Visualizzazione post con etichetta western. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta western. Mostra tutti i post

sabato 10 marzo 2018


FANTASMI DA MARTE

Titolo originale: Ghosts of Mars
Paese di produzione: USA
Lingua: Inglese
Conlang(s): Paleomarziano
Anno: 2001
Durata: 98 minuti
Genere: Fantascienza, azione, orrore, thriller
Sottogenere: Fantawestern
Regia: John Carpenter
Soggetto: John Carpenter, Larry Sulkis
Sceneggiatura: John Carpenter, Larry Sulkis
Produttore: Sandy King
Fotografia: Gary B. Kibbe
Montaggio: Paul C. Warschilka
Effetti speciali: Lance Wilhoite
Musiche: John Carpenter
Colonna sonora:   1. Ghosts of Mars
  2. Love siege
  3. Fight train
  4. Visions of earth
  5. Slashing void
  6. Kick ass
  7. Power station
  8. Can't let you go
  9. Dismemberment blues
 10. Fightin' mad
 11. Pam grier's head
 12. Ghost poppin'
Scenografia: William A. Elliott
Trucco: Robert Kurtzman, Greg Nicotero, Howard
    Berger
Interpreti e personaggi   
    Natasha Henstridge: Tenente Melanie Ballard
    Ice Cube: James "Desolation" Williams
    Jason Statham: Sergente Jericho Butler
    Clea DuVall: Bashira Kincaid
    Pam Grier: Comandante Helena Braddock
    Joanna Cassidy: Dottoressa Arlene Whitlock
    Richard Cetrone: Big Daddy Mars
    Rosemary Forsyth: inquisitore
    Liam Waite: Michael Descanso
Doppiatori italiani   
    Tiziana Avarista: Tenente Melanie Ballard
    Simone Mori: James "Desolation" Williams
    Vittorio De Angelis: Sergente Jericho Butler
    Eleonora De Angelis: Bashira Kincaid
    Isabella Pasanisi: Comandante Helena Braddock
    Stefanella Marrama: Dottoressa Arlene Whitlock

Trama:

Seconda metà del XXII secolo. Marte è stato quasi completamente terraformato: è possibile per un essere umano aggirarsi per le sabbie rosse senza bisogno di scafandro. La società coloniale è governata da donne ed è multietnica, anche se prevale la tipologia caucasica. L'agente di polizia Melanie Ballard è inviata in una desolata regione mineraria per prelevare e deportare il prigioniero James "Desolation" Williams, di ascendenza afroamericana. Una volta giunta con un treno speciale nel remoto avamposto, la bionda Melanie si rende subito conto che la popolazione locale sembra essere scomparsa nel nulla. Le uniche tracce degli abitanti dello stanziamento sono alcuni resti umani mutilati in modo atroce. Presto l'agente viene a conoscenza della realtà. I minatori di un avamposto vicino hanno trovato un ambiente ctonio costruito da un'estinta civiltà marziana, e con più audacia che senno un'archeologa incompetente ha sfondato la parete d'ingresso. L'evento si è rivelato subito luttuoso come la rottura del Vaso di Pandora. In quelle cripte erano imprigionati gli spiriti degli antichi marziani, che in preda alla furia si sono riversati all'esterno, causando una devastante epidemia di possessione. Coloro che sono stati presi da questi spettri demoniaci, hanno cominciato a incidersi le carni, ad affilarsi i denti e a commettere orrendi atti di morte. Hanno ucciso chi non era posseduto, facendone a pezzi i cadaveri e spesso conficcando su pali appuntiti le teste mozzate. Si sono raggruppati in bande e hanno cominciato a parlare una lingua sconosciuta. Di colpo hanno smesso di appartenere al genere umano: con loro è tornato su Marte qualcosa che era scomparso da tempi immemorabili. Quando il capo della squadra, Helena Bradock, è uccisa dai posseduti, l'impavida Melanie Ballard assume il comando della missione. Subito l'agente si rende conto che uccidere questi minatori indemoniati non serve assolutamente a nulla, in quanto lo spirito maligno trasmigra prontamente in un nuovo corpo. È l'inizio di un incubo spaventoso, fatto di sequenze di grande tensione, fino al finale inquietante.


