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domenica 30 gennaio 2022


UNA BREVE NOTA SUI MEROVINGI
E SULLA LORO LINGUA


Quando si formulano ipotesi infondate, come fa Dan Brown, si dovrebbe sempre aver ben presente il contesto dell'epoca in cui si ambientano le proprie fantasie.
A proposito dell'ormai annosa teoria del Sangreal, giova tener presente che i Franchi non erano Francesi nel senso moderno del termine. Erano un'unione di popoli germanici che parlavano dialetti appartenenti in parte all'area dell'Antico Alto Tedesco e in parte a quella dell'Antico Basso Tedesco. Non si esprimevano in idiomi romanzi come la Lingua d'Oïl, all'epoca neppure pienamente formata. Non potevano capirsi con i loro popolani. I Merovingi non si curavano di certo del problema. Carlo Magno, figlio del distruttore della dinastia di Meroveo, si cullava ancora nell'assurda illusione che i suoi sudditi si esprimessero nel Latino degli antichi Romani, integro e puro come quello di Cicerone, come quello di Giulio Cesare.


Questo sovrano, cresciuto analfabeta e rozzo, era tanto distante dalla cultura delle genti del suo regno da ignorare persino l'uso del formaggio. Furono dei monaci a fargli conoscere questo alimento, e all'inizio il chiomuto sovrano ne fu disgustato perché non sapeva come mangiarlo: addentò la rancida crosta come prima cosa e la sputò schifato, chiedendosi come mai potesse un essere umano godere un cibo tanto immondo. Solo come gli fu insegnato a mangiare la polpa, divenne un grande estimatore della produzione casearia. 
 
Fu Alcuino, monaco dottissimo, a mettere a Carlo la pulce nell'orecchio, e questi ordinò un'indagine accurata tra le genti sottoposte al suo potere per accertare quale lingua parlassero. I risultati mostrarono che senza alcun dubbio i popolani non erano capaci di comprendere i loro pastori. A questo punto in poi la politica franca cominciò a cambiare. 
 
Il Giuramento di Strasburgo, formulato in Antico Alto Tedesco e in una forma ancora grossolana di lingua neolatina sono una testimonianza della volontà di comunicazione di Carlo il Calvo (823 - 877) e di Ludovico il Germanico (804 ? - 876). Carlo giurò in tedesco antico e Ludovico in romanzo, per farsi capire dai rispettivi eserciti, ma è del tutto chiaro che entrambi i sovrani, che erano fratelli, si esprimevano nel loro ambiente usando la stessa lingua avita, di chiara origine germanica. 

Ludovico:
Pro Deo amur et pro christian poblo et nostro commun salvament, d'ist di in avant, in quant Deus savir et podir me dunat, si salvarai eo cist meon fradre Karlo et in aiudha et in cadhuna cosa, si cum om per dreit son fradra salvar dift, in o quid il mi altresi fazet et ab Ludher nul plaid nunquam prindrai, qui, meon vol, cist meon fradre Karle in damno sit.

Carlo: In Godes minna ind in thes christianes folches ind unser bedhero gehaltnissi, fon thesemo dage frammordes, so fram so mir Got gewizci indi mahd furgibit, so haldih thesan minan bruodher, soso man mit rehtu sinan bruher scal, in thiu thaz er mig so sama duo, indi mit Ludheren in nohheiniu thing ne gegango, the minan willon, imo ce scadhen werdhen.

Esercito di Carlo: Si Lodhuvigs sagrament que san fradre Karlo jurat conservat et Karlus, meos sendra, de suo part non l'ostanit, si io returnar non l'int pois, ne io ne neuls cui eo returnar int pois, in nulla aiudha contra Lodhuwig nun li iu er.

Esercito di Ludovico: Oba Karl then eid then er sinemo bruodher Ludhuwige gesuor geleistit, indi Ludhuwig, min herro, then er imo gesuor forbrihchit, ob ih inan es irwenden ne mag, noh ih noh thero nohhein, then ih es irwenden mag, widhar Karle imo ce follusti ne wirdoohg.

Per rendere il tutto più chiaro ai lettori, fornisco alcuni scritti germanici dell'epoca, esempi rappresentativi dell'Alto Tedesco: diverse versioni del Padre Nostro, che i missionari cristiani sentirono di non poter comunicare direttamente nella forma latina.

Questa è la versione nella lingua degli Alemanni di San Gallo, risalente all'VIII secolo d.C.:

Fater unseer, thu pist in himile,
uuihi namun dinan,
qhueme rihhi diin,
uuerde uuillo diin,
so in himile sosa in erdu.
prooth unseer emezzihic kip uns hiutu,
oblaz uns sculdi unsero,
so uuir oblazem uns skuldikem,
enti ni unsih firleiti in khorunka,
uzzer losi unsih fona ubile.

Questa è la versione nella lingua dei Franchi della Renania Meridionale, databile al IX secolo d.C.:

Fater unsêr, thu in himilom bist,
giuuîhit sî namo thîn,
quaeme rîhhi thîn,
uuerdhe uuilleo thîn,
sama sô in himile endi in erthu.
Broot unseraz emezzîgaz gib uns hiutu,
endi farlâz uns sculdhi unsero,
sama sô uuir farlâzzêm scolôm unserêm,
endi ni gileidi unsih in costunga,
auh arlôsi unsih fona ubile.

Per ultima, riporto la versione nella lingua dei Franchi Orientali, sempre del IX secolo.

Fater unser, thū thār bist in himile,
sī geheilagōt thīn namo,
queme thīn rīhhi,
sī thīn uuillo,
sō her in himile ist, sō sī her in erdu,
unsar brōt tagalīhhaz gib uns hiutu,
inti furlāz uns unsara sculdi
sō uuir furlāzemēs unsarēn sculdīgōn,
inti ni gileitēst unsih in costunga,
ūzouh arlōsi unsih fon ubile.

Si paragonino ora questi testi con la preghiera in Gotico redatta dal vescovo ariano Wulfila nel IV secolo d.C.:

Atta unsar, þu in himinam,
weihnai namo þein,
qimai þiudinassus þeins,
wairþai wilja þeins,
swe in himina jah ana airþai.
Hlaif unsarana þana sinteinan gif uns himma daga,
jah aflet uns þatei skulans sijaima,
swaswe jah weis afletam þaim skulam unsaraim,
jah ni briggais uns in fraistubnjai,
ak lausei uns af þamma ubilin;
unte þeina ist þiudangardi
jah mahts jah wulþus in aiwins.
Amen


(þ = th come nell'inglese thin; ei = i lunga; ai = e lunga aperta; au = o lunga aperta; e = e lunga chiusa; o = o lunga chiusa; iu ha l'accento su i; gg = ng come nell'inglese sing; gk = nk)

La Conoscenza smaschera gli impostori.

martedì 25 gennaio 2022


I MEROVINGI: LA PRIMA DINASTIA DI FRANCHI

La dinastia dei Merovingi trae il suo nome da Meroveo, re dei Franchi nato nel 411 e morto nel 456. Meroveo (francese Mérovée) deriva direttamente da Meroveus, latinizzazione del franco Merowech. Il suffisso -ing è un ben noto mezzo espressivo germanico usato per indicare i discendenti di un capostipite nobile. È importante tenere presente che i Franchi erano una coalizione di popoli della Germania renana, e parlavano un idioma germanico, non l'antenato del francese, che è invece una lingua neolatina. La prima citazione di Meroveo si trova in Gregorio da Tours, storico gallo-romano e vescovo, che nelle Grandi Cronache di Francia lo indica come successore di Clodione il Capelluto. Non si riesce tuttavia a capire da questa informazione se Meroveo fosse figlio di Clodione. Tra i Germani non esistevano a quell'epoca concetti come la successione ereditaria e il diritto di primogenitura. Contava solo che i sovrani fossero scelti all'interno della tribù regale. Si pensa che Meroveo combatté come alleato dei Romani nella terribile battaglia dei Campi Catalaunici nel 451, conclusasi con una vittoria di Pirro contro gli eserciti di Attila.

