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giovedì 15 settembre 2022

UN RELITTO CELTICO IN ROMANCIO: GIOP 'GINEPRAIO'

In romancio esiste la parola giop "ginepraio" (glossa tedesca: Wacholderbusch). Si capisce all'istante che è una voce prelatina e ha corrispondenze galloitaliche in un'area abbastanza compatta della regione alpina: valtellinese giupp "rododendro" (Sondrio), giub "ginepro nano" (Tre Pievi), ticinese gip "rosa delle Alpi" e molte altre forme simili (Stampa, 1937). Se ne parla nell'Archivio glottologico italiano, volumi 22-23, ove è riportata la variante engadinese inferiore gioc, giocca "ginepro" (Ascoli, 1929). Purtroppo non sono riuscito ad avere accesso a questi testi e ne ho ottenuto solo brevi stralci da Google Books.  

Rileviamo una glossa del medico e botanico Dioscoride Pedanio (circa 40 d.C. - circa 90 d.C.), vissuto a Roma all'epoca di Nerone, che si collega al vocabolo romancio.  

Voce riportata da Dioscoride: 
   ἰουπικέλλους
ον (iupikélluson
Glossa greca: 
   ἄρκευθος (árkeuthos
Traduzione italiana: "ginepro" 
Fonte: De materia medica libri quinque - Volume I, cap. CIII. 

Sono erronee e dovute a tentativi di razionalizzazione le trascrizioni ιουπικελλους (iupicellus) e ιουπικελλος (iupicellos) che spesso si trovano riportate nei testi dei romanisti e di altri studiosi. 

Questo è il testo di Dioscoride originale in greco: 

Κεφ. ργ'. [Πεr Ἀρκεύθου.] Ἄρκευθος ἡ μέν τίς ἐστι μεγάλη, ἡ δ μικρά. [οἱ δ ἀρκευθίδα, οἱ δ μνησίθεον, οἱ δὲ ἀκαταλίδα, Ἀφροί ζουορινσίπετ, Αἱγύπτιοι λιβιούμ, Ῥωμαῖοι ἰουνίπερουμ, Γάλλοι ἰουπικέλλουσον. Γνώριμος δ ἡ μεγάλη τοῖς πλεῖστοις, ἐμφερς κυπαρίσσῳ, γεννωμένη ἐν τραχέσι κα παραθαλασσίοις τόποις.] Δριμεῖαι δ ἀμφότεραι, διουρητικα θερμαντικα, θuμώμεναί τε θηρία διώκουσιν. Ὁ δ καρπς αὐτῶν ὁ μέν τις καρύου μέγεθος εὐρίκεται, ὁ δ καρύοι ποντικοῦ ἴσος, στρογγύλος τε κα εὐώδης κα γλυκς ἐν τῷ διαμασσᾶσθαι κα ὑπόπικρος, ἀρκευθìς καλούμενος, θερμαντικς μετρίως κα στυπτικς, εὐστόμαχος. ποιῶν πρς τ ἐν θώρακι κα βῆχας κα πνεuματώσεις κα στρόφους κα θηρία πινόμενος. ἔστι δè κα οὐρητικς, ὅθεν κα σπάσμασι κα ῥήγμασι κα ὑστερικαῖς πνιγομέναις ἁρμόζει.

Questo è il testo di Dioscoride in latino (il grassetto è mio): 

Cap. CIII. [De Iunipero.] Iuniperus quaedam maior est, minor altera. [Hanc nonnulli arceuthida, alii mnesitheum, alii acatalida, Afri zuorinsipet, Aegyptii libium, Romani iuniperum, Galli iupicelluson vocant, Maior est in vulgus nota, cupresso similis, proveniens in asperis et submarinis locis.] Utraque est acris, urinam movet, calefacit, accensaque animalia noxia fugat. Fructus vero earum, alterius nucem (euboïcam), alterius nucem avellanam mole aequat, rotundus est, odoratus, dulcis dum manducatur, ac subamarus, arceuthis vocatus. Moderate calefacit et astringit, stomacho utilis. Potus ad pectoris vitia, tusses, inflationes, tormina morsusque bestiarum noxiarum inservit. Urinas quoque ciet, unde et convulsis et ruptis et quae utero strangulantur, subvenit. 