Recensione: 

Un ottimo film di fantascienza robusta, unico nel suo genere. Il pianeta Marte ricostruito da Carpenter è quasi sempre immerso nella tenebra notturna e ha un aspetto singolare che ricorda l'ambientazione di un western, al punto che potremmo definire questa pellicola un fantawestern. Le riprese hanno avuto luogo in una cava del Nuovo Messico, il cui pietrisco gessoso è stato colorato con immense quantità di polvere rossa per simulare le desolazioni marziane. Inizialmente doveva intitolarsi Fuga da Marte (Escape from Mars) e avere come protagonista il famoso Jena Plissken (Snake Plissken) del celeberrimo 1997 Fuga da New York (Escape from New York, 1981). Visto lo scarso successo del sequel Fuga da Los Angeles (Escape from L.A., 1996), l'idea fu abbandonata. Il regista affermò che era sua intenzione creare un "B-movie a tutti gli effetti, con molta azione, poco cervello e tanto splatter". Credo con fermezza che il suo prodotto sia superiore alle aspettative, qualcosa che non liquiderei come banale. Si segnala la colonna sonora, firmata dallo stesso Carpenter e interpretata da diversi artisti, tra cui gli Anthrax e il chitarrista polistrumentista Buckethead (nato Brian Patrick Carroll). 

I marziani carpenteriani e la logo lingua

Forse Carpenter e Larry Sulkis non ne sono al corrente, ma di certo sono due grandi filosofi, che hanno introdotto un concetto davvero unico: quello di una civiltà estinta formata da individui che sopravvivono in spirito alla morte fisica, restando coerenti e portando in sé la conoscenza della loro esistenza corporea, avendo modo di propagarla tramite gli involucri carnali di una specie ospite. Questo pone un grande dilemma. Se ciò potesse accadere, una lingua estinta da millenni, o addirittura da milioni di anni, potrebbe ritornare ad essere parlata, risolvendo una discontinuità ontologica e biologica in apparenza ineliminabile. Come definire il fenomeno? Un singolare caso di xenoglossia o di glossolalia? Se ci si imbattesse in un qualcosa di simile, forse sarebbe entrambe le cose: sarebbe glossolalia, perché la lingua parlata è sconosciuta al genere umano, ma al contempo sarebbe anche xenoglossia, perché tale lingua un tempo era parlata realmente. Inutile dirlo: finora non si è mai trovato nulla di assimilabile alla creazione carpenteriana. Questo pone anche un ultreriore problema: quello della conservazione di informazioni oltre la morte fisica da parte di un essere incorporeo in grado di interagire con la materia e con l'energia di cui questo universo è composto. Gli spiriti evocati da Carpenter conservano per breve tempo la forma dell'ultimo corpo che hanno posseduto, e come tali sono persino visibili agli occhi dei viventi. Senza dubbio un'idea di una potenza inconcepibile, che non è stata valutata appieno dal pubblico! Gli antichi marziani sono dipinti come strani e tozzi rettili bipedi dalla pelle maculata. Sono mostrati nel corso delle visioni patite dalla protagonista, Melanie Ballard, mentre uno spirito immondo cerca di entrare in lei. Non si riesce a ricostruire molto della lingua marziana parlata dai posseduti, anche perché non credo che ci fosse uno specifico progetto da parte del regista e dello sceneggiatore. In ogni caso, solo una parola mi è parsa di una chiarezza sconvolgente: l'imperativo goom-taah! "uccidiamo!".

Non è un remake

In genere questo film è considerato un remake strutturale di Distretto 13 - Le brigate della morte (Assault on Precinct 13), dello stesso Carpenter, uscito nel 1976. Con buona pace della critica, a parer mio le analogie sono soltanto apparenti e non si può parlare in alcun modo di un rifacimento, per quante analogie formali possano essere enumerate. Nella pellicola carpenteriana del '76 non si parlava affatto di antichi spiriti in grado di trasmigrare provocando una pandemia di odio assoluto. La causazione degli eventi era del tutto dissimile. Certo, c'erano gang di una ferocia spaventosa, ma nessun principio metafisico era presentato come fondamento di tanta malvagità. L'origine ultima di Fantasmi da Marte e di Distretto 13 viene da molti ricondotta a viva forza al film western Un dollaro d'onore (Rio Bravo), di Howard Hawks (1959) - un classico interpretato da un eccellente John Wayne e da Dean Martin nel ruolo di un intramontabile ubriacone. Il problema è che i cinefili e i recensori del tipo più comune sono fossilizzati fino alla monomania con dettagli tecnici e non dedicano alcuna attenzione a contenuti antropologici e filosofici. Anzi, sono ciechi a qualsiasi contenuto che non sia pura e semplice materialità, ritenendo tutto ciò che appartiene allo spirito umano come un'insopportabile "pippologia". Forse nemmeno un'invasione di alieni come i marziani di Carpenter potrebbe liberarci da un simile flagello.

