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martedì 16 febbraio 2021

 
EDWARD THE DAMNED 
 
Titolo originale: Edward the Damned 
Anno: 2014 
Paese: Stati Uniti, Regno Unito 
Lingua: Inglese
Durata: 15 min 26 sec  
Colore: Colore
Genere: Horror, grottesco, fantastico 
Regia:
John L. Weckworth
Sceneggiatura: John L. Weckworth 
Ispirazione: Il mito di Edward Mordake, l'uomo con due facce 
Produttori: John L. Weckworth, Kristin Weckworth 
Fonico: Kristin Weckworth 
Pubblicazione su YouTube: 31 ottobre 2016  
Interpreti e personaggi:
    Oliver Hollis: Edward Mordrake
    Les Loveday: Il collaboratore
    David Lyddon: Il dottore
    Rachel Warren: Cindy East / Il volto del demone 
Link YouTube: 
Sito ufficiale: 

Sinossi:

Edward the Damned is a modern retelling of the old English legend of Edward Mordrake. 
 
Edward is hiding something from the world beneath a wig atop his head. Unable to continue to hide from his demons, today his dark secret is going to see the light of day. 
 
A passion project from its inception, this short had an amazing film festival run becoming an official selection for some of the finest film festivals and taking home multiple awards including: 
Sunset Film Festival Los Angeles - 1st Place Short Film Category 
Famous Monsters Film Fest - 1st Place Short Film Category 
Hollywood Horror Fest - Best Short Script 
LA Indie Film Fest - Winner Jury Award | Best Short Film Special Effects 
 
Now for the first time Edward the Damned is available to view online. The filmmakers are proud to release our spin on the freakish story of Edward Mordrake for a wider audience to enjoy.
 
Traduzione: 
 
Edward the Damned è una rivisitazione moderna dell'antica leggenda inglese di Edward Mordrake. 
 
Edward sta nascondendo qualcosa al mondo sotto una parrucca sulla sua testa. Incapace di continuare a nascondersi dai suoi demoni, oggi il suo oscuro segreto vedrà la luce del giorno. 
 
Un progetto di passione sin dall'inizio, questo cortometraggio ha avuto un fantastico festival cinematografico diventando una selezione ufficiale per alcuni dei migliori festival cinematografici e portando a casa numerosi premi tra cui: 
Sunset Film Festival Los Angeles - 1° posto Categoria cortometraggi 
Famous Monsters Film Fest - 1° posto Categoria cortometraggi
Hollywood Horror Fest - Miglior cortometraggio 
LA Indie Film Fest - Vincitore Premio della giuria | Miglior cortometraggio Effetti speciali 
 
Ora per la prima volta Edward the Damned è disponibile per la visione online. I realizzatori sono orgogliosi di pubblicare la nostra interpretazione della bizzarra storia di Edward Mordrake per farla godere a un pubblico più ampio. 
 
 
Trama (guardare il corto prima di proseguire)
 
In apparenza Edward è un ragazzo londinese qualsiasi, ma si capisce subito che nasconde qualcosa sotto la parrucca nera che indossa. Non sopporta di essere toccato sul collo, per timore che il suo orrendo segreto possa essere rivelato. Quella che a prima vista può sembrare un'insulsa fobia, gli causa seri problemi. Prima rischia di compromettere i suoi rapporti con un collaboratore, poi manda a monte la relazione con la bionda Cindy, una ragazza davvero splendida. Com'è ovvio, non è possibile nascondere qualche dettaglio del proprio corpo a una donna mentre si sta sviluppando una relazione. Se Edward fosse stato un individuo normale, tutto sarebbe andato in porto: sarebbe entrato in intimità con Cindy arrivando quindi a poter fare sesso con lei. Invece le cose vanno diversamente. Quando lei cerca di sfiorare la sua nuca, lui reagisce cadendo in preda a una violenta crisi di panico e fugge via a gambe levate. La bionda è esterrefatta. Quando si ha una reazione simile con una donna, ogni rapporto è pregiudicato per sempre. Non esiste possibilità di riparare: nessuna perdona una cosa così grave. In preda alla disperazione, Edward prende contatto con un chirurgo clandestino per una rischiosa operazione. Viene subito rapito e portato allo studio illegale. Il chirurgo, tolta la parrucca al paziente, vede il volto di una donna sulla parte posteriore del cranio. Un volto sensuale ma terribile, con gli occhi interamente neri come l'inchiostro, senza il bianco della cornea e con le pupille dotate di vaghi riflessi rossastri. Quando afferra un bisturi per rimuovere il volto parassitario, il medico rimane sconvolto dal pianto e dallo sguardo di quell'entità femminea. Rinuncia ad operare, cloroformizza Edward e lo scarica in un vicolo. Quando il giovane si sveglia, si accorge subito che il suo secondo volto, il suo gemello diabolico, è ancora al suo posto. Non gli resta che il suicidio. Prima di uccidersi, scrive una vana lettera a Dio, in cui gli chiede di potersi salvare dalla Dannazione Eterna, perché il proprio concepimento è stato un errore. Si getta sotto una macchina e si trova di fronte a qualcosa di inatteso...       

Recensione: 
 
Trovo che Edward the Damned sia davvero un ottimo prodotto ed è un peccato che sia stato diffuso nel Web soltanto in inglese. Il mito di riferimento usato dal regista per la sua opera è quello di Edward Mordake, il fantomatico nobiluomo inglese a cui la tradizione attribuisce una peculiare malformazione: avrebbe avuto un piccolo volto femminile sulla nuca. Ho analizzato questo argomento in un articolo, a cui rimando per maggiori dettagli. Questo è il link:


La variante del cognome usata dal regista è Mordrake anziché il corretto Mordake: si vede che il giovane protagonista, quando finisce di scrivere la sua lettera a Dio, si firma proprio come Edward Mordrake
 
Il cortometraggio di Weckworth non riprende il mito in ogni suo dettaglio, ma ambienta la vicenda dell'uomo con due facce in un contesto moderno. Vediamo una Londra dai colori spenti, il grigio che prevale su tutto e le strade coni caratteristici autobus rossi a due piani. La vita è pervasa dal managerismo compulsivo della nostra epoca maledetta. Ogni istante è scandito dal telefonino, dai suoi messaggi, dalle scadenze. Si può dire che questo particolare inferno cibernetico non sarebbe stato concepibile nel XIX secolo.   
 
Non si fa nessuna menzione all'appartenenza del giovane Edward alla classe aristocratica britannica. Questo a parer mio è stato un errore o forse soltanto un peccato, visto che implica la rinuncia a un intero universo concettuale e fantastico. Il mito del nobile maledetto poteva soltanto essere usato da uno scrittore americano per creare un'opera d'arte immortale. Edgar Allan Poe e Howard Phillips Lovecraft hanno concepito intere stirpi di nobili maledetti, impiantandole in America. Questo impianto è avvenuto perché non vi sono nobili maledetti autoctoni. Le ragioni del fenomeno non sono difficili da intuire: proprio ciò che è estraneo e al contempo oscuro esercita il maggior fascino. La nobiltà è in buona sostanza una stirpe tarata, marchiata dall'endogamia, ai limiti dell'incesto. È un contesto rigido, formale, che può trasmettere soltanto infelicità a chi ha avuto la sventura di nascervi. Nella società americana l'aristocrazia non conta nulla, il sangue blu non è considerato una caratteristica importante. Se uno spurgatore di fogne riesce col duro lavoro a diventare milionario, è considerato più importante di un rampollo d'Inghilterra che non ha mai lavorato in vita sua e che vive passivamente delle proprie rendite. La Terra dei Liberi pullula di milionari socialmente attivi che si danno molto da fare per accrescere il numero delle loro conoscenze. Le donne sono delle "socialites", partecipano ai ricevimenti, si mettono in mostra con abiti glamour. Non c'è posto per nobili fannulloni e decadenti simili ai Merovingi, isolati dalla società, tutti immersi nel culto della loro superiorità, che si considerano qualcosa a metà strada tra l'umano e il divino. Eppure la loro presenza aleggia tuttora nella Terra dei Coraggiosi. Ciò che è stato gettato fuori dalla porta, rientra dalla finestra, di notte, come una larva notturna. Spiace che questi aspetti non siano stati percepiti e considerati dal regista-sceneggiatore. 

Una diretta conseguenza della rimozione della nascita aristocratica di Mordake è il suo rapporto con il gentil sesso. Un giovane nobile della Parìa britannica non avrebbe di certo avuto facili rapporti con le ragazze. Sarebbe stato pieno di inibizioni fortissime che lo avrebbero spinto a evitare ogni contatto ritenuto pericoloso. Il problema sarebbe giunto ben prima di arrivare ad essere in intimità con la bellissima Cindy, a parte il fatto che le convenzioni sociali avrebbero reso impossibile qualsiasi conoscenza non programmata. Non avremmo un ragazzo disinvolto che si ritrae soltanto quando qualcuna gli sfiora il collo: non sarebbe iniziato nulla, non ci sarebbe stata nessuna cena in un locale. Per un moderno, simili privazioni sono inconcepibili, quindi non possono nemmeno essere descritte. Eppure c'è qualcosa di estremamente interessante in come è stata organizzata la trama. Il regista, con profonda intuizione, usa la stessa attrice per interpretare la bionda Cindy e il demone gemello dagli occhi neri come la pece. Il messaggio trasmesso è questo: le prime difficoltà che Edward Mordake ha incontrato con il sesso opposto, gli sono state causate proprio dal suo rapporto col volto femminile sulla regione occipitale!  
 
Nella vulgata corrente, di Edward Mordake si occupavano due medici di famiglia, fidatissimi. Lui chiedeva loro incessantemente di essere liberato della sua seconda faccia, il suo gemello infernale e femmineo che gli sussurrava cose indicibili, ottenendo un rifiuto, dato che l'operazione avrebbe avuto esito fatale. Nel cortometraggio le cose vanno diversamente. Il protagonista si rivolge a un chirurgo che opera in condizioni di clandestinità e che alla fine evita di compiere ciò per cui è stato pagato. Una richiesta ben precisa fatta dal nobiluomo ai suoi medici curanti era la rimozione del volto parassitario, per via del terrore che potesse continuare le sue ruminazioni abominevoli anche nel sepolcro. Si ha soltanto una traccia alterata di questo nell'opera di Weckworth: il povero Edward chiede a Dio di rimuovere e incenerire il suo secondo volto, quindi si getta sotto un'automobile in corsa. 

 
La dannazione di Edward Mordake 
 
Lo spettatore per un attimo crede che le richieste formulate nella lettera d'addio siano state accolte da un benigno Padre Celeste. Al momento del trapasso, il giovane viene subito avvolto da un confortante oceano di luce candida, che lo convince di essere stato salvato da Dio e condotto in Paradiso. Presto però il chiarore soprannaturale si dirada ed emerge la realtà agghiacciante delle cose: un paesaggio di colline coperte di una boscaglia che arde. Il defunto si tocca la parte posteriore del cranio e si accorge subito di essere condannato: il diabolico volto femminile è ancora lì, proprio al suo posto! 

A questo punto dobbiamo pensare alle conseguenze teologiche di questo costrutto. Secondo le Chiese Cristiane nessuno può dichiarare un individuo dannato, fino a che non sarà giunta la Fine dei Tempi. Soltanto nel caso di un demone, può essere pronunciato un verdetto di dannazione certo e incontrovertibile. Anche così, le cose non sono facili come sembra. Chi può onestamente stabilire se un essere umano, per quanto malvagio, sia davvero un demonio? Non è facile. Si può pensare che un demonio sia un'essenza di malvagità assoluta e che le sue azioni possano dimostrare la sua natura. Anche così, nulla sarebbe scontato come appare. Un giudizio umano sulle azioni di qualcuno potrebbe sempre essere viziato da schemi ideologici o da interessi meschini. Non dimentichiamo che ci furono ecclesiastici che arrivarono a definire "diabolico" Gianni Rodari e a decretare il rogo dei suoi libri per motivi politici. Ammettiamo adesso che Edward Mordake sia davvero esistito, come ce lo tramanda il mito. Cosa dovrebbe pensare un cristiano? Non potrebbe fare altro che constatare che un uomo dotato di anima in grado di salvarsi è stato unità da Dio a un essere diabolico e dannato dalla nascita. Perché questo sarebbe accaduto? Un uomo dotato di anima unito a un essere diabolico avrebbe immense difficoltà a salvarsi, sarebbe sottoposto a un'azione tremenda e incessante che lo porterebbe alla disperazione assoluta. Siamo alla solita antinomia. Se Dio ha commesso un errore, allora non è infallibile. Se ha fatto volutamente una cosa simile, allora è malvagio e non può essere definito Bene assoluto. Vorrei tanto che ci fossero commentatori cristiani di seria fede in grado di riflettere su queste cose, ma non ne esistono. La loro religione è fatiscente, nessuno tra le genti sembra conoscerne più i dogmi, nessuno ha la benché minima idea di quale sia la sua teologia. La Chiesa di Roma potrebbe affermare che la storia di Mordake è soltanto una superstizione popolare, adducendo la dottrina del libero arbitrio e molte altre cose prese dall'armamentario della teologia tomistica. Le Chiese Protestanti avrebbero qualche difficoltà in meno, basti considerare le dottrine di Lutero sulla predestinazione e sul servo arbitrio, ma il problema sussisterebbe comunque. Sono convinto che siamo di fronte a un vulnus in grado di far crollare l'intero edificio del Cristianesimo.  

Altre recensioni e reazioni nel Web

Purtroppo non si trova molto in italiano. Una brevissima e scarna recensione (più che altro una descrizione) risale al 2016:


Sembra che l'unico Edward di cui c'è traccia nel famoso e utile sito Il Davinotti sia Edward mani di forbice!

martedì 28 aprile 2020

 
LA JETÉE

Titolo originale: La jetée
Paese di produzione: Francia
Lingua:
Francese, tedesco  

Anno:
1962 

Durata:
28 min

Colore:
B/N 

Genere:
Fantascienza 

Sottogenere:
Distopia, mondo postatomico, viaggi nel tempo,
     ucronia 

Regia:
Chris Marker 

Soggetto:
Chris Marker 

Sceneggiatura:
Chris Marker 

Produttore:
Anatole Dauman 

Casa di produzione:
Argos Film 

Fotografia:
Chris Marker, Jean Chiabaut 

Montaggio:
Jean Ravel

Musiche:
Trevor Duncan 

Fonico:
Antoine Bonfanti 

Interpreti e personaggi: 

    Hélène Châtelain: La donna

    Davos Hanich: L'uomo 

    Jacques Ledoux: Lo sperimentatore 

    William Klein: Un uomo del futuro 

    Janine Klein: Una donna del futuro 

    Ligia Branice: Una donna del futuro 

    André Heinrich 

    Jacques Branchu

    Pierre Joffroy 

    Étienne Becker
    Philbert von Lifchitz

    Germano Faccetti
    Jean Négroni: Il narratore

Traduzioni del titolo:
    Inglese: The Jetty
    Tedesco: Am Rande des Rollfelds
    Spagnolo: La Terminal
 
 
Trama: 
Il protagonista, di cui non si conoscerà mai il nome, è marchiato da profondo trauma. Un'immagine lo perseguita, insopportabile come una cicatrice dolente. È una memoria di quando era bambino e si trovava all'aeroporto di Orly con i suoi genitori. Il flashback sembra un eterno presente. Un uomo viene abbattuto da colpi di arma da fuoco e stramazza sul cemento, proprio davanti ai suoi occhi, ma la sua attenzione si fissa su una donna. Subito dopo scoppia la Terza Guerra Mondiale. La Francia viene sconfitta, Parigi è rasa al suolo da un bombardamento termonucleare e invasa. La terra stessa viene contaminata dalla radioattività, così la popolazione per sopravvivere è costretta a rifugiarsi nel sottosuolo. I vincitori dominano su un regno di rovine e di ratti. La specie umana è condannata: si vanno esaurendo le risorse alimenari e le fonti di energia. La sola speranza è il viaggio nel tempo. Gli sperimentatori, che sono più sadici e spietati del dottor Mengele, scelgono il protagonista proprio per via del suo tenace attaccamento alla sua ricorrente visione del passato, dotata di un'intensità straordinaria. Trovarlo tra migliaia di prigionieri non è stato difficile: la polizia spia persino i sogni. Le precedenti cavie inviate nel passato sono morte all'istante oppure sono impazzite a causa dello shock di trovarsi in un tempo diverso dal loro. Il viaggio crononautico avviene con mezzi chimici: alla vittima viene iniettata negli occhi una specie di siero che causa la proiezione della mente nel passato. La transizione ha inizio. Mentre il corpo rimane inerte nel suo giaciglio simile a una amaca, la figura del viaggiatore compare altrove nello spaziotempo, come un fantasma che tuttavia è composto di carne e di ossa - e che dovrebbe essere in grado di interferire con gli eventi. Esauritosi l'effetto del siero, il crononauta ritorna nella miseria della propria pseudo-vita nel sotterranei, come se si fosse destato da un sogno. Così il protagonista giunge nel passato, prima che Parigi fosse annichilita. Incontra proprio quella donna che aveva colpito la sua immaginazione quando da bambino l'aveva vista all'aeroporto di Orly. La corteggia e nel corso di diversi viaggi temporali riesce a conquistarla. I due vivono una storia d'amore e visitano uno spettrale museo pieno di animali impagliati. Quando gli sperimentatori comprendono che l'uomo non è riuscito a trovare nessun mezzo in grado di permettere la sopravvivenza del genere umano e di ricostruire la civiltà crollata, decidono di inviarlo nel futuro. Il crononauta trova una Parigi riedificata, perfettamente funzionante e abitata da un'umanità nuova. Le persone sembrano prive di vita, come se fossero gelidi zombie. Simili a ombre dell'Ade, hanno uno sguardo fisso e comunicano senza muovere le labbra. Rivelano al visitatore giunto dal passato il modo di trovare una fonte di energia e di avviare la ricostruzione, permettendo così la propria stessa esistenza nel presente. Subito l'uomo fa ritorno dagli sperimentatori, rivelando loro il segreto che gli è stato comunicato. Gli abitanti del futuro, che sono a loro volta in grado di viaggiare nel tempo, lo raggiungono e gli propongono di vivere con loro. L'uomo però chiede di poter realizzare un desiderio diverso: quello di tornare per sempre a vivere nel passato, dalla donna che ama. Questo gli viene concesso. Si ritrova così proprio all'aeroporto di Orly. Vede la donna e corre verso di lei, ma a questo punto viene raggiunto da un sicario, che è stato inviato dagli sperimentatori per abbatterlo. Se l'uomo riuscisse a coronare il proprio sogno, farebbe venir meno la catena di causazione in grado di scongiurare l'annientamento dell'umanità. Così viene abbattuto a colpi di pistola e all'improvviso, in limine mortis, comprende l'atroce verità, vedendo di fronte a sé la figura di un bambino. Quel bambino è lui stesso da piccolo. Ecco svelato il mistero della visione che lo perseguitava: quella che aveva visto era la propria stessa morte!

 
Recensione: 
Questo vibrante capolavoro è unico nel suo genere. Non ricordo di essermi mai imbattuto in un filmato girato usando la stessa originalissima tecnica. È stato definito un fotoromanzo (photo-roman). Consiste infatti in una sequenza di fotografie in bianco e nero, cariche di un orrore assoluto, indicibile, interstiziale e subliminale, che pervade fino al midollo e comunica ad ogni istante il senso di Morte dell'Essere. Semplici ombre e sagome fungono da geroglifici dell'annientamento eterno, senza che a livello conscio si riesca a dare una spiegazione razionale del perché. Il finale dilania, infligge una ferita interiore simile a quella del protagonista. Tocca qualcosa di profondo come l'Abisso. Fa venire la pelle d'oca. Quello che il regista intendeva comunicare, lo si porta su di sé, lo si vive sulla propria pelle. Non è forse questo lo scopo ultimo del cinema? 
 
Per usare un linguaggio un po' tecnico, le fotografie sono stampate otticamente e si riproducono come un fotomontaggio di ritmo variabile. Sono state scattate con una Pentax Spotmatic. C'è soltanto una brevissima scena filmata da una cinepresa, una Arri 35mm. Tale ripresa non facile da distinguere, tanto è sfuggente: mostra la donna interpretata da Hélène Châtelain, che dorme e viene svegliata all'improvviso. La storia è narrata da una voce fuori campo. La musica, composta da Trevor Duncan, è sconvolgente e penetra in ogni fibra dell'anima.  

 
Il IV Reich 
 
Aerei simili a torpedini più neri dello spazio siderale, predatori i cui contorni hanno l'aspetto di buchi nel cielo. Inizia così la Nemesi della Francia. Bisogna aspettare un po' per avere un'idea più chiara sulle dinamiche belliche e sulle loro cause. Man mano che l'azione prosegue nei sotterranei, viene fornito qualche elemento importante. In sottofondo si sentono a lungo le parole mormorate che gli sperimentatori si scambiano nel corso delle loro sevizie. Lo spettatore attento capisce all'istante che stanno parlando in tedesco. Le foto del prigioniero torturato sono di un'intensità incredibile. Ho visto qualcosa di simile soltanto quando ho visitato Dachau. Non ci sono dubbi: la Germania è proprio la potenza vincitrice che ha ridotto in cenere la Francia. Possiamo così dire che il corso storico descritto nell'incipit del cortometraggio di Marker è a tutti gli effetti un'ucronia. Certamente la cosa è un po' problematica. Sembra che si disegni una strana continuità storica tra il defunto III Reich e un inimmaginabile IV Reich sorto nel corso del secondo dopoguerra, naturale preludio della Terza Guerra Mondiale. Si converrà che una simile trovata narrativa, per quanto dotata di un'immensa potenza, ha la stessa verosimiglianza di un ircocervo. Del resto, non si può pretendere che un film di 28 minuti sia un manuale di storia alternativa e che permetta di afferrare ogni minimo dettaglio dell'Apocalisse. 
 
 
Ontologia temporale 
 
L'ontologia temporale dell'opera di Marker è quella del loop, ossia del circuito crononautico chiuso e retrocausale, in cui chi viaggia nel passato per sfuggire alla maledizione del presente, scopre di essere proprio il fattore che provoca ciò che intendeva evitare. Così l'uomo, nel suo tentativo di raggiungere la donna che ama, causa proprio quell'immagine traumatica che è la causa prima della propria storia di orrori. Anche la salvezza offerta dalle genti del futuro può essere il frutto di una retrocausazione e genera paradossi a non finire. Il viaggio nel futuro non sarebbe di per sé un problema concettuale: lo diventa non appena si concepisce un ritorno da tale destinazione. Resta sempre il cruccio filosofico delle entità acausali, sempre insito in storie di questo genere. Le genti del futuro esistono perché qualcuno ha scoperto un ritrovato tecnologico che ha permesso alla Terra e alla specie umana di rigenerarsi. Orbene, sono le stesse genti del futuro a comunicare questa conoscenza al crononauta giunto dal passato. Lo stesso crononauta, ritornato al proprio cronotopo di partenza, rivela quanto appreso - e permette quindi proprio la rigenerazione della Terra e della specie umana. Senza il suo viaggio nel futuro, questo non sarebbe stato possibile. Ma non sarebbe nemmeno stato possibile avere un'umanità del futuro con la conoscenza salvifica in possesso. La domanda, senza risposta, è: "Da dove ha avuto origine tale conoscenza?"   
 
La Jetée e l'esercito delle 12 scimmie 
 
Proprio La Jetée ha ispirato a Terry Gilliam il concetto portante del suo film 12 Monkeys (L'esercito delle 12 scimmie, 1995). Non si tratta di un rifacimento, questo è abbastanza ovvio,  ma ci sono diversi punti in comune. Innanzitutto ritroviamo l'ambientazione claustrofobica in un futuro postcatastrofico, in cui i superstiti sopravvivono in sotterranei, in condizioni quasi impossibili. Molto simile è l'ontologia temporale e crononanutica, anche se nel film di Gilliam non si ha alcun tentativo di visitare il futuro per stabilire se l'umanità sia sopravvissuta e tentare di avere lumi su innovazioni tecnologiche salvifiche. Diversa è anche la motivazione che spinge gli sperimentatori a mettere a punto la tecnologia dei viaggi nel tempo e a mandare ricognitori nel passato. Trovare un rimedio tecnologico alla catastrofe, nell'opera di Marker. Trovare quale sia la stata la vera causa della catastrofe, nell'opera di Gilliam. Approfondiremo in altra sede l'analisi del confronto tra il cortometraggio di Marker e 12 Monkeys.
 
La Jetée e Vertigo 
 
Marker ha omaggiato Alfred Hitchcock incorporando sequenze che rimandano a Vertigo (La donna che visse due volte, 1958). Il crononauta si trova con la donna amata davanti a una sezione di sequoia con alcuni contrassegni posizionati su cerchi di crescita corrispondenti a importanti eventi storici. Le mostra il punto preciso della propria provenienza. La stessa cosa avveniva in una celeberrima scena faceva la protagonista di Vertigo, una donna conturbante ed enigmatica (interpretata dalla bellissima Kim Novak). Certo, una sequoia a Parigi non crescerebbe mai spontaneamente e l'elemento appare un po' incongruo, anche se è chiaro che l'esemplare sezionato della titanica conifera si trova in un giardino botanico.  
 
Altre recensioni e reazioni nel Web 
 
Segnalo alcuni interventi che mi paiono interessanti. Il primo è di un autore eccelso, a cui devo moltissimo. 
 
"Questo film strano e poetico, un misto di fantascienza, favola psicologica e fotomontaggio, crea nei suoi modi peculiari una serie di immagini bizzarre dei paesaggi interiori del tempo"
 
(La Jetée, recensione di James Graham Ballard su New Worlds, luglio 1966 - Traduzione su J.G. Ballard, Shake edizioni, 1994)
 
 
Certo, magari dal genio di Ballard mi sarei aspettato qualcosa di più. Ma forse lo scrittore inglese non ha mai stato Dachau. Notevole è una riflessione sull'ineluttabilità, pubblicata su un blog alla deriva nell'oceano dell'Oblio:   
 
"Quello che [il protagonista] scopre... è che il passato non è mai così semplice come vorremmo che fosse. Tornarci significa rendersi conto che non l'abbiamo mai capito. Inoltre scopre - e qui è impossibile dimenticare il messaggio di Marker per i suoi spettatori - che una persona non può comunque sfuggire al proprio tempo. Per quanto ci sforziamo di perdere noi stessi, saremo sempre trascinati indietro nel mondo, nel qui ed ora. In ultima analisi, non c'è scampo dal presente."
(Jake Hinkson, blogger di Tor Books) 
 
Cineforum Fantafilm 
 
Il cortrometraggio di Marker è stato proiettato al Cineforum Fantafilm dell'amico Andrea "Jarok" Vaccaro il 14 dicembre 2009. Era un lunedì ed ero presente, come al solito pieno zeppo di whisky. Subito dopo, quella stessa sera, è stato proiettato il film di Gilliam, L'esercito delle 12 scimmie. È stata una doppia proiezione. Mentre ho seguito con grande attenzione La Jetée, la mente mi si è sfocata verso la metà di 12 Monkeys, vinta dai fumi del liquore scozzese: mi hanno svegliato quando mi sono messo a russare. Per fortuna avevo già visto al cinema il film interpretato dal simpatico Bruce Willis, all'epoca della sua uscita, e lo ricordavo abbastanza bene. In seguito ho avuto occasione di vedere e rivedere La Jetée, che costituisce per me una vera e propria ossessione; 12 Monkeys finora l'ho rivisto soltanto un'altra volta.

domenica 28 luglio 2019


CARNE

Titolo originale: Carne
Paese di produzione: Francia
Anno: 1991
Durata: 40 min
Rapporto: 2.35 : 1
Genere: Drammatico
Regia: Gaspar Noé
Soggetto: Gaspar Noé
Sceneggiatura: Gaspar Noé
Produttore: Les Cinémas de la Zone
Fotografia: Dominique Colin
Montaggio: Lucile Hadžihalilović
Musiche: Olivier Le Vacon
Interpreti e personaggi:
    Lucile Hadžihalilović: infermiera
    Blandine Lenoir: figlia del macellaio
    Philippe Nahon: macellaio
    Frankie Pain: padrona del locale
    Hélène Testud: cameriera
Sottotitoli in italiano: ZiaMarti & deadkennedys (TnTvillage)
Premi e riconoscimenti: 
    Prix George Sadoul 1991
    Prix des Rencontres Cinématographiques Franco-
         Américaines d'Avignon 1991


Sinossi:
Riporto in questa sede la didascalia che appare all'inizio, in caratteri gialli su uno sfondo scuro e opprimente: 

La viande de cheval, interdite dans la plus part des pays du monde, est pourtant très appréciée du peuple français. Des chevaux provenant des quatre coins du monde, sont quotidiannement dépecés puis commercialisés dans les deux milles boucheries chevalines de France. Cette chair, de nature douceâtre, a la réputation d'être la plus saine des viandes rouges.
Mais par préjugé, à cause de son prix modéré et de sa teinte violacée, certains l'appelent "CARNE".
 

Anche se il francese è soltanto un dialetto del latino volgare, proprio come l'italiano, e per questo dovrebbe essere ben comprensibile a tutti, riporto la traduzione a cura di ZiaMarti e dei deadkennedys: 

La carne di cavallo, proibita nella maggior parte dei paesi del mondo, è invece particolarmente apprezzata dal popolo francese. I cavalli provenienti dai quattro angoli del mondo sono quotidianamente fatti a pezzi e la loro carne messa in vendita nelle duemila macellerie cavalline della Francia. Questa carne di natura dolciastra ha la reputazione di essere tra le carni rosse più salutari in assoluto, ma per pregiudizio a causa del suo prezzo basso e del suo colore violaceo, alcuni la chiamano "CARNE".  


Trama:
È la tetra storia di un macellaio in cui non brilla neppure un barlume dello Spirito. Fatto senza il Verbo, egli è un puro e semplice golem, è come un ammasso di creta semovente mosso dai demoni. Questo essere brutale e osceno ingravida un'operaia, che fugge da lui lasciandogli il frutto della concupiscenza. Così il macellaio gestisce il suo negozio e cresce da solo la figlia, visibilmente ritardata e incapace persino di verstirsi. La lava e cerca di fare di tutto per trattenere la propria natura animalesca, che lo spingerebbe a consumare un rapporto incestuoso. Accade un giorno che la giovane, sconvolta dal suo primo menarca, raggiunge il padre in macelleria. Lui crede che lei sia stata stuprata da un garzone, un saraceno. Così lo raggiunge e gli assesta una pugnalata in corpo. Non riesce nel suo intento omicida, ma viene gettato in carcere. Perde la macelleria e la figlia, incapace di badare a se stessa, viene ricoverata in un manicomio. Scontata la pena, l'energumeno trova lavoro come cameriere in un bar gestito da una procace bionda di mezz'età, con cui finisce con l'avere una relazione. Qui viene la parte più tremenda... 


Recensione: 
Fin dal primo istante ci si trova immersi nell'angoscia e nell'incubo. Quella mostrata da Carne è una realtà degradata, un vero e proprio deserto ontologico. Non sembra nemmeno che sulla sua desolazione splenda lo stesso sole che l'abitudine ci spinge a considerare una preziosa fonte di luce. Persino i colori non sono normali, sembra che tutto viri verso un rosso fosco, quasi bruno, di certo allo scopo di imitare l'aspetto della carne equina sanguinolenta. La colonna sonora è inquietante, induce frenesia. Ho come una certezza in me, emersa dapprima in modo subliminale e poi sempre più esplicito, che in realtà l'intera vicenda non si svolga sul nostro stesso pianeta, bensì in qualche profondissimo recesso delle Tenebre Esteriori.

Alcune note etimologiche

Nel francese gergale, il vocabolo carne "carne equina" è chiaramente un prestito dall'italiano. Si tratta di un doppione di chair "carne", che invece si è evoluta come naturale esito dal latino carnem, forma accusativa di caro "carne". Nei sottotitoli in italiano questa opposizione si perde, dato che sia chair che carne vengono resi nella lingua di Dante con un'unica parola: carne

Una grande verità 

A un certo punto, in uno dei momenti più drammatici della pellicola, il brutale macellaio si protende verso la prosperosa donna bionda che ha davanti a sé. Si slaccia la patta. Prima che che la penetri, stantuffando dentro il suo canale procreativo e riempiendola di sperma, compare lo sfondo nero con una scritta che inchioda lo spettatore:  

LA PLUPART DES EMRYONS SONT CONÇUS PAR ACCIDENT.

La maggior parte  degli embrioni sono concepiti accidentalmente.

Un monito che andrebbe scolpito nel marmo e affisso ad ogni angolo di strada! Eppure l'uomo continua. Verso la fine della pellicola lo vediamo possedere more ferarum l'amante che ormai odia e disprezza - e lo fa con una certa violenza, sempre iniettandole il genetico nella matrice fertile. E pensare che la donna bionda avrebbe potuto soddisfare l'uomo usando la bocca, senza correre il pericolo di rimanere fecondata, senza immettere nel mondo un nuovo dannato! Evidentemente l'energumeno non apprezza neppure la sensuali voluttà della fellatio: in lui tutto è genoma fremente, teso come un argano di balestra da campo. Nessuna consapevolezza, nemmeno l'ombra di un pensiero. Soltanto il buio bestiale di un golem. Non è neppure la bramosia del piacere a muovere quel corpo immane, ma il comando del DNA e in ultima analisi la forza da cui ha origine: IL TERRORE DELLA MORTE! 

giovedì 25 luglio 2019


THE CHIMP

Anno: 1932
Regia:
James Parrott 
Produzione: Hal Roach 
Sceneggiatura: Harley M. Walker
Distribuzione: Metro-Goldwin-Mayer
Dialoghi: Harley M. Walker
Fonico: Elmer Raguse
Durata: 25 min 13 sec
Genere: Comico
Interpreti e personaggi:  
  Stan Laurel e Oliver Hardy, nei panni di sé stessi;
  Charles Gemora (la gorilla Ethel);
  Tiny Sandford (Destructo, il forzuto del circo);
  Jimmy Finlayson (presentatore dei numeri circensi);
  Billy Gilbert (proprietario della pensione);
  Dorothy Granger (Ethel, moglie del proprietario);
  Bobby Burns (pensionante).
Titolo in italiano: Il circo è fallito 

Comicità anarchica 

I copioni dei cortometraggi prodotti da Hal Roach, aventi per protagonisti Laurel e Hardy, subivano aggiustamenti e modifiche durante le riprese. Una cosa tutto sommato naturale e niente affatto rara nel mondo del cinema. Secondo quanto si legge in Laurel and Hardy: The Magic Behind the Movies, di Randy Skretvedt (Bonaventure Press, 2019), ciò accadeva spesso allorché si trattava di testi scritti da Harley M. Walker, accreditato come autore dei dialoghi di “The Chimp”.
L’espressione che meglio si presta a descrivere questo cortometraggio è “comicità anarchica”.
Non vi è traccia alcuna della melassa profusa a piene mani da Charlie Chaplin in “The Circus” (1928): a regnare è il gusto per la sovversione dei ruoli e delle regole, in barba a tutti i canoni.
Per questo “The Chimp”, a quasi novant’anni dalla sua realizzazione, conserva una sorprendente freschezza, cosa che non si può certo dire di opere coeve o posteriori.
Nel cast si segnalano alcuni straordinari caratteristi presenti in altri cortometraggi di Hal Roach. Mi riferisco anzitutto a James Finlayson, l’attore calvo coi baffoni ben noto ai fan di Laurel e Hardy.
Nel ruolo del proprietario della pensione troviamo il bravissimo Billy Gilbert, che molti di voi ricorderanno nei panni del medico ospedaliero in “County Hospital” (1932). Merita una menzione anche Stanley J. "Tiny" Sandford nella parte del forzuto del circo (nel 1933 lo ritroveremo sul set di “Busy Bodies”).
Straordinaria l’interpretazione della gorilla Ethel da parte di Carlos Cruz “Charles” Gemora. Era, questi, un immigrato filippino di piccola statura dalle spiccate doti artistiche. Trovò lavoro come scultore e truccatore a Hollywood e, in seguito, come attore, sempre indossando un costume da gorilla.
In questo ruolo ebbe modo di recitare accanto a Lon Chaney in “The Unholy Tree”, di Jack Conway (1930); Bela Lugosi in “Murders of the Rue Norgue”, di Robert Florey (1932); i Fratelli Marx in “At the Circus”, di Edward Buzzell (1939); Robert Mitchum in “White Witch Doctor”, di Henry Hathaway (1953). 

Pietro Ferrari


Trama: 
Stan e Oliver lavorano presso un circo equestre come inservienti. A causa della loro proverbiale inettitudine provocano il crollo del tendone, facendo fallire il circo. L’impresario, a corto di quattrini, annuncia ai dipendenti che non potendo pagarli in denaro suddividerà fra loro i beni del circo. A ciascuno verrà assegnato ciò che saprà disegnare su un foglio. Oliver si ritrova così proprietario di Ethel, una simpatica e intelligentissima femmina di gorilla; Stan del “circo delle pulci”, una scatoletta piena di insetti molesti. Mentre Oliver tenta di fabbricare con delle assi una gabbia per Ethel, si materializza un leone che prende a inseguire il bizzarro terzetto. Dopo una lunga corsa per le vie della città, i fuggitivi giungono nei pressi di una pensione il cui proprietario, proprio in quel mentre, è in preda a una crisi di gelosia furiosa poiché la moglie, che di nome fa Ethel proprio come la gorilla, è andata chissà dove e tarda a tornare. Mentre Oliver si accinge a firmare il registro degli ospiti, piombano nella hall Stan e Ethel, terrorizzati dal riapparire del leone. Il proprietario dà in escandescenze e intima loro di uscire. A questo punto non resta ai due che ingegnarsi. Oliver entra in una rimessa, si spoglia e fa vestire Ethel con i propri pantaloni, la giacca e il cappello. Lui, a sua volta, indossa la gonna di tulle di Ethel (che è una provetta ballerina). A vestizione conclusa, Stan e la scimmia riescono a farsi ammettere alla pensione. Mentre Oliver attende un segnale dell’amico, vede ricomparire il leone. Urlando per il terrore riesce, non si sa bene come, a chiudere il felino nella rimessa. Stan si affaccia alla finestra e Oliver gli fa segno di lanciargli i propri abiti: l’imbranatissimo Stan lancia i pantaloni dritti su un filo steso poco più sotto. Nel tentativo di recuperarli, Stan e Ethel cadono entrambi addosso al povero Oliver. Dopo aver abbandonato Ethel nei pressi di un cassonetto, i due amici tornano alla pensione. Arrampicandosi per la grondaia, Ethel raggiunge la finestra della loro stanza e vi si introduce, andandosi poi stendere nello stesso letto dove dorme Oliver, cui schiocca un bacio sul collo. Questi lancia un urlo e scaccia la scimmia, dicendole di andare a coricarsi nello sgabuzzino. Ethel obbedisce, ma non senza aver sottratto a Oliver la coperta. A questi non rimane che coricarsi accanto a Stan. Dopo pochi istanti i due cominciano a grattarsi: Stan ha lasciato inavvertitamente aperta la scatola del “circo delle pulci”! Nel frattempo, in una stanza vicina, un anziano pensionante mette in funzione un grammofono. Nell’udire il motivo musicale, Ethel si mette a ballare trascinando con sé Stan nella danza. Oliver esorta ripetutamente Ethel a tornare a letto. Il proprietario della pensione, che ancora rimugina sopra il ritratto della moglie fedifraga, nell’udire le parole di Oliver crede che siano rivolte alla “sua” Ethel e, impugnata una pistola, si precipita verso la stanza dei due amici, intimando loro di aprire la porta. I due fanno appena in tempo a nascondere Ethel nel letto della stanza accanto, quand’ecco che il proprietario fa saltare la serratura con una pistolettata e irrompe nella stanza gridando “Dov’è lei?”. “Lei chi?” replica basito Oliver. “La mia Ethel!” Stan indica senza esitazioni la stanza accanto. Il proprietario, scorgendo una figura nascosta sotto le coperte, attacca una vera e propria filippica – il cui effetto comico è moltiplicato dalle espressioni stupefatte di Stan e Oliver. “Pensa a quello che mi hai fatto, tu, che porti il mio nome, tu, la madre dei miei figli! Tu che io amo più della vita stessa!” In quel preciso istante la moglie del proprietario, rientrata a casa con l’aria trionfante della moglie infedele reduce da un appuntamento con l’amante, fa il suo ingresso nella stanza attirata dal vociare del marito. Questi nel vederla esclama: “Ethel!”. La gorilla, sentendo pronunciare il proprio nome, esce da sotto le coperte. La Ethel depilata scappa in preda al terrore e il marito, per lo spavento, lascia cadere a terra la pistola gridando a Stan e Oliver di portar via la scimmia. Ethel, stanca di tutto quel baccano, afferra la pistola e si mette sparare una gragnuola colpi sul pavimento, facendo fuggire tutti quanti.


Pietro Ferrari 


Alcune considerazioni

Ricordo di aver visto questo filmato quando ero ancora allo stadio larvale! Ne rammento anche un altro, in cui Oliver finiva immerso in una piscina piena di un elisir ringiovanente, emergendone come uno scimpanzé: una splendida satira al darwinismo! Peccato che queste comiche siano sempre state associate alla più estrema superficialità, quando in realtà contengono fulgidi tesori.  

Una constatazione lapalissiana 

Il titolo originale del corto cozza in modo stridente con il fatto che Ethel, la scimmia protagonista, non è affatto uno scimpanzé (genere Pan), bensì un gorilla (genere Gorilla). La forma abbreviata chimp, derivata da chimpanzee, è documentata per la prima volta nel 1877. Il nome esteso chimpanzee è documentato in inglese già nella prima metà del XVIII secolo (1738) e deriva da una lingua Bantu del Congo o dell'Angola (cfr. Kikongo chimpenzi "scimmia") - anche se attualmente non risulta che l'ominide sia presente sul territorio dell'ex colonia portoghese. Come mai il cortometraggio mostra una simile confusione tra grosse scimmie? La risposta è abbastanza semplice: non ci si può aspettare che una persona di cultura anche media avesse, nella prima metà del XX secolo, l'acume e le conoscenze di un tassonomo. Non è poi escluso che la scelta abbia avuto una sua componente estetica: The Gorilla non sarebbe suonato bene come The Chimp.

mercoledì 5 giugno 2019



CONTAMINATION 

Regia: Carl Stevenson
Paese: Regno Unito
Anno: 2004
Categoria: Animazione
Genere: Horror, fantascienza
Sottogenere: Distopia, fantabiologia, fantagenetica 
Durata: 6,23 min
Formato: DVCam

Sinossi
Uno sguardo su un futuro sconvolgente, in cui la contaminazione trasversale di materiale genetico sfugge ad ogni controllo. Utilizzando una combinazione di animazione in 2D e in 3D il film crea un’atmosfera surreale e disturbante, in cui ci si muove alla scoperta di nuove, ibride forme di vita: gatti con la testa di piccione, piccioni con la testa umana e uomini con le ali sono il frutto di una visione, fantastica e inquietante, dei possibili sbocchi di una sperimentazione genetica portata ai limiti estremi.

Recensione: 
Un universo abissale di tenebra profonda, più oleosa della morchia, in cui non attecchisce nemmeno una singola scintilla. Vi regna un solo sovrano assoluto e implacabile: la Disperazione. Non sembra una semplice visione del futuro, per quanto distopico, direi che si tratta piuttosto di uno sguardo nei recessi più bui dell'Ade. Carl Stevenson ci mostra le Tenebre Esteriori, la Valle di Hinnom. Mentre le foglie spettrali cadono dagli scheletri di alberi in cui non alberga traccia di vita, sibilando, sembra di sentire in sé formarsi queste parole: "lasciate ogni speranza, voi ch'intrate". L'Essere non può sussistere in quelle orride vastità delle Ombre, viene degradato, si disperde urlando e gemendo, senza però trovare pace nell'annientamento. Penso che non ci sia nulla di più adatto a descrivere la condizione di Dannazione Eterna. 

Stevenson non poteva sapere niente del Connettivismo, visto che quando produsse il cortometraggio il movimento era ancora in uno stato embrionale. Possiamo però dire che la sua opera è di un estremo interesse e che può essere ritenuta connettivista per via della sua stessa intima natura. 

La Notte dell'Essere

Fu con questa consapevolezza che concepii e realizzai un blog assieme al mio fraterno amico P., il cui nick è Nodens, negli ormai lontani giorni della piattaforma Splinder. Era il 2004. Il portale aveva come titolo La Notte dell'Essere (l'indirizzo era darkmans.splinder.com). Lo utilizzammo per postare immagini tratte da fotogrammi di film che mostravano strani effetti quantistici a causa di un disturbo nella masterizzazione. Le figure umane si sparpagliavano, si ibridavano tra loro e con l'ambiente circostante. Osservare quelle sequenze comunicava sensazioni molto disturbanti. Purtroppo non siamo riusciti a continuare con questo progetto, che non ha comunque riscosso grande plauso nel Web. Il blog esiste ancora, è stato importato prima sulla piattaforma Iobloggo, poi abbandonata a causa della sua decadenza, e infine su Blogspot, dove è consultabile: 


In Cant, un gergo furbesco inglese, darkmans significa "notte".     

Ibridismi verbali  

Ricordo quando io e Nodens, ci ponemmo una domanda per gioco, per sdrammatizzare: cosa succederebbe se provassimo a ibridare un piccione con un filantropo? Ecco il risultato a dir poco mostruoso, purtroppo soltanto a livello di linguaggio scherzoso e non di corpi fisici: 

antropiccionofilo
antropofilopiccione
filopiccionantropo
filantropiccione
picciofilantropo
piccioantropofilo 

Questa operazione, forse un po' infantile, ebbe su di noi l'effetto di una boccata di gas esilarante e ci recò non poco sollievo.

sabato 1 giugno 2019


CON GLI OCCHI DI DOMANI

Anno: 2006
Regia: Mario Gazzola, Walter L'Assainato
Sceneggiatura:
Mario Gazzola, Walter L'Assainato 
Montaggio: Walter L'Assainato
Soggetto: Walter L'Assainato, liberamente ispirato al
      romanzo L'occhio del Purgatorio, di Jacques Spiltz
Fotografia: Walter L'Assainato
Interprete: Vito Longo
Durata: 15,19 min
Genere: Fantascienza, horror
Sottogenere: Distopia, cyberpunk 


Sinossi (da Posthuman.it):
"Con gli occhi di domani" (Regia di Mario Gazzola, Walter L'Assainato - prodotto da posthuman 2006 - 15 minuti) è una storia difficilmente classificabile. Si potrebbe definire un horror metafisico, ambientato in un futuro di tecnologie utopiche e ossessioni. Il protagonista di questa storia è un restauratore. Disperatamente in cerca di modi per verificare se il suo restauro durerà nel tempo. Il B45 è il libro che sta cercando di restaurare... ma qualcosa turba il suo lavoro...

Trama:
Il protagonista del cortometraggio, il dottor Spitz, ha un solo scopo nella propria esistenza: restaurare libri ed essere sicuro della durata del suo lavoro nel tempo. Il problema è che accusa gravi disturbi percettivi. Quando si prepara da mangiare, non vede il cibo. Agisce come per automatismo, portandosi alla bocca "bocconi di niente" e meravigliandosi che abbiano "sempre lo stesso sapore". Presto si capisce il perché. Egli vede ogni cosa come sarà nel futuro. Si è rivolto a uno scienziato offrendosi come cavia di una perigliosa sperimentazione. Così gli è stato praticato un innesto cerebrale in grado di influenzare la sia visione delle cose. Il punto è che i suoi nervi ottici non gli mandano all'encefalo soltanto le immagini dei suoi volumi in restaurazione. Egli vede i bambini come vecchi decrepiti e malati di morbo di Alzheimer, vede gli edifici come ruderi. Il sovraccarico cognitivo lo annienta, costringendolo ad abusare di tranquillanti, fino a giungere al limite estremo della sopportazione. Come Edipo, Spitz si acceca. Si squarcia i globi oculari servendosi di un coltello arrugginito, rendendo un cielo rosso e tiepido di sangue il suo stesso campo visivo, che una volta aveva abbracciato il mondo intero oltre l'orizzonte del presente. Oltre il punto di annichilimento che costituisce il presente.

Recensione:
A causa dell'innesto di un microchip nel cranio, l'infelice restauratore acquista un potere inaudito, quello di scrutare nel crepitante mare di entropia che chiamiamo "futuro", riuscendo a fissare negli occhi il collasso della funzione d'onda ontologica che lo farà diventare presente. Egli sposta la definizione della propria esistenza e del mondo che lo circonda, proiettandola come uno spettro nel reame di ciò che non esiste. Una lacerazione nel tessuto della realtà, una falla nella nostra esperienza presentacea, che lascia irrompere ciò che normalmente non possiamo vedere. Le conseguenze sono destabilizzanti. Il rumore, il ronzio, le variabili fisiche sfocate, prive di definizione. L'Orrore. La mole di informazioni che ne deriva e la loro natura annichilente portano l'uomo alla follia - o forse a una consapevolezza così estrema da essere incompatibile con la sopravvivenza. "Con gli occhi di domani"... ma potremmo benissimo dire "con gli occhi dei Demoni". Ogni cervello contiene un interruttore. Normalmente è spento. Se viene attivato - e in questo caso a farlo è la tecnologia cibernetica - si entra in un universo di una vastità inconcepibile, il cui potere distruttivo è tale da ridurre l'Essere a un pugno di mosche morenti. Questo corto è un capolavoro del Connettivismo!