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lunedì 19 settembre 2022

ETIMOLOGIA DELLO SPAGNOLO BRUJO 'STREGONE', BRUJA 'STREGA'

Il professor Fabio Calabrese, persona di cui ho la massima stima, molto spesso si diverte a fare battute argute fondate su assonanze. In una di queste, la parola spagnola brujo "stregone" è considerata omofona dell'italiano bruco "larva di lepidottero". In realtà la pronuncia non è proprio identica. L'omofonia è molto approssimativa: in spagnolo c'è una fricativa velare /x/, mentre in italiano c'è una semplice occlusiva velare /k/. In altre parole, -j- in brujo ha un suono simile a quello di -ch- del tedesco Achtung. Mi rendo conto che per un parlante della lingua italiana non sia facile distinguere suoni a cui non è abituato. Detto questo, sorge una domanda. Qual è l'etimologia delle parole spagnole brujo "stregone" e bruja "strega"? 

L'idea dei romanisti, che sono inclini a spiegare Omero con Omero, è che il brujo sia proprio un bruco, ossia una larva di lepidottero, intesa come manifestazione demoniaca. La parola viene quindi ricondotta al greco βροῦχος (brûkhos) "tipo di locusta senza ali", passato in latino tardo come brūchus, da cui per l'appunto l'italiano bruco. La parola greca, presente in liste di vocaboli di epoca bizantina, è attestata anche la variante βροῦκος (brûkos), senza consonante aspirata; Esichio ci riporta per Creta la variante βρεῦκος (brêukos). L'origine ultima è sconosciuta, anche se si riconosce il suo aspetto non indoeuropeo. Un possibile lontano parente potrebbe essere il latino ērūca "bruco", con la variante ūrūca (potremmo ricostruire una protoforma *ewrouka). L'idea evocata è quella di una masticazione immonda, di un rosicchiare magico che indurrebbe il maleficio, provocando un danno ai viventi - esseri umani o animali che siano.  

I romanisti in questione non tengono conto del fatto che la parola in analisi non è presente soltanto in spagnolo, ma anche in altre lingue romanze occidentali (in cui -x- ha il suono "palatale" /ʃ/, come sc- nell'italiano scia): 

Galiziano: bruxa "strega"
Portoghese: bruxa "strega"
Catalano: bruixa "strega"
Occitano: bruèissa "strega" 

Non tengono nemmeno conto del fatto che al tempo dei Conquistadores, anche j in spagnolo aveva lo stesso suono palatale /s/, del tutto dissimile dall'attuale aspirazione: bruja era pronunciato /ʃ/ e in italiano sarebbe trascritto come *bruscia. La parola non può avere nulla a che fare col bruco. Si tratta di una parola preromana sopravvissuta come elemento di sostrato. 

Ecco la protoforma ricostruibile:  

Proto-celtico: *bruχtijā "strega"  
  Celtiberico: *brūχsā "strega" 
  Note: 
Si è avuta un'assibilazione e la vocale tonica si è allungata per compenso. La forma proto-romanza evolutasi da queste premesse è *brùissa, da cui si sono originate le forme documentate nelle varie lingue della Penisola Iberica. 

Proto-celtico: *briχto-, *briχtu-, *briχtijā "magia" 
   Gallico: brictom, brixtia "magia" 
       (bnanom brictom "la magia delle donne", Piombo
       di Larzac; brixtia anderon "con la magia delle donne", 
       Piombo di Chamalières)
   Antico irlandese: bricht "incantesimo, formula magica"
        (gen. brechtobrechta
      Gaelico d'Irlanda: briocth "incantesimo"; "amuleto"
   Medio gallese: bryth-, -frith "magia"
         (brythron "bacchetta magica"; lledfrith "illusione",
         lett. "mezza magia")
      Gallese moderno: lledrith "illusione"  



L'etimologia ultima è incerta. Secondo alcuni potrebbe essere una variante di una ben nota radice di origine indoeuropea, comune al proto-germanico: 

Proto-celtico: *berχtos "splendido" 
   Antico irlandese: -bertach "splendido" 
      (Flaithbertach "Splendido Principe", antroponimo)
   Medio gallese: berth "bello"; "prospero, ricco"
      Gallese moderno: berth "bello"; "prospero, ricco" 
   Medio bretone: berz "prosperità" 
      Bretone moderno: berzh "prosperità" 


Proto-indoeuropeo: *bherg'h- "splendere", 
        *bherg'h-tó-s "splendente" 
   Proto-germanico: *berχtaz "splendente" 
      Gotico: bairhts "splendente" 
      Antico alto tedesco: beraht "splendente" 
      Norreno: bjartr "splendente" 
    etc.

La semantica non è affatto soddisfacente e sono incline a rigettare questo collegamento. L'idea più sensata è a parer mio quella di considerare il nome proto-celtico della magia un residuo preindoeuropeo oppure un resto di una forma di indoeuropeo preceltico ancora da chiarire. Siamo davanti a un percorso in salita! 

Esisterebbe un'altra possibilità, che non è priva di problemi fonologici. La semantica sarebbe connessa alla visione sfocata, all'inganno allucinatorio della magia. 
 
Proto-gallo-britannico: *briχtos "maculato, screziato" 
   Antico gallese: brith, glossa latina pictam 
     Medio gallese: brith "maculato, screziato" 
     Gallese moderno: brith "maculato, screziato"; "grigio"
         (detto di capelli)
   Medio bretone: briz "maculato, screziato" 
      Bretone moderno: brizh "maculato, screziato"
   Antico cornico: bruit "screziato, striato"
      Cornico: brith, bryth "screziato, striato"; "tartan" 
 
Il punto è che la forma proto-celtica da cui deriva ha *mr-

Proto-celtico: *mriχtos "maculato, screziato" 
   Antico irlandese: mrecht "maculato, screziato" 


Così in antico irlandese abbiamo mrecht "maculato" contro bricht "incantesimo, formula magica": due forme ben distinte tra loro e non assimilabili.

Esistono altre teorie alternative, a parer mio meno plausibili di quella sopra esposta. Le esporrò in questa sede per sommi capi. 

1) Il nome spagnolo della strega deriverebbe dal nome di un'antica divinità femmilile. Il significato sarebbe diventato negativo per via del processo di cristianizzazione. 

Proto-celtico *Brigantī "Somma Dea" 
   (gen. *Brigantijās "della Somma Dea") 
       Antico irlandese: Brigit
          Gaelico d'Irlanda: Bríd
          Gaelico di Scozia: Brìghde, Brìde
           Manx: Breeshey
Note: 
Il nome divino femminile è ben conosciuto. Ne deriva anche il nome della Brianza, ossia "(Terra) della Somma Dea". La radice è molto produttiva e ne è attestato un derivato notevole: 

Proto-celtico: *brigantīnos "capo", "sovrano"
  Antico bretone: brientin, brientinion "sovrano"
    Medio cornico: brentyn, bryntyn "sovrano"
    Medio gallese: brenhin "sovrano" 
      Gallese moderno: brenin "sovrano"
Note: 
In passato questi vocaboli sono stati erroneamente creduto l'etimologia del nome di Brenno.


Proto-indoeuropeo: *bherg'h- "elevare, ascendere"; "essere elevato"  


2) Il nome spagnolo della strega deriverebbe dal nome celtico dell'erica e della brughiera. 

Proto-celtico *wroikos "erica", "brughiera" 
Le parole attestate si sarebbero formate da un composto con un suffisso sibilante: 
maschile *wroiχsos, femminile *wroiχsā  
Significato postulato: "abitante della brughiera".
Dalla stessa radice deriva la parola italiana brughiera, oltre al desueto brugo "erica". Lo stregone, la strega, sarebbero gli abitanti della brughiera. 


Sono propenso a scartare queste etimologie per motivi fonetici. 

Conclusioni 

Spero che questo mio trattatello possa dare un'idea anche vaga di quanta ricchezza culturale è andata perduta per colpa di secolari pregiudizi portati avanti dai romanisti!

giovedì 15 settembre 2022

UN RELITTO CELTICO IN ROMANCIO: GIOP 'GINEPRAIO'

In romancio esiste la parola giop "ginepraio" (glossa tedesca: Wacholderbusch). Si capisce all'istante che è una voce prelatina e ha corrispondenze galloitaliche in un'area abbastanza compatta della regione alpina: valtellinese giupp "rododendro" (Sondrio), giub "ginepro nano" (Tre Pievi), ticinese gip "rosa delle Alpi" e molte altre forme simili (Stampa, 1937). Se ne parla nell'Archivio glottologico italiano, volumi 22-23, ove è riportata la variante engadinese inferiore gioc, giocca "ginepro" (Ascoli, 1929). Purtroppo non sono riuscito ad avere accesso a questi testi e ne ho ottenuto solo brevi stralci da Google Books.  

Rileviamo una glossa del medico e botanico Dioscoride Pedanio (circa 40 d.C. - circa 90 d.C.), vissuto a Roma all'epoca di Nerone, che si collega al vocabolo romancio.  

Voce riportata da Dioscoride: 
   ἰουπικέλλους
ον (iupikélluson
Glossa greca: 
   ἄρκευθος (árkeuthos
Traduzione italiana: "ginepro" 
Fonte: De materia medica libri quinque - Volume I, cap. CIII. 

Sono erronee e dovute a tentativi di razionalizzazione le trascrizioni ιουπικελλους (iupicellus) e ιουπικελλος (iupicellos) che spesso si trovano riportate nei testi dei romanisti e di altri studiosi. 

Questo è il testo di Dioscoride originale in greco: 

Κεφ. ργ'. [Πεr Ἀρκεύθου.] Ἄρκευθος ἡ μέν τίς ἐστι μεγάλη, ἡ δ μικρά. [οἱ δ ἀρκευθίδα, οἱ δ μνησίθεον, οἱ δὲ ἀκαταλίδα, Ἀφροί ζουορινσίπετ, Αἱγύπτιοι λιβιούμ, Ῥωμαῖοι ἰουνίπερουμ, Γάλλοι ἰουπικέλλουσον. Γνώριμος δ ἡ μεγάλη τοῖς πλεῖστοις, ἐμφερς κυπαρίσσῳ, γεννωμένη ἐν τραχέσι κα παραθαλασσίοις τόποις.] Δριμεῖαι δ ἀμφότεραι, διουρητικα θερμαντικα, θuμώμεναί τε θηρία διώκουσιν. Ὁ δ καρπς αὐτῶν ὁ μέν τις καρύου μέγεθος εὐρίκεται, ὁ δ καρύοι ποντικοῦ ἴσος, στρογγύλος τε κα εὐώδης κα γλυκς ἐν τῷ διαμασσᾶσθαι κα ὑπόπικρος, ἀρκευθìς καλούμενος, θερμαντικς μετρίως κα στυπτικς, εὐστόμαχος. ποιῶν πρς τ ἐν θώρακι κα βῆχας κα πνεuματώσεις κα στρόφους κα θηρία πινόμενος. ἔστι δè κα οὐρητικς, ὅθεν κα σπάσμασι κα ῥήγμασι κα ὑστερικαῖς πνιγομέναις ἁρμόζει.

Questo è il testo di Dioscoride in latino (il grassetto è mio): 

Cap. CIII. [De Iunipero.] Iuniperus quaedam maior est, minor altera. [Hanc nonnulli arceuthida, alii mnesitheum, alii acatalida, Afri zuorinsipet, Aegyptii libium, Romani iuniperum, Galli iupicelluson vocant, Maior est in vulgus nota, cupresso similis, proveniens in asperis et submarinis locis.] Utraque est acris, urinam movet, calefacit, accensaque animalia noxia fugat. Fructus vero earum, alterius nucem (euboïcam), alterius nucem avellanam mole aequat, rotundus est, odoratus, dulcis dum manducatur, ac subamarus, arceuthis vocatus. Moderate calefacit et astringit, stomacho utilis. Potus ad pectoris vitia, tusses, inflationes, tormina morsusque bestiarum noxiarum inservit. Urinas quoque ciet, unde et convulsis et ruptis et quae utero strangulantur, subvenit. 

Traduzione in italiano: 

"Un tipo di ginepro è più grande, l'altro più piccolo. [Alcuni lo chiamano arceuthis, altri mnesitheum, altri acatalis, gli Africani zuorinsipet, gli Egiziani libium, i Romani iuniperus, i Galli iupicelluson, e allontana gli animali nocivi incendiandoli. Ma il loro frutto, grande l'una come una noce (euboïca), l'altra come una nocciola, è rotondo, profumato, dolce quando si mangia e subamaro, chiamato arceuthis. Moderatamente riscaldante e astringente, utile per lo stomaco. La bevanda serve contro le malattie del petto, la tosse, le flatulenze, le convulsioni e i morsi di animali nocivi. Cura anche l'urina, dalla quale aiuta coloro che sono convulsi e lacerati e coloro che sono strangolati nel grembo materno."

Nei testi dell'Archivio glottologico italiano, il suffisso 
-ikel-, molto peculiare, è confrontato con quello della glossa celto-ligure aravicelus "pino cembro", "pinastro", trasmessa da Plinio e attribuita ai Taurini, di cui si parlerà in altra sede. Tuttavia, appurato che la forma trasmessa da Dioscoride termina in -ikell-us-on, si evince che le cose sono un tantino più complesse.

La protoforma ricostruibile a partire dalle forme romance e galloitaliche è la seguente: 

Proto-celtico: *juppos "specie di arbusto" 
      < *jukkwos 

Questo scrive Carlo Salvioni in Etimologie varie, Romania, Vol. 36, No. 142 (1907), pp. 224-251, proponendo una ridicola paretimologia, pur avendo il pregio di riportare dati altrimenti difficili da reperire:

ENGAD. giob -p GINEPRO 2

Ricorre anche di quà dall' Alpi : valtell. giùba, giub, gip, ginepro, ginepro nano, poschiav. giòb pianterella nana. Nella Valle del Ticino però e altrove, le è proprio il significato di ʻ rododendro ʼ 3: arbed. gip, valcoll. žüp, e inoltre žip, gep, ǧüp, v. Bollett. st. d. Svizz. it., XIII, 102. Evidentemente c'è qui un trapasso di significato, nè saprei dire se dal ʻ rododendro ʼ al ʻ ginepro ʼ o da questo a quello. Molto verosimilmente però la prima alternativa è quella che corrisponde meglio alla realtà, poichè a designare il rododendro, quei di Pontirone, una valletta tributaria del Blenio, adoperano ǧọpadrórz cioè ʻ giubba dell' orso ʼ; e qual pur si sia la concezione da cui s'è mosso per creare questa designazione, essa trae conforto dal sinonimo braga d'ors proprio di Leontica (Blenio). Mi par dunque che non andremo lontani dal vero ravvisando in giop ecc. come la riduzione elittica del composto ʻ giubba dell' orso ʼ. La gamma vocalica in cui la voce ci si fa davanti, questa già ce l'offre nel suo significato proprio (valtell. giùba e gíba, arbed. gípa, sopras. gieppa ; per l'o, v. il ted. Joppe, Diez, W, 166). Solo giǫ́pa è a me ignoto, e chi sa che l'ǫ́ non si debba a ciò, che scioltosi giópa dal composto, e non intendendosene più il primitivo valore etimologico, venne facilmente attratto da qualche altra voce ? 

2. Divariato anche per gioc -cca, jocca, nel basso-eng.
3. Nella stessa Valtellina, a Ponte, è giüp rododendro. - La Leventina ha anche un giópa pianta di patate, e simili. 

Incredibile e grottesca è la conclusione del Salvioni, nel tentativo di ricondurre l'ignoto al noto, spiegando a viva forza Omero con Omero e mettendo il tutto nel letto di Procuste. Un simile operato alla meglio si deve considerare futile, alla peggio intellettualmente disonesto; l'unica scusante possibile è la scarsità d'informazione e di mezzi tipica dell'epoca. 

UN RELITTO CELTICO IN ROMANCIO: CARMUN 'DONNOLA'

In romancio esiste la parola carmun "donnola". L'origine è chiaramente celtica. 

Proto-celtico: *karmū*karmon- "donnola; ermellino" 
   Gallico: CARMO (attestato come antroponimo maschile) 
   Celtiberico: CARMO (nome di città, oggi Carmona
 
   Gallese: carlwm "ermellino" 
   Bretone: kaerel "donnola" (*)  

(*) Si noti l'irregolarità fonetica, forse dovuta ad analogia con kaer "forte".

Esiste qualche parallelo in altre lingue indoeuropee: 

1) Proto-germanico: *χarmǣn "donnola; ermellino" 
(ricostruzioni alternative: *xarmēn, *harmǭ, etc.)
  Antico inglese: hearma "ermellino; toporagno; ghiro" 
     (gen./dat./acc. hearman; nom./acc. pl. hearman;
      gen. pl. hearmena
dat. pl. hearmum
  Frisone occidentale: harmel "ermellino" 
  Antico sassone: harmo "ermellino" 
     Medio basso tedesco: harm "ermellino" 
  Antico olandese: *harmo, *hermilo "ermellino" 
    Medio olandese: hermel "ermellino"
    Olandese: herm "ermellino" (obsoleto); hermelijn
        "ermellino" 
  Antico francone: *harmo "ermellino; furetto"; 
        *hermilo, *hermilîn "ermellino" (**)
  Antico alto tedesco: harmo "ermellino; furetto";
        harmiloharmilîn "ermellino"  
     Medio alto tedesco: harme "ermellino"; hermelîn
        "ermellino"  
     Tedesco moderno: Harm "ermellino" (obsoleto);
        Hermelin "ermellino"  

(**) L'antico francese ha ereditato ermine (ermin, hermin, hermine) "ermellino" dalla lingua dei Franchi. La parola francese è poi passata in medio inglese ermyne (armyn, armyne, ermin, ermine, ermyn, hermyn), dando infine l'inglese moderno ermine


2) Proto-baltico: *čarm-ō̃, *čarm-ul-ia- (/ -e-"ermellino"
  Lituano: šarmuõ "ermellino; gatto selvatico", 
       šermuonėlis "ermellino" 
  Lettone: sarmulissermulis "ermellino" 

A partire da queste forme è stato possibile ricostruire un possibile antenato: 

Proto-indoeuropeo: *k'ormōn, *k'ormen- "ermellino" 
  (Starostin ricostruisce *k'er
əm-)

La parola è con ogni probabilità un resto di un più antico sostrato, assorbito nel tardo indoeuropeo occidentale. Allo stato attuale delle conoscenze non si riesce a specificare di più sull'origine ultima della radice e sulle sue dinamiche di diffusione.   

Il caso del topo dell'Armenia 

I romanisti, come ben noto, ritengono un libro chiuso tutto ciò che va oltre le conoscenze di latino del liceo. Così hanno escogitato una grossolana pseudoetimologia. Partendo dalla forma latina medievale (XIII sec.) armeninus "ermellino", chiaramente derivata dall'antico alto tedesco harmilîn con assimilazione, hanno ricostruito un inesistente (mūs) armenīnus "topo d'Armenia", facendolo derivare da armēnus "armeno".  

lunedì 12 settembre 2022

UN RELITTO CELTICO IN ROMANCIO: UMBLAZ 'CORDA O ANELLO CHE UNISCE IL GIOGO AL TIMONE'

In romancio esiste la parola umblaz "corda o anello che unisce il giogo al timone", riferita all'aratro. L'origine è chiaramente celtica.   

Proto-celtico: *ambi-(s)lattijo- "corda o anello che unisce il giogo al timone" 

1) Il prefisso è eminentemente indoeuropeo e deriva da una ben nota preposizione:  

Proto-celtico: *ambi "attorno, intorno"
  Antico irlandese: imb "attorno, intorno" 
   Gaelico d'Irlanda: um "attorno, intorno"
   Gaelico di Scozia: mu "attorno, intorno" 
   Manx: mysh "attorno", "a proposito" 
  Medio bretone: am, em "attorno, intorno"
  Medio gallese: am "attorno, intorno" 
    Gallese moderno: am "attorno, intorno" 


Proto-indoeuropeo: *h2m̥bhi "attorno, intorno", "su entrambi i lati" 
Oltre all'esito in celtico, ha dato origine a questi discendenti:  
   Greco: ἀμφί (amphí) "attorno, intorno", "presso",
       "su entrambi i lati" 
   Latino: ambi-, amb-, am-, an- "attorno, intorno";
       "su entrambi i lati" 
   Proto-germanico: *umbi "attorno, intorno" 
   Sanscrito: abhi "verso", "sopra" 
   Antico persiano: abiy "verso", "contro", "sopra" 
   Armeno: ambołǰ "intero"


2) La radice del secondo membro del composto è ben attestata ed è con ogni probabilità un elemento di sostrato preindoeuropeo (come suggerito dal vocalismo e dalla presenza di una consonante geminata): 

Proto-celtico: *(s)lattā "asta", "stelo"
  Antico irlandese: slat "verga", "canna", "pene" 
    Gaelico d'Irlanda: slat "verga", "canna", "pene"  
  Medio gallese: llath "asta"
   Gallese moderno: llath "asta" 