mercoledì 6 gennaio 2016


L'ULTIMO TRAMONTO
SULLA TERRA DEI McMASTERS

Titolo originale: The McMasters
Paese: USA
Anno: 1970
Genere: Western, Blacksploitation
Durata: 97 min (originale) / 89 min
Regia: Alf Kjellin
Sceneggiatura: Harold Jacob Smith
Musiche: Coleridge-Taylor Perkinson
Cast:
   Richard Alden (Lester)
   R.G. Armstrong (Watson)
   Marion Brash (Sig.ra Watson)
   David Carradine (Penna Bianca)
   John Carradine (Predicatore)
   Dane Clark (Spencer)
   Neil Davis (Sylvester)
   Paul Eichenberg (Jud)
   Alberto Hockmeister (Sceriffo)
   Burl Ives (McMasters)
   L.Q. Jones (Russel)
   Nancy Kwan (Robin)
   Jack Palance (Kolby)
   Brock Peters (Benjie)
   Frank Raiter (Grant)
   Lonnie Samuel (Bull)
   Alan Vint (Hank)

Trama (da filmtv.it):
Benjie, soldato di colore arruolato nell'esercito nordista, ritorna nella cittadina di Ironwood nel Sud degli Stati Uniti dopo la guerra civile. Il vecchio proprietario terriero Mc Masters lo accoglie come un figlio e lo prende come socio nella sua fattoria. Purtroppo però la maggior parte dei cittadini, che parteggiavano durante il conflitto per i sudisti, si dimostrano ostili nei suoi confronti e anche dei Mc Masters, che gli hanno dato ospitalità. Benjie reagisce, ma le cose si complicano quando sposa una giovane pellerossa. Narrazione robusta e ritmo sostenuto, con qualche forzatura di troppo.

Recensione: 
Lo hanno definito più volte un film ideologico, ma a parer mio tratta una realtà di fatto che fino a non molto tempo fa era viva e vitale negli Stati del Sud. A chi in Italia continua a cianciare di razzismo, per lo più senza cognizione di causa, consiglio vivamente di guardare questo film crudo e disturbante. Un tempo veniva trasmesso spesso su reti televisive private: ricordo ancora di averlo visto diverse volte, reagendo alla sua visione come se avessi ricevuto un pugno nello stomaco. Ai nostri giorni questo costume di mandare in onda film salutari è purtroppo andato smarrito. Sarebbe opportuno ripristinarlo: l'auspicio è che di fronte alla violenza delle scene di razzismo autentico, saltino agli occhi le sudicie manipolazioni di chi vorrebbe attribuire l'etichetta di "razzista" a tutti coloro che non condividono le storture del politically correct