Traduzione in italiano: 

"Un tipo di ginepro è più grande, l'altro più piccolo. [Alcuni lo chiamano arceuthis, altri mnesitheum, altri acatalis, gli Africani zuorinsipet, gli Egiziani libium, i Romani iuniperus, i Galli iupicelluson, e allontana gli animali nocivi incendiandoli. Ma il loro frutto, grande l'una come una noce (euboïca), l'altra come una nocciola, è rotondo, profumato, dolce quando si mangia e subamaro, chiamato arceuthis. Moderatamente riscaldante e astringente, utile per lo stomaco. La bevanda serve contro le malattie del petto, la tosse, le flatulenze, le convulsioni e i morsi di animali nocivi. Cura anche l'urina, dalla quale aiuta coloro che sono convulsi e lacerati e coloro che sono strangolati nel grembo materno."

Nei testi dell'Archivio glottologico italiano, il suffisso 
-ikel-, molto peculiare, è confrontato con quello della glossa celto-ligure aravicelus "pino cembro", "pinastro", trasmessa da Plinio e attribuita ai Taurini, di cui si parlerà in altra sede. Tuttavia, appurato che la forma trasmessa da Dioscoride termina in -ikell-us-on, si evince che le cose sono un tantino più complesse.

La protoforma ricostruibile a partire dalle forme romance e galloitaliche è la seguente: 

Proto-celtico: *juppos "specie di arbusto" 
      < *jukkwos 

Questo scrive Carlo Salvioni in Etimologie varie, Romania, Vol. 36, No. 142 (1907), pp. 224-251, proponendo una ridicola paretimologia, pur avendo il pregio di riportare dati altrimenti difficili da reperire:

ENGAD. giob -p GINEPRO 2

Ricorre anche di quà dall' Alpi : valtell. giùba, giub, gip, ginepro, ginepro nano, poschiav. giòb pianterella nana. Nella Valle del Ticino però e altrove, le è proprio il significato di ʻ rododendro ʼ 3: arbed. gip, valcoll. žüp, e inoltre žip, gep, ǧüp, v. Bollett. st. d. Svizz. it., XIII, 102. Evidentemente c'è qui un trapasso di significato, nè saprei dire se dal ʻ rododendro ʼ al ʻ ginepro ʼ o da questo a quello. Molto verosimilmente però la prima alternativa è quella che corrisponde meglio alla realtà, poichè a designare il rododendro, quei di Pontirone, una valletta tributaria del Blenio, adoperano ǧọpadrórz cioè ʻ giubba dell' orso ʼ; e qual pur si sia la concezione da cui s'è mosso per creare questa designazione, essa trae conforto dal sinonimo braga d'ors proprio di Leontica (Blenio). Mi par dunque che non andremo lontani dal vero ravvisando in giop ecc. come la riduzione elittica del composto ʻ giubba dell' orso ʼ. La gamma vocalica in cui la voce ci si fa davanti, questa già ce l'offre nel suo significato proprio (valtell. giùba e gíba, arbed. gípa, sopras. gieppa ; per l'o, v. il ted. Joppe, Diez, W, 166). Solo giǫ́pa è a me ignoto, e chi sa che l'ǫ́ non si debba a ciò, che scioltosi giópa dal composto, e non intendendosene più il primitivo valore etimologico, venne facilmente attratto da qualche altra voce ? 

2. Divariato anche per gioc -cca, jocca, nel basso-eng.
3. Nella stessa Valtellina, a Ponte, è giüp rododendro. - La Leventina ha anche un giópa pianta di patate, e simili. 

Incredibile e grottesca è la conclusione del Salvioni, nel tentativo di ricondurre l'ignoto al noto, spiegando a viva forza Omero con Omero e mettendo il tutto nel letto di Procuste. Un simile operato alla meglio si deve considerare futile, alla peggio intellettualmente disonesto; l'unica scusante possibile è la scarsità d'informazione e di mezzi tipica dell'epoca. 

lunedì 12 settembre 2022

UN RELITTO CELTICO IN ROMANCIO: TRUTG 'SENTIERO, PASSAGGIO A PIEDI SUI MONTI'

In romancio esiste la parola trutg "sentiero alpino", con le varianti trotg, truoch, truoi. Questi sono altri esiti della parola di sostrato in altre lingue retoromanze (friulano, ladino) e galloitaliche (veneto):

Friuliano: troi "sentiero"
Ladino: tru "sentiero" 
Veneziano: tróso "sentiero" 

L'origine è chiaramente celtica. Questa è la protoforma ricostruibile:  