A mio parere la protoforma dovrebbe avere una s- mobile, dato che non abbiamo la possibilità di appurare se il gallese llath provenga da *lattā o da *slattā. Nelle lingue germaniche esiste abbondante materiale della stessa antichissima origine, ma senza alcuna traccia di s- iniziale: 

Proto-germanico: *lattō, *laþþō "asta", "assicella" 
Antico inglese: lætt "assicella" 
   Medio inglese: laththe, laþþe, lathe, laþe "assicella"
   Inglese moderno: lath "assicella", "striscia sottile e stretta,
       fissata alle travi" 
   Scots: latt, lat, lath "assicella"
Antico sassone: latta "assicella" 
   Medio basso tedesco: latte "assicella"; lāde "tabellone
       espositivo, stand di vendita"
Medio olandese: latte "assicella"
   Olandese moderno: lat "assicella"
Antico alto tedesco: latta "assicella" 
  Medio alto tedesco: latte "assicella"; lade, laden "asse,
     mensola; imposta (di finestra)"
  Tedesco moderno: Latte "assicella" 

La parola italiana latta "lamiera di acciaio rivestita di stagno" è un chiaro germanismo, in origine utilizzato in ambito nautico col significato di "assicella".  

I romanisti hanno tentato con ogni mezzo di ricondurre la parola romancia al latino laqueus "laccio". Non tengono tuttavia conto di alcune cose: 

i) Il prefisso latino ambi- (am-, an-) "attorno, intorno" è stato ereditato in molti vocaboli, ma non è realmente vivo e produttivo in epoca classica. Non lo si trova in nuove formazioni, mentre è presente in molti composti sclerotizzati, spesso dotti, non presenti nella lingua volgare. Si noterà anche che è assente un elemento indipendente (preposizione) *ambi. Riporto un elenco di vocaboli, senza la pretesa di essere esaustivo: 

  ambedō "io mangio attorno, rosicchio" 
  
ambiguus "ambiguo, incerto, indeciso, dubbioso"
  ambiō "io vado attorno, circondo" 
  ambitiō "intrigo, ambizione" 
  ambitus "giro, orbita"
  ambivium "diramazione, bivio" 
  ambō "ambedue", "entrambi" (antico duale) 
  ambulō "io cammino, attraverso, viaggio" 
  ambūrō "io brucio in superficie, carbonizzo" 
  amptruō "io danzo attorno" (< *ambi-truō)  
  amputō "io taglio, recido" (< *ambi-putō
  anceps "che ha due teste" (< *ambi-caps
  ancīsus "tagliato attorno" (< *ambi-caesus)

ii) Il prefisso celtico ambi-, di identica origine indoeuropea, è vivissimo e alquanto produttivo anche nelle lingue celtiche moderne. A differenza di quanto accade in latino, si trova anche come elemento indipendente (preposizione). Riportiamo a titolo di esempio un elenco di parole gallesi formate con il prefisso am-

  amcan "idea, nozione"; "intenzione"
  amgáu "chiudere" 
  amgrwm "convesso" 
  amguedd "tesoro", "proprietà" 
  amgyffred "comprendere, afferrare, capire" 
  amgylchol "ambiente"; "circuito" 
  amgylchynu "circondare" 
  amchwaraefa "anfiteatro" 
  amddiffwn "proteggere, difendere" 
  amlaethai "erba del genere Polygala" 
  amlen "sviluppo" 
  amlosgi "cremare"  
  amnewid "rimpiazzare, sostituire"; "permutare" 
  ambell "occasionale" 
  amrwymo "legare con una fascia"
  amryw "vari, diversi" 

La conclusione è sempre la stessa. I romanisti conoscono soltanto il loro ambito limitatissimo. Non vanno oltre. In particolare, ignorano qualsiasi rudimento delle lingue celtiche. Non sono in grado di comprenderne i resti e fanno di tutto per consegnarli all'oblio eterno. Contro questa loro opera, insorgo ed insorgerò sempre.

UN RELITTO CELTICO IN ROMANCIO: TRUTG 'SENTIERO, PASSAGGIO A PIEDI SUI MONTI'

In romancio esiste la parola trutg "sentiero alpino", con le varianti trotg, truoch, truoi. Questi sono altri esiti della parola di sostrato in altre lingue retoromanze (friulano, ladino) e galloitaliche (veneto):

Friuliano: troi "sentiero"
Ladino: tru "sentiero" 
Veneziano: tróso "sentiero" 

L'origine è chiaramente celtica. Questa è la protoforma ricostruibile:  

Proto-celtico: *trogijo- "sentiero", "cammino" 

Non sono rimaste attestazioni di discendenti diretti, tuttavia la radice è ben nota nel mondo celtico con una variazione apofonica e un suffisso in dentale: 

Proto-celtico: *traget- "piede"    
  Antico irlandese: traiġ "piede" < *tragess  (< -ts),
         gen. traiġeḋ < *tragetos
     Irlandese moderno: troigh "piede" (di umano; unità
         di misura; unità metrica)
     Gaelico di Scozia: troigh "piede"    
     Manx: trie "piede"   
  Medio gallese: troet "piede" < *tragess  (< -ts),
        traet "piedi" < *tragetes  
     Gallese moderno: troed "piede", traed "piedi"   
  Antico bretone: troat "piede", treit "piedi"
     Bretone: troat "piede"
  Antico cornico: truit "piede"
     Medio cornico: troys, tros "piede"
     Cornico: troes "piede"
  Gallico: *trageđ
    Neogallico (1): treide "piedi" < *tragete (duale),
        *tragetes (plurale)  

(1) Glossario di Vienne (VIII sec.): treide "pedes". 


Questo è un notevole derivato, che mostra la stessa vocale tonica -a- ma non ha il suffisso in dentale: 

Proto-celtico: *wer-trago- "cane da caccia" 
     < *uper-trago- 
   Gallico: *VERTRAGOS "cane da caccia"  
      => Latino: vertragus "cane da caccia" 
        Antico francese: veltre "cane da caccia" 
        => Italiano (obsoleto): veltro "cane da caccia" 

L'antico significato letterale doveva essere qualcosa come "super-corridore". La parola vertragus (variante: vertraha) è uno dei più notevoli prestiti dal gallico in latino. Il prefisso ver-, ben noto anche nell'onomastica gallica (es. Ver-cingeto-rīx "Supremo Re dei Guerrieri), è discendente dalla stessa radice indoeuropea che ha dato il latino super e il greco ὑπέρ (hypér) "sopra". 
La radice proto-celtica -trag- doveva avere il significato originale di "camminare, correre". La protoforma indoeuropea ricostruibile, che ha pochi discendenti in germanico e in slavo, è la seguente: 

Proto-indoeuropeo: *tregh- "camminare", "correre" 
    Gotico: þragjan "correre"
    Serbo-croato: trâg "traccia" 

Con ogni probabilità si tratta di una variante di un'altra simile radice proto-indoeuropea, *dhregh- "correre", "trascinare", "spingere", che è più produttiva: numerosi esiti si trovano in greco, armeno, celtico, germanico, baltico, slavo. L'origine ultima permane comunque sconosciuta.  

giovedì 8 settembre 2022

UN RELITTO CELTICO IN ROMANCIO: TEGIA 'MALGA, BAITA D'ALPE, CASCINA DI MAGGENGO'

In romancio esiste la parola tegia "malga, baita dl'alpe, cascina di maggengo". La sua origine è chiaramente celtica. 

Proto-celtico: *tegos, *teges- "casa"   
  Antico irlandese: teġ "casa"
    Gaelico d'Irlanda: teach "casa" 
    Gaelico di Scozia: taigh "casa" 
    Manx: çhagh, thie "casa" 
  Medio gallese: ty "casa" 
    Gallese moderno: "casa" 
  Antico bretone: tig "casa" 
    Bretone moderno: ti "casa" 
  Antico cornico: ti "casa" 
    Cornico: chi, chy "casa" 


Già in epoca antica ci è attestato nella toponomastica di area celtica la parola attegia "capanna" (attestata da Giovenale), che deriva chiaramente da un precedente *attegesā e che costituisce un chiaro esempio di neutro plurale/collettivo in , divenuto poi un femminile singolare (con vocale lunga, a differenza del latino -a). Si danno molti casi di scomparsa della sibilante -s- intervocalica in gallico, anche se non è un esito generalizzato: eias < *esijās; eianom < *esijānon e via discorrendo (Piombo di Larzac). Non accade mai questo dileguo nel suffisso superlativo -isamos, probabilmente perché in questo caso deriva dalla semplificazione di un gruppo consonantico (cfr. latino -issimus, etc.). 
In veneto la parola attegia si è conservata ed è diventata tesa /'teza/ "capanna". È perfettamente analoga alla forma romancia tegia. 

È molto facile ricostruire l'origine più lontana della parola celtica che ha dato questi chiari esiti in romancio e in veneto. La riportiamo con un sintetico elenco di discendenti (ben lungi dall'essere esaustivo): 

Proto-indoeuropeo: *(s)teg- "coprire" 
   Greco: στέγω (stégō) "io copro"; στέγος (stégos) "tetto" 
   Latino tegō "io copro", tectustēctus "coperto", "nascosto"  
       contegō "io nascondo" 
       dētegō "io scopro" 
       integō "io copro", "io proteggo" 
       praetegō "io proteggo" 
       prōtegō "io copro" 
       retegō "io scopro", "io rivelo"
       tector "pittore", "decoratore di muri"
       tectum "tetto", "rifugio"
       tegulum "tetto" 
       tegumen, tegmen, tegimen "protezione"  
       tegumentum "copertura", "armatura" 
       tēgula "tegola"   
       toga "tipo di veste" 
   Sanscrito: sthagati "egli copre, nasconde" 
   Proto-germanico: *θakan "tetto" 
      Antico inglese: þæċ "tetto" 
        Inglese moderno: thatch "tetto di paglia" 
      Tedesco: Dach "tetto" 
      etc.

mercoledì 7 settembre 2022

UN RELITTO CELTICO IN ROMANCIO: MÈLLEN 'GIALLO' - E UN SUO PARENTE IN SARDO

In romancio esiste la parola mellen "giallo". L'accento è sulla prima sillaba: mèllen /'mellen/. In sardo abbiamo una parola molto simile: mélinu "giallo". La sua origine è chiaramente celtica.

Proto-celtico: *melinos "giallo"  
  Antico irlandese: -
  Gallese antico: melin "giallo"
   Medio gallese: melyn "giallo"
   Gallese moderno: melyn "giallo"
  Cornico: melyn "giallo"
  Bretone: melen "giallo"

Proto-celtico: *melissis "dolce"
  Antico irlandese: milis "dolce"  
    Gaelico d'Irlanda: milis "dolce"
    Gaelico di Scozia: milis "dolce"

Proto-celtico: *melissos "dolce"
  Gallico: Melissos "Il Dolce" (antroponimo)  



Il nome del colore giallo è un derivato del proto-celtico *meli- "miele", tramite un comune suffisso aggettivale -no-. La vocale mediana è breve. L'accento cade sulla prima sillaba. Ci è documentato in latino l'aggettivo melinus "giallastro", con la -i- breve nella seconda sillaba: è un evidente prestito dal celtico. 

Proto-celtico *meli- "miele" 
  Antico irlandese: mil "miele"
    Gaelico d'Irlanda: mil "miele"
    Gaelico di Scozia: mil "miele"
    Manx: mill "miele"
  Gallese: mêl "miele"
  Cornico: mel "miele"
  Bretone: mel "miele"  


La radice è di chiara origine indoeuropea: *melit "miele". Ecco un elenco di discendenti:  

Greco: μέλι (méli) "miele", gen. μέλιτος (mélitos
Albanese: mjaltë "miele" (< *melita
Armeno: mełr "miele"; mełu "ape" 
Gotico: miliþ"miele" 

La stessa radice è documentata anche nelle lingue anatoliche: 

Ittita: mallit- / millit- "dolce; miele"
Luvio: mallit- "miele"
Palaico: mallitanna- "dolcezza (del miele)" 


Il latino melinus non va confuso con il quasi omofono mēlinus "fatto di mele; fatto di cotogne", "del colore delle cotogne", derivato dal greco μῆλον (mêlon) "mela", che ha la prima sillaba con vocale lunga. Esiste anche un omografo, non realmente omofono: mēlīnus "relativo a martora o tasso", da mēlēs "martora", "tasso" (animale): il suffisso in questo caso ha la vocale lunga -ī- e porta l'accento: /me:'li:nus/.  

In latino mel "miele" presenta in modo sistematico una consonante doppia nel corso della flessione e nei derivati.

nominativo: mel
genitivo: mellis
dativo: mellī
accusativo: mel
ablativo: melle, mellī

Questa consonante doppia proviene dall'assimilazione di un più antico gruppo -ld-, abbastanza anomalo come derivato di un precedente -l-it-, tramite un'antichissima lenizione. Ecco le protoforme ricostruite: 

Proto-latino: *meld "miele" 
  nominativo/accusativo: *meld
  genitivo: *meldes / *meldos
  dativo: *meldei
  ablativo: *melded / *meldīd  

Si ritrova naturalmente la doppia -ll- nei derivati, per questo ovvio motivo, che a scuola viene insegnato come "da imparare così e basta". Ecco un elenco: 

mellārium "arnia, alveare"
mellārius "apicultore"; "relativo al miele"
mellātiō "raccolta del miele"
melleus "di miele", "simile al miele", "dolce come il miele"  
melliculum "dolcezza" (vezzeggiativo) 
mellifer "che produce miele"
mellificāns "che produce miele"
mellificium "raccolta del miele", "produzione di miele" 
mellificō "produco miele" 
mellificor "produco miele"
mellifluēns "dal dolce parlare fluente" 
mellifluus "che versa miele", "dolce come il miele" 
mellīgō "propoli", "resina delle api" 
mellilla "dolcezza" (vezzeggiativo) 
mellīna "dolcezza" (vezzeggiativo)
mellītula "dolcezza" (vezzeggiativo) 
mellītus "mielato", "dolce come il miele" 
Mellōna "Dea del miele e delle api" 
Mellōnia "Dea del miele e delle api"
mellōsus "del miele", "simile al miele"

Notiamo che melinus "giallastro" presenta per analogia la forma mellinus, ma ha in origine una consonante semplice, proprio perché deriva dal celtico.

In proto-celtico, la parola indoeuropea *melit è passata da un tema in -i-:

Proto-celtico: *meli "miele" 
  nominativo/accusativo: *meli
  genitivo: *melois
  dativo: *melei
  locativo: *melei
  strumentale: *melī

Un altro derivato presente in latino:

melina, mellina "idromele"
Nota: 
Sembra un sinonimo di medus, medu "idromele", anche se più probabilmente indica la bevanda non fermentata. 

Nelle lingue celtiche non abbiamo attestati discendenti di *melinā "idromele", ma dovette essere esistito, come dimostra la forma latina. Tradurrei questa protoforma come "idromele non fermentato". 

UN RELITTO CELTICO IN ROMANCIO: MARV 'RIGIDO, INSENSIBILE AL FREDDO'

In romancio esiste la parola marv "rigido, insensibile per il freddo". Descrive in modo sintetico la spiacevole sensazione di formicolio degli arti non ben irrorati dalla circolazione sanguigna, ad esempio quando ci si trova con una gamba "addormentata". La sua origine è chiaramente celtica.  

Proto-celtico:
*marwos "morto" 
  Antico irlandese: marḃ "morto"
   Gaelico d'Irlanda: marbh "morto, defunto"
        (pron. /'marəv/)
   Gaelico di Scozia: marbh "morto, defunto" 
        
(pron. /'marəv/)
  Manx: marroo "morto, defunto" 
  Medio gallese: marw "morto" 
    Gallese moderno: marw "morto" 
  Medio bretone: marf, maru "morto" 
   Bretone: marv "morto" 
  Gallico: *MARUO- "morto" 

Allo stato attuale delle mie conoscenze, la forma gallica non risulta attestata, ma sarò lieto di pubblicare aggiornamenti se necessario.


Questi sono alcuni derivati della radice in analisi: 

1) Proto-celtico: *marwo-natus "canto funebre, elegia" 
  Antico irlandese: marḃnaḋ "canto funebre, elegia"
  Bretone: marvnad "elegia"
  Medio gallese: marwnad "elegia"
    Gallese moderno: marwnad, marnad "elegia"
Nota: 
La parola *natus "canto" è di origine sconosciuta, molto probabilmente è un resto del sostrato pre-celtico. Ci sarà da stabilire - e non è facile - se sia un resto di un sostrato pre-celtico comune a tutti i Celti, passato nella protolingua nel suo antico luogo d'origine continentale, oppure se sia un resto di un sostrato pre-celtico specifico della Britannia e dell'Irlanda. 

2) Proto-celtico: *marwāti "morire"; "uccidere"
   Medio bretone: meruel "morire" 
     Bretone: mervel "morire" 
   Medio cornico: merwel "morire" 
     Cornico: merwel "morire" 
   Medio gallese: merwi "morire" 
   Antico irlandese: marḃaiḋ "uccidere"
      (forma congiunta: -marḃa; nome verbale: marḃaḋ)

Sarebbe troppo lungo e complicato riportare tutte le forme della radice indoeuropea d'origine. Mi limiterò a citare alcuni dati indispensabili, rimandando al Web per approfondimenti.

Proto-indoeuropeo: *mṛtwós "morto", derivato dalla radice *mer- "morire"  
    Proto-baltoslavo: *mirtwas "morto" 
       Proto-slavo: *mŭrtvŭ "morto" 
    Proto-italico: *mortwos "morto" 
       Latino: mortuus "morto" 
       Venetico: murtuvoí, “dead” (dat. sing.) 

domenica 20 febbraio 2022


I CATARI DI PÉRIGUEUX

Descrizione di una comunità dualista della Dordogna 

Riporto un testo notevole, una testimonianza del XII secolo (correva l'anno 1147) che ci permette di capire come un monaco della Chiesa di Roma vedeva i Catari che andavano diffondendo i loro insegnamenti in una regione dell'Aquitania: il Périgord, anticamente noto come Diocesi Petrocoricense.

Io, monaco Eriberto, desidero che sia noto a tutti i cristiani quanto debbono agira accortamente con gli pseudoprofeti che cercano di sovvertire in questi tempi la cristianità. Sono infatti apparsi nella regione di Périguex numerosi eretici, i quali affermano di seguire la vita apostolica. Essi non mangiano carne, non bevono vino, se non in piccola misura ogni tre giorni. Fanno quotidianamente centinaia di genuflessioni, ma non accettano denaro in elemosina. Invece di dire soltanto "Gloria al Padre", essi aggiungono "perché tuo è il regno, e tuo il potere su tutta la creazione, in eterno, amen", parole che non sono nella Scrittura. 

Essi sostengono che le opere di carità sono inutili, perché nessuno dovrebbe possedere ricchezze con cui fare elemosina. Considerano di nessun valore la messa, e asseriscono che il sacramento dell'eucarestia è unicamente la consumazione di un pezzo di pane. Se qualcuno di loro celebra la messa, per ingannare i fedeli, non recita il canone e non partecipa al sacramento, ma getta l'ostia dietro l'altare o la caccia dentro il messale. Essi non adorano la croce né l'immagine del Signore, anzi trattengono dall'adorarle, per esempio, pronunciando davanti all'immagine del Signore queste parole: "Come sono meschini coloro che ti adorano!", e recitando il Salmo "Gli idoli dei Gentili, ecc.". 

Già moltissime persone si sono lasciate sedurre da queste falsità, anche tra i nobili, che hanno abbandonato i loro averi e il loro stato, e persino tra i membri del clero, preti, monaci e suore. 

Non c'è tra costoro nessuno così incolto che, se si mette al loro seguito, non possa divenire nello spazio di otto giorni tanto abile da non lasciarsi confondere né in discussioni né in citazioni. Non c'è alcun mezzo per isolarli dagli altri, perché, anche se vengono messi in prigione, non possono essere tenuti da nessun vincolo: il diavolo stesso scioglie le loro catene. Essi compiono pure grandi prodigi: anche se, legati da manette di fetto, vengono ficcati dentro una botte capovolta, e tenuti sotto stretta sorveglianza, l'indomani non sono più visti, essendosi liberati da soli. 


(Eriberto, Epistola de haereticis Petragoricis, in J.P. Migne, Patrologia latina, volume CLXXXI) 

Da questa vivida descrizione apprendiamo il sacro terrore che una parte del clero cattolico nutriva verso i portatori di una tradizione giudicata incomprensibile, di cui intuiva però il potenziale antinomico. Il monaco Eriberto fotografa una situazione di incipiente cambiamento sociale: dalle sue parole è ben chiaro che all'epoca in cui scrisse il Catarismo in Dordogna era una novità destinata a mettere salde radici. Nonostante la cultura e l'intelligenza del chierico, si nota come la sua inquietudine era costantemente minacciata da cadute nell'irrazionale. L'attribuzione ai Perfetti di capacità soprannaturali e demoniache ricorre in molti altri testi. Questo luogo comune era diffuso anche a Oriente. Ad esempio, quando l'imperatore di Bisanzio Alessio Comneno fece condannare al rogo Basilio il Bogomilo, temette fino all'ultimo che questi potesse essere liberato con l'aiuto dei demoni. Il clima di superstizione offuscava le menti e preparava le peggiori atrocità. La cultura egemone a quell'epoca era dominata da rapporti complessi e rigidi che non ammettevano infrazioni, l'ostilità a qualsiasi cambiamento permeava ogni cosa. Anche solo il tentativo di applicare il Vangelo nella vita di tutti i giorni, negando le stratificazioni sociali, era ritenuta follia di ispirazione diabolica. Come dice a questo proposito J.P. Poly, studioso di storia medievale, "coloro che vogliono, molto o poco, modificare le situazioni esistenti, sono considerati ambiziosi senza scrupoli e spititi sovversivi, nella misura in cui mettono in causa l'ordine voluto da Dio." 

Eppure, anche in mezzo a tanta oscurità, una scintilla di luce riuscì a trovare il terreno per attecchire e svilupparsi. 

La profondità dottrinale di questa comunità catara appare già perfettamente delineata. Traspare nitidamente la concezione docetica che nega la carnalità di Cristo e la sua passione sulla croce, attribuendo alla Cena del Signore un mero significato commemorativo. È evidente che l'opera di Dio menzionata nella dossologia "perché tuo è il regno, e tuo il potere su tutta la creazione, in eterno, amen" non è il mondo materiale e sensibile, creato da Satana, ma il mondo dello Spirito in cui le anime umane hanno avuto origine. Già vi appare il particolare modo cataro di intendere il verbo "creare" nonché i termini "tutto" e "nulla". Anche la dieta seguita dai Perfetti è menzionata, segno che la religione dualista era già ben definita nei suoi costumi e nella sua gerarchia, a dispetto di quanto sostenuto da alcuni autori che parlano di movimenti spontanei. Il nome dato a questi religiosi eterodossi, Eretici Petragorici, fa riferimento al nome della regione, che trae la sua origine dai Celti Petrucorii che la abitarono (*). In seguito tuttavia, a causa della credenza nella metempsicosi, il nome Petracorici sarebbe stato mutato spesso in Pitagorici.

(*) In lingua gallica il nome Petrucorii significa "Quattro Tribù".

giovedì 10 febbraio 2022

EON DELLA STELLA

La storia di un Messia Bretone

Eudo (Eudes) nacque da una famiglia della nobiltà minore, nei pressi di Loudéac, in Bretagna. Si ignora l'anno della nascita, così come non si hanno notizie sulla prima parte della sua vita. Si sa che Eudo divenne un monaco degli Agostiniani, conducendo vita da anacoreta nella foresta di Brocéliande (Brecheliant in lingua bretone). Era quello un luogo considerato sacro dagli antichi Druidi e ricco di testimonianze di una civiltà megalitica anteriore all'arrivo dei Celti. Nel 1140, durante il regno di Conan III di Bretagna, ebbe la sua residenza in un'abbazia abbandonata, nel luogo conosciuto come Moinet. Tuttavia non rimase per lungo tempo in quel luogo. Secondo quanto ci è riportato da alcune fonti, mentre assisteva alla messa, udì nitidamente il prete dire "Per eum qui venturus est judicare vivos et mortuos", ossia ("per colui che verrà a giudicare i vivi e i morti", e riconobbe nella formula il suo nome, perché la pronuncia del prete avrebbe riprodotto la parola "eum" della liturgia come "Eon", essendo "Eon" (con la variante "Yun") la forma bretone di Eudo, Eudes. Altrove è invece riportata una versione del tutto diversa: egli avrebbe fatto un sogno soprannaturale. In questa rivelazione divina in cui gli sarebbe stato nominato Giudice Universale e gli sarebbe al contempo stato imposto di cambiare il suo nome in Eon. È possibile che in seguito all'episodio della messa, egli abbia avuto il sogno, la cui descrizione farebbe pensare all'uso di amanita muscaria, un fungo dagli intensi poteri allucinogeni. C'è anche chi pensa che queste narrazioni fossero null'altro che scherni e irrisioni da parte delle autorità ecclesiastiche, di cui è ben nota la strategia di negare l'intelligenza degli avversari per screditarli agli occhi delle genti. Quale che sia la verità dei fatti, ammesso che a distanza di tanto tempo sia ancora appurabile, dal momento della rivelazione il nobile bretone si fece chiamare Eon e si presentò come Profeta e Messia.

Correva l'anno 1145 quando si registrarono segni celesti, tra cui il passaggio di una cometa, in concomitanza alla morte del Pontefice Lucio II. Verosimilmente da questo evento, Eon prese il soprannome "de Stella" (in francese "de l'Étoile"). Nel Medioevo le comete erano ritenute portenti nefasti, che annunciavano la caduta dei potenti. Proprio in quell'anno
Eon cominciò a predicare nella foresta. Riscosse immediatamente molti consensi tra i poveri e gli oppressi, tanto che un folto gruppo di seguaci si riunì intorno a lui, costituendo il primo nucleo di una setta destinata ad accrescere rapidamente la propria popolarità. I tratti distintivi della nuova religione fondata da Eon erano improntati a un acceso messianismo: in modo simile al Cristo di Bourges di alcuni secoli prima, egli era ritenuto lo Spirito Santo incarnato e chiamato il Signore dei Signori, mentre i suoi seguaci erano Angeli e Apostoli. In quest'ottica, elesse una sua corte i cui membri si fregiavano di altisonanti appellativi: Giudizio, Saggezza, Conoscenza, etc. Mentre imperversava una carestia atroce in tutta la Bretagna, Eon predicava in nome di Cristo. Esaltava la vita ascetica e le virtù evangeliche contro le crapule e la dissolutezza degli ecclesiastici, che pensavano solo a rubare, a riempire i loro pingui ventri mentre il popolino moriva di fame e non aveva di che nutrire i proprii figli. I sacramenti della Chiesa Romana erano giudicati inefficaci, perché il Vangelo era stato tradito e usato come maschera dell'iniquità. Mentre altrove, a molte miglia di distanza, Bernardo di Chiaravalle si stava affannando per restaurare la dignità perduta e la parvenza di santità degli ordini monastici ormai decadenti, Eon della Stella era arrivato a giudicare i vivi e i morti. I toni delle sue prediche divennero sempre più esaltati e violenti, tanto che presto iniziarono i saccheggi delle proprietà della Chiesa di Roma. I granai furono svuotati, le chiese e i monasteri subirono razzia e devastazione. I tesori immensi dei monaci rapaci furono ridistribuiti al popolo. La fama di Eon si espanse, tanto che ci furono suoi seguaci in Normandia e persino in Guascogna. Si diceva che un alone luminoso lo circondasse e che avesse il potere di bilocarsi. Un grande paradosso si produsse a questo punto, perché le risorse sottratte servirono ad alimentare un grandissimo lusso tra Eon e i suoi seguaci, che finirono col vivere in modo altrettando dissoluto dei chierici da loro condannati a causa della mondanità. Se dobbiamo credere ai cronisti, mangiavano avidamente, vivevano tra mille eccessi, incarnando una contraddizione.

La reazione della Chiesa di Roma non poteva tardare. Ci fu un grande
clamore a proposito di quelle che fu chiamata Eresia Eonista, e il Pontefice, Eugenio III, la condannò nel Concilio di Reims. Era il 1148. Fu ordinato l'arresto di Eon, ma è riportato che i primi uomini inviati a catturarlo si convertirono, attratti dallo stile di vita stravagante che regnava alla corte del profeta bretone. Ci furono altri tentativi e alla fine Eon della Stella fu catturato dagli uomini dell'Arcivescovo Ugo di Ammiens, e portato in catene davanti al Sinodo presieduto dallo stesso Pontefice Eugenio III. Egli aveva con sé un ramo a forma di Y, e disse fieramente che lo avrebbe puntato verso il cielo se Dio avesse dovuto possedere due terzi del mondo e lui un terzo, mentre sarebbe stato il contrario se lo avesse puntato verso il basso. Il Concilio scoppiò a ridere fragorosamente di fronte a queste dichiarazioni. Quanto seguì non fu certo comico. Il prigioniero venne sottoposto a spaventose torture, nel tentativo di fargli ritrattare ogni cosa. Alla fine, dato che insisteva nel ritenersi lo Spirito Santo venuto a giudicare i vivi e i morti e il mondo nel fuoco, fu ritenuto del tutto insano di mente e condannato ad essere imprigionato a vita a pane e acqua. La Chiesa Romana affermò che si era riconciliato, pentendosi e ritrattando, in modo tale da togliere vigore ai suoi seguaci; non è facile stabilire cosa realmente avvenne, a parte il fatto che il condannato fu assegnato alla custodia dell'Arcivescovo Sansone di Reims e rinchiuso nell'Abbazia di Saint-Denis. Morì nel 1150, a causa delle privazioni e dei maltrattamenti. La sua organizzazione resisté con coraggio, e tutti i suoi membri furono catturati solo dopo molte difficoltà, in quanto si annidavano in luoghi impervi. A differenza del loro Messia, furono tutti riconosciuti sani di mente e condannati ad essere bruciati vivi sul rogo, dato che nessuno di loro rinnegò la propria religione.

Questo è il testo originale di Guglielmo di Neuburg che parla di Eudo
de Stella, tratto dalla Historia de Rerum Anglicarum: 

Eudo is dicebatur, natione Brito, agnomen habens de Stella, homo illileratus et idiota, ludificatione daemonum ita dementatus, ut, cum sermone Gallico Eon diceretur, ad suam personam pertinere crederet, quod in ecclesiasticis exorcismis dicitur, scilicet "per eum, qui venturis est judicare vivos et mortuos, et seculum per ignem." Ita plane fatuus, ut Eon et eum nesciret distinguere, ded supra modum stupenda caecitate crederet, se esse dominatorem et judicem vivorum et mortuorum. Etatque per diabolicas praestigias tam potens ad capiendas simplicium animas, ut - seductam sibi multitudinem aggregaret, quae tota illum tanquam dominum dominorum individue sequeretur. - Et interdum quidem mira velocitate per diversas provincias ferebatur: interdum vero morabatur cum suis omnibus in locis desertis et inviis, mosque instigante diabolo, erumpebat improvisusi, ecclesiarum maxime, ac monasteriorum infestator. Accedebant ad eum plerumque noti ejus et propinqui, erat enim non infimi generis; sive ut eum familiari ausu corriperent, sive ut quomodo se circa eum res haberet cautius explorarent. Videbatur autem esse circa eum ingens gloria, apparatus fastusque regius, et qui cum eo erant, sollicitudinis laborisque expertes, pretiose indui, splendide epulari, et in summa laetitia agere videbantur : in tantum ut plerique, qui ad corripiendum eum venerant, conspecta ejus non vera sed fantastica gloria, corrumperentur. Fiebant enim haec fantastice per daemones ; a quibus scilicet misera ilia multitudo, non veris et solidis, sed aeriis potius cibis in locis desertis alebatur. Nam, sicut postmodum per quosdam audivimus qui in ejus fuerant comitatu, eoque sublato tanquam agentes poenitentiam per orbem vagabantur, in promptu eis erant, quotiescunque volebant, panes, carnes, et pisces, et quique cibi lautiores. Verum quod iidem cibi non solidi sed aerii fuerunt, subministrantibus invisibiliter spiritibus aeris hujus, ad capiendas magis quam pascendas animas, hinc elucet, quod quantamcunque ex cibis illis repletionem modico ructu exinanitio sequebatur, tanta mox succedente esurie ut eosdem cibos illico repetere cogerentur. Quicunque autem forte ad eos accedens ex cibis eorum vel modicum gustasset, ex participatione mens daemoniorum mente mutata spurcissimae multitudini continuo adhierebat; et quicunque ab eis aliquid in qualibet specie.

Veniamo ora all'interpretazione di questa strana vicenda. Non pochi sono rimasti impressionati dall'assonanza tra il nome Eon e l'Eone gnostico, arrivando persino a supporre che nel monastero degli Agostiniani in cui era stato per breve tempo, il nobiluomo avesse avuto accesso ad antichi testi che descrivevano una qualche forma di Gnosticismo antico. Tuttavia egli è definito "analfabeta" da Guglielmo di Neuburg, e a quei tempi davvero in pochi sapevano scrivere, anche nella piccola aristocrazia. Se davvero egli fu incapace di leggere, crolla la possibilità che abbia potuto avere accesso a fonti antiche. Quello che appare evidente è la scarsità di influenze da parte del Dualismo, a parte la negazione della validità dei sacramenti della Chiesa di Roma e la condanna della sua mondanità. Ma queste caratteristiche erano all'epoca molto diffuse. I nomi dati ai ministri di Eon, Saggezza, Giudizio, Conoscenza, ricordano in effetti caratteri gnostici. Dall'analisi dei fatti, manca tuttavia il riscontro di una qualsiasi forma di anticosmismo e di dottrina di tipo gnostico. Anzi, l'esiguità del corpo dottrinale eonista è palese. Egli non era interessato a dispute filosofiche sull'origine dell'universo e sulla natura di Dio, a stabilire se Satana fosse a sua volta un Dio o una creatura, e così via. Tutto in lui era pratico, volto ad instaurare in concreto il Regno Millenario, una caratteristica tipica di una grande schiera di predicatori indipendenti e di visionari di ogni genere, dal Cristo di Bourges ad Adolf Hitler. L'opinione prevalente tra gli studiosi moderni è scettica a proposito di un qualsiasi nesso con tradizioni più antiche: nonostante la gran confusione delle fonti, è estremamente improbabile che Eon abbia qualcosa a che vedere con gli Eoni dei sistemi di Valentino e di Basilide.