Già gli antichi misero in dubbio la vera origine di Meroveo, e a questo proposito sono note due diverse leggende. La prima, più antica, era di certo un residuo del paganesimo dei Franchi, che si convertirono al Cristianesimo Romano soltanto sotto il merovingio Clodoveo, ispirato da un calcolo politico più che da autentiche convinzioni religiose. Si narra che la moglie di Clodione stesse in riva al mare, e che dalle acque scaturì un gigantesco toro in calore. La regina copulò con la bestia mostruosa, restando incinta proprio di Meroveo. Per alcuni addirittura il nuovo nato avrebbe avuto caratteristiche fisiche anomale che ne denunciavano l'origine ferina. I fautori di questa spiegazione derivano l'antroponimo Merowech dall'antica radice mer- 'mare', che si trova anche nel gotico marei, parente del latino mare, del celtico more e dello slavo morje. In realtà è più probabile che mero- sia simile al gotico mereis 'glorioso'. Nessun dubbio invece su -wech, -wig, che significa 'guerriero': allo stesso modo Clodoveo significa 'guerriero famoso'.

La seconda leggenda è invece più tarda, e risale di certo ad un'epoca in cui i Franchi erano stati cristianizzati, quindi non prima della fine del V secolo. Secondo questa narrazione, Gesù sarebbe stato lo sposo di Maria Maddalena e avrebbe generato figli con lei. Maria Maddalena sarebbe fuggita dalle persecuzioni dei Romani assiema a Maria di Betania, a Marta di Betania e a Maria madre di Gesù, trovando scampo nella Gallia Narbonese, che è l'attuale Provenza. Dalla zona palustre oggi conosciuta come Camargue, vicino all'importante città di Arelate (attuale Arles), la Maddalena avrebbe navigato sul Rodano con le sue compagne di sventura, fino ad incontrare la tribù dei Franchi. Ora, i Franchi sono descritti da queste dubbie fonti come una delle tribù di Israele, per la precisione come discendenti di Beniamino fuggito alla repressione operata dai Romani in Giudea. Questa ipotesi, riportata in vita da Baigent e da Dan Brown, è contraddetta in modo palese dalla realtà dei fatti.

I Franchi non avevano nulla a che vedere con gli Ebrei, e anche l'archeologia lo dimostra. Come conciliare con la pretesa origine mediorientale di questi germani il fatto che sono costantemente descritti da tutte le fonti allo stesso modo di tutti gli altri nordici, come dotati di pelle chiarissima, occhi azzurri e capelli biondi? Sappiamo con precisione l'origine dei Franchi, che si sono formati dall'unione di tribù più antiche come i Chatti, i Cauchi, i Tencteri, gli Usipeti, i Sigambri. Si sa anche che alcuni popoli loro simili, come gli Angrivari, rimasero tagliati fuori dalla coalizione e non accettarono di essere cristianizzati finché Carlomagno non li costrinse con la forza tra la fine del VIII secolo e l'inizio del IX. Quando Clodoveo fu battezzato, il vescovo Remigio di Reims che gli diede il sacramento, trovò necessario esortarlo con una frase rimasta famosa: "Fiero Sigambro, brucia ciò che hai adorato e adora ciò che hai bruciato!".

Il primo franco noto con questo etnonimo fu Arbogaste (Arbogast), un generale politeista che combatté contro la tirannia di Teodosio nel IV secolo, finendo disfatto assieme al suo protettore Eugenio. Fu adoratore di Wotan il duca Pharamond, padre di Clodione, e lo fu allo stesso modo lo fu Meroveo. Non è difficile immaginare che all'epoca dei primi Merovingi la situazione non fosse pacifica, e i sentimenti anticristiani fossero molto potenti: era in corso una guerra di religione. In tutto questo scenario ben attestato non può in alcun modo inserirsi la storia di Maria Maddalena. Le incongruenze e gli anacronismi sono insormontabili anche dal punto di vista linguistico e geografico. Dovremmo sorvolare sul fatto che Sangue Reale nella lingua dei Franchi parlata in epoca carolingia si diceva Kuninges Pluot (quasi come il tedesco moderno königlich Blut): la locuzione germanica è una sorgente improbabile per il termine Sangreal. Dovremmo ignorare che il Rodano nasce in quella che oggi è la Svizzera, e che non scorre in regioni sottoposte al potere franco nel V secolo. Ai tempi di Augusto la Renania era sotto il controllo di Roma, e la Maddalena avrebbe dovuto navigare sul Reno verso il Mare del Nord e addentrarsi in pericolose foreste per trovare gli antenati dei Franchi. A scanso di equivoci, aggiungo che il famoso sito di
Rennes-le-Château  ha una collocazione a dir poco eccentrica rispetto a tutto ciò che ha a che fare con i Franchi.

Il mito dell'origine dalla stirpe di Gesù e di Maria di Magdala nacque in un'epoca in cui non esistevano conoscenze di etnologia e di storia. A seguito della cristianizzazione, i Franchi avevano perso parte del proprio passato in una vera e propria operazione di etnocidio, come spesso avveniva quando un popolo pagano si poneva sotto il dominio della Chiesa di Roma. Quando i primi storici dei Franchi ci dicono che Clodoveo aveva venerato gli Dei della Grecia, dimostrano solo quanto fu efficace a distanza di un secolo la rimozione di un intero patrimonio culturale.

Lo scopo della leggenda del Sangue Reale è evidente: serviva ai Merovingi cristianizzati per assicurarsi un potere mistico, quando la loro scarsa abilità con le armi non poté più garantire loro il pieno controllo sul popolo franco. Infatti la dinastia dopo Clodoveo subì un rapido processo di degenerazione. Si parlò di Re Fannulloni, che non erano neppure più capaci di impugnare un'arma a causa della loro temperatura corporea costantemente superiore alla media. Il potere effettivo andò così ad una nuova figura capace di gestire gli eserciti: il Maestro di Palazzo, detto anche Maggiordomo. La causa di questo è chiara e va ricercata nell'endogamia. I reiterati matrimoni tra consanguinei stretti avevano propagato un qualche difetto genetico, come si può oggi notare tra le genti della Micronesia, in cui intere popolazioni soffrono di sindromi parkinsoniane o sono cieche ai colori. Si racconta come vivevano questi discendenti di Meroveo. Assieme al loro seguito viaggiavano su carri, e giunti alla dimora di un nobile vi si installavano, divorando ogni commestibile e bevendo a dismisura. Quando le dispense e le cantine non avevano più nulla da offrire, partivano alla ricerca di una nuova fonte di approvvigionamenti.

Conservavano molti costumi del loro passato pagano, come quello che li costringeva ad essere intonsi, ossia a non tagliarsi mai capelli e barba. Trasformare i difetti in virtù era necessario a quei tempi, così nacque l'idea che il Re fosse in grado di risanare i malati con il solo tocco delle mani. Per dare una giustificazione storica di questo preteso potere, l'origine dal Sangue Reale poteva servire molto bene. Gesù infatti era a tutti noto per le miracolose guarigioni che era in grado di operare. Secoli dopo si sarebbe parlato ancora dei Re Taumaturghi. Tra le altre usanze bizzarre si menzionano la poligamia e la trapanazione del cranio dei morti. Queste sono tradizioni che hanno una spiegazione nell'ambito dell'antichità precristiana europea. Se proprio si vogliono trovare contatti con l'antica cultura egiziana, più che una Chiesa Gnostica nascosta vengono in mente le menzioni di Tacito sul culto di Iside tra i Suebi.

Le generazioni si susseguirono, e la stirpe merovingia sembrava essere destinata a un'eterna vita nell'agonia, ma qualcosa andava cambiando. Il potere dei Maggiordomi premeva e minacciava la dinastia decennio dopo decennio: un potere concreto, fatto di ferro, di complotti e di ferocia. Il rapporto tra il Re e il Maestro di Palazzo era in tutto e per tutto simile a quello che in Giappone si produsse tra l'Imperatore e lo Shogun. La stirpe che deteneva il comando militare sarebbe stata destinata a rimpiazzare i vecchi re e ad acquisire grande gloria: era la stirpe dei Carolingi.

Il quarantaseiesimo e ultimo merovingio fu Childerico III. Noto con il significativo soprannome di Re Idiota o addirittura Re Fantasma, fu riconosciuto come sovrano dai Maggiordomi Carlomanno e Pipino il Breve, dopo sette anni di trono vacante. Qualcuno avanza persino il dubbio che fosse un autentico discendente di Meroveo. Con tutta probabilità era un figlio di Chilperico II, ma non esistono prove certe a questo riguardo. Si trascinò in un'ingloriosa esistenza da fantoccio, finché Pipino il Breve ebbe sufficiente coraggio per deporlo. In una lettera scritta al Papa Zaccaria, Pipino gli chiedeva retoricamente se dovesse essere re chi aveva ereditato il titolo in virtù del suo sangue o chi invece il potere lo deteneva davvero. La risposta del Pontefice fu chiara e dura: doveva essere Re chi esercitava il potere. Così avvenne che nel 751 Papa Stefano II, succeduto nel frattempo a Zaccaria, diede disposizione che Childerico III fosse privato del suo titolo e che il suo cranio fosse completamente rasato. Pipino alla lettera deposit et tonsit l'ultimo dei Merovingi, quia non erat utilis, perché non era utile. Rinchiuso in un monastero, Childerico morì pochi anni dopo di stenti e di crepacuore.

I sostenitori della teoria del Sang Real di solito indicano erroneamente in Dagoberto II l'ultimo dei Merovingi, ma questi era il trentanovesimo rappresentante della dinastia, morto nel 679. Tra lui e Childerico III ci furono ben sei regnanti dello stesso sangue: Teodorico III, Clodoveo II, Childeberto II, Dagoberto III, Chilperico II e Teodorico IV. Una tradizione vuole che Dagoberto fosse padre delle sante Erminia e Adele. Che si sappia non lasciò eredi diretti. Un figlio chiamato Sigisberto pare proprio il frutto di una falsificazione storica, come tutto ciò che ha a che fare con il Priorato di Sion.

Comunque la si metta, l'ipotesi della discendenza dei Merovingi da Gesù non implicherebbe in alcun modo che Gesù fosse interamente umano, come spesso si sente dire. Secondo l'idea della Chiesa di Roma, Gesù avrebbe avuto due nature in sé: quella umana e quella divina. Quindi, seguendo questa contorta teologia, si potrebbe pensare credibile che Cristo abbia generato figli, ferma restando la sua resurrezione. Per questo motivo i Merovingi non furono condannati come eretici dal potere di Roma. Invece la religione Catara è ferma a questo riguardo: Cristo, che non mangiò col corpo e non ebbe un corpo di carne, non può in alcun modo aver emesso seme e procreato una discendenza di qualsiasi tipo. Una simile storia sarebbe stata rifiutata da tutti i Buoni Uomini come falsa e blasfema. 

lunedì 20 dicembre 2021

 
PSYCO

Titolo originale: Psycho
Paese di produzione: Stati Uniti d'America
Lingua: Inglese
Anno: 1960
Durata: 109 min
Dati tecnici: B/N
Rapporto: Widescreen
Genere: Giallo, orrore, thriller
Regia: Alfred Hitchcock
Soggetto: Robert Bloch (romanzo omonimo)
Sceneggiatura: Joseph Stefano
Produttore: Alfred Hitchcock
Casa di produzione: Shamley Productions
Distribuzione in italiano: Paramount
Fotografia: John L. Russell
Montaggio: George Tomasini
Effetti speciali: Clarence Champagne
Musiche: Bernard Herrmann
Scenografia: Robert Clatworthy, Joseph Hurley e George Milo
Interpreti e personaggi:
    Anthony Perkins: Norman Bates
    Janet Leigh: Marion Crane
    Vera Miles: Lila Crane
    John Gavin: Sam Loomis
    Martin Balsam: Milton Arbogast
    John McIntire: Sceriffo Al Chambers
    Simon Oakland: Dottor Fred Richmond
    Vaughn Taylor: George Lowery
    Frank Albertson: Tom Cassidy
    Lurene Tuttle: Eliza Chambers, moglie dello sceriffo
    Patricia Hitchcock: Caroline, la collega di Marion
    John Anderson: Charlie
    Mort Mills: Poliziotto di pattuglia
    Fletcher Allen: Poliziotto sul marciapiede
    Alfred Hitchcock: Uomo con cappello texano
    Ted Knight: Guardia
Doppiatori originali:
    Virginia Gregg: Voce di Norma Bates
Doppiatori italiani:
    Pino Locchi: Norman Bates
    Rosetta Calavetta: Marion Crane
    Lydia Simoneschi: Lila Crane
    Giuseppe Rinaldi: Sam Loomis
    Nando Gazzolo: Milton Arbogast
    Giorgio Capecchi: Sceriffo Al Chambers
    Emilio Cigoli: Dottor Fred Richmond
    Manlio Busoni: George Lowery
    Luigi Pavese: Tom Cassidy
    Franca Dominici: Signora Chambers
    Flaminia Jandolo: Caroline, collega di Marion
    Cesare Barbetti: Charlie
    Renato Turi: Poliziotto di pattuglia
    Wanda Tettoni: Voce di Norma Bates
Titoli in altre lingue: 
   Francese: Psychose
   Spagnolo: Psicosis
   Catalano: Psicosi
   Greco: Ψυχώ
   Polacco: Psychoza
   Turco: Sapık
   Quechua: Waq'akay 
Budget: 806.947 dollari US
Box office: 50 milioni di dollari US 

Trama: 
La segretaria immobiliare di Phoenix, Marion Crane, ruba 40.000 dollari in contanti al suo datore di lavoro dopo aver sentito il suo ragazzo, Sam Loomis, lamentarsi dei debiti e del loro potere ritardante sui progetti matrimoniali. Marion parte per recarsi a casa di Sam a Fairvale, in California, poi cambia auto dopo aver incrociato un poliziotto sospettoso. Un forte temporale costringe Marion a fermarsi al Bates Motel, un edificio cadente a poche miglia da Fairvale. Norman Bates, il proprietario, la cui casa in stile Secondo Impero si affaccia sul motel, registra Marion (che usa uno pseudonimo) e la invita a consumare un pasto leggero con lui nell'ufficio del motel. Quando Norman torna a casa per recuperare il cibo, Marion lo sente discutere animatamente con sua madre, un'arpia isterica, che non vorrebbe permettergli quella cena. Norman torna da Marion e le parla della sua passione per la tassidermia, della "malattia" di sua madre e di come le persone hanno una "trappola privata" da cui vogliono scappare. Tuttavia, quando la donna suggerisce a Norman di ricoverare sua madre, lui si offende molto. Presa da paura e sensi di colpa, Marion decide di tornare a Phoenix la mattina seguente per restituire il denaro rubato. Mentre fa la doccia, una figura oscura entra nel bagno e la pugnala a morte. Poco dopo, Norman viene a controllare l'ospite, solo per scoprire il suo cadavere. Inorridito, ripulisce in fretta e furia la scena del delitto, quindi mette nella macchina della donna il cadavere, gli oggetti e il denaro nascosto. Completato il carico, affonda l'auto in una palude, come offerta ai Demoni. La sorella di Marion, Lila, arriva a Fairvale una settimana dopo e racconta a Sam Loomis del furto. Chiede con insistenza dove si trova Marion. Lui nega di sapere alcunché della sua scomparsa. L'investigatore privato Arbogast, il cui cognome ha origine dal nome di un eroe dei Franchi, si avvicina ai due, dicendo loro che è stato assunto per recuperare i soldi. Si ferma quindi al Bates Motel e interroga lo squallido Norman, che suscita i suoi sospetti a causa del comportamento nervoso e delle risposte incoerenti. Arbogast procede ad esaminare il registro degli ospiti e scopre dalla calligrafia che Marion ha trascorso una notte nel motel. Quando ne deduce che Marion aveva parlato con la madre di Norman. Chiede di parlare alla vecchiarda folle, ma Norman non glielo permette. Decide di entrare comunque nella casa fatiscente per per cercare la convulsionaria, ma emerge dalla camera da letto una figura oscura che lo pugnala a morte. Quando Sam e Lila non ricevono notizie dal detective, si dirigono al motel a cercarlo. Sam intravede una sagoma spettrale in casa e presume sia proprio la madre di Norman. I due allertano lo sceriffo locale, che dice loro una cosa inattesa quanto inquietante: la madre di Norman è morta in un omicidio-suicidio per avvelenamento da stricnina, ben dieci anni prima. Lo sceriffo suggerisce che Arbogast abbia mentito in modo da poter inseguire Marion e i soldi. Convinti che sia successo qualcosa all'investigatore, Lila e Sam ritornano al decadente motel. Sam distrae Norman in ufficio mentre Lila si intrufola in casa. Insospettito, Norman si agita e fa perdere i sensi a Sam. Mentre si reca nella dimora, Lila si nasconde nella fruttaia, dove scopre il corpo mummificato della vecchia megera: urla inorridita e Norman, indossando abiti da donna e una parrucca, entra nella cantina per cercare di pugnalarla. Giunge Sam e lo sconfigge. Alla stazione di polizia, uno psichiatra spiega che Norman ha ucciso sua madre e il suo amante dieci anni prima, mosso dalla gelosia. Incapace di sopportare il senso di colpa, ha mummificato il cadavere della madre, iniziando a trattarlo come se lei fosse ancora viva. Ha ricreato sua madre come una personalità alternativa, insopportabile, gelosa e possessiva nei suoi confronti. Ogni volta che Norman è attratto da una donna, lo spettro della madre prende il sopravvento e si impossessa del suo corpo. È una larva diabolica. Prima di Marion e Arbogast, aveva già ucciso due donne. Lo psichiatra conclude che la personalità demoniaca della madre ha ormai pervaso completamente quella di Norman, al punto che non si può più parlare di due esseri separati. Il folle si trova in una cella di prigione e sente nel suo cranio la voce della madre che gli attribuisce tutta la colpa degli omicidi, cercando di dilaniarlo col rimorso. Nel frattempo l'auto di Marion, che contiene i suoi resti e il denaro rubato, viene recuperata dalla palude. 


Recensione: 
Sicuramente tra i massimi capolavori del Maestro Hitchcock, questo film costituisce una sorta di "punto di svolta" per l'intero genere thriller, avendo portato ad altissime vette il personaggio dello psicolabile seviziatore. A partire da Norman Bates, è stato fondato il prototipo dell'Alienato nella Settima Arte! L'architettura narrativa di Psyco è di un'originalità molto spinta, direi quasi ardita. Tutto si fonda sul rapporto innaturale, morboso, aberrante tra un figlio non svezzato e una madre-carnefice che lo vede come una parte non scissa del proprio ventre. Simili atrocità non mancano affatto nel mondo reale: anzi, sono più comuni di quanto non si creda, soprattutto in una società patogena come quella americana. Riguardare a distanza di anni questo gioiello è una vera e propria boccata d'ossigeno, considerato che si soffoca in un oceano di banalità e di inutili stronzate perennemente ripetute! 


Il romanzo di Bloch e i fatti 

La pellicola di Hitchcock è basata sul romanzo Psycho, opera dello scrittore americano Robert Bloch (1917 - 1994) e pubblicato per la prima volta nel 1959. Nel novembre del 1957, due anni prima che Psycho fosse pubblicato, un certo Edward Theodore "Ed" Gein fu arrestato a Plainfield, in Wisconsin, per l'assassinio di due donne (la pronuncia del cognome è /gi:n/). La polizia, perquisita l'abitazione dell'omicida, trovò mobili, posate e persino abiti fatti usando parti di cadaveri, soprattutto la pelle. Gli psichiatri, esaminati i macabri reperti, giunsero alla conclusione che il mostro intendeva ricreare un costume femminile da indossare per impersonare ritualmente la madre morta, descritta dai vicini come un'odiosa donna puritana che lo dominava completamente. Al momento dell'arresto di Gein, che era anche un necrofilo e un profanatore di tombe, Bloch viveva a 35 miglia (56 km) da Plainfield, in un luogo chiamato Weyauwega. Sebbene lo scrittore non fosse a conoscenza del caso Gein in quel momento, né tantomeno immaginava che quell'individuo funesto penetrasse l'ano dei morti, ebbe come un presentimento e iniziò a stendere la sua opera con "l'idea che l'uomo della porta accanto potrebbe essere un mostro insospettabile anche nel microcosmo pieno di pettegolezzi della vita di una piccola città". Il romanzo, uno dei tanti scritti da Bloch su assassini pazzi, era quasi completato quando Gein e le sue attività furono rivelate, in modo del tutto insperato. A questo punto Bloch inserì una riga che alludeva a Gein in uno dei capitoli finali. L'autore rimase sorpreso anni dopo quando venne alla sua attenzione la notizia che Gein viveva in isolamento con una madre fanatica religiosa. Così, tutto d'un tratto, "ha scoperto quanto il personaggio immaginario che avevo creato somigliasse al vero Ed Gein, sia nell'atto palese che nella motivazione apparente" (Paula Guran, 1999). Nel romanzo, il personaggio di Marion era Mary Crane. Il nome è stato cambiato perché l'ufficio legale dello studio ha scoperto che due persone reali il cui nominatovo era Mary Crane vivevano a Phoenix, in Arizona. Inoltre, sempre nell'opera di Bloch, Norman Bates è basso, grasso, di mezza età e decisamente odioso. Fu Hitchcock a decidere di presentarlo giovane, bello e simpatico. Norman è molto più di un personaggio principale nelle intenzioni dello scrittore. Infatti la storia si apre con Norman e la madre che litigano, anziché seguire Mary dall'inizio. Il personaggio di Ed Gein ha avuto molta fortuna nella Settima Arte, ispirando altre tre pellicole:
 
1) Non aprite quella porta (The Texas Chain Saw Massacre, 1974), diretto da Tobe Hooper: Gein è rappresentato dal personaggio Leatherface, interpretato da Gunnar Hansen;
2) Deranged - Il folle (Deranged, 1974), diretto da Jeff Gillen e Alan Ormsby: Gein è rappresentato dal personaggio Ezra Cobb, detto Macellaio di Woodside, interpretato da Robert Blossom;
3) Il silenzio degli innocenti (The Silence of the Lambs, 1991), diretto da Jonathan Demme: Gein è rappresentato dal personaggio di Jame Gumb, detto Buffalo Bill, interpretato da Ted Levine.

Origine del cognome Gein

Il cognome del killer deriva dallo yiddish kheyn "grazia, fascino", a sua volta dall'ebraico חֵן khen "grazia, fascino, piacevolezza". Il termine yiddish è passato in olandese informale come gein "piacere, divertimento", "scherzo" (pronuncia /ɣɛɪn/), da cui si è formato il cognome in questione. 


Pronuncia di Psycho e adattamento ortografico 
 
In italiano il titolo originale del film ha subìto lievi modifiche, diventando Psyco, per evitare che qualcuno pronunciasse il digramma -ch- come un suono palatale. La pronuncia prescritta era /'psaiko/. Bastava vedere ch in una qualsiasi parola anglosassone, ed ecco che c'era chi la pronunciava come una fricativa postalveolare (detta dal volgo "c di cena"), proprio a causa dell'insegnamento scolastico pedantesco. Un altro fatto piuttosto bizzarro è il restauro nella pronuncia del gruppo consonantico /ps/, soltanto grafico nella parola inglese, la cui pronuncia è /'saɪkoʊ/, /'saɪkəʊ/. La mentalità italiana crede che la lingua scritta preceda quella parlata e parte sempre dalla forma scritta, assegnandole una pronuncia. Nel Bel Paese quasi nessuno riesce a capire che la lingua parlata è la sola vera e che la lingua scritta è un puro e semplice artificio. Così, a causa dell'inaccettabilità delle "lettere mute", si è prodotta la pronuncia semiortografica /'psaiko/.

Il glorioso nome Arbogast 

Flavio Arbogaste (Flavius Arbogastes) era un militare franco naturalizzato romano. Esercitò il potere effettivo nel corso del regno del debolissimo Imperatore Valentiniano II, opponendosi con vigore alla cristianizzazione. Finì suicida in seguito alla disfatta nella battaglia del Frigido (tra il 5 e il 6 settembre del 394 d.C.), che segnò il trionfo dell'Imperatore romano d'Oriente Teodosio I sull'Augusto d'Occidente Flavio Eugenio. Il nome Arbogast significa "Ospite dell'Eredità" (protogermanico *arbijan "eredità", *gastiz "ospite"). Non è chiaro come abbia fatto in concreto il Maestro a prendere ispirazione da un militare germanico vissuto nel IV secolo d.C., proprio allo scopo di dare questo cognome al personaggio del film. Converrete che è una cosa davvero molto strana e a prima vista sorprendente. In realtà non sembra necessario presupporre che Hitchcock fosse un appassionato di filologia germanica come il sottoscritto. Da ulteriori indagini da me condotte, risulta infatti che un cognome Arbogast esista realmente in Francia e negli Stati Uniti d'America. Ecco alcuni personaggi insigni che lo hanno portato o lo portano tuttora: 

i) Antoine Arbogast, matematico francese
ii) Carl Arbogast, federale statunitense ideatore di un metodo per il taglio selettivo (selection cutting) in silvicoltura (detto Metodo Arbogast)
iii) Luc Arbogast, cantautore francese
iv) Roy Arbogast, effettista statunitense
v) Thierry Arbogast, direttore della fotografia francese
vi) Todd Arbogast, matematico statunitense noto per i suoi lavori sulla modellazione sottosuperficiale. 

Questi invece sono personaggi immaginari che portano il cognome Arbogast

i) Detective Milton Arbogast, investigatore privato interpretato da Martin Balsam nel film Psyco (1960) di Alfred Hitchcock;
ii) Carl Arbogast, personaggio interpretato da River Phoenix nel film I signori della truffa (Sneakers, 1992) di Phil Alden Robinson - se ben ricordo era il matematico la cui amante scopava come una matta ma non gli faceva i pompini;
iii) Dr. Larry Arbogast, personaggio interpretato da Danny DeVito nel film Junior (1994) di Ivan Reitman;
iv) Finn Arbogast, fondatore della Chaos Terrain nel romanzo Armada (2015) di Ernest Cline. 

Resta ora il problema di come abbia fatto l'antroponimo Argobast a diventare un cognome. A parer mio non è necessario pensare che si tratti di famiglie discendenti da Flavio Arbogaste - nonostante si sia individuato un suo nipote (o pronipote), anch'esso chiamato Arbogaste (seconda metà del V secolo). È poi esistito un vescovo e santo di nome Arbogaste (morto nel 678 d.C.), fondatore della cattedrale di Strasburgo, inviato in Alsazia dai Merovingi. Il fatto che si sia conservata integra la fonetica del nome nel cognome Arbogast sopravvissuto in epoca contemporanea, senza alcuna forma di usura genuina del volgo, potrebbe far pensare a una reintroduzione dotta. Le alternative sono due:
1) Qualche uomo a un certo punto deve essersi fatto notare per indole anticristiana, venendo soprannominato Arbogast da un chierico antiquario. 
2) Qualche uomo doveva essere particolarmente devoto a Sant'Arbogaste di Strasburgo (in latino Sanctus Arbogastus), ricevendone quindi il nome.
L'ipotesi più credibile sembra essere la seconda. 
 
 
Elementi autobiografici

Secondo i biografi, Alfred Hitchcock aveva un rapporto travagliato con la propria madre, che era molto prepotente, quasi come la signora Bates: lo costringeva a stare ai piedi del suo letto e a raccontarle tutto quello che gli era successo durante la giornata. Era una dominatrice severissima, che schiacciava il suo figlio-schiavo, lo annichiliva. Si riporta che il rapporto di Hitchcock con la madre non fosse comunque così malsano e disturbato come quello visto nel film; si converrà che è difficile ormai accertare i fatti con la massima precisione. Sarebbe considerato scandaloso affermare che la madre del regista fosse folle come la Signora Bates, così si tende a sorvolare sull'argomento. Resta soltanto una cosa certa: Hitchcock non è mai diventato un serial killer, anche se questo si deve forse alla sua grande forza morale, che gli ha permesso di resistere a condizioni spaventose.

Curiosità 

Hitchcock acquistò i diritti del romanzo di Robert Bloch in forma anonima per soli 9.000 dollari. Quindi acquistò quante più copie cartacee gli fosse possibile, cercando con ogni mezzo di mantenere segreto il finale.
 
Dopo l'uscita di Psyco, il Maestro del Brivido ha ricevuto una lettera furiosa dal padre di una ragazza che si era rifiutata di fare il bagno dopo aver visto I diabolici (Les Diaboliques) di Henri-Georges Clouzot (1955), e ora si rifiutava di fare la doccia dopo aver visto questo film. Rischiava di emanare lezzi pestilenziali di formaggio rancido! Il geniale cineasta ha risposto con un messaggio lapidario, senza scomporsi: "La mandi in una lavanderia a secco"

Nella scena iniziale, Marion Crane indossa un reggiseno e una sottoveste di colore bianco, prima di vestirsi con un abito tutto bianco completo di borsetta bianca. Hitchcock ha fatto quella scelta di guardaroba per dimostrare che Marion era buona e pura. Dopo che la donna ha rubato i soldi al suo capo, nella scena seguente compare mentre fa le valigie ed è semivestita con un reggiseno e una sottoveste di colore nero. Si veste con un abito più scuro ed è passata dalla borsa bianca a una nera. Il cambiamento da un guardaroba tutto bianco a uno nero serve simbolicamente a dimostrare che Marion è passata dall'angelico al malvagio. Questo codice dei colori è tipicamente cattolico ed è stato scelto per questo dal regista. Per quanto mi riguarda, sono invece legato al codice Harkonnen, per cui il nero rappresenta la purezza e il bianco rappresenta il veleno. 

Uno dei motivi per cui Hitchcock ha girato il film in bianco e nero era tutt'altro che banale: pensava che sarebbe stato troppo cruento a colori. Ma la ragione principale era che voleva realizzare il film al prezzo più basso possibile, meno di un milione di dollari. Visto che così tanti "B movies" in bianco e nero, brutti e realizzati a buon mercato, erano andati così bene al botteghino, il cineasta si domandava cosa sarebbe successo se fosse stato realizzato un film in bianco e nero davvero buono, anche se a buon mercato. 

Quando Hitchcock era assente per malattia, la troupe ha girato la sequenza di Arbogast all'interno della casa mentre sale le scale. Quando il regista ha visto il filmato, si è complimentato con i responsabili ma ha deciso che la sequenza doveva essere girata di nuovo. La versione girata in sua assenza faceva sembrare che Arbogast stesse salendo le scale per commettere un omicidio. Nonostante fosse un capolavoro, non andava bene.  
 
Esistevano forti pregiudizi nei confronti di qualsiasi cosa riguardasse anche lontanamente soggetti psichiatrici. Quelli della Paramount Pictures hanno dato a Hitchcock un budget molto ridotto con cui lavorare, a causa della loro avversione per il materiale originale. Hanno anche rinviato la maggior parte degli incassi al botteghino dovuti al regista, pensando che tanto il film sarebbe stato un fallimento. Quando Psyco divenne un "successo dormiente" (qualcosa che ha scarso successo nell'immediato ma che viene rivalutato nel tempo), Hitchcock fece fortuna.
 
Walt Disney rifiutò di permettere a Hitchcock di girare a Disneyland all'inizio degli anni '60 perché non gli perdonava di aver realizzato "quel film disgustoso", ossia Psyco

Questo fu il primo film nella storia del cinema a mostrare la tazza del cesso, proprio quella che chiamiamo affettuosamente "tazza di Gianni", dal nome del nostro coprofago preferito! Ovviamente non ricordo un simile dettaglio: dovrà visionare di nuovo la pellicola per scovare l'impoirtantissimo dettaglio! 
 
La dimora dei Bates è stata in gran parte ispirata a un dipinto ad olio conservato al Museum of Modern Art di New York City. La tela si chiama "House by the Railroad" ed è stata dipinta nel 1925 dal geniale artista americano Edward Hopper (1882 - 1967). Il dipinto fu il primo acquisito dal Museum of Modern Art di New York, nel 1930. I dettagli architettonici, il punto di vista e il cielo austero sono quasi identici alla casa di questo film.

Il remake del 1998 

Psycho (1998) è stato diretto da Gus Green Van Sant Jr. ed è un remake shot-for-shot (identico o quasi all'originale ma con diversi interpreti) del film di Hitchcock del 1960. Marion Crane è stata interpretata dalla bionda Anne Heche, mentre Norman Bates è stato interpretato da Vincent Anthony Vaughn. Si segnalano poi Viggo Mortensen nella parte di Samuel Loomis, Julianne Moore nella parte di Lila Crane e William H. Macy nella parte del detective Milton Arbogast. Alcuni contenuti sono sessualmente sepliciti: Norman spia Marion che si masturba mentre si spoglia; Sam è a letto con Marion e si capisce che ha svuotato gli zebedei, eiettando almeno un litro di spermatozzi! Detto questo, non posso fare a meno di pormi una domanda. Che bisogno c'era di fare questo rifacimento? Non si potevano investire le risorse per qualcosa di più proficuo e innovativo? Dove arriveremo? Faranno un remake di Psycho di Gus Van Sant? E poi? Un remake del remake? Un remake del remake del remake? E cosi via ad infinitum?

mercoledì 15 settembre 2021

ETIMOLOGIA LONGOBARDA DI GUITTO E DELL'ANTROPONIMO GUITTONE

Negli anni della mia gioventù, ero convinto che la parola guitto fosse derivata dalla stessa radice germanica dell'inglese wit "detto sagace", "motto di spirito". Nonostante la sua grande bellezza, questa ipotesi si rivelò presto del tutto fallace. In estrema sintesi, i fatti sono questi:
 
1) Se ammettiamo l'etimo di cui sopra, la parola non può essere genuinamente longobarda, dato che manca della Seconda Rotazione Consonantica, che l'avrebbe resa *guizzo
2) Il termine "guitto" non aveva un tempo il suo significato attuale di "attorucolo": indicava piuttosto il vagabondo, inteso come "individuo inutile e sudicio". In toscano la parola è tuttora usata come aggettivo col significato di "meschino, misero, povero" e anche di "avaro, gretto", "squallido"
 
Vediamo ora di ingegnarci a chiarire l'origine della parola in esame, combattendo contro difficoltà di ogni genere pur di tirarla fuori dal pantano etimologico in cui sembra sprofondata. 
 
I guitti, cittadini di Guittalemme

Chi si ricorda di Erminio Macario? Certamente tra i Millennials, e ancor più tra la Z Generation, nessuno ha la benché minima idea dell'esistenza di questo personaggio, che iniziò la sua carriera come "comico grottesco". Ricordo che in un documentario, visto molti anni fa, si parlava della formazione giovanile di Macario a Guittalemme. Il toponimo Guittalemme stava a indicare una fantomatica città popolata dai guitti, forse addirittura il luogo d'origine di tutti i guitti. La formazione del toponimo immaginario è ben chiara: la radice è la parola guitto "attore vagabondo", mentre il suffissoide -lemme, interpretato popolarmente come "città", è stato estratto dai toponimi di origine ebraica Gerusalemme e Betlemme. Ovviamente si tratta di un procedimento abusivo e infondato, la cui causa è l'ignoranza della lingua ebraica. Infatti Gerusalemme è da יְרוּשָׁלַיִם Yerushalayim, tradizionalmente interpretato come "Fondazione di Pace", nonostante -ayim abbia l'aspetto di un suffisso duale fossilizzato; invece Betlemme è da בֵּית לֶחֶם Beth Lechem "Casa del Pane" (לֶחֶם lechem significa "pane"). Nel documentario su Macario si parlava delle "guittate", trovate da attorucoli privi di mezzi. Due esempi di guittate: salire sul palco con residui del trucco dello spettacolo precedente; simulare il passaggio dei soldati pestando ritmicamente dei manici di scopa sul pavimento dietro un tendone, da cui emergeva solo la paglia delle ramazze, che dovevano far venire in mente agli spettatori una fila di copricapi militari. Riporto a pubblica edificazione questi frammenti di memorie di un mondo perduto.
 
Alcune etimologie tradizionali 

Ipotesi catalana: 
Il Michaelis, citato nel Dizionario Etimologico Online, propone l'origine della parola guitto dall'aragonese e catalano guit, guito "cattivo, sfrenato, indocile", che a quanto pare sarebbe stato detto soprattutto dei muli - quegli equini caparbi, dotati di smisurato priapo e scorreggioni, che in preda a crisi convulsive tirano calci a destra e a manca. Così una mula guita significa "una mula recalcitrante". Il Diccionari de la llengua catalana glossa guit con "Que acostuma a tirar guitzes", ossia "che è solito tirare calci". In aragonese e in catanano, dalla stessa radice sarebbe derivato anche guiton "vagabondo, ozioso, mendico". Per quanto riguarda l'origine ultima, nel Dizionario Etimologico Online è indicato il basco gaitz "cattivo", cosa impossibile già soltanto per motivi di fonetica. Altre proposte etimologiche riportate in quella fonte sono ancora più stravaganti e implausibili (gallese gwid "vizio"; latino vietus "floscio, marcescente").   


Si nota che il catalano guit, guito, è pronunciato con un'occlusiva velare semplice e senza -u-, e tale era anche in epoca medievale, tanto che in italiano sarebbe stato adattato come *ghitto. In spagnolo esiste una variante güito "indocile" (detto di animale), pronunciato /'gwito/. Tuttavia proprio questa peculiarità fonetica della parola spagnola fa pensare che si tratti piuttosto di un prestito dall'italiano. Tutte le forme citate, aragonesi, spagnole e catalane, sono a parer mio prestiti dall'italiano guitto: il flusso è proprio l'inverso di quello descritto dai romanisti. 

Ipotesi olandese: 
Il Vocabolario Treccani sostiene l'origine della parola guitto dall'olandese guit "briccone, furfante". Com'è costume dei romanisti, nessuno sembra preoccuparsi minimamente di fornire una traccia etimologica in grado di spiegare la voce olandese.


Si deve ricorrere a fonti più aggiornate e decenti. Nel Wiktionary in inglese, si trova quanto segue: guit deriva dal medio olandese guyte, di origine incerta e probabilmente connesso con ghoiten "rimproverare" e con guiten, guten "prendere in giro, schernire". Possibili paralleli in altre lingue germaniche sono: norreno gauta "parlare molto" e antico alto tedesco gauzen "insultare con un nomignolo". Un problema di non poco conto è la pronuncia stessa della parola olandese, che ha un dittongo discendente /œy/, con l'accento sulla prima vocale: /γœyt/. Il dittongo era discendente anche in epoca medievale, per sua derivazione da un dittongo protogermanico. I romanisti hanno dato per scontato che la pronuncia fosse */gwit/, con un dittongo ascendente. In pratica, hanno ciccato! La parola del medio olandese non avrebbe mai potuto dare guitto in toscano. 


Per quanto riguarda la semantica, la somiglianza è abbastanza notevole, ma questo conta assai poco. Che una provenienza olandese della parola fosse abbastanza improbabile, è facile da capire.

L'antroponimo Guittone 
 
Nel XIII secolo esisteva in Toscana l'antroponimo Guittone, chiaramente derivato da guitto. Ci è ben noto Guittone d'Arezzo (Santa Firmina, 1230/1235 - Firenze, 1294). Aveva moglie e figli ed era libidinosissimo, poi ebbe una crisi religiosa e divenne un fratacchione... gaudente! Di lui si ricorderà certamente la poesia immortale "Stavasi un eremita in Poggibonsi"... 😀 Il nomen omen è una realtà!
 
La vera etimologia 
 
Si deve evitare il marasma, visto che in questo caso specifico esiste modo di farlo. Presento dunque la sorgente etimologica a cui bisogna fare riferimento. 
 
Proto-germanico:  *wiχtiz "essenza, essere; cosa, creatura" (genere: femminile). 

Singolare 

nominativo: *wiχtiz 
genitivo: *wiχtīz 
dativo: *wiχtī
accusativo: *wiχtin 
vocativo: *wiχti 
strumentale: *wiχtī
 
Plurale
 
nominativo: *wiχtīz
genitivo: *wiχtijōn
dativo: *wiχtimaz
accusativo: *wiχtinz 
vocativo: *wiχtīz
strumentale: *wiχtimiz

Discendenti (l'elenco non è esaustivo e non riporta tutte le varianti ortografiche): 

Gotico: waihts "cosa"
Norreno: véttr, vætr "creatura, specie di gnomo"
Antico inglese: wiht, uht "cosa" 
  Medio inglese: wight "creatura, cosa; persona; mostro; 
     piccola quantità" (pl. wightes
  Inglese moderno: wight "creatura, entità", whit "piccola 
    quantità" 
Antico olandese: wiht "creatura; bambino; ragazza"
  Medio olandese: wicht, wecht "creatura; bambino;
      ragazza"  
   Olandese moderno: wicht "creatura; bambino; ragazza"
Antico sassone: wiht (f.) "creatura, cosa; persona"
Antico alto tedesco: wiht "creatura; cosa"
  Medio alto tedesco: wicht "creatura; cosa" 
  Tedesco moderno: Wicht "piccola creatura; nano"
 
Esiste anche una variante i cui esiti non sono sempre facili da distinguere, specialmente nelle lingue moderne. Eccola: 
 
Proto-germanico *wiχtan "cosa; creatura" (genere: neutro).  

Singolare 

nominativo: *wiχtan
genitivo: *wiχtas, *wiχtis  
dativo: *wiχtai
accusativo: *wiχtan
vocativo: *wiχtan  
strumentale: *wiχtō
 
Plurale
 
nominativo: *wiχtō
genitivo: *wiχtōn
dativo: *wiχtamaz
accusativo: *wiχtō 
vocativo: *wiχtō
strumentale: *wiχtamiz
 
Discendenti (l'elenco non è esaustivo e non riporta tutte le varianti ortografiche): 
 
Gotico: ni waiht "nulla" 
Antico inglese: wiht "creatura, cosa";
     āwiht "qualcosa";
     nāwiht, nōwiht "niente"
  Medio inglese: wight "creatura, cosa, persona; mostro; 
     piccola quantità" (pl. wighten);  
     ought "qualcosa";
     naht, noht, noght, naght, naught "niente"
  Inglese moderno: wight "creatura, entità";
     nought
, naught "niente", not "non"
Antico olandese: wiht "creatura; bambino; ragazza"; 
      niewiht, nuwieht, niuweht "niente" 
  Medio olandese: wicht, wecht "creatura; bambino;
      ragazza"; 
      niwet, nit, niet "niente"  
   Olandese moderno: wicht "creatura; bambino; ragazza";
      niet "non", "no"
Antico sassone: wiht (n.) "creatura, cosa, persona"; 
     neowiht, niowiht, nieht "niente"  
   Medio basso tedesco: wicht, wucht (n.) "cosa"
Antico alto tedesco: wiht (m., n.) "creatura; cosa";
      niowiht "non"
  Medio alto tedesco: wicht "creatura; cosa"; 
     niuweht, nieweht, niht, nit "niente, nessuno; non"
  Tedesco moderno: Wicht "piccola creatura; nano";
      nicht "non"
 
A questo punto è chiarissima l'origine longobarda di guitto e di Guittone
 
Longobardo ricostruito: 
  GUICT "creatura, cosa"; "buono a nulla, vagabondo"; 
  NIGUECT, NEIGUECT, NAIGUECT "niente".
Il pronome indefinito ha lasciato importanti esiti in alcuni dialetti gallo-italici della Lombardia: milanese nigòtt "niente", brianzolo nigòtt, nagòtt "niente"; in bergamasco ho sentito vergòt, ergòt "qualcosa". 
 
Non ho dubbi sul fatto che il catalano guit provenga da una forma germanica, la stessa che troviamo nell'antico alto tedesco wiht. Si potrebbe pensare che l'origine sia nella lingua dei Franchi. Tuttavia si nota che non risulta un esito di questa radice passato al francese o al provenzale. Potrei sbagliarmi, ma se esistesse, i romanisti lo avrebbero già usato come fonte etimologica. Non credo che i Franchi avessero potere in Catalogna. Non può trattarsi di una parola del germanico orientale a causa del vocalismo. Resta un'unica soluzione: è provenuta dall'Italia. 
 
Conclusioni 
 
Con questo contributo ho fatto chiarezza su alcuni punti controversi. 
 
1) Ho dimostrato che l'italiano guitto non deriva dall'olandese guit
2) Ho dimostrato che l'italiano guitto non deriva dal catalano guit, essendo vero il contrario. 
3)  Ho enunciato l'origine longobarda dell'italiano guitto e dell'antroponimo Guittone.

sabato 14 agosto 2021

ETIMOLOGIA DEL NOME TOTILA: LA SOLUZIONE DI UN ANNOSO PROBLEMA

Totila (forse 516 - 552) fu un grande condottiero e il penultimo sovrano degli Ostrogoti, che combatté eroicamente contro i Bizantini, finendo sconfitto e morendo in battaglia. Cosa significa esattamente il nome Totila? Secondo una tradizione inveterata quanto fallace, Totila (pronuncia Tòtila) significherebbe "L'Immortale". Questa informazione distorta, la cui origine ultima non mi è affatto chiara, è riportata dovunque, sia in libri cartacei che nei siti del Web. Lo storico Procopio di Cesarea (VI secolo) non ne fa menzione. Ho reperito una fonte del XIX secolo, l'Almanacco perpetuo martiro-etimologico di Raffaello Mazzoni (1839), che consiste in un elenco di "traduzioni" di moltissimi nomi propri di persona, accompagnate da un'abbreviazione descrivente la lingua d'origine (teut. sta per "teutonico", ossia "germanico"). Ecco cosa è scritto su Totila:

Totila , m. Liberato dalla morte, teut. 

Gli almanacchi perpetui erano per così dire la Wikipedia dei tempi andati.
 
La lingua dei Goti è ben conosciuta nella sua forma usata da Wulfila per la traduzione delle Scritture, di cui ci restano in massima parte i testi del Nuovo Testamento. Dovrebbe essere quindi chiaro che Totila non può significare "Immortale", né tantomeno "Liberato dalla morte": stupisce che praticamente nessuno abbia sollevato la questione. 
 
1) Nonostante l'assonanza tra Totila e il tedesco moderno Tot "morte", tod "morto", la radice dell'antroponimo non ha a che fare con la morte. Questi sono i corrispondenti in gotico delle parole tedesche in questione (il carattere þ indica il suono di th dell'inglese thing; il dittongo au ha il suono di una o aperta e lunga): 
 
dauþus "morte"
dauþs "morto"  

In gotico il risultato del protogermanico *d- è d-, mentre in tedesco è t-, essendosi avuta la seconda rotazione consonantica. Se questa fosse la radice, ci aspetteremmo trascrizioni come *Dothila, *Dodila o simili, cosa che però non sussiste.
2) Il suffisso -ila è un diminutivo maschile. Così il nome Wulfila significa "Piccolo Lupo" e deriva da wulfs "lupo". In nessun modo il suffisso -ila può essere considerato un privativo o una forma negativa. 
3) L'unica possibilità sarebbe ammettere che il nome Totila non sia gotico, bensì originato in un'area che aveva la seconda rotazione consonantica nel VI secolo, come ad esempio la Baviera: in tal caso significherebbe "Piccola Morte". Questa ipotesi è stata enunciata da Marja Erwin in un gruppo di Google (2014). In gotico "Piccola Morte" sarebbe *Dauþula.
 
Avvertiamo subito una certa ridondanza nelle informazioni. Totila era un nome di guerra: sappiamo infatti che il vero nome del Re degli Ostrogoti era Baduila (varianti: Baduela, Baduilla), che possiamo tradurre facilmente con "Piccola Battaglia" o con "Piccolo Guerriero". 
 
Questa è la declinazione di *badwa "battaglia" in gotico:  
 
Singolare  
 
nominativo: *badwa "battaglia"
genitivo: *badwos "della battaglia"
dativo: *badwai "alla battaglia"
accusativo: *badwa "battaglia"
 
Plurale  
 
nominativo: *badwos  "battaglie"
genitivo: *badwo "delle battaglie"
dativo: *badwom "alle battaglie"
accusativo: *badwos "battaglie"
 
Corrispondenze in altre lingue germaniche: 
 
Antico inglese: badu, beado, beadu "battaglia" 
Antico sassone: badu-, -bad(u) "battaglia"
     (solo in nomi propri) 
Antico alto tedesco: badu-, batu-, pato-; -bad(u), -batu
     -pato "battaglia" (solo in nomi propri) 
Norreno: bǫð "battaglia" (poet.)
 
Queste sono le forme ricostruibili per il protogermanico: 
 
Singolare 
 
nominativo: *baðwō "battaglia" 
genitivo: *baðwōz "della battaglia" 
dativo: *baðwōi "alla battaglia"
accusativo: *baðwōn "battaglia" 
strumentale: *baðwō "con la battaglia" 

Plurale 

nominativo: *baðwôz "battaglie"
genitivo: *baðwôn "delle battaglie"
dativo: *baðwōmaz "alle battaglie"
accusativo: *baðwôz "battaglie"
strumentale: *baðwōmiz "con le battaglie" 

Il vocabolo protogermanico era di genere femminile, ma si usava la forma maschile *baðwaz quando era il secondo elemento di antroponimi maschili composti e quando era un antroponimo maschile semplice. 
Ritengo quindi un errore ricostruire in gotico un maschile *badus o *badws "battaglia" come sostantivo del linguaggio comune: doveva però essere *-badus o *-badws quando ricorreva come secondo elemento in antroponimi maschili composti (cfr. antico alto tedesco Deodpato, Sigipato) e quando era un antroponimo maschile semplice (cfr. antico alto tedesco Bado, Pato, Patto). 

L'antroponimo Baduila (pronuncia Bàduila) poteva anche essere un diminutivo del gotico *badwja "guerriero", regolarmente derivato tramite un suffisso agentivo -ja, con la declinazione debole. Esempi di sostantivi con questo suffisso: baurgja "cittadino"; ferja "informatore, spia"; fiskja "pescatore"; gudja "sacerdote"; haurnja "trombettiere"; kasja "vasaio";  timrja "carpentiere", etc.

Singolare 

nominativo: *badwja "guerriero"
genitivo: *badwjins "del guerriero"
dativo: *badwjin "al guerriero"
accusativo: *badwjan "guerriero"

Plurale 

nominativo: *badwjans "guerrieri"
genitivo: *badwjane "dei guerrieri"
dativo: *badwjam "ai guerrieri"
accusativo: *badwjans "guerrieri" 
 
Ecco la declinazione dell'antroponimo: 
 
nominativo: BADWILA
genitivo: BADWILINS 
dativo: BADWILIN 
accusativo: BADWILAN  
 
Corrispondenze in altre lingue indoeuropee: 

Celtico: *bodw- "battaglia"
   Attestato in antroponimi gallici: 
      Ate-boduus, Boduo-gnatus
   Antico irlandese: Bodb "Dea della battaglia" (in forma di 
       corvo)

La ricostruzione di Bradley
 
È anche possibile che il nome originale di Totila fosse un composto TOTABADWS, come ricostruito da Henry Bradley (1845 - 1923), filologo e lessicografo britannico succeduto a James Murray come senior editor dell'Oxford English Dictionary (OED). C'è tuttavia qualcosa che manca nella sua ricostruzione. Sembra che lo studioso non abbia compreso completamente il significato del nome composto. Se è consapevole del significato di -BADWS, non riporta nulla a proposito di TOTA-
 
 
Questo è quanto Bradley riporta nel testo originale, The Story of Goths: From the Earliest Times To the End of Gothic Dominion in Spain (1888), a pag. 280: 
 
It shoud be mentioned here that Totila seems on becoming king to have changed his name to Baduila. Or possibly the latter may have been his real nale, and Totila only a nickname. At any rate he was known to his countryman by both names, though Baduila is the only one which appears on his coins. However, in history he is always calles Totila ; the other name would have been unknown to us but for the coins and a solitary mention in Jordanes.1

1 Perhaps the truth may be that his original name was Totabadws, and that Totila and Baduila are diminutive of this (see Appendix). 
 
Traduzione:

Va qui menzionato che Totila, divenuto re, sembra abbia cambiato il suo nome in Baduila. O forse quest'ultimo potrebbe essere stato il suo vero nome, e Totila solo un soprannome. In ogni caso il suo connazionale lo conosceva con entrambi i nomi, anche se Baduila è l'unico che compare sulle sue monete. Nella storia però viene sempre chiamato Totila; l'altro nome ci sarebbe stato sconosciuto se non fosse stato per le monete e per una menzione isolata in Giordane.1

1 Forse la verità è che il suo nome originale era Totabadws, e che Totila e Baduila ne sono diminutivi (vedi Appendice). 

Questo è riportato nell'Appendice a pag. 370:

Amongst the Goths, as among all other peoples, diminutives or "pet names" were formed from ordinary pet names by shortening them and adding an affix. This affix was usually -ila, but sometimes -ika. Thus such a name as Audamer-s might become Audila or Merila ; Wulfareiks might become Wulfila or Reikila. But just as in modern timies children are sometimes christened Harry or Lizzie, so these Gothic diminutives were often used as regular names, as in the case of Bishop Wulfila and King Badwila or Totila.

Traduzione:

Presso i Goti, come tra tutti gli altri popoli, i diminutivi o "nomi vezzeggiativi" venivano formati dai vezzeggiativi comuni, abbreviandoli e aggiungendo un suffisso. Questo suffisso era solitamente -ila, ma talvolta -ika. Quindi un nome come Audamers potrebbe diventare Audila o Merila; Wulfareiks potrebbe diventare Wulfila o Reikila. Ma proprio come nei tempi moderni i bambini vengono talvolta battezzati Harry o Lizzie, così questi diminutivi gotici erano spesso usati come nomi regolari, come nel caso del Vescovo Wulfila e del Re Badwila o Totila.
 
Una spiegazione innovativa 
 
Nella lingua gotica doveva esistere la preposizione *tota /'to:ta/ "verso", pur non essendo attestata in Wulfila. Corrisponde alla perfezione all'antico alto tedesco zuoza (variante: zuozi) "verso", "a"; "con". In protogermanico è ricostruibile come *tō-tō "verso", "fino a"; secondo altri sarebbe *tō-ta, ma a parer mio non è necessario. In pratica è una forma duplicata della preposizione *tō, la stessa che ha dato origine anche all'inglese to e al tedesco moderno zu. Guardate queste attestazioni: 
 
Antico sassone: tōtō, tōte "fino a" 
  Medio basso tedesco: tôte, tote, tôt, tot "fino a"  
Antico olandese: tuote "fino a", "verso" 
  Medio olandese: tote, tot, toete, toet "fino a", "verso" 
  Olandese moderno: tot "fino a"
Antico frisone: tote, tot "fino a"  
Antico alto tedesco: zuoza, zuozi "verso", "a"; "con" 
  Medio alto tedesco: zuoze "verso", "a"; "con"  
 
In tedesco moderno questa preposizione duplicata non esiste più. 

A questo punto direi che esiste una sola possibilità plausibile. Il nome Totila e il nome Baduila sono ipocoristici derivati rispettivamente dal primo e dal secondo membro del nome composto TOTABADWS, come sostenuto da Bradley. A sua volta questo nome sarebbe stato formato ispirandosi a una frase TOTA BADWAI "verso la battaglia", che doveva essere un sinonimo dell'attestato du wigana "alla battaglia". Quindi Totila corrisponde alla perfezione aun antroponimo maschile attestato in antico alto tedesco: Zuozo. Cercando di dare una concreta traduzione del nome Totila, opterei per "Piccolo Bellicoso", alla lettera: "(che si scaglia) verso", "(che si scaglia) contro (il nemico)".