Proto-celtico: *trogijo- "sentiero", "cammino" 

Non sono rimaste attestazioni di discendenti diretti, tuttavia la radice è ben nota nel mondo celtico con una variazione apofonica e un suffisso in dentale: 

Proto-celtico: *traget- "piede"    
  Antico irlandese: traiġ "piede" < *tragess  (< -ts),
         gen. traiġeḋ < *tragetos
     Irlandese moderno: troigh "piede" (di umano; unità
         di misura; unità metrica)
     Gaelico di Scozia: troigh "piede"    
     Manx: trie "piede"   
  Medio gallese: troet "piede" < *tragess  (< -ts),
        traet "piedi" < *tragetes  
     Gallese moderno: troed "piede", traed "piedi"   
  Antico bretone: troat "piede", treit "piedi"
     Bretone: troat "piede"
  Antico cornico: truit "piede"
     Medio cornico: troys, tros "piede"
     Cornico: troes "piede"
  Gallico: *trageđ
    Neogallico (1): treide "piedi" < *tragete (duale),
        *tragetes (plurale)  

(1) Glossario di Vienne (VIII sec.): treide "pedes". 


Questo è un notevole derivato, che mostra la stessa vocale tonica -a- ma non ha il suffisso in dentale: 

Proto-celtico: *wer-trago- "cane da caccia" 
     < *uper-trago- 
   Gallico: *VERTRAGOS "cane da caccia"  
      => Latino: vertragus "cane da caccia" 
        Antico francese: veltre "cane da caccia" 
        => Italiano (obsoleto): veltro "cane da caccia" 

L'antico significato letterale doveva essere qualcosa come "super-corridore". La parola vertragus (variante: vertraha) è uno dei più notevoli prestiti dal gallico in latino. Il prefisso ver-, ben noto anche nell'onomastica gallica (es. Ver-cingeto-rīx "Supremo Re dei Guerrieri), è discendente dalla stessa radice indoeuropea che ha dato il latino super e il greco ὑπέρ (hypér) "sopra". 
La radice proto-celtica -trag- doveva avere il significato originale di "camminare, correre". La protoforma indoeuropea ricostruibile, che ha pochi discendenti in germanico e in slavo, è la seguente: 

Proto-indoeuropeo: *tregh- "camminare", "correre" 
    Gotico: þragjan "correre"
    Serbo-croato: trâg "traccia" 

Con ogni probabilità si tratta di una variante di un'altra simile radice proto-indoeuropea, *dhregh- "correre", "trascinare", "spingere", che è più produttiva: numerosi esiti si trovano in greco, armeno, celtico, germanico, baltico, slavo. L'origine ultima permane comunque sconosciuta.  

giovedì 8 settembre 2022

UN RELITTO CELTICO IN ROMANCIO: TEGIA 'MALGA, BAITA D'ALPE, CASCINA DI MAGGENGO'

In romancio esiste la parola tegia "malga, baita dl'alpe, cascina di maggengo". La sua origine è chiaramente celtica. 

Proto-celtico: *tegos, *teges- "casa"   
  Antico irlandese: teġ "casa"
    Gaelico d'Irlanda: teach "casa" 
    Gaelico di Scozia: taigh "casa" 
    Manx: çhagh, thie "casa" 
  Medio gallese: ty "casa" 
    Gallese moderno: "casa" 
  Antico bretone: tig "casa" 
    Bretone moderno: ti "casa" 
  Antico cornico: ti "casa" 
    Cornico: chi, chy "casa" 


Già in epoca antica ci è attestato nella toponomastica di area celtica la parola attegia "capanna" (attestata da Giovenale), che deriva chiaramente da un precedente *attegesā e che costituisce un chiaro esempio di neutro plurale/collettivo in , divenuto poi un femminile singolare (con vocale lunga, a differenza del latino -a). Si danno molti casi di scomparsa della sibilante -s- intervocalica in gallico, anche se non è un esito generalizzato: eias < *esijās; eianom < *esijānon e via discorrendo (Piombo di Larzac). Non accade mai questo dileguo nel suffisso superlativo -isamos, probabilmente perché in questo caso deriva dalla semplificazione di un gruppo consonantico (cfr. latino -issimus, etc.). 
In veneto la parola attegia si è conservata ed è diventata tesa /'teza/ "capanna". È perfettamente analoga alla forma romancia tegia. 