Guerre razziali nel culo del mondo

Guardando le tristissime sequenze di The McMasters si ha un'impressione cruda e sgradevole: se l'Universo avesse un orifizio anale, il desolato villaggio di Ironwood sarebbe collocato al suo interno, nel bel mezzo di una massa di emorroidi. Un microcosmo desertico abitato da forme di umanità degradata e insignificante, che pure si danno mazzate sul cranio di santa ragione per motivi di una futilità infinita. La lotta si articola in una specie di triangolo razziale: il primo vertice è costituito dai possidenti di Ironwood, tutti di origine anglosassone; il secondo vertice è formati dagli Indiani, che vivono in condizioni abiette nel deserto, sopravvivendo grazie ai furti di bestiame; il terzo vertice consiste nell'unico afroamericano presente nella narrazione, l'ex schiavo Benjie. Si nota una spaventosa sproporzione in questo spinoso problema a tre corpi: è come se un solo uomo, in virtù delle sue lontane origini nel Continente Nero, fosse dotato di un potere destabilizzante assoluto, che manda in frantumi ogni precedente equilibrio, come un singolo sassolino in grado di far ghiacciare all'improvviso un lago che si trova in condizioni di metastabilità. A far precipitare gli eventi è il matrimonio tra Benjie McMasters e una donna indiana, Robin, celebrato proprio nella chiesa del paese. Infatti i proprietari terrieri vedono questo evento non soltanto come un affronto, ma anche come un concreto pericolo, dal momento che sancisce l'alleanza tra un nero - corpo estraneo nel tessuto del paese - e la tribù indiana, sempre pronta ad insorgere in armi. In realtà l'alleanza tra i McMasters e gli Indiani non è così scontata: nonostante tutti i benefici ricevuti, Penna Bianca fa sapere che i suoi non hanno alcun interesse a difendere la proprietà di un nero che si comporta come un bianco, mettendo steccati e confini sulla terra. Persino quando la moglie di Benjie viene violentata dai visi pallidi, Penna Bianca non fa una piega. Gli anziani della tribù fanno anzi capire che per loro è una cosa normale. "Conosciamo i bianchi", fa sapere lapidario il capo. Alla fine Penna Bianca e i suoi uomini aiuteranno l'afroamericano ferito, uccidendo i suoi nemici a fucilate. Il protagonista non riuscirà a riprendersi dall'annientamento del suo mondo e dal fallimento dei suoi progetti. Rifiuterà di stare tra gli Indiani e, cocciuto all'ennesima potenza, aggrappandosi al dorso di un cavallo si trascinerà verso le ceneri del suo ranch. "Non hai più una casa!", è l'urlo finale che gli viene rivolto dall'indiano, che rimbomba fino all'orizzonte di terra arida e di sterpi.  

Il Dio dell'Odio e della Vendetta 

Il maggiore Kolby, interpretato dal disturbante Jack Palance, è un feroce pretoriano del Dio del Male, che in Persia era chiamato Ahriman. L'aspetto del reduce confederato è terribile: occhi piccoli e neri, ma in cui arde un'inestinguibile luce di odio, il braccio sinistro amputato ben sopra il gomito e ridotto a un moncherino. La manica dell'uniforme grigia del Sud, cucita per nascondere il residuo dell'arto mutilato, crea un effetto straniante, di innaturalità. In occasione del funerale di alcuni dei suoi uomini, uccisi nel corso di un'incursione al ranch di Benjie McMaster, ecco che Kolby prende la parola. Non soltanto egli difende il discutibile operato di quelli che or della fine sono soltanto stupratori e assassini, ma si impegna in argomentazioni teologiche. Finito il sermone del prete, il mitissimo Spencer, che prova nausea per la violenza imperante a Ironwood, invoca il Dio che ha come essenza l'Amore e la comprensione. Subito il maggiore mutilato si scaglia contro di lui, invocando il Dio della Spada Vendicativa. Marcione di Sinope non avrebbe avuto dubbi, se solo avesse potuto vedere il film di Kjellin. Veterotestamentaria nell'essenza più profonda, l'America menziona spesso Cristo, ma di fatto lo espellerebbe volentieri dalla propria esistenza per affermare il più belluino culto del Signore degli Eserciti, padre di ogni genocidio e di ogni persecuzione. Marcione distingueva in modo nettissimo tra il Dio dell'Amore, Padre di Gesù, e il Dio della Legge, ossia la spietata divinità dell'Antico Testamento, le cui opere sono interamente malvagie. Ecco, tra gli americani abbondano i fanatici che rivolgono le loro invocazioni al Dio della Legge, sempre inclini a benedire le impiccagioni. Senza saperlo, Kjellin ha scritto un'interessante pagina di Dualismo moderno, facendo scontrare due uomini che possono essere visti come emissari delle due Divinità. Questa ispirazione si perde nel Nulla di Ironwood, mentre il becchino getta palate di terra molle sui corpi dei morti.

Doppio finale  

Il film fu rilasciato in due versioni, di cui una più breve e nota come The McMasters... Tougher than the West Itself. In questa versione alternativa l'assalto finale vede il trionfo del maggiore Kolby e dei suoi mirmidoni, che freddano Benjie. Come si può ben capire, la natura dei due finali è profondamente diversa. Non che la cosa abbia avuto una qualche rilevanza, dato che la pellicola di Kjellin fu comunque un insuccesso. Secondo la critica, la duplicità del finale è un problema, perché oscura gli intenti morali del regista. Nel Web ho trovato ben poche informazioni; sembra in ogni caso che le due versioni si siano originate dall'impossibilità di decidere tra l'etica e il botteghino. Il pubblico americano, che vede l'etica in termini unicamente sessuali e che ama i linciaggi, avrebbe di certo preferito The Macmasters... Tougher than the West Itself. Nel resto del mondo, ci sarebbe stata invece una certa ripugnanza per un simile trionfo dei malvagi, così agli eventi è stato dato un corso che appare appena più favorevole al protagonista. Appena più favorevole, perché in ogni caso la vicenda di Benjie McMasters si conclude con una catastrofe.

martedì 22 settembre 2015


EL TOPO

Titolo originale: El Topo
Lingua originale: spagnolo
Paese di produzione: Messico
Anno: 1970
Durata: 125 minuti
Colore: colore
Audio: sonoro
Genere: western
Regia: Alejandro Jodorowsky
Soggetto: Alejandro Jodorowsky
Sceneggiatura: Alejandro Jodorowsky
Produttore: Juan López Moctezuma,
     Moshe Rosemberg, Roberto Viskin
Fotografia: Rafael Corkidi
Montaggio: Federico Landeros
Musiche: Alejandro Jodorowsky, Nacho Méndez
Scenografia: Alejandro Jodorowsky
Costumi: Alejandro Jodorowsky

Interpreti e personaggi:  
 Alejandro Jodorowsky: El Topo
 Brontis Jodorowsky: Miguel, il figlio di El Topo
     (da piccolo)
 Mara Lorenzio: Mara
 Jacqueline Luis: la nana
 Robert John: Miguel, il figlio di El Topo
     (da grande)
 Paula Romo: la donna in nero
 David Silva: il colonnello
 Alf Junco: bandito del colonnello
 Gerardo Zapeda: bandito del colonnello
 Alfonso Arau: bandito del colonnello
 Federico Gonzales: bandito del colonnello
 Vincente Laura: bandito del colonnello
 Héctor Martínez: il Primo Maestro
 Juan José Gurrola: il Secondo Maestro
 Víctor Fosado: il Terzo Maestro
 Agustín Isunza: il Quarto Maestro
 Bertha Lomelí: la madre del Secondo Maestro

Premi:
 Ariel Awards, Mexico 1972
 Avoriaz Fantastic Film Festival 1974

Trama e recensione:

Un film western allegorico, bizzarro, ultraviolento e onirico. In spagnolo El Topo è la Talpa. Come si dice nella presentazione, la Talpa è un animale che scava le sue gallerie nel buio e quando arriva alla luce diventa cieco. Il film è diviso in due parti che sono spesso interpretate come complesse metafore dell'Antico e del Nuovo Testamento.

Nella prima metà, El Topo, un violento pistolero in abiti neri interpretato dallo stesso Jodorowsky, vaga nel deserto accompagnato dal suo figlio nudo. El Topo e il figlio giungono in un villaggio messicano la cui popolazione è stata sterminata: la strada è un fiume di sangue che scorre tra i cadaveri. A compiere l'eccidio sono stati gli uomini del Colonnello, un bandito megalomane che si è insediato in una missione francescana. I frati, ridotti in schiavitù, vengono abusati in modo atroce e sodomizzati dai malviventi. El Topo sconfigge il Colonnello e servendosi del coltello lo evira. Il Colonnello, nudo e castrato, per l'umiliazione si suicida sparandosi un colpo in bocca. Il viaggio di El Topo prosegue solitario: egli pensa bene di lasciare il figlio alle cure dei frati. Dopo aver a lungo vagabondato nel deserto con una donna salvata da un abietto rapporto col Colonnello, El Topo viene da lei istigato a sfida a duello quattro Maestri Zen. Li uccide uno dopo l'altro, ma per farlo ricorre ogni volta all'inganno e al tradimento. Quando si rende conto di ciò che ha fatto, il dolore è talmente lacerante che si innesca in lui una terribile crisi. Distrugge la sua pistola. Intanto la sua amata lo lascia per andare con un'altra donna, una dominatrice che l'ha sedotta sferzandola e leccandole il sangue colante dalle ferite. Gli eventi precipitano: El Topo viene colpito dalla sua ex, che gli scarica il revolver nello stomaco. Tuttavia si accorge di essere incapace di morire.   

Nella seconda metà del film, El Topo si risveglia dopo un lunghissimo sonno rigeneratore nelle viscere di una montagna cava. In quelle spelonche vive una comunità ctonia di emarginati resi deformi da generazioni di incesti. Sono persone spesso affette da nanismo e da rachitismo, che si nutrono di insetti ed anelano ad uscire alla luce del sole. El Topo si accorge presto di essere rinato con un nuovo aspetto: le sue chiome e la sua barba, un tempo corvine, sono ora di un color fulvo splendente. Purtroppo si fa radere completamente in una sorta di rito di passaggio, giungendo ad essere pelato come un bonzo. La sua nuova compagna è una nana che si è presa di lui durante il suo lungo sonno. Pensa di aver trovato la pace e si dà molto da fare per scavare un tunnel che permetta alla popolazione di giungere in superficie. Non riuscirà tuttavia ad eludere nuove terribili prove. Insieme alla sua compagna esce dalla montagna cava. I due si ritrovano in una città di gringos governata da una terribile setta massonica che ha fatto tappezzare ogni edificio con il suo emblema: la Piramide con l'Occhio Onniveggente. Questi settari, che per certi versi ricordano il Ku Klux Klan, commettono crimini spaventosi. Fanno marchiare gli schiavi con ferri roventi e sparano nella schiena dei fuggiaschi. Sotto una patina di ipocrisia nascondono ogni sorta di aberrazione. El Topo e la nana per vivere sono costretti ad elemosinare e a fare lavori umilianti. Arrivano persino a copulare in un bordello clandestino, e in questa occasione lei rimane gravida. Volendosi sposare, vanno in chiesa, ed è allora che El Topo si trova davanti suo figlio, che è un frate francescano. Gli eventi precipitano e finiranno in una spaventosa carneficina.   

I simbolismi sono talmente intricati da costituire una selva geroglifica. Si potrebbe parlarne per mesi. Le tombe dei Quattro Maestri; la religione superstiziosa degli adepti della Massoneria-KKK; il frate figlio di El Topo che preso dalla disperazione toglie l'enorme simbolo dell'Occhio Onniveggente dalla parete della chiesa dietro l'altare, scoprendo la Croce; il bambino che prende la pistola di un uomo durante una roulette russa collettiva e si spara finendo col cranio scoperchiato: tutte queste cose non si dimenticano facilmente. Potrei continuare, ma sarebbe inutile. Consiglio a tutti la visione di questo capolavoro assoluto. 

Trailer: 

Pubblichiamo il link al trailer del film su Youtube: 


lunedì 13 aprile 2015

 

UN WESTERN SODOMITICO:
LA TAGLIA È TUA...
L'UOMO L'AMMAZZO IO
 

Titolo originale: La taglia è tua... l'uomo l'ammazzo io
Titoli alternativi: El Puro
Lingua originale: Italiano, spagnolo
Paese di produzione: Italia, Spagna
Anno: 1969
Durata: 90 - 106 min
Colore: Colore
Audio: Mono
Rapporto: 2,35 : 1
Genere: Western
Regia: Edoardo Mulargia
Soggetto:
   Fabrizio Gianni,
   Edoardo Mulargia,
   Fabio Piccioni
Sceneggiatura:
   Fabrizio Gianni,
   Ignacio F. Iquino,
   Edoardo Mulargia,
   Fabio Piccioni
Casa di produzione:
   Filmar Compagnia Cinematografica,
   IFI Producción S.A.
Fotografia:
   Antonio L. Ballesteros,
   Edoardo Mulargia
Montaggio: Vincenzo Vanni
Musiche: Alessandro Alessandroni
Trucco: Gianfranco Mecacci

Interpreti e personaggi:
  Robert Woods: Joe Bishop 'El Puro'
  Aldo Berti: Cassidy 
  Mario Brega: Tim 
  Rosalba Neri: Rosie 
  Fabrizio Gianni: Fernando 
  Maurizio Bonuglia: Dolph 
  Giusva Fioravanti: Antonio 
  Marc Fiorini (Ashborn Hamilton Jr.): Gipsy
  Angelo Dessy: Charlie
  Attilio Dottesio:
Sceriffo
  
  Mariangela Giordano: Babe
  Gustavo Re:
Fernando 
  César Ojinaga: Vicesceriffo
  Fernando Rubio:
Barista

  Lisa Seagram: Proprietaria del saloon  

Doppiatori italiani: 
  Michele Kalamera: Joe Bishop
  Leonardo Severini: Tim
  Luciano Melani: Gipsy


Trama (da dbcult.com):
El Puro, un pistolero rovinato dall’alcool su cui pende una taglia di diecimila dollari, trova rifugio temporaneo in casa della ballerina di un saloon, Rosy, che ha avuto pietà di lui e della sua condizione. A sua insaputa; cinque uomini – Gipsy, Cassidy, Dick, Dolph e Shorty – lo tallonano, per ucciderlo e riscuotere la ricompensa. Seguendo un suo amico, il vecchio Fernando, costoro scoprono il suo nascondiglio, ma quando vi irrompono El Puro non c’è. Incolpato della morte di Rosy – uccisa invece da Gipsy e compagni – il pistolero finisce in carcere, ma Fernando lo libera con un abile stratagemma. El Puro rinuncia all’alcol e, nuovamente capace di usare la pistola, affronta la banda, ridottasi a quattro uomini, poiché Shorty ha preferito andarsene. Avuta la meglio su di loro, si mette in viaggio ma Shorty, appostato lungo il cammino, lo uccide a tradimento: la taglia è sua.
 

Recensione: 

Tra i tanti film western che venivano mandati in onda sulle reti private negli anni '70 questo è decisamente anomalo, in quanto incentrato su rapporti sodomitici e violenti tra uomini. Riporto la descrizione di una scena che fu da me vista quando frequentavo le scuole medie e che mi è rimasta profondamente impressa. 

C'erano due banditi in un bordello. Una prostituta era immobilizzata, legata al suo letto. I banditi volevano costringerla a rivelare un'informazione di vitale importanza, ma la donna non cedeva. Così uno di questi banditi la colpiva in faccia con pugni violentissimi, facendola sanguinare, e infierendo le urlava insulti come "schifosa puttana". Tra un cazzotto e l'altro, i due malviventi si baciavano in bocca. Alla fine, a forza di botte la prostituta moriva, e si capiva che i due malfattori nel vederla spirare raggiungevano il culmine dell'eccitazione. 

Fu la prima volta che venni a conoscenza dell'esistenza dell'omosessualità, per quanto potessi capirne, immaturo com'ero. Non parlo delle checche che si vedevano ogni tanto nelle commedie, ma di atti cruenti tra uomini, che non erano collegati a mancanza di virilità o a desiderio di imitare le donne, ma alla sorgente stessa di una violenza inaudita, di un odio assoluto che si esprimeva proprio contro il genere femminile. 

Mia madre, vedendo quelle scene truculente, decise di chiudere senza ulteriori esitazioni la televisione e mi disse che si trattava di cose orribili, come se non lo capissi da me. Come al solito, quando chiesi il perché, mia madre non fu in grado di darmi una risposta. "Le cose sono così e basta", era il suo ritornello. Del resto, all'epoca mi ero fatto strane idee sui malviventi guardando i film. Per me era del tutto ovvio che quei fuorilegge si baciassero tra loro, perché li ritenevo una specie a parte, biologicamente diversa dal resto dell'umanità. Solo per fare un esempio, credevo fermamente che non mangiassero mai cibi solidi, ma che si sostentassero bevendo unicamente liquori. In ogni caso mia madre non fu abbastanza lesta nell'estinguere l'apparecchio: il riverbero di quelle sequenze rimase in me. 

Film fosco, improntato a un profondo pessimismo cosmico, era di quelli in cui i buoni non riuscivano ad avere la loro rivincita sui malvagi. I banditi erano come onnipotenti, favoriti in ogni loro azione abominevole da una sorta di Cigno Nero, un genio malefico in grado di ostacolare scientemente i perseguitati. Così i malfattori spadroneggiavano. Un bandito entrava in un saloon e sparava al primo poveraccio che trovava a portata di tiro e lo uccideva senza alcun motivo. Le persone oneste morivano come mosche: se nella realtà ci fossero stati simili tassi di mortalità, si sarebbe trattato di un autentico genocidio. Questo filone di film dimenticati, che potremmo chiamare "spaghetti western satanici", destò per la prima volta in me la consapevolezza dell'esistenza di un Potere Maligno che regge l'Universo. 

sabato 7 marzo 2015

 

UN WESTERN SCATOLOGICO: 
PIÙ FORTE SORELLE

Produttore: Silvio Battistini
Regia
: Renzo Spaziani (Renzo Girolami)  
Sceneggiatura
: Franco Vietri 
Anno: 1973 
Genere: Western/Commedia 
Durata
: 79 min 
Paese: Italia 
Casa di produzione: New Films
Cast: 
Lincoln Tate (Amen),
Gabriella Farinon (Jane),
Gianclaudio Jabes (Catapult),
Gilberto Galimberti (capo scagnozzo di Catapult),
Luigi Bonos (Timothy),
Clara Colosimo (suora),
Franca Maresa (suora),
Suzy Monen (suora),
Sandro Scarchilli (Tutti Frutti, scagnozzo gay),
Carlo Monni (veterinario, dentista),
Lorenzo Piani (cowboy),
Francesco D'Adda (scagnozzo),
Serafino Profumo (scagnozzo).

Fotografia: Mario Parapetti
Colore
: colore - widescreen  
Musica: Nando De Luca
Canzone
: Catapult, cantata da Eldorado Stones 

AKA: 
Drei Nonnen auf dem Weg zur Hölle (Germania)
For a Book of Dollars (U.S.A.)
Más fuerte, hermanas (Argentina)
Kansas City (Francia)
Des dollars plein la gueule (Francia) 


Trama (da Spaghetti Western Forum):
Alcune suore assoldano un cacciatore di taglie di nome Amen (Lincoln Tate) per aiutarle a recuperare il loro denaro perduto. Il bottino era stato rubato da un sudicio branco di fuorilegge conosciuti come Banditi-Catapulta, dal nome del loro capo Catapulta (Gill Roland), appunto. Amen insieme alle suore, trova il bottino ed elimina la banda dei fuorilegge, per poi scoprire che le brave suorine, altro non sono che incallite donne fuorilegge. Amen le raggiunge e tutto finisce con un Happy End.

Recensione: 

Sono passati davvero molti anni da quando ho visto questo film, che non esito a definire un western scatologico. Alcune scene sono rimaste impresse in modo vivido nei miei banchi di memoria, per il resto i miei ricordi presentano numerose lacune (sono sparite chissà come le suore) e forse anche qualche distorsione. Riporto nel seguito quanto sono riuscito a recuperare dalle banche dati dei miei neuroni.   

In una desolata regione desertica al confine col Messico imperversa un bandito conosciuto come Catapult, così chiamato perché in un lampo di genio ha concepito l'idea di riportare in auge la catapulta, utilizzandola per rapinare le banche. Le sue imprese hanno un successo travolgente, al punto che finisce con l'impadronirsi di interi distretti e a radunare un incredibile numero di malfattori. Un eroe solitario si incammina per le terre sotto il potere del bandito Catapult, con l'intenzione di portarlo alla rovina. È determinato ad ottenere vendetta, forse perché la sua amante è stata insidiata dal malvivente. Armato di un purgante drastico per muli, dopo varie vicissitudini riesce a diventare il cuoco di Catapult. Naturalmente la purga finisce nella zuppa e quello che ha inizio ha dell'incredibile: i banditi sono presi da una diarrea spaventosa, si contorcono come lucertole in preda a violentissime coliche intestinali e corrono verso le latrine emettendo scorregge rumorose come tuoni, finendo col produrre un vero e proprio lago di escrementi. Nel tumulto Catapult finisce con l'essere travolto dai suoi uomini e sepolto dalle eruzioni dei vulcani fecali fino ad affogare laidamente nello sterco. 

A quanto pare si tratta di un'autentica rarità, che ha lasciato ben poche tracce di sé. Si segnalano numerose incongruenze: non si sa nemmeno qual è la reale identità del regista Renzo Spaziani, che in Germania è identificato con Renzo Girolami, mentre secondo altri sarebbe Mario Bianchi; l'attore che interpreta Catapult è secondo la maggior parte delle fonti Gianclaudio (Jean Claude) Jabes, ma alcuni sostengono che sia invece Gill Roland. Pochi e feroci i giudizi che si trovano nel Web: "detrito del fagioli-western" (Il Gobbo), "appuntamento irrinunciabile per tutti i cultori dell'orrido" e "penosissimo western demenzial-comicarolo" (Gestarsh99). Nel forum Gente di Rispetto, sezione La Colt è la mia legge, c'è una pagina dedicata al film, in cui si riporta questa citazione: 

"Film che trova pochi riscontri [...] in cataloghi e annuari. Probabilmente inedito nelle pubbliche sale, se ne ricorda un "passaggio" televisivo in una piccola emittente privata [...]"
(Poppi-Pecorari, Dizionario dei film 1970-79, Gremese)

Quindi è per un purissimo caso che mi è capitato di imbattermi in quello che potrebbe essere l'unico film western di argomento escrementizio in tutta la storia del cinema!