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martedì 28 dicembre 2021


PORCILE 

Paese di produzione: Italia
Anno: 1969
Durata: 98 min
Genere: Drammatico
Regia: Pier Paolo Pasolini con la collaborazione di Sergio
   Citti e Fabio Garriba
Soggetto: Pier Paolo Pasolini
Sceneggiatura: Pier Paolo Pasolini con la collaborazione
   di Sergio Citti
Produttore: Gian Vittorio Baldi, Attilio Fattori
Produttore associato: Gianni Barcelloni 
Coproduttore: Paul Claudon, Macha Méril 
Fotografia: Armando Nannuzzi e Tonino Delli Colli
   (primo episodio), Giuseppe Ruzzolini (secondo episodio)
Montaggio: Nino Baragli
Musiche:
Benedetto Ghiglia
Scenografia: Danilo Donati
Trucco: Pierantonio Mecacci
Interpreti e personaggi
    Pierre Clémenti: Il primo cannibale
    Franco Citti: Il secondo cannibale
    Luigi Barbini: Soldato spagnolo nel deserto
    Ninetto Davoli: Maracchione
    Sergio Elia: Servo
    Jean-Pierre Léaud: Julian Klotz
    Alberto Lionello: Herr Klotz
    Margarita Lozano: Madame Klotz
    Anne Wiazemsky: Ida
    Ugo Tognazzi: Herdhitze
    Antonino Faà di Bruno: L'uomo anziano (scena
         della sentenza)
    Marco Ferreri: Hans Günther  
Titoli in altre lingue:
   Inglese: Pigsty 
   Inglese (USA): Pigpen
   Tedesco: Der Schweinestall 
   Francese: Porcherie
   Spagnolo (Argentina): El chiquero
   Portoghese (Brasile): Pocilga
   Olandese: Zwijnestal
   Danese: Svinestien  
   Finlandese: Sikolätti
   Lituano: Kiaulidė
   Polacco: Chlew
   Russo: Свинарник
   Greco: Χοιροστάσιο
   Giapponese: 豚小屋 (Butagoya) 

Citazioni: 

Prima lapide:
Interrogata ben bene la nostra coscienza abbiamo stabilito di divorarti a causa della tua disobbedienza.

Seconda lapide:
Io e te moglie siamo alleati. Tu madre-padre, io padre-madre. La tenerezza e la durezza sono intorno a nostro figlio da tutte le parti. La Germania di Bonn, accidenti, non è mica la Germania di Hitler! Si fabbricano lane, formaggi, birra e bottoni. Quella dei cannoni è un’industria d’esportazione. È vero: si sa che anche Hitler era un po’ femmina. Ma come è noto era una femmina assassina: la nostra tradizione è decisamente migliorata. Dunque? La madre assassina, Lei, ebbe figli obbedienti con gli occhi azzurri pieni di tanto disperato amore mentre io, io, madre affettuosa, ho questo figlio che non è né obbediente né disobbediente? 


Trama:
Il film si divide in due episodi, ambientati in epoche storiche diverse e in contesti non assimilabili. Le narrazioni scorrono in modo parallelo, intersecandosi ripetutamente. 
 
Primo episodio:  
Secolo XVI, epoca coloniale. Un giovane guanche di Tenerife, che ha ucciso il padre brutale e alcolizzato, fugge sulle pendici del monte Teide, dove passa un periodo di stenti nutrendosi di animali selvatici. Nel suo vagabondare, incontra uno spagnolo e lo uccide. Subito comprende che la carne umana è succulenta come quella di porco: decapita la vittima e getta la testa in una caldera vulcanica, come offerta a Guayota, quindi arrostisce il corpo su un fuoco di sterpi e la divora. Inizia così la sua attività predatoria. Le sue azioni vengono notate da altri disperati della sua gente, che si uniscono a lui nei banchetti cannibalici. Si forma così una banda di feroci predoni che non si limitano a derubare i malcapitati, ma li arrostiscono alla brace e ne ingurgitano le carni! Tutto ciò dura per un po', ma alla fine arriva un giovane timorato di Dio, invaso dal terrore, che denuncia alle autorità spagnole quanto ha visto. Così viene organizzata una spedizione di soldati, armati di tutto punto e protetti dalle caratteristiche corazze. Attirano gli antropofagi usando come esca un uomo e una donna, entrambi nudi, quindi li affrontano in campo aperto e li sconfiggono facilmente. Il capo della ribellione getta le armi e si denuda. I prigionieri vengono deportati in città e sottoposti a giudizio. Vengono tutti legani nudi a pali di legno con lacci di cuoio bagnato, finendo sbranati dai cani selvatici che a quell'epoca erano molto diffusi nelle Canarie. Prima di essere legato ai pali, il condannato pronuncia più volte le sue parole (con insignificanti variazioni grammaticali), un testamento pesante come un macigno: "Ho ucciso mio padre, ho mangiato carne umana, tremo di gioia!"  
 
Secondo episodio:
Anno del Signore 1967, Germania Occidentale, Godesberg ("Montagna di Odino"). Il potente industriale criptonazista Klotz ha un figlio, Julian, che gli procura non pochi grattacapi per via della sua devianza sessuale verso i porci. Herr Klotz, che somiglia a una versione grassoccia di Hitler, con tanto di caratteristici baffetti, tiene ben nascosto questo imbarazzante segreto, com'è ovvio, cercando in tutti i modi di mettere Julian assieme a Ida, una ragazza di sinistra con manie intellettuali. Lei si dice innamorata del giovane, ed è molto tormentata dal fatto che questi le nasconda la sua passione totalizzante, l'oggetto del proprio amore. Lui è reticente, pronuncia meno parole possibile, perché quanto ha dentro di sé è a dir poco spaventoso: ama leccare l'ano dei porci e sodomizzarli! La giovane di sinistra non può nemmeno immaginare l'esistenza di simili pulsioni sadiane, così crede di avere delle semplici corna. Chi ha la stupida fede nella bontà naturale del genere umano, può soltanto immaginare che le cose siano di una semplicità disarmante: "a lui piace lei, a lei piace lui, scopano con lui sopra e lei sotto, gnè-gnè-gnè". Ecco che arriva un industriale potente quanto Herr Klotz: è il tognazzesco Herr Herdhitze (alla lettera "Ardore del Focolare"). In realtà il suo vero cognome è Hirt: era un gerarca nazista molto importante, che durante la guerra collezionava crani di commissari bolscevichi ebrei. Ognuno dei due industriali è a conoscenza di tremendi segreti che riguardano l'altro, così decidono di cementare la loro alleanza con una fusione dei rispettivi gruppi industriali. A un certo punto, proprio nel bel mezzo della festa, giunge una delegazione di braccianti, imbarazzatissimi. Solo un giovane immigrato italiano, Maracchione, ha il coraggio di prendere la parola per riferisce l'accaduto a Herr Herdhitze: il giovane Julian è stato sbranato e divorato dai suini, che non hanno gradito le sue attenzioni sodomitiche. L'industriale decide di mettere la cosa a tacere e di non riferire nulla al suo socio, il padre del ragazzo finito in pasto ai maiali.
 
Un elemento comune ai due episodi  

Maracchione compare in entrambi gli episodi. In Germania è un italiano che lavora come bracciante; a Tenerife è invece il delatore timorato di Dio che denuncia i cannibali alle autorità spagnole. 


Recensione: 
Non si dimentica facilmente questo susseguirsi di fotogrammi visionari, spesso al limite del lisergico. Il primo episodio del film pasoliniano è stato girato sulle pendici dell'Etna. In realtà la vicenda del cannibale si svolge a Tenerife, l'isola del Monte Teide, un vulcano che gli antichi Guanche ritenevano la sede dell'Inferno e del Diavolo, chiamato Guayota nella loro lingua. Il protagonista rinnega il Cristianesimo per votarsi al culto di Guayota, a cui offre le teste degli uccisi. Compie un preciso atto rituale, nulla è lasciato al caso. Anche di fronte al fratacchione che gli porge la croce durante il processo finale, il giovane ribelle si rifiuta di baciarla. Si noterà che il suo compare, che aveva supplicato i religiosi piangendo, inginocchiandosi e baciando il crocefisso, non ha poi beneficiato di alcuna clemenza: è finito proprio come l'impenitente adoratore del Diavolo. La morale è semplice. Quando si intraprende un cammino estremo, tanto vale continuare fino in fondo e conservare la propria fierezza. Ci sono alcune inconsistenze tecniche e narrative. Oltre alla scia di una macchina sulle ceneri vulcaniche, assistiamo a due spari consecutivi di un fucile, cosa che a quei tempi era impossibile, essendo le operazioni di ricarica molto laboriose. Certo, i serpenti alle Canarie sono un'importazione recente - un flagello per i sensuali lucertoloni autoctoni - ma a un genio come Pasolini possiamo ben perdonare questa incoerenza narrativa. Il protagonista è un guanche che vive sotto il dominio degli Spagnoli, in una società infernale fondata sulla schiavitù. Comprendendo questo fatto, si aprono scenari complessi e molto interessanti per un antropologo. 
Ho riconosciuto all'istante le note della sigla di apertura: è lo Horst-Wessel-Lied, conosciuto anche come Die Fahne hoch ("In alto la bandiera"). Il testo, che non viene cantato, per ovvie ragioni, dal 1930 al 1945 fu l'inno ufficiale del Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori (NSDAP). Mi domando quanti spettatori italiani sappiano di cosa si tratta. Pasolini cerca di tracciare una continuità tra la Germania dei III Reich e il tessuto industriale della Germania Ovest del dopoguerra. Si ha l'impressione che sia più che altro una grossolana forma di propaganda antigermanica, senza grande rispondenza nella concreta realtà dei fatti. In fondo in Italia sono moltissimi gli ideologi di sinistra animati dalla convinzione che l'essere umano sia buono per natura con la sola eccezione dei Tedeschi. 
 
Etimologia di Godesberg 
 
La forma più antica attestata di questo toponimo è Wuodenesberg, derivato dal teonimo Wuodan (variante di Wuotan) "Odino" e da bërg "montagna". L'evoluzione fonetica è singolare e presuppone che nella regione, anticamente abitata dalla tribù degli Ubii, si parlasse una lingua germanica peculiare, diversa dall'antico alto tedesco. Theo Vennemann scrisse a suo tempo un ottimo articolo sull'antica lingua degli Ubii e sulle sue peculiarità, partendo da attestazioni di teonimi di epoca imperiale e di toponimi pieni di irregolarità fonetiche - che è riuscito finalmente a spiegare. Avremo modo di trattare a fondo questo argomento in un'altra occasione. 
 
 
Le ossessioni sadiane di Pasolini

Il contatto tra la lingua di un essere umano e il buco del culo dei maiali, proprio sotto il codino arricciato, è suggerito ripetutamente già nella sigla del film. Queste fissazioni erano caratteristiche di Pasolini, che pur ricorrendo all'off-camera suggerisce molteplici cose perverse in sommo grado. Il pubblico inebetito non riesce a coglierle, ma a uno spettatore attento balenano subito come potenti scariche di elettricità nel cervello. A un certo punto il giovane Julian cade in catalessi. Non è difficile indovinare la causa di questa perdita di consapevolezza. Avendo dimestichezza con le feci dei suini, deve essere stato colpito da un'infezione fulminante da Escherichia coli, una tipica malattia di Sodoma! Riuscito a riprendersi dal grave morbo e perseverando nel suo singolare vizio, il figlio dell'industriale è infine diventato cibo per i maiali. Questi animali intelligentissimi e vivaci sono onnivori e possono far scomparire ogni traccia di una persona, ingerendo quasi qualsiasi parte del corpo umano: carne, pelle, ossa, etc. Non mi sembra plausibile che possano divorare il cuoio capelluto, i vestiti e le scarpe, anche se non ci scommetterei. Nel Medioevo era diffuso un racconto, che parlava di un ubriaco deriso e rinchiuso in un porcile dai villici durante una notte di baldoria: al mattino non ne veniva più trovata traccia alcuna. Poi possiamo anche perdere tempo a parlare di allegorie sul potere che trasforma gli umani in porci e di altre simili stronzate.
  
Una splendida occasione persa!
 
Pasolini offrì il ruolo del cannibale a Klaus Kinski, che purtroppo rifiutò adducendo come scusa speciosa che il compenso era troppo basso. Se avesse accettato la proposta, questo film sarebbe stato un capolavoro immortale! L'ambientazione e la parte sarebbero state perfette. 
 

Altre recensioni e reazioni nel Web 
 
Come spesso accade, troviamo qualche gemma nel mitico sito del Davinotti. 
 
 
Lucio ha scritto nel 2010:

Un capolavoro, uno dei film meno noti e più belli di Pasolini. Lo stile è quello di Kubrick e il film, un grottesco doc che iniza con la lettura di due tavole sulla disubbidienza, per proseguire su una territorio vulcanico dove un giovane che si nutre di farfalle e serpenti, prosegue con una storia ancestrale. Affascinante nella sua arcana visionarietà. 
 
Magi94 ha scritto nel 2020:

Cervellotico, diviso pasolinianamente in due parti del tutto separate: il racconto del sacro, del mito dei cannibali in un ambiente vulcanico che può ricordare il Sudamerica, e l'opera buffa che gira attorno all'alta borghesia di quegli anni. La parte sacra è stiracchiata senza un'estetica abbastanza travolgente da giustificarlo (fatta eccezione per i bei panorami danteschi). L'ironia sui giovani conformisti anche quando ribelli non scalfisce più di tanto e il doppiaggio dei giovani è pessimo; molto meglio la satira sugli industriali post-nazisti, coi grandissimi Tognazzi e Lionello.
MEMORABILE: "Chi vuole il nulla come te vuole il potere."; "La sua abiezione di maiale attraverso l'idea del futuro si fa ancora più cinica". 
 

L'opera teatrale 
 
Il film è stato in parte tratto da un'ominima opera teatrale dello stesso Pasolini, in undici episodi, composta nel 1966 ed ambientata interamente in una tenuta borghese a Godesberg, in Germania. Il film del 1969 ne costituisce un adattamento. Non esiste alcuna menzione dei cannibali e degli spagnoli del XVI secolo.

Personaggi:
  Julian Klotz
  Ida
  Signor Klotz, indicato come Padre
  Bertha Klotz, indicata come Madre
  Hans-Guenter
  Servo
  Herdhitze
  Spinoza
  Clauberg ex Ding
  Wolfram
  Maracchione

I episodio
Il venticinquenne Julian è amato dalla diciassettenne Ida, che cerca il senso della vita nell'impegno politico di sinistra. Juluan, figlio di un uomo ricchissimo, non contraccambia i sentimenti di Ida: la copre di irrisione e di scherno.

II episodio
Julian, superficiale, non intende partecipare all'impegno di Ida nel sociale. Non vuole presenziare alla manifestazione per la pace a Berline, che lei gli vorrebbe imporre. 
 
III episodio
Il padre e la madre sono preoccupati dall'inerzia del figlio Julian nei confronti di Ida. Si chiedono anche se il ragazzo sia animato da ribellione contro di loro. Temono che possa vederli come laidi e pingui porci. 
 
IV episodio
Ida torna da Berlino. Julian se ne frega del suo attivismo e sfotte i suoi sentimenti.

V episodio
Julian viene colpito da una strana paralisi e rimane immobilizzato a letto. La madre parla con Ida, paragonando il figlio a San Sebastiano. 

VI episodio
Hans-Guenter rivela al padre che il signor Herdhitze, imprenditore avversario, altri non è che Hirt, un vecchio compagno di studi che si è sottoposto a una radicale plastica facciale in Italia. Herdhitze, un criminale nazista, ha come testimone dei suoi misfatti un certo Ding, che ha cambiato nel frattempo il nome in Clausberg e lavora nella riserva di Klotz come bracciante. Un servo introduce Herdhitze in casa.

VII episodio
Herdhitze e Klotz si accordano sulla fusione delle proprie aziende sotto un unico nome. Il loro dialogo è pieno zeppo di inquietanti allusioni agli ebrei, identificati con i porci. A un certo punto Herdhitze ricorda un vecchio episodio con protagonista Julian: il giovane era solito appartarsi nei porcili per avere contatti sessuali con i suini. Questo discorso sulla zooerastia viene bruscamente interrotto da Klotz. 
 
VIII episodio
Julian si risveglia dal suo stato comatoso. Ida gli rivela che si è innamorata di un altro, un tale col cazzone. Il ragazzo non è turbato dalla rivelazione e le dice addio: sa di non poterla amare, perché già ama qualcun altro che non è donna né uomo: i porci!

IX episodio
Klotz ed Herdhitze festeggiano la fusione delle rispettive imprese, ingozzandosi come porci ingordi.

X episodio
Julian ha una visione portentosa in cui gli appare il filosofo Spinoza. Lo spirito gli dà qualche dritta su come liberarsi della sua passione erotica per il culo dei porci, potendo in questo modo avere una vita sociale.

XI episodio
Il signor Klotz riceve una delegazione di braccianti formata da Clauberg (ex Ding), Wolfram e Maracchione. Essi intendono parlare con Herdhitze, così Klotz si allontana ed esce di scena. Gli raccontano una terribile sciagura: Julian, entrato come sempre nel porcile per avere contatti carnali coi porci, è stato da loro divorato. Di lui non è rimasta traccia alcuna. Herdhitze chiede se vi siano resti in grado di provare la morte del giovane: dato che non ve ne sono, impone loro il silenzio sull'accaduto. 

venerdì 28 agosto 2020

 
QUESTIONE DI CENTIMETRI

Attore: Luca Fagioli
Direttore: Paolo Migone
Autore dei testi: Paolo Migone 
Anno: 1993
Genere: Tragicomico
Forma narrativa: Monologo
Durata: 58 min

Link:

 
Luca Fagioli interpreta se stesso: il personaggio si chiama "Fagioli Luca", altezza 133 centimetri. Nel suo desolante monologo, il protagonista descrive la visuale grottesca con cui percepisce un mondo a lui sostanzialmente estraneo. Le stesse leggi fisiche agiscono sul suo minuscolo corpo in modo inquietante e diverso da quanto fanno su tutti gli altri: è come se a lui non fosse permesso interagire con gli oggetti, così ogni cosa viene presentata in virtù della sua irraggiungibilità. Gli sono impraticabili le azioni più banali, come guardare una persona negli occhi o prendere qualcosa da uno scaffale. Un mondo fatto di spigoli, sportelli troppo alti e ostacoli. Una realtà tutta pervasa da una paranoia quasi dickiana. 
 
L'Attore:  
 
Nato a Pisa, è laureato in giurisprudenza. 
Video di Luca Fagioli: 
   Il sablé (1986) 
   Il primo fidanzato (1987) 
   Biancaneve (1989)
   Il gioco dell'oca (1990)
   Ricordi difficili (1991)
   Insieme contro il crimine (1992)
Filmografia di Luca Fagioli: 
   Ivo il tardivo, di Alessandro Benvenuti (1955)
   Il cielo e la luna, di Massimo Fagioli (1998)
   Il pesce innamorato, di Leonardo Pieraccioni (1999) 
   La grande prugna, di Claudio Malaponti (1999) 
   Il guerriero Camillo, di Claudio Bigagli (1999)
   Nonhosonno, di Dario Argento (2000) 
 
Recensione:  

Teatro Litta di Milano, Marzo 1993. Ero presente. Era l'epoca della cattività cardanese, il periodo di confino in quel tristissimo anfratto fecale a cui le genti native danno il nome di Cardano al Campo. Dovetti accompagnare una scolaresca a vedere alcuni spettacoli teatrali. Uno di questi, tenutosi nello stesso oscuro borgo lombardo, mostrava alcuni vecchi che venivano scherniti, bastonati e smaltiti come immondizia, in sacchi neri e bidoni della spazzatura. Non riesco a ricordare null'altro della trama, solo queste sequenze allucinatorie, che sembravano frutto dell'ingestione di una frittura di psilocybe. Forse era un rudimentale adattamento di Quarto: uccidi il padre e la madre, di Gary K. Wolf, ma non ne sono sicuro. Vi fu però anche un'eccezione in quell'anno umiliante e disperato. Mi fu permessa una gradita escursione, a mio avviso molto utile. Fu proprio quando andai a Milano al Teatro Litta con la scolaresca, su iniziativa del professor G., che riteneva molto utile ed educativo lo spettacolo di Luca Fagioli. Furono quelli gli unici momenti che potrei definire, se non proprio "felici", almeno "non afflittivi", in un periodo della mia vita che dovrebbe essere cancellato dal Libro dell'Esistenza. 
 
Un tempo si diceva "Italiani, popolo di navigatori, santi e poeti". Poi qualcuno ha coniato il detto "Italiani, popolo di impastatori", per via della loro avidità di lievito durante il lockdown (avidità istigata dall'osceno tam tam mediatico dei giornalisti). Potremmo però aggiungere, oltre a "Italiani, popolo di delatori", anche "Italiani, popolo di bulli, persecutori di deboli e di inermi". A volte mi domando perché Sodoma e Gomorra non siano sopravvissute, mentre uno scandalo come questo vivaio di bulli continui a marcire impunemente sotto la luce tossica del sole. Già me ne accorsi quando ero un moccioso, il giorno stesso in cui sono stato portato all'asilo. Da allora mi sono imbattuto in un numero enorme di persone moleste come tafani, che si sentono vive soltanto se hanno qualcuno da deridere e da tormentare, traendo piacere dall'altrui sofferenza. 
 
Luca Fagioli porta in scena il proprio dramma esistenziale. Deve portare il peso di un vissuto molto problematico, caratterizzato da continui episodi di bullismo in età giovanile, per via della sua corporatura minuta. Tecnicamente parlando, è affetto da nanismo tiroideo. La bizzarra conformazione delle membra e l'aspetto ben singolare attirano in modo ineluttabile lo scherno e l'irrisione da parte delle persone definite "normali". Gli epiteti, come ad esempio "tappo", non si sprecano. Ognuna di questi insulti è una stilettata nel cuore. 
 
Il professor G. faceva notare alla scolaresca che Luca Fagioli ha avuto una vita piena di soddisfazioni umane e professionali e che ha avuto la fortuna di trovare una compagna splendida. La morale del professore, che era un convinto fautore del politically correct (anche se all'epoca non si usava questa locuzione), voleva insegnare il rispetto per la "diversità" a una classe particolarmente indisciplinata, dove non mancavano simpatie naziste. Tali simpatie non derivavano certo dalla lettura del Mein Kampf o dalla comprensione delle dottrine hitleriane: erano reazioni viscerali da parte di giovani rozzi e privi di qualsiasi senso critico, che in questo modo si ribellavano a un indottrinamento scolastico particolarmente oppressivo. Si può dire che il professor G. abbia creato un allevamento di naziskin, senza averne la minima consapevolezza. L'accaduto mi induce alcune amare riflessioni. A Luca Fagioli è andata bene: si è affermato come attore e ha trovato la sua metà. Ma per una persona a cui è andata bene, quante ce ne sono che hanno fallito? Quante persone sole sono state schiantate da questa Italia in cui chi ha problemi è considerato uno zimbello da annientare? Innumerevoli, e non c'è rimedio. Non ci sarà rimedio alcuno, se non il giorno in cui questo paese farà la fine di Atlantide. 

Mi è rimasta particolarmente impressa la lamentazione dell'autore, chiuso nella sua solitudine densa come il piombo. Un'oscurità in cui non si trova un varco, in cui non filtra nemmeno il riverbero di una remota sorgente luminosa. Trovo che sia pura poesia, lirismo assoluto, così la propongo in questa sede:
 
"Mi trovo a ripercorrere il perimetro della mia cameretta
la testa affollata dai pensieri, paure, progetti.
Ho murato la finestra
ma alcuni raggi del sole,
filtrati dalle fessure dei mattoni,
disegnano sul mio viso strani arabeschi.
Mi lascio cadere sulla sedia,
e annoto sul diario:


Intanto passano i giorni,
si sommano in settimane,
si aggrovigliano in mesi,
si ingarbugliano in stagioni,
si ammatassano in anni
natali, pasque, ferragosti
natali, pasque, ferragosti
anni,
natali, pasque, ferragosti

La sveglia mi guarda,
girami!
Fa tic e poi fa tac.
Le ragnatele cambiano ogni anno,
le vedi lì e le ritrovi là.
E nel silenzio più assoluto,
sentire il rumore della barba che cresce.
Deriso da un destino beffardo,
buttato lì come una vecchia cima,
schernito dal tempo inesorabile,
potenza in un nulla fatto di niente,
scheggia di un universo di diversi universi,
truciolo di falegnameria!
briciolino di pane!
(alcune parole borbottate, indistinte, che si perdono nel rumore di fondo) 
 
Quest'opera è etichettata dai media come "commedia", ma a mio avviso non lo è affatto. Si potrebbe andar più vicini al vero ritenendola tragicomica. Unisce in sé spunti ironici e sarcastici con una sostanza assolutamente tragica. Su questo non ci sono dubbi: prevale in ogni suo istante un senso di sofferenza assoluta, che non conosce requie. Non ho mai avuto alcuna esilarazione durante lo spettacolo, proprio perché le sofferenze del protagonista sembravano a me simili a quelle che ho dovuto subire nel corso della mia vita - nonostante la mia statura fisica non possa essere definita esigua. 

Il rustico giannesco in Lucchesia! 
 
Fagioli Luca apprende che il suo amico Gianni, l'architetto, ha invitato amici ed amiche per un weekend nel suo rustico in Lucchesia. Così prende coraggio, gli telefona e gli dice che lo raggiungerà. Inizia la narrazione di qualcosa che sembra a metà strada tra una serie di contrattempi e le dodici fatiche di Ercole. I toni sono volutamente iperbolici. Ogni minima cosa è descritta dall'attore in un modo così surreale da provocare una sensazione di fortissimo straniamento, come se egli fosse un microscopico uomo di Lilliput giunto all'improvviso a Brobdingnag, ove regnano i giganti! Il fine settimana abortisce miseramente: Luca, come un pigmeo nel Labirinto di Cnosso, sbaglia l'ingresso e si ritrova nella cuccia del cane, poi finisce riesce a entrare nell'atrio ma finisce nel camino (il soffitto è alto come quello del Valhalla), quindi rinuncia all'impresa e passa la notte in un campo, trovandosi sommerso da nugoli di grilli zampettanti e da masse di crisalidi. Viene avvicinato da un dobermann libidinoso che cerca di avere un rapporto con una sua gamba e di tenerlo come schiavo sessuale. Al culmine del grottesco, Luca mima una copula, ancheggiando in modo frenetico. Riuscito a sottrarsi all'animale, per quindici giorni si addentra nella campagna toscana, che è descritta come se fosse Mordor! Dopo uno sfinimento estremo, il culmine si ha quando, giunto fino a Marina di Grosseto, si trova davanti la figura immane di Gianni. La sua gioia è incontenibile. "Gianni!!!", esclama. Mi sembra di vedere Gianni, di averlo davanti agli occhi, con quei manoni grandi simili a pale, con quel faccione smisurato perennemente sorridente. Proprio lui: Gianni, l'eterno coprofago! O forse è tutto frutto di un'allucinazione? Fatto sta che Gianni non sembra riconoscere l'amico farfugliante, che alla fine si allontana, annientato. "Ciao Gianni!", gli dice. Poi, dopo qualche passo: "Gianni, ma vaffanculo!"  

Un epilogo annichilente 

Fagioli Luca giunge infine al Capolinea. Certo, quello è il luogo dove prima o poi giungono tutti - anche se i bulli e i gorilla non lo sanno, credendosi immortali. Credo che sia un geroglifico della Morte dell'Essere. Ci viene descritto come uno squallido bar di periferia milanese, con luci al neon che deprimono lo Spirito. Chi è costretto a vegetare sotto quei raggi mortiferi, è come se avvizzisse e si riducesse a una mosca agonizzante sul bordo di un cesso. Ecco, il nostro amato protagonista si trova proprio lì, cercando di ordinare un caffè al banco. Non ci riesce. Aggiunge invano lo zucchero ad alcune tazzine che non sa essere vuote, poi lo ingurgita in preda al disgusto. Tenta anche di ordinare un tramezzino, senza che i risultati siano migliori. Il banco è sopra la sua testa, riesce a malapena a raggiungerlo, come se fosse uno Hobbit tra gli Orchi. Poi ha un'idea geniale. Si allontana e raggiunge il telefono pubblico presente nella sala. Compone il numero del locale e la cameriera che sta al banco risponde. Così può ordinare un tramezzino. "Cristina, dammi un tramezzino!", le urla, dopo essere riuscito ad attirare la sua attenzione. Siamo all'Annichilimento Assoluto. Quello è il luogo in cui l'Essere muore in Eterno! 

Insopportabilità del pubblico 

Quello che ho detestato in modo viscerale sono state le insulse risate di molti spettatori. Cosa diamine c'era mai da ridere? Mi sarei aspettato un profondo silenzio, carico di rispetto e di introspezione. Invece nulla. Alcune risate giungevano proprio nei momenti più penosi, più tragici. Questo mi ha dato una conferma in più della natura bullesca della maggior parte dei frequentatori di teatri. Moltissimi sono coloro che non vanno a teatro per imparare qualcosa, bensì per mero conformismo, per ostentare la loro pretesa superiorità e la loro condizione sociale, per trovare qualcuno da schernire, da tirare per il culo. Certo, l'attore è stato applaudito quando la rappresentazione si è conclusa, ma in un certo senso era un atto dovuto. Non dimentichiamoci che questa gente applaude anche ai funerali, così posso soltanto considerare vuote e ipocrite le loro manifestazioni di entusiasmo. Per molto tempo ho odiato il teatro proprio perché vi si respira un'aria di snobbismo molesto, e la sensazione è analoga al fastidio provocato agli equini dalle punture delle mosche cavalline. Mi affiora un bizzarro ricordo d'infanzia: mio zio S. era convinto che in realtà nessuno ridesse a teatro e che le risate fossero invece il prodotto di un'apposita macchinetta. "Schiacciano un bottone e si sentono le risate", diceva sempre, "ma sono finte". Di certo mio zio S. era più felice di me.