È molto facile ricostruire l'origine più lontana della parola celtica che ha dato questi chiari esiti in romancio e in veneto. La riportiamo con un sintetico elenco di discendenti (ben lungi dall'essere esaustivo): 

Proto-indoeuropeo: *(s)teg- "coprire" 
   Greco: στέγω (stégō) "io copro"; στέγος (stégos) "tetto" 
   Latino tegō "io copro", tectustēctus "coperto", "nascosto"  
       contegō "io nascondo" 
       dētegō "io scopro" 
       integō "io copro", "io proteggo" 
       praetegō "io proteggo" 
       prōtegō "io copro" 
       retegō "io scopro", "io rivelo"
       tector "pittore", "decoratore di muri"
       tectum "tetto", "rifugio"
       tegulum "tetto" 
       tegumen, tegmen, tegimen "protezione"  
       tegumentum "copertura", "armatura" 
       tēgula "tegola"   
       toga "tipo di veste" 
   Sanscrito: sthagati "egli copre, nasconde" 
   Proto-germanico: *θakan "tetto" 
      Antico inglese: þæċ "tetto" 
        Inglese moderno: thatch "tetto di paglia" 
      Tedesco: Dach "tetto" 
      etc.

sabato 20 agosto 2022


LA MALA ORDINA 

Titolo originale: La mala ordina 
Titolo in inglese: The Italian Connection 
AKA: Manhunt in the City; Manhunt in Milan 
Lingua originale: Inglese
Paese di produzione: Italia, Germania
Anno: 1972
Durata: 97 min
Rapporto: 1,66:1
Genere: Noir, thriller, gangster
Regia: Fernando Di Leo
Soggetto: Fernando Di Leo
Sceneggiatura: Fernando Di Leo, Augusto Finocchi,
     Ingo Hermes
Produttore: Armando Novelli, Ermanno Curti
Casa di produzione: Cineproduzioni Daunia 70, Dear Film
     Produzione, Hermes Synchron
Fotografia: Franco Villa
Montaggio: Amedeo Giomini
Musiche: Armando Trovajoli
Scenografia: Francesco Cuppini
Costumi: Francesco Cuppini 
Trucco: Antonio Mura 
Supervisore alla produzione: Luciano Appignani, 
    Vincenzo Salviani 
Direttore di produzione: Lanfranco Ceccarelli 
Reparto artistico: Tino Avelli, C. Sormani 
Reparto sonoro: Goffredo Salvatori 
Effetti speciali: Basilio Patrizi  
Guardaroba: Alain Reynaud 
Reparto editoriale: Ornella Chistolini  
Continuità: Vivalda Vigorelli 
Interpreti e personaggi: 
    Mario Adorf: Luca Canali
    Henry Silva: David Catania
    Woody Strode: Frank Webster
    Adolfo Celi: Don Vito Tressoldi
    Luciana Paluzzi: Eva Lalli
    Cyril Cusack: Corso
    Franco Fabrizi: Enrico
    Sylva Koscina: Lucia Canali 
    Laura Wendel: Rita Canali
    Francesca Romana Coluzzi: Trini
    Femi Benussi: Anna*
    Peter Berling: Damiano
    Giuseppe Castellano: Piero Panunzio
    Giuliano Petrelli: Francesco
    Domenico Cianfriglia: Gustavino
    Pasquale Fasciano: Dog
    Giovanni Cianfriglia: Peppiniello
    Gianni Macchia: Nicola
    Jessica Dublin: Miss Kenneth
    Empedocle Buzzanca: Vice di Don Vito
    Omero Capanna: Scagnozzo di Don Vito
    Ulli Lommel: Guardiaspalle in corridoio 
    Renato Zero: Hippy con la bombetta
    Franca Sciutto: Ballerina
    Sergio Ammirata: Carlo, il cameriere sodomita 
    Ettore Geri: Barista della discoteca  
    Andrea Scotti: Garo 
    Vittorio Fanfoni 
    Franca Sciutto 
    Pietro Ceccarelli: Scagnozzo di Don Vito 
    Alberto Fogliani: Scagnozzo di Don Vito in garage 
    Enrico Chiappafreddo: Scagnozzo di Don Vito con Nicola  
    Sergio Ammirata: Carlo 
    Lanfranco Ceccarelli: Insegnante di scuola 
    Liliana Chiari: Prostituta 
    Guerrino Crivelli: Barista 
    Fernando Di Leo: Passante 
    Lina Franchi: Prostituta 
    Claudio Morabito: Delinