaglio di non poco conto su di lui: l'appartenenza al Popolo Eletto. Lesse i suoi libri e ne applicò senza scrupolo alcuno gli insegnamenti. Adottò le tecniche bernaysiane per mantenere con pugno di ferro il potere conquistato da Führer e per diffondere in modo capillare un antisemitismo virulento, talmente violento da arrivare al parossismo. A quanto si dice, il nipote di Freud rimase inorridito dall'uso che la dirigenza della NSDAP faceva delle sue dottrine e delle sue tecniche, ma non poté farci nulla. Una reazione vana: chi inventa un'arma micidiale, dovrebbe essere consapevole dell'uso che se ne potrà fare e delle sue conseguenze.
Per quanto bizzarra la cosa possa essere, il ruolo di Bernays nel plasmare il Reich Millenario è considerato un tabù in America. A quanto ho constatato se ne trovano poche menzioni nella Wikipedia in inglese, ma non uno specifico paragrafo. 
Olasky (1984) ha scritto questo: 
"Bernays stesso ha aggiunto benzina a questo fuoco quando ha sostenuto, come ha fatto Goebbels, la necessità che uomini forti, dèi umani, emergano come influenzatori dell'opinione pubblica; per esempio, in un discorso alla Financial Advertisers Association nel 1935, Bernays ha affermato che la risposta principale ai problemi finanziari è 'acquisire un'intera nuova serie di eccezionali simboli viventi umani. che manterranno la fiducia del pubblico... Pubblicisti, economisti, leader nella ricerca, i capi delle grandi istituzioni educative possono e devono essere resi simboli umani per portare nuova fede e forza." I giornalisti hanno paragonato questo tipo di dichiarazioni di Bernays ai pensieri di Goebbels o, in alternativa, di Stalin."
Il paragone è una delle poche cose sensate proferite dalla genia dei giornalisti, mi sento in dovere di aggiungere.
Alcune conseguenze:
La II Guerra Mondiale e la distruzione degli Israeliti in Europa difficilmente avrebbero avuto corso senza il contributo di Bernays.
 
L'eredità dello Spin Doctor  

Edward Bernays morì nel 1995 alla venerabile età di 103 anni. Eppure, nonostante quasi nessuno più parli di lui, le sue dottrine ancora vivono e sono applicate in modo pervasivo! 

La morte della Blogosfera 

I Blog davano un immenso fastidio. Erano considerati un autentico flagello. Pensate soltanto alla situazione in Italia: Berlusconi tentò per molti anni di distruggere la Blogosfera, usando sistemi come l'intimidazione, le leggi ad hoc e innumerevoli altri mezzi iniqui. Eppure tutti i suoi tentativi di controllo del Web sono sempre falliti. Questo è un dato di fatto. Ovviamente la situazione di insofferenza verso la Blogosfera era qualcosa di planetario, non esclusiva della realtà italiana. I maggiorenti di Google, Satrapi di Ahriman, sono riusciti a risolvere il problema una volta per tutte, proprio facendo ricorso agli insegnamenti di Bernays. 
 
Non si poteva convincere il volgo che la funzione dei Blog non fosse quella di comunicare e diffondere informazioni, magari peculiari e scomode. È invece bastato presentare i propri desiderata come realtà compiute e incontrovertibili. Così un giorno è stato rivelato alle masse: "Il blog è un'azienda!" Così è accaduto qualcosa di incredibile. Un blogger si poneva questa domanda, più che legittima: "Come posso far sì che i miei contenuti abbiano una maggior diffusione?" Gli eredi dello Spin Doctor, che ha appreso i Misteri dell'Iniquità dal Libro Apadno, scritto da Lucifero con inchiostro verde, hanno rivelato: "Devi ottimizzare i tuoi contenuti servendoti del SEO, mettendone in pratica gli arcani!" La sigla SEO sta per "search engine optimizer" (ottimizzatore dei motori di ricerca). Così si è giunti a quella che dovrebbe essere considerata una vera e propria aberrazione: "Per far valere i tuoi contenuti, li devi modificare! Li devi cambiare! Devi scrivere quello che vogliamo noi!" 

Si introduce il concetto di "contenuto di qualità", la cui definizione è oltremodo nebulosa e gestita dagli algoritmi impenetrabili dell'Idiozia Artificiale. Ti dicono che un contenuto di qualità è orginale. Benissimo. Se io cito un autore, come ad esempio Poe, allo scopo di commentarlo, ecco che l'Idiozia Artificiale non capisce e mi accusa di non essere originale. Basta usare una parola al di sopra delle righe, come ad esempio "pompino", per essere messi nella lista nera. Se poi qualcuno ha l'idea di parlare del Nazismo, ha finito di vivere. Per l'Idiozia Artificiale, non c'è differenza alcuna tra il ricorrere della parola "genocidio" nelle invettive di un neonazista o nel sito dello Yad Vashem.
 
Il concetto di "articolo pillar", unito alla "cannibalizzazione dei contenuti", è in pratica una forma di draconiana censura universale. Nell'Inghilterra del XIX era inflessibile il potere censorio del Lord Ciambellano, che impediva di portare in scena qualsiasi argomento seriamente politico o religioso. Ecco, è come se fossimo soggetti all'arbitrio di un Lord Ciambellano invisibile. Funziona così: se vuoi parlare di un argomento, puoi farlo una volta sola, componendo un articolo che lo riassume interamente, appunto un "articolo pillar" (ossia "pilastro"). Se scrivi altri articoli sullo stesso argomento, l'Idiozia Artificiale ti annienta. Per l'appunto, è come se i tuoi contenuti si distruggessero a vicenda, come se Google ti considerasse un auto-plagiario. Orbene, si potrà scrivere un solo articolo su come impastare gli escrementi di una influencer per farne una torta, ma come si fa a ridurre argomenti scientifici a un unico contributo? Si può parlare della Natura del Tempo in un unico "articolo pillar"? Si può parlare della lingua degli Etruschi in un unico "articolo pillar"? Diabole, no! 
 
Di fronte a questi subdoli cambiamenti, presentati come innovazioni desiderabili, non si sono viste insurrezioni di massa. Vuoi chiedere aiuto per qualcosa? Subito tutti presentano come panacea universale i princìpi di funzionamento del SEO, danto per assodata la natura aziendale dello stesso concetto di blog. Ti dicono che l'unica opzione è pubblicare contenuti commerciali. Se protesti, arrivano i troll (ovviamente prezzolati) e affermano con furore talebano che il blog è una realtà commerciale. Ecco il dogma fondante di questa campagna bernaysiana. Nonostante tutte le evidenze che ho riportato, le genti si crogiolano nella rassicurante equazione "democrazia = libertà". Tutto ciò mi dà i conati di vomito!

martedì 25 agosto 2020

 
IL GRANDE INGANNO DEL WEB 2.0
 
Autore: Fabio Metitieri
Anno: 2009
Genere: Saggio
Temi trattati: Web, blog, siti, media, giornalismo 
Lingua: Italiana
Editore: Laterza
Collana: Saggi tascabili Laterza (n. 322)
Codice ISBN-10: 8842089176
Codice ISBN-13: 978-8842089179
Formato: Copertina flessibile
Pagine: 182
 
Sinossi:
In un’Internet di massa, trovare ciò di cui si ha bisogno è sempre più difficile, ma ancor più difficile è valutarne l’attendibilità. È il prodotto dell’ideologia del Web 2.0 – quello di blog e social network – che preconizza la scomparsa degli intermediari dell’informazione, dai giornalisti alle testate di prestigio, dai bibliotecari agli editori, presto sostituiti dalla swarm intelligence, l’intelligenza delle folle: chiunque può e deve essere autore ed editore di se stesso. Il ‘mondo Web 2.0’, dove nessuno è tenuto a identificarsi e chiunque può diffondere notizie senza assumersene la responsabilità, realizza davvero un sogno egualitario, o piuttosto un regno del caos e della deriva informativa? 

Indice dell'opera:
 
Sommario
  La crisi dell'autorevolezza, fra l'ornitorinco e i lemming
  Imparare dagli errori per costruire un'intelligenza collettiva
  Istruzioni per la lettura e ringraziamenti
 
1. I nativi digitali come scoiattoli incapaci
  Quando tutto è Google
  I docenti contro i blog e contro il plagio
  Internet: strumento neutro o cattiva maestra?  
  Il copyright e le bufale: perché Internet non è onnisciente
 
2. Il Web 2.0 e gli user generated content
   Il Web 2.0: una brillante operazione di marketing
   Il negazionismo, i "flame" e i "barcamp"
   Il valore dei contenuti generati dagli utenti
 
3. La conversazione perduta dei blog
   La conversazione dai mercati ai blog, alle biblioteche
   Il successo dei blog e il fallimento dei bloggher
   Il desiderio di link e la piramide dei blog
   Un appunto sui veri Vib e su Beppe Grillo
   La conversazione nei media e la reputazione del villaggio
   Chi vuole distruggere l'idea comunitaria della Rete?
 
4. I dolori della stampa tradizionale e i new media
   La crisi della stampa e il fascino indiscreto del "rag"
   Ridurre i costi sfruttando gli Ugc
   Bloggher-giornalisti, new media e citizen journalism
 
5. Il caos che collabora: i wiki e le folksonomie
   Wikipedia e la resa delle enciclopedie
   L'anonimato, Knol e le folle di idioti
   Le folksonomie: i volatili tra gli zoologi e i cuochi
 
6. Le biblioteche, la filosofica open e i blog
   Le soluzioni 2.0 nelle biblioteche
   Gli "open archive": i blog degli accademici
   Validazione e valutazione negli open archive e nei blog
 
7. I difetti dei motori e i pregi delle persone
   Google, gli altri motori e il semantic web
   Le persone come fonti di informazione
   I social network e l'eccesso di socialità
 
8. Old media e new media allo sbaraglio
   Il racconto degli old media: Internet, Second Life e gli stupri
   Gli old media, i blog e il fallimento di Second Life
 
Conclusioni come valutare e come pubblicare
   L'infomation literacy, questa sconosciuta
   Valutare e pubblicare con giudizio (e con qualche metodo)
   Attrezzarsi per il Medioevo 2.0
 
Riferimenti bibliografici 

Recensione: 
 
Quando ho ordinato in libreria quest'opera, sono stato guardato male dalla commessa, che stupefatta ha farfugliato qualcosa come: "Ma è un contenuto datato!" La cosa le sembrava abbastanza scandalosa, neanche avessi ordinato un trattato sui processi digestivi dei mangiatori di feci o sulla diffusione dell'incesto tra madre e figlio. Non mi sono lasciato scoraggiare. Una settimana dopo mi è stato consegnato il volume, nella cui lettura mi sono presto immerso. Già conoscevo l'esistenza de Il grande inganno del Web 2.0: ne avevo reperito alcune recensioni e brani sparsi nella Rete, che mi avevano subito incuriosito. Per molto tempo avevo invano cercato di accedere a una copia in formato pdf, così alla fine mi sono deciso a optare per l'acquisto del volume cartaceo. Alcune ricerche mi hanno permesso di venire a conoscenza di alcuni importanti dettagli. L'autore era un giornalista ed è deceduto proprio nell'aprile del 2009, mentre era in corso la pubblicazione del libro in questione. Per quanto riguarda l'obsolescenza dei contenuti, mi sembra una questione di lana caprina: per indagare a fondo un fenomeno di capitale importanza è necessario consultare ogni fonte a disposizione, non soltanto i lavori più recenti. 
 
La visione che Metitieri ha del Web è cupa e in particolare si caratterizza per una forte ostilità verso la Blogosfera, che in parole semplici e pratiche è considerata alla stregua di un gigantesco immondezzaio. Già soltanto i titoli dei paragrafi del trattato sono tutt'altro che lusinghieri: i blogger sembrano dipinti non soltanto come coglioni, dementi, plagiari, parassiti e inquinatori, bensì come veri e propri soldati del Caos, consapevoli agenti dell'Entropia il cui fine è la distruzione di ogni punto di riferimento. In pratica siamo di fronte a una raccolta di osservazioni sparse, a tratti interessanti e a tratti tediosissime, inframmezzate da un pastone acido di contenuti a dir poco irritanti. Si capisce subito che l'oggetto della polemica non è un'astrazione, ma un avversario con un nome e un cognome: Giuseppe Granieri. Proprio lui, l'autore del saggio Blog Generation, pubblicato per la prima volta nel 2005. Metitieri applica molte volte la citazione (Granieri, 2005), più di rado (Granieri 2006), in pratica a ogni sorta di contenuti da lui ritenuti discutibili: Granieri confonde il Web con la Blogosfera, identifica i due concetti; Granieri afferma che la vecchia conoscenza, quella dell'epoca pre-Internet, sia obsoleta e vana; Granieri afferma che il blog è la storia intellettuale dell'individuo e che un individuo senza un blog è percepito come debole, etc. etc. Non che io abbia un'enorme simpatia per le tesi granieresche, però ho l'impressione che queste critiche a getto continuo nascondano un profondo livore personale.    

L'autore inizia la sua trattazione evidenziando tutti i limiti dei nativi digitali, la V Generation (dove V sta per virtual). Questi giovani, che non avevano mai conosciuto un mondo senza Internet, già confidavano nell'onnipotenza e nell'onniscienza di Google pur essendo incapaci di leggere lunghi testi on line. Abbastanza indigeste sono le continue geremiadi sull'inesorabile declino delle biblioteche cartacee, del mondo universitario e dei media tradizionali. Il tema centrale di queste lamentazioni bibliche è la crisi dell'autorevolezza, provocata dall'avvento del cosiddetto Web 2.0. A questa denominazione non è riconosciuta alcuna sostanza. In altre parole non si avrebbe alcuna differenza tra un Web 1.0 e una sua versione successiva, il Web 2.0: sarebbe tutto derivato da un equivoco comunicativo. Mi sarà permesso di dissentire. Il Web 1.0 era la Rete Solitaria, formata da una serie di pagine simili a vetrine, con i cui gestori era molto difficile interagire. La linea di demarcazione a mio avviso si è avuta quando hanno cominciato ad esserci intense comunicazioni tra utenti, proprio tramite la Blogosfera. 
 
Metitieri aveva forse un'opinione troppo elevata della professione che esercitata: la considerava come un ideale sublime per cui valeva la pena di combattere. Il nemico del giornalismo erano proprio i blog nel loro insieme. Lo stesso concetto di blog fin dall'inizio suscitava la furiosa reazione dei media tradizionali. Per molti giornalisti, i blog erano le membra informi di un colossale Moloch, che chiamavano "macchina del fango". Adesso che al desiderio di link è subentrato il deserto dei link, la polemica mostra segni di affievolimento.     

Riporto alcuni esempi che possono essere utili a illustrare ciò che intendo dire.
 
Nella migliore delle ipotesi, i Millennial erano ancora girini spermatici in nuoto nei testicoli paterni, quando Beppe Grillo inscenò uno sketch in cui Spadolini aveva un telefono mozzo con solo la parte audio, mentre all'altro capo della linea c'era Brezhnev con un altro telefono mozzo con soltanto il microfono in cui impartire ordini. Erano tempi non sospetti: Grillo era un comico e non esisteva il MoVaffaimento. Ecco, i media tradizionali sono come il telefono di Spadolini di grillesca memoria. Politicanti, giornalisti e presentatori parlano e i cittadini ascoltano, subiscono senza poter mai replicare. Una comunicazione verticale e unidirezionale. Nessun cittadino poteva nemmeno diffondere in modo efficace le proprie opinioni ad altri suoi simili: ogni cosa che venisse detta o scritta non arrivava da nessuna parte. 
 
In epoca pre-blog, un giornalista compose un articolo sull'omosessualità militare, cominciando a discorrere di Alessandro il Grande per passare poi a Röhm e a Mishima. Un interessante articolo, ma con un dettaglio di non poco conto. Il nome attribuito a Röhm era Eric anziché Ernst, sia nel testo che nella foto. Sono andato su tutte le furie e ho subito scritto una mail alla redazione, chiedendo che fosse pubblicata una rettifica dell'errore. Non ebbi alcun riscontro. Come doveva essere in epoca antecedente l'introduzione dell'email? Anche peggio. Questa è l'autorevolezza del giornalismo: non è garantita alcuna accuratezza delle informazioni, non si può interagire, non si può reagire alle stronzate, non si possono emendare errori marchiani, non si può comunicare in alcun modo. Si può soltanto subire, con buona pace di Metitieri. Tramite il Web tutti possono sapere che il tal giornalista ha scritto una stronzata. Tutti lo possono leggere. Forse non servirà a molto, ma qualche internauta prima o poi incapperà senz'altro nel testo e si renderà conto dell'accaduto.  
 
Anche l'accademia mostra problemi simili. Ho identificato diversi errori marchiani, talvolta sesquipedali, fatti da professori su alcuni loro testi. Facchetti, che pure è un ottimo etruscologo, ha fatto molti voli pindarici a partire da una parola greca tradotta in modo erroneo come "topi", mentre in realtà significa "mosca"; da questi roditori inesistenti ha dedotto un verbo col senso di "consumare". Pur avendo pubblicato un articolo sulla questione, non ho avuto nessun riscontro. Fattovich in un suo lavoro sull'antico irlandese ha tradotto erroneamente con "naviglio" una parola che significa "ombelico". Anche in questo caso, pur avendo reso pubblica la questione in un articolo sul mio blog, non ho avuto riscontro alcuno. Voglio credere che sia perché i miei lavori non sono stati indicizzati bene da Google, sfuggendo così all'attenzione. Altrimenti dovrei dedurre, visto che gli errori degli accademici citati sono rimasti al loro posto, che il ragionamento sia stato un "metitierismo" di questo genere: "Se una cosa è scritta su un blog, allora è merda e non vale nulla." Anche se è vera, oserei aggiungere. Eppure sono convinto che i miei articoli siano utili: prima o poi qualche internauta leggerà e trarrà le sue conclusioni. In fondo è anche colpa della mia accidia: avrei potuto scrivere una mail ai docenti per segnalare gli errori. Non l'ho fatto, ho preferito dare la possibilità di una discussione pubblica e costruttiva, impossibile ai tempi della civiltà del libro stampato. 
 
Concordo con Metitieri sull'importanza dell'information literacy, che è la capacità di reperire fonti (on line e off line) e di valutarle. Reputo tuttavia che la validazione dei dati reperiti nel Web non affatto così ardua come viene suggerito, anzi, è una sfida oltremodo interessante. Spesso si rimanda a contenuti cartacei informatizzati, ad esempio in Webarchive o altrove. La cosa può funzionare anche senza che ci sia un signore chiamato "bibliotecario", che magari non sa nulla dell'argomento trattato. La generalizzazione è stigmatizzata, spesso confusa con la più che legittima inferenza statistica. Quando però si parla dei blog, la generalizzazione è ritenuta lecita dai giornalisti. C'è la tendenza a non distinguere i singoli portali e le singole informazioni, come se valutandone una ne conseguisse in via diretta la valutazione di tutte le altre. Se 99 blogger su 100 sono superficiali e non considerano il problema delle fonti, questo non significa che tutti i blog siano automaticamente sterco, per definizione. Così non si può dire che se su un blog è presente un'inconsistenza, tutto ciò che vi è contenuto debba essere automaticamente inconsistente. 
 
Per i politici di ogni genere e di ogni nazione, la comunicazione tra i cittadini è una iattura, qualcosa di sommamente funesto. Solo per citare un caso, Erdoğan ebbe a dire che il Web è come un'autobomba. Da quando ho iniziato la mia attività nei blog su Splinder, ci sono stati decine di tentativi da parte di forze politiche varie, tutti volti a reprimere la Blogosfera, ad impastoiarla con i mezzi più elaborati e stravaganti. Hanno tentato di accusare i blogger di stampa clandestina. Hanno tentato di trasformare ogni blogger (anche il perditempo che parlava della diarrea dei gatti) in un giornalista iscritto a una specie di albo, con l'obbligo di assumere un redattore e un legale. Hanno tentato di punire in modo draconiano ogni contenuto blogosferico etichettabile arbitrariamente come "apologia di reato" o "istigazione": ci fu addirittura una proposta, per fortuna naufragata, che arrivava a prevedere pene fino a 12 anni di carcere. Hanno tentato di ostacolare i blogger servendosi del copyright, minacciando di oscurare senza l'intervento del giudice ogni portale che riportasse anche solo il titolo di un articolo di giornale o che mostrasse anche soltanto un'immagine presa dalla Rete. Hanno cercato di censurare i blogger imponendo un gravoso obbligo di rettifica, da applicarsi in tempi rapidissimi alla minima denuncia o segnalazione. La piattaforma blogosferica Splinder è stata acquistata soltanto per essere chiusa; nessuno potrà mai convincermi che i motivi della sua cessazione non fossero di natura politica. Tutto questo è accaduto in Italia, in quella che è considerata una delle democrazie più avanzate del pianeta. Ci si aspetta che cose simili siano tipiche dei paesi del terzo e del quarto mondo. Ci sono luoghi in cui i blogger finiscono finiscono incarcerati e torturati, addirittura macellati e appesi ai viadotti autostradali. All'epoca c'era il timore paranoico che presto o tardi in Europa si sarebbe potuto instaurare un regime autoritario che avrebbe liberato le galere dai criminali per riempirle di blogger. Faccio notare che Metitieri non ha menzionato nulla di tutto ciò, nulla di ciò che ha potuto vedere mentre era in vita.

Errori folksonomici 
 
L'autore critica il sistema di categorizzazione dei portali blogosferici, da lui etichettato come folksonomia (dall'inglese folksonomy). Lo contrappone al sistema di catalogazione dei volumi nelle biblioteche cartacee, facendo intendere che si tratta di un'attività nociva e apportatrice di marasma. Si capisce subito che il paragone è abusivo e insostanziale. A dire il vero, non avevo mai sentito usare quella strana parola prima di conoscere Il grande inganno del Web 2.0. Non si è mai parlato di folksonomie ai tempi di Splinder, soltanto di categorie e di categorizzazione. Esisteva anche un nome dato a queste etichette dei post, ossia tag. In alcune piattaforme blogosferiche esisteva l'identità tra categoria e tag, in altre si trattava invece di due concetti diversi. Ci terrò a precisare che le folksonomie sono raramente utili e danneggiano innanzitutto il blogger. Se si etichettano male i contenuti, si rischiano poi pesanti conseguenze nella loro indicizzazione da parte di Google. Non ho mai visto nemmeno un blogger animato dalla pretesa di organizzare i contenuti in una classificazione folksonomica basata su una logica rigorosa. Spesso la folksonomia è improvvisata e incoerente. L'accidia frena ogni tentativo di miglioramento. Trovo assurdo che Metitieri descrivesse questi sistemi di etichette come l'arrogante pretesa di rifondare la Scienza, quando è soltanto cazzeggio. Neanche si parlasse delle imprese di Linneo o di Darwin! 
 
Altre recensioni e reazioni nel Web 

L'internauta .mau. ha definito il saggio di Metitieri "Una voce fuori dal coro e molto interessante". Poi però ha aggiunto "peccato parli troppo dei blog". La Blogosfera è in buona sostanza considerata merda. Ecco un estratto in cui si spiega il concetto: 
 
Però a mio parere la vis polemica ha portato l'autore a perdere un po' di vista la sua tesi principale, e cioè che da un lato oggi risulta sempre più difficile validare e valutare la correttezza di un fatto, perché non ci sono più fonti autorevoli, e dall'altro si nota come la gente stia perdendo il proprio senso critico e si limiti a ricerchine banali senza un'analisi critica dei primi risultati che escono. Aver passato buona parte del libro a denigrare i blog, generalmente prendendo come esempio per antonomasia i saggi di Giuseppe Granieri, dà loro troppa importanza, e nasconde appunto il vero e condivisibile problema dell'attendibilità delle fonti. 
 
Per Chiara Marra ci troveremmo addirittura di fronte al "Vaccino alla saggistica di De Biase e Granieri". A questo titolo altisonante aggiunge quindi: "quando internet non è positivista". Non capisco bene cosa intenda dire. Forse pensa che il Web debba essere animato dalla fede di poter giungere a spegnere e accendere il sole come se fosse una lampadina?  
 
Woland ha scritto: 

Le ipotesi erano pure giuste ma lo svolgimento è superficiale nei due punti essenziali:
1)la falsità utopistica della sostutizione dell'intelligenza delle masse agli intermediari dell'informazione e 
2) i rapporti tra editoria tradizionale e editoria elettronica 

Questi due punti andavano sviluppati meglio e invece nel libro non si trova molto di più degli enunciati messi in IV di copertina. 
Magari togliendo un po' di spazio all'inutile e ridondante sproloquio su blog blig blug etc etc 

Ercole aggiunge: 

Un saggio "quasi totalmente inutile" 

Amare riflessioni 
 
Usando il suggestivo linguaggio dell'intervento di Woland, ecco un estremo sunto del pensiero che si ha l'impressione di poter estrarre dall'opera metitieresca: 

Se c'è la scabbia, è colpa dei blog blig blug.
Se c'è la lebbra, è colpa dei blog blig blug.
Se c'è la peste, è colpa dei blog blig blug.
Se c'è la guerra, è colpa dei blog blig blug.
Se c'è il terrorismo, è colpa dei blog blig blug.
Se c'è lo stupro, è colpa dei blog blig blug.
Se cìè la crisi, è colpa dei blog blig blug.
Se le cose vanno male, è colpa dei blog blig blug.

sabato 22 agosto 2020

 
BLOG GENERATION
 
Autore: Giuseppe Granieri 
Anno: 2005
Edizioni: 1a ed. 2005, IV rist. 2009 
Editore: Laterza 
Pagine: VIII-185
Collana: Saggi Tascabili Laterza (n. 287)
ISBN carta: 9788842075646
ISBN digitale: 9788858102152
Argomenti: Attualità culturale e di costume, giornalismo,
      informatica, scienze della comunicazione 
Prefazione: Derrick De Kerkhove
Copertina: flessibile
 
"Se questo libro non fosse anche molto piacevole da leggere, direi che si tratta di una sorta di studio sociologico sui weblog e sui motori di ricerca. La prospettiva di Granieri è al tempo stesso ampia e precisa: attraverso l'individuazione dei suoi attori e l'esame della tecnologia, la trasformazione delle relazioni personali oggi in atto è messa in luce nei suoi vari aspetti. Il libro di Granieri è ispirato a una visione della democrazia e dell'organizzazione sociale in movimento. La sua è una vera vocazione politica, non di partito, ma di umanità."
(Derrick De Kerckhove)
 
Indice (edizione 2005): 

Prefazione di Derrick De Kerckhove 
 
Nota dell'autore 

Prologo. Di come le percezioni diventano realtà 
     Platone snack bar
     Cosa sanno di noi 
     La democrazia come lotta contro la complessità 

Parte prima
Non la tecnologia: la pratica. Come nasce un modello nuovo 

Capitolo 1. La rivoluzione della pagina "What's New" 
    1.1 Di cosa parliamo quando parliamo di Internet
    1.2 Una tecnologia che esiste da quando è nato il Web 
    1.3 Il problema dell'ornitorinco 
 
Capitolo 2. Per una descrizione della blogosfera 
    2.1 Dalla prassi allo standard 
    2.2 "The Power of Linking": cenni di economia politica del 
          Web 
    2.3 Le regole della conversazione 
    2.4 La palestra delle idee 
    2.5 La moltiplicazione dei pani e dei pesci 
 
Capitolo 3. Il Super-Google 
   3.1 "The ant colony", ovvero la redazione più grande del 
          mondo 
   3.2 "RSS way of life": come cambia il nostro rapporto con le 
          informazioni 
 
Parte seconda
Prove tecniche di rappresentazione del mondo 

Capitolo 4. Ecosistema dei media 2.0 
   4.1 Al lupo, al lupo! 
   4.2 Interazione numero uno: miglior giornalismo 
   4.3 Interazione numero due: il patto critico 
   4.4. La "Google Generation"

Capitolo 5. Democrazia 3.0
    5.1 Campagne elettorali open-source 
    5.2 Modi e tempi del dibattito politico

Capitolo 6. Quello che ci meritiamo 
    6.1 Cosa ne faremo
    6.2 La rivincita della politica 

Bibliografia 

Indice dei nomi
 
Recensione: 
 
In estrema sintesi, il libro granieresco è una massa di contenuti molto datati, che ormai l'editoria potrebbe considerare carta da macero. Fu pubblicato per la prima volta nel febbraio del 2005, a poca distanza dalla mia entrata nel mondo blogosferico di Splinder (luglio 2004). Una ragazza che all'epoca era una diciottenne, adesso è una milf. Una donna che all'epoca era una quarantenne, adesso sia avvia a diventare una vecchia carampana. Un adolescente dei nostri giorni, all'epoca era soltanto uno spermatozzo! Ricordo ancora quando quello stesso anno, credo fosse settembre, fui invitato allo IULM insieme ad alcuni altri splinderiani, tra cui spiccava il giovane Jack the Ripper. Era costui un individuo alquanto bizzarro. Parlammo di Ernst Röhm e di Gregor Strasser, delle SA e dell'omosessualità nella Germania di Weimar. A dire il vero di quella giornata ricordo soltanto lui e un anziano signore il cui portale si intitolava "Ceci n'est pas un blog". Gli altri che incontrai mi parvero assolute nullità, tanto che ogni traccia mnestica della loro esistenza è scomparsa dai miei banchi di memoria stagnante. A parte l'organizzatrice dell'incontro, che aveva i capelli rossicci, non sono nemmeno sicuro che ci fossero delle ragazze. Il motivo di questo lungo flashback è presto detto: proprio allo IULM diedero in omaggio una copia del libro di Granieri a me e agli altri blogger presenti. Lì per lì lo trovai interessante. Dopo anni lo ripresi in mano e mi parve più lontano da noi di una tavoletta d'argilla con iscrizioni cuneiformi. Soprattutto mi parve futile. Pensate, l'opera è tutta innervata da illusioni politiche e da velleità messianiche! Sono andato con la mente ai tempi in cui all'improvviso mi trovai in Splinder: molti facevano un gran parlare del blog come strumento di informazione. C'era chi pensava di usare questo mezzo per migliorare il mondo, senza voler accettare il fatto che non si può pulire un cesso usando la merda. Molti si atteggiavano a giornalisti di un nuovo tipo, mai visti prima e destinati a rivoluzionare il pianeta. Era tutto un pullulare di cronisti d'assalto politicizzati, esperti in materie legali e attivisti pacifisti, che agivano utilizzando il Web anziché i media tradizionali. Cosa ne è rimasto? Niente. Dove sono finiti tutti i movimenti contro la guerra? Ricordo i tempi in cui fu rapito e ucciso Enzo Baldoni (splinderiano, autore di "Bloghdad"). Qualunque cosa succedesse in Iraq aveva un riflesso immediato nella blogosfera splinderiana. Ricordo quando dal mattino alla sera comparve un grottesco blog intitolato "Le due Simone subito libere!" (ormai nessuno se ne ricorda più: le Simone erano due giovani volontarie rapite in Iraq). Esisteva una massiccia presenza di portali politici di ogni genere. Bastava mettersi nell'homepage di Splinder e comparivano post di un gran numero di blog di Forza Nuova, in pratica uno per città. Anche l'Ulivo (che poi è diventato il Piddì) aveva blog territoriali, di cui presto ne rimase uno solo: quello dell'Ulivo di Velletri. C'erano i "Bloggers contro la guerra", "La torre di Babele" di Pino Scaccia e innumerevoli altri. Lo stesso concetto di blog politico è stato nel frattempo dimenticato. Nessuno più coltiva quell'idea puffesca di realizzare la Democrazia Universale tramite la Blogosfera. Per quanto riguarda i gruppi antidemocratici, sono migrati in altri ambienti, come ad esempio Facebook.

Durante l'incontro allo IULM, l'organizzatrice ci invitò a formulare una definizione di blog. Dopo una breve discussione si convenne che un blog differisce da un comune sito web in questo:
1) è aggiornabile facilmente tramite un'apposita finestra di editing e un tasto di pubblicazione;
2) presenta gli aggiornamenti, detti post, in uno storico, di solito in ordine crononogico inverso (anticronologico);
3) permette l'interazione in tempo reale tramite commenti. 
 
Col senno di poi, aggiungerei un'altra caratteristica:
 
4) fa parte di una piattaforma, che è il suo universo-contenitore. 
 
Questo quarto punto, lo capisco sempre di più, è fondamentale. Un portale solitario, con un proprio dominio, non può essere definito un vero blog, perché non è parte di alcuna struttura della galassia informatica. Non è parte della Blogosfera. Ai tempi di Blog Generation, questo concetto non era chiaro. Era addirittura comune l'invidia verso portali come quelli di Granieri e quello di Mantellini (il famoso Manteblog), che si diceva viaggiassero sulle mille visite al giorno. Era quasi un feticismo delle visite. Lo affermo con veemenza, anche a costo di farmi nemici: se l'url di un portale non ha un suffisso che marca la piattaforma, non è un blog. Al massimo può essere definito pseudo-blog.
 
Se ci pensiamo bene, nel trattato di Granieri non viene nemmeno data una vaga definizione di cosa sia un blog. Viene considerata una cosa scontata. A parer mio questo è stato un colossale errore. Un segno che Blog Generation era rivolto unicamente ai blogger, come se fossero una setta priva di aperture verso il mondo esterno, coincidente con l'intero Web. L'insistenza con il tema del dibattito politico e della democrazia digitale è fortissima fin dalle prime pagine: sembra quasi una lente distorcente attraverso cui l'autore guarda l'Esistenza. Eppure la maggior parte dei blog non ha mai avuto contenuti politici articolati. Un ex collega aveva un blog i cui post erano tutti uguali: "Berlusconi vi ruba il futuro". La stessa identica frase, ripetuta centinaia, forse migliaia di volte. Certo, è una frase politica, ma se vogliamo è un po' scarna. Per ogni portale di un attivista, ce ne saranno stati centinaia e centinaia che trattavano di tutt'altro. C'erano blog di varie subculture. Ve li ricordate gli Emo? Erano quei giovani magrissimi e vestiti di nero che facevano feste orgiastiche e si cospargevano di sperma! E le anoressiche? All'epoca erano molto attive in Splinder, al punto che ci furono tentativi di fare leggi per reprimerle. Poi c'erano moltissimi a cui non importava un bel niente di nulla. In fondo, con buona pace di Granieri, uno può benissimo aprire un diario on line e scrivere cose del tipo: "Oggi ho la diarrea! Il suo odore di uova marce stordirebbe le mosche!" C'era poi un portale il cui autore ripeteva soltanto il carattere "ù", in innumerevoli post di questo genere: "ùùùùùùù". Riceveva moltissimi commenti di internauti adirati che si lamentavano dello spreco di risorse. Il tempo ha affossato la Blog Generation, proprio come ha affossato Nabucodonosor e il Re di Sodoma. Certi concetti graniereschi suonano così distanti dalla realtà che al confronto ci sembra concreto e immanente il magico mondo dei Puffi! Non tutto però è una melassa di ingenuità e di stucchevole panglossismo. Ci sono anche spunti per riflessioni di un certo interesse, a patto di saperli scorgere nella massa delle scorie ideologiche. 
 
La natura aristocratica del Web segue i princìpi della Teoria delle Reti, così ben descritti dal cibernetico ungherese Albert-László Barabási. Si comprese ben presto che non tutti i blog potevano avere la stessa visibilità. Accadde quando in Splinder cominciarono ad emergere le cosiddette blogstar. In molti casi i loro contenuti erano di una stupidità spaventosa, di un vuoto desolante, eppure erano graditi a un numero immenso di utenti, a loro volta stupidi e vuoti. Granieri non manca di parlare di questo fenomeno, citando il caso di un blogger  splinderiano conosciuto come Personalità Confusa. Di lui si parlò a fondo anche allo IULM. Da quello che ricordo, era uno studente che fingeva di essere una baby sitter alle prese con pannolini sporchi di merda e simili amenità. Il suo delirante diario piacque a un gran numero di utenti, tanto che divenne uno dei blog più citati dai media. Non si capirà mai perché sia andata così. In pratica ha funzionato come la formazione di un cristallo intorno a un minuscolo nucleo di aggregazione in una soluzione satura di sali. Non è poi così strano che Granieri abbia riportato proprio questo esempio, anche se non sembra essere politicamente spendibile. Il meccanismo che permetteva a un blog di attirare enormi consensi era visto come qualcosa della massima importanza: c'era l'illusione di poterlo comprendere e di utilizzarlo per realizzare la democratizzazione blogosferica dell'intero Universo, fino alle più remote galassie. A distanza di anni anche queste blogstar sono scomparse: già da tempo si erano avviate lungo i sentieri dell'Estinzione.
P.S.
A quanto si scopre, i contenuti di Personalità Confusa sono stati migrati in un tristissimo portale indipendente con suffisso .net. Gli aggiornamenti sono continuati fino a tempi recenti, ma tutto ciò non mi sembra la stessa cosa di Splinder.     

Il caso del Connettivismo 
 
Peccato che anche per motivi cronologici Granieri non abbia potuto menzionare la complessa interazione blogosferica da cui è nato un movimento artistico della massima importanza, il Connettivismo, a cui ho avuto il privilegio di aderire fin dagli inizi del 2005. Il nucleo iniziale del Connettivismo era il blog splinderiano Cybergoth di Zoon. Su un template nero come l'Abisso Siderale scorreva un flusso incessante di post che erano frammenti di universi collassati. È stato per me un grande privilegio parteciparvi! Estinto Splinder, il progetto di Zoon continua su HyperHouse (NeXT Hyper Obscure), ospitato dalla piattaforma WordPress. Si tratta di uno degli ultimi blog in cui permane l'antica scintilla. 
 
 
Se penso alle antiche glorie, mi commuovo. Mi limiterò a riportare l'inizio del Manifesto del Connettivismo e a rimandare a una pagina del sito Fantascienza.com.    
 
"Siamo i Custodi della Percezione, i Guardiani degli Angeli Caduti in Fiamme dal Cielo, i Lupi Siderali. Un gruppo di liberi pensatori indipendenti. Viviamo nel cyberspazio, siamo dappertutto. Non conosciamo frontiere. Questo è il nostro manifesto." 
 

Sono le Ultime Stelle, che diffondono la loro fioca luce nel Nero Assoluto, nella Morte Termodinamica del Multiverso.

Altre recensioni e reazioni nel Web

Queste sono due recensioni di Blog Generation, che reputo interessanti:
 
"Il 2004 è stato tutto un pullulare di libri sui blog, sui blogger e via discorrendo. Continuo a chiedermi da un lato se hanno un certo qual successo, e dall'altro se servono a qualcosa. In fin dei conti è anche vero che chi scrive su un blog tende a leggere più della media, e con le tirature medie italiane basta "leggersi addosso" per ottenere un discreto successo. Questo agile saggio nasce per spiegare il fenomeno da un punto di vista sociologico. Granieri è una figura molto nota nel campo, e il suo punto di vista è che la Rete permetterà una maggiore partecipazione dei cittadini alla "politica", intesa sia nel senso usuale che in quello etimologico di "scambio di informazioni e conoscenze tra le persone; il tutto favorito dai sistemi software di aggregazione di quanto noi rendiamo pubblico, che faranno sì che ognuno di noi si costruirà il proprio giornale interattivo. Il libro è scritto in uno stile che si mantiene quasi sempre scorevole, senza usare quei paroloni che danno l'aria di voler nascondere la scarsa conoscenza degli argomenti. Chi conosce il "guru" Granieri si potrà piuttosto stupire che non è stata mai usata alcuna faccina: è proprio vero che un sito web e un libro richiedono formalismi diversi. L'unica pecca che ho trovato è il tono a volte troppo trionfalistico, come se i blog fossero la Rivoluzione Totale e Definitiva invece che uno strumento utile ma non certo indispensabile. Forse però la mia è una visione prevenuta: in fin dei conti faccio già parte della Blog Generation."
(Maurizio Codogno) 

"15.000 blog nuovi al giorno l'anno scorso; forse quest'anno anche di più. Il libro ci spiega che cosa è un blog e come funziona: in che modo è la forma più matura di internet. La possibilità per ogni utente del web di avere un proprio punto di presenza, fa la differenza rispetto ai sistemi finora in uso: newsgroup, forum, e-mail, ecc. Inoltre il blog - dice ancora Granieri - inverte la sequenza letteraria cui eravamo finora abituati: esso prima pubblica e poi filtra. L'esigenza di tale filtro, ovviamente, dovrebbe portare (porta) alla scrematura della fuffa, e quindi far sì che solo la punta della piramide abbia una consistenza. Il resto è vanità! Granieri riferisce numerosi episodi per avvalorare l'incidenza dei blog anche nei confronti dei media tradizionali, che tendevano ad ignorarne la presenza. La lettura è piacevole oltre ad essere istruttiva."
(Romolo Pranzetti) 

Parole che a pochi anni di distanza suonano come rumore di fondo!
 
Epilogo 
 
Dov'è finita la Blog Generation? Nel Nulla. È finita nel Nucleo del Nulla. Non ne resta quasi alcun ricordo, solo qualche traccia mnestica in dissoluzione nella Noosfera demente di questa umanità terminale.

domenica 14 giugno 2020

 
LA BALLATA DI STROSZEK

Titolo originale: Stroszek
Lingua originale: Tedesco, inglese americano, turco 
Paese di produzione: Germania Ovest
Anno: 1976 
Durata: 115 min
Rapporto: 1,66:1
Genere: Drammatico
Regia: Werner Herzog
Soggetto: Werner Herzog
Sceneggiatura: Werner Herzog
Produttore: Willi Segler
Casa di produzione: Werner Herzog Filmproduktion, ZDF,
    Skelling Edition
Fotografia: Thomas Mauch
Montaggio: Beate Mainka-Jellinghaus
Musiche: Chet Atkins, Sonny Terry
Interpreti e personaggi:
    Bruno S.: Bruno Stroszek
    Eva Mattes: Eva
    Clemens Scheitz: Scheitz
    Wilhelm von Homburg: Il pappone biondo coi baffi 
    Burkhard Driest: Il pappone dai lineamenti duri
    Alfred Edel: Il direttore del carcere
    Clayton Szalpinski: Clayton, il meccanico grossolano
    Ely Rodriguez: L'aiutante indiano del meccanico
    Scott McKain: Scott 
    Bob Evans: Bob Evans
    Yücsel Topcugürler: Il prigioniero turco
    Al: Il camionista pappone energumeno (non accreditato) 
    Ralph Wade: Il banditore starnazzante 
    Der Brave Beo: Beo
Traduzioni del titolo: 
    Inglese: Stroszek. A Ballad
    Francese: La Ballade de Bruno

Trama: 
Siamo in una Berlino gelida, violenta e ostile. Bruno Stroszek è un musicista di strada che è stato appena scarcerato dopo aver scontato due anni di reclusione. È un uomo ingenuo, timido, autistico, disadattato. Il direttore della prigione teme che possa tornare a delinquere e lo mette in guardia, con incalzante paternalismo, intimandogli di evitare di bere. Bruno se ne frega e si reca subito nel bar che frequentava prima di finire in prigione. Riallaccia i rapporti con Eva, una giovane prostituta angariata da due papponi particolarmente molesti. Bruno invita Eva ad andare a vivere con lui, dato che l'eccentrico signor Scheitz, il simpatico vecchietto che era suo vicino, gli ha conservato l'appartamento. Purtroppo l'autismo impedisce all'infelice protagonista di capire che deve chiudere sempre a chiave la porta di casa, così i papponi fanno più volte irruzione, bullizzandolo in modo feroce. Anche Eva non sembra essere molto capace di difendersi: finisce più volte massacrata di botte e sottoposta a umiliazioni indicibili. Si presenta presto un'occasione per fuggire da una simile realtà degradante. L'anziano signor Scheitz intende emigrare nel Wisconsin per andare a vivere dal suo nipote Clayton, così invita Bruno ed Eva ad andare con lui. I soldi per il viaggio non sono un problema: la ragazza si prostituisce a un gruppo di turchi e riesce a racimolare la somma necessaria per i biglietti. I tre giungono così a New York, dove noleggiano un'auto e procedono verso la loro destinazione. La dimora di Clayton si trova in una prateria desolata e glaciale, in un paese di nessuno, nel nulla in mezzo al niente. Nessuno parla tedesco: l'unico ricordo della lingua avita coltivato dal ramo americano degli Scheitz consiste nella parola Willcommen, ossia "benvenuto", scritta su un cartello, con la -c- anziché con la -k-. Nonostante le difficoltà di comunicazione, tutto sembra mettersi al meglio. Bruno lavora come meccanico nell'officina di Clayton assieme a un assistente indiano, mentre Eva trova impiego come cameriera in un fast food, dove riesce presto ad apprendere l'inglese. La coppia abita in una specie di camper, ottenuto accendendo un mutuo presso una banca. Il problema è la cronica carenza di soldi: i magri salari non sono sufficienti per pagare le rate. Presto Eva torna a prostituirsi per far fronte alle spese, ma a un certo punto si stanca della sua vita con Bruno e se ne va assieme a due spaventosi energumeni, un cowboy tarchiato e un colossale gorilla biondiccio. I pagamenti cessano di colpo, così il camper viene requisito e finisce all'asta. Bruno e il signor Scheitz, abbandonati da Clayton e animati dalla forza della disperazione, tentano una maldestra rapina. L'anziano finisce catturato dai poliziotti, mentre Bruno per pura coincidenza riesce ad allontanarsi indisturbato. Ormai è completamente solo e procede verso il tragico epilogo: porrà fine alla sua esistenza di miseria e di dolore facendosi esplodere il cranio con una fucilata. 
 
 
Recensione:
Quando mi sono imbattuto per la prima volta in questo film, mi trovavo in un periodo di particolare afflizione. Così l'ho avviato e sono rimasto abbattuto dalle prime sequenze, tipiche del genere carcerario. In me è sorta una grandissima angoscia e ne ho subito interrotto la visione. Per lungo tempo mi sono obliato della pellicola, decidendomi a recensirla soltanto dopo diversi anni. Un giorno finalmente ho guardato questo capolavoro, che si è rivelato un immenso tesoro e mi ha offerto moltissimi spunti di riflessione. Spero che gli eventuali lettori perdoneranno la natura erratica e contorta delle mie elucubrazioni, ma sento un bisogno insopprimibile di esprimerle. Molti anni fa vidi un film sulla mafia siciliana, nei cui dialoghi spiccava un detto: "A Palermo quando si è soli si muore". Non soltanto a Palermo! Dovunque sulla faccia di questo pianeta, quando si è soli si muore. Non si ha nessuno, si rimane isolati. Quando si ha bisogno non si può chiedere aiuto a nessuno. Così si dura soltanto il tempo necessario al corpo per conservare qualche capacità di smaltire l'entropia accumulata dall'usura del tempo. Poi ci si ammala in modo grave, non si trova sostegno, si deperisce e si muore. Nella solitudine più assoluta. Si rimane sulla propria poltrona, stecchiti per un infarto o per un ictus, a imputridire. Oppure ci si pianta una pallottola nel cranio. La vita di Bruno Stroszek è così, non troppo diversa dalla mia. Mentre scrivo queste righe, mi rendo conto di essere come lui e di tendere allo stesso identico epilogo, ineluttabilmente. Per questo ho amato il film di Herzog e mi sono sentito vicino al sofferente protagonista. 
 
La tragedia dell'incomunicabilità  
 
Bruno Stroszek è una monade, un'entità entelechiana che non conosce possibilità di comunicazione con l'universo esterno. Ma esiste poi davvero un universo esterno? No. Non esiste affatto. L'essere senziente è come un astro eternamente solitario nell'Abisso del Nulla. Non è definito un "fuori", non ha nemmeno senso chiedersi se qualcosa si possa estendere oltre i confini dell'autocoscienza. Esiste però una misteriosa forza ostile e reattiva, che si oppone ad ogni atto di volontà del senziente, in modo sistematico.  
 
La grande domanda  

Angoscioso è l'interrogativo di Bruno: 
 
"E adesso la grande domanda. Tutti gli amici mi hanno aspettato, ma questo è il mio migliore amico. L'unico. Dove finiranno tutte queste cose, quando Bruno sarà morto? Dove finiranno? Che ne sarà dei miei strumenti? Che ne sarà? Esiste qualcuno che può rispondermi?" 

Conosco la risposta, ma è troppo orribile per poter essere formulata.


Un presagio funesto 
 
Il cortile è come un tetro pozzo scavato in un gigantesco blocco di cemento. Nelle pareti compatte si aprono finestre simili a quelle di un carcere, mancano soltanto le sbarre. Bruno si siede vicino a una fila di bidoni dell'immondizia, dispone di suoi strumenti musicali e annuncia di voler cantare una dolce storia d'amore, perché non è più solo, ora vive con Eva. Comincia così a suonare una ballata popolare, interpretandola in modo originale e divertente. La canzone si intitola Sabine war ein Freuenzimmer, ossia "Sabine era una cameriera" (in altre versioni il nome è diminutivo: Sabinchen). Il testo parla di una ragazza virtuosa che serviva il suo signore con fedeltà, finché un giorno giunse un giovane uomo da Treuenbrietzen (una cittadina vicino a Berlino), che di mestiere faceva il calzolaio. Un adoratore, un proletario, specifica Bruno. Innamorato di Sabine, il calzolaio riesce a sedurla. C'è però un problema: egli è dedito alle bevande inebrianti. Trangugia grandi quantità di birra e di liquori, facendo fatica a trovare i soldi necessari per alimentare a dovere questa passione. Quindi cerca il denaro alla compagna. Trovandosi sempre più in difficoltà, la ragazza finisce col deviare dalla sua onestà: permette al calzolaio di introdursi nella casa del suo padrone. Il malfattore ruba sei cucchiai d'argento, nascondendoli in tasca. Dopo 18 settimane, l'accaduto viene alla luce del sole. Bruno omette il finale truculento in cui il calzolaio finisce sgozzato, limitandosi a dire che il padrone derubato caccia Sabine dalla sua casa. Non mi pare che si possa definire "una dolce storia d'amore". Sembra piuttosto un canto portentoso, che contiene in sé l'annuncio della tragica fine del protagonista. 

Questo è il testo cantato da Bruno, non troppo dissimile da quello di Claire Waldoff:

Sabine war ein Frauenzimmer,
Gar hold und tugendhaft.
Sie diente immer treu und redlich
Bei ihrer Dienstherrschaft.

Da kam aus Treuenbrietzen
Ein junger Mann daher.
Der wollte gern Sabine besitzen
Und war ein Schuhmacher.

Sein Geld hat er ganz versoffen
In Schnaps und auch in Bier,
Da kam er zu Sabine geloffen
Und wollte welches von ihr.

Sie konnt ihm keines geben,
Denn keines stahl zur Stell
Da stahl er von ihrer Dienstherrschaft
Sechs silberne Blechlöffel.

Da schon nach langen achtzehn Wochen
Da kam der Diebstahl raus.
Da jagte man mit Schimpf und Schande
Sabine aus dem Haus. 
 
La pronuncia di Bruno è abbastanza peculiare (molti direbbero "dialettale"). Solo per fare qualche esempio, immer suona ümmer, mentre geben suona come se fosse scritto kiepe /'ki:pə/. Interessante la pronuncia "francesizzata" di Schuhmacher e Blechlöffel, con l'accento sull'ultima sillaba per fare la rima.
 
Ecco la parte omessa (dal testo di Claire Waldoff):

Sie rief: "Verfluchter Schuster,
Du rabenschwarzer Hund!"
Da nahm er sein Rasiermesser
Und schnitt ihr ab den Schlund.

Ihr Blut zum Himmel spritzte,
Sabinchen fiel gleich um.
Der böse Schuster aus Treuenbrietzen,
Der stand um ihr herum.

In einem dunklen Loche
Bei Wasser und bei Brot,
Da hat er endlich eingestanden
Die grausige Moritot.

Und die Moral von der Geschichte:
Trau keinem Schuster nicht!
Der Krug, der geht so lange zu Wasser,
Bis daß der Henkel bricht!

Der Henkel ist zerbrochen,
Er ist für immer ab,
Und unser Schuster muß nun sitzen
Bis an das kühle Grab! 

 
Interessante questo documento antropologico del pregiudizio verso i calzolai, che in Germania dovevano essere considerati intoccabili come i Dalit in India. Mi ha sempre affascinato il Lumpenproletariat tedesco, in cui confluivano resti di antichi popoli maledetti, tribù criminali, assassini e cannibali! Forse Herzog ha voluto rimuovere questi versi sommamente lividi e macabri perché poco consoni all'annuncio di un amore.  
 
 
Una signorina a cui piace fare l'amore 
 
Comprensibilmente, una prostituta non ama considerarsi tale. A dispetto dell'evidenza dei fatti, non ama per niente essere etichettata in questo modo abietto. Così Eva si considera semplicemente come una signorina a cui piace fare l'amore. In questo modo si presenta ai turchi arrapati, che si accalcano su di lei, bramosi di fare una gangbang spermatica. Quando il film herzoghiano fu fatto, la parola escort non era ancora nell'uso corrente. Nessuno avrebbe mai immaginato che un giorno in Italia sarebbe stato effettuato un esperimento antropologico, con un esito tremendo, devastante: la puttanizzazione di massa. A Eva sarebbe piaciuta molto l'idea portante del Satiro di Hardcore. Secondo una simile visione del mondo, ogni ragazza dovrebbe considerarsi come un'intelligente imprenditrice in grado di gestire il proprio corpo per elevarsi nella scala sociale, guadagnando cospicui proventi in modo facile e piacevole. Divertendosi.  
 

Bruno, l'America e il III Reich 
 
Tirate le somme della sua misera esistenza, il protagonista arriva alla conclusione che in realtà gli Stati Uniti sono ancora più disumani del III Reich - realtà da lui provata sulla propria pelle da bambino e non certo evocata per sentito dire. Una conclusione che potrà anche apparire sconcertante, non ci sono dubbi, eppure merita di essere presa in seria considerazione. 
 
Tu ritieni che gli squadristi d'assalto fossero demoni? Ma almeno erano demoni che capivano la tua lingua! Tu in America ti troverai tra demoni incapaci di capire la tua lingua! Parleranno una lingua che non potrai mai apprendere e sarai dannato, come un uomo nudo abbandonato nella tundra! Sarai schiacciato da una pressa, preso tra gli ingranaggi e ridotto a tritume di carne e di schegge ossee. I demoni che non capiscono la tua lingua rideranno di te, perché ai loro occhi sarai meno di un escremento. Così scoprirai che la loro democrazia può essere peggio delle afflizioni che ti ha elargito il Reich!   

Woody Allen ebbe a dire che se fosse nato in Polonia sarebbe stato trasformato in gas illuminante, o qualcosa del genere. Non ricordo l'esatta battuta. Il senso era quello, in ogni caso. Così egli benediceva l'America, che lo avrebbe salvato da un destino tanto crudele. Ma se non fosse stato un prospero Figlio di Ashkenaz, se fosse stato come Bruno Stroszek, sarebbe finito in modo egualmente misero nella Terra dei Liberi. Sarebbe stato soltanto una carogna abbandonata in un immondezzaio. Nessuno avrebbe pianto per lui. Nessuno lo avrebbe ricordato. 
 
Ecco un significativo dialogo tra Bruno ed Eva: 
 
Bruno (mostrando un groviglio): "Eva, questo l'ho fatto io per darti un'idea di quello che è la mia vita. Questo rappresenta Bruno. La sua vita maledetta. Tutti quanti gli uomini mi hanno sempre chiuso la porta in faccia. Tutti quanti, senza nessuna pietà. Ora sono in America. Doveva essere tutto più facile. Speravo una volta per tutte di trovare una sistemazione, di cominciare veramente a vivere. Niente. Ma da oggi Bruno non esiste, come se non fosse mai nato, mai venuto sulla Terra. Da oggi tu non mi riconoscerai più."
Eva: "Bruno, qui nessuno ti fa niente."
Bruno: "Oh, materialmente no. Moralmente sì.
Eva: "Ma cosa dici?"
Bruno: "Anche nei riformatori, le cosa andavano proprio come vanno qui. Se per caso tu facevi pipì a letto - allora c'erano ancora i nazisti - sai che facevano per risparmiare la corda per stendere? Ecco, costringevano il pisciasotto a tenere nelle mani il lenzuolo. Le braccia in alto e a sventolarlo nel cortile finché il lenzuolo non si fosse asciugato. E intanto alle sue spalle c'era una guardia con un grosso bastone e guai a chi abbassava le braccia o non sventolava il lenzuolo. E se cadevi a terra per la stanchezza avevi chiuso, quello ti ammazzava di botte."  
Eva: "Su, siediti."
Bruno: "Sì, sì, sì, d'accordo, mi siedo, mi siedo."
Eva: "E a te è successo?"
Bruno: "Sì, ma sapevo quello che mi aspettava. Oggi, oggi invece è molto diverso. Gli uomini non ti frustano più, non ti ammazzano più così, ma ti distruggono lentamente, con delicatezza. Ed è il modo peggiore! E io lo sento! Lo sento, lo avverto ancora di più. Chi lo sa che cosa mi riserva il futuro? Il carcere è sempre aperto!"
Eva: "Che cosa? Non capisco che vuoi dire."
Bruno: "Gia. Te lo ridico. Chi lo sa che cosa mi riserva il futuro? Il carcere è sempre aperto! Non siamo in Germania, qui. Qui bisogna stare attenti!"
Eva: "Ma Bruno, non essere così tragico."
Bruno: "Tragico? Tragico, non devo essere tragico. Quando un uomo è disperato, quando un uomo non ha più niente e ha bisogno d'amore, proprio allora non lo trova! Niente amore! Non devo più dormire con te perché tu hai deciso così. Devo dormire da solo buttato in un angolo, come una bestia!"
Eva: "Bruno, ascoltami, ti prego. Senti, io ho bisogno di stare sola, qualche volta."
Bruno (mostrando ancora il groviglio): "Sì, succede sempre così. Quando Bruno ha bisogno d'amore, succede sempre così. La sua donna gli dice sempre di no. Questa è la mia vita. Beh, se tu credi di farcela da sola qui in America, allora provaci. Sì, provaci!"
Eva: "Bruno, io vorrei tanto che tu capissi. Io ho bisogno di stare da sola, ho bisogno di una stanza tutta mia. Io non ho mai avuto una stanza tutta per me. Ne ho proprio bisogno. In fondo anche se... anche se noi due non dormiamo insieme, viviamo sempre sotto lo stesso tetto. Non vuol dire che non siamo più niente. Noi siamo noi, anche senza fare l'amore."
 
Le conclusioni sono inevitabili. "È stato un grosso sbaglio venire in America. Ti crolla di nuovo il mondo addosso. Tanto valeva che restassi dov'eri, in Germania." 
 
Il mimo erotico  
 
A un certo punto accade qualcosa di inaudito. Clayton, che somiglia un po' a Putin ma ha meno capelli, è in officina assieme al suo assistente e a Bruno, quando comincia a mimare nei minimi dettagli un atto sessuale. Ansimando ed ancheggiando simula un coito more ferarum, volgarmente detto "pecorina". Alla fine della sua esibizione, muove il pube come se stesse sparando getti di sperma in una vagina accogliente, da dietro. Non ci vuole una grande immaginazione per capire l'arcano: egli ha goduto dei favori carnali di Eva, tutta nuda, a gattoni sul pavimento, svuotando in lei i testicoli. Pieno di disprezzo per Bruno e per la sua passività, il meccanico lo irride con ferocia, esibendo davanti ai suoi occhi la rappresentazione scenica dell'atto consumato. Sa bene che il povero autistico non reagirà mai, neppure di fronte a una provocazione così spietata. Pensa che forse non arriverà nemmeno a ritenersi un cornuto, che non comprenderà nulla di quanto gli sta accadendo attorno. Eppure Clayton, che è un energumeno come i papponi, non sa che l'uomo da lui schernito capisce tutto benissimo, sentendo in sé un immenso dolore, perché ama quella ragazza che l'ha seviziato in modo atroce nello spirito. Bruno avrebbe voluto farla felice, mentre lei vuole essere schiacciata e maltrattata. Vorrebbe donarle qualcosa di prezioso, una gemma distillata dall'anima spremuta dagli eventi, un tesoro che lei reputa più spregevole delle feci lasciate cadere in una latrina.  
 
 
Lo Sceriffo di Paperopoli 

Nella vasta moltitudine degli autistici, siamo in molti ad avere gravi problemi di udito. Così Bruno Stroszek non è assolutamente in grado di distinguere i suoni della lingua inglese d'America, perché giungono ai suoi nervi acustici proprio come lo starnazzare delle papere. Già ebbi modo di dirlo: se per gli antichi Greci e Romani gli stranieri erano Barbari, perché le loro lingue suonavano alle loro orecchie come un indistinto bar-bar-bar, così per me gli Americani sono tutti Quaqueri (con tutto il rispetto possibile per i Quaccheri), perché quando parlano fanno quack-quack-quack come le anatre. Faccio una fatica immensa a capire quello che dicono. Immensa. Il genio di Herzog ha dato voce a questa mia angoscia esistenziale che per decenni ha minato la mia fiducia in me stesso e nelle mie capacità. Bruno ha appena perduto tutto. Il camper che era la sua casa è ancora lì, ma presto sarà portato via. Il tronfio sceriffo dirige l'asta e lo fa strepitando orrendamente in un megafono. Le parole anglosassoni che emette perdono istante dopo istante ogni parvenza di forma e di sostanza, fino a diventare un suono grottesco e incalzante, a metà tra il verso di un'anatra e un allarme. Atroce. Assolutamente atroce. Il signor Scheitz è distolto dai suoi vani studi sul mesmerismo animale e precipita di colpo nella dura realtà di un mondo fecale. Quello stesso mondo che presto lo stritolerà, riducendolo a pochi brandelli di carne e di ossa macinate dagli ingranaggi della legge. Pensando a questi orrori, mi pongo la stessa domanda che si pone il protagonista. Non sarebbe stato meglio se non si fosse gettato a capofitto in questa sciagurata impresa? Anzi, non sarebbe stato meglio se nessuno fosse emigrato, solo per essere inghiottito dalle fauci del Leviatano? 
 
Nessun ritorno è possibile. Bruno non potrà mai raggiungere la Germania. Chi non parla l'inglese americano (quello della Regina è utile quanto l'italiano o il tedesco) non può comunicare. Non può trovare lavoro. In una terra di assoluta deregulation, possono pagarti 50 centesimi per un'ora di lavoro, e devi ancora baciare loro le emorroidi perché ti danno la possibilità di guadagnare qualcosa. Se non ti sta bene, questo è un problema tuo. Non puoi dire: "Prendi il bastone e ammazza il padrone". Sei finito. E questa è l'America.   

 
Il teatrino lisergico dei polli 
 
Giustamente il finale di questo film è stato ritenuto una delle più feroci e taglienti critiche del modello americano mai apparse in tutta la Settima Arte. Il luogo è remoto, annidato in una valle boscosa. Vi si trova un Casinò gestito da Indiani. Un tempo erano fieri guerrieri, oggi sono biscazzieri. Gli Stati Uniti d'America, con tutta la loro retorica di civilizzazione, hanno assimilato e gangsterizzato numerose genti native di quella grante terra. Magari Uncas fosse stato davvero l'Ultimo dei Mohicani! I discendenti delle antiche tribù, spesso ridotti al meticciato, colpiti da etnocidio, si sono degradati. La gangsterizzazione e la puttanizzazione sono le due colonne portanti dell'ultraliberismo turbocapitalista. Una mostruosità che si irradia come l'Uno di Plotino, come un'abbacinante metastasi, fino a raggiungere anche i più infimi angiporti. A simboleggiare questo Fato di atrocità vediamo alcuni polli tormentati da luci psichedeliche e costretti da automatismi a una serie di movimenti innaturali. C'è persino un coniglio montato sul simulacro di un veicolo dei pompieri, intrappolato in quello che sembra un loop infinito di flash colorati, che penetrano nei nervi ottici fulminando le sinapsi!

Etimologia e pronuncia di Stroszek 

Il cognome del protagonista è di origine polacca, nonostante egli in un'occasione giuri e spergiuri di essere ungherese. Non è facile condurre approfondimenti etimologici. La parola strosz, che potrebbe essere la base del cognome, in polacco indica l'erbaccia da noi conosciuta col nome di ambrosia. Esistono tuttavia anche le parole stroszek e stroczek, tra loro molto simili. La prima è tradotta con "baccello", la seconda indica il fungo legnoso giallastro il cui nome scientifico è Serpula. La pronuncia polacca di Stroszek è /'stroʃek/: il digramma -sz- esprime lo stesso suono che in italiano è trascritto con sc- nella parola scena (mentre -cz- suona come c- nella parola cena). In tedesco si mantiene la pronuncia originale in quei distretti in cui c'è stata una grande presenza di immigrati polacchi, ma altrove è diffusa una pronuncia ortografica /ʃtros'tsek/, che è a dir poco orripilante. Il traduttore di Google è molto approssimativo e va stigmatizzato. Rende il polacco strosz con "ambrosia" senza spiegare il significato di quest'ultima parola e creando molte ambiguità. Bisogna allora ricorrere alla traduzione in inglese che dà "ragweed", senza dubbio il nome della detestabile gramigna fortemente allergenica. 
 
Scene memorabili

Clayton ha un dente marcio: in officina prende una tenaglia e se lo cava, senza urla di dolore, lamentandosi soltanto un po'. Poi si fa portare dall'indiano una lattina di birra, si risciacqua la bocca e sputa copiosamente.
Due bifolchi montano la guardia a un appezzamento, ciascuno guidando un trattore con una mano e reggendo un fucile con l'altra. Percorrono tutto il giorno lo stesso tragitto in loop infinito, guardandosi in cagnesco.  

 
Curiosità 

L'unica attrice professionista è Eva Mattes, che è stata la compagna di Herzog, avendone una figlia nel 1980. Da bambina ha doppiato Pippi Calzelunghe nella versione tedesca. Ha recitato per Werner Rainer Fassbinder diverse volte, comparendo due volte in film herzoghiani, oltre che nel documentario Kinski, il mio nemico più caro (1999). Era una bella ragazza, ma col passar degli anni è diventata gonfia e assai poco attraente. Un triste destino su cui invito tutti a meditare. 
 
Bruno S. (1932 - 2010), il cui vero cognome è Schleinstein (secondo alcuni S. sta invece der Schwarze "Il Nero") era realmente un autistico disadattato con esperienze di riformatorio e di carcere. Pittore e musicista autodidatta - suonava la fisarmonica e il pianoforte - era il figlio illegittimo di una prostituta. Per guadagnarsi da vivere fu costretto a lavori gravosi in fonderia, dove manovrava un carrello elevatore. Privo di esperienza cinematografica, nel 1974 interpretò L'enigma di Kaspar Hauser. Avrebbe dovuto interpretare anche il film Woyzeck (1979), ma Herzog gli disse all'ultimo che il ruolo era stato assegnato a Klaus Kinski. Siccome Bruno ci rimase molto male, il regista gli scrisse la sceneggiatura di Stroszek in un paio di giorni.     
 
L'attore che ha interpretato il pappone biondo con i baffi, Wilhelm von Homburg, era un famoso pugile che è stato incriminato, anni dopo aver girato il film, per reati molto simili a quelli descritti da Herzog. Lenocinio, violenze e simili amenità gangsterologiche. Era il Re di St. Pauli. Non appena l'ho visto, la sua figura mi ha subito ricordato quella di un Hurenwebel, l'Ufficiale delle Puttane che si trovava in ogni glorioso esercito di Lanzichenecchi. Aveva molte funzioni che potremmo definire di ordine pubblico; altre erano molto prosaiche ma altrettanto necessarie: grazie a lui i soldati avevano la possibilità di sfogare il proprio surplus seminale con una donna, ricevendone in cambio infezioni gonorroiche. Era riconoscibile dal gigantesco imbottimento inguinale, spesso ornato di campanelli!
 
Correva l'Anno del Signore 1980. Ian Curtis, il cantante dei Joy Division, si suicidò dopo aver visto questo film. Non fu capace di reggere la Grande Rivelazione: quella dell'insensatezza della vita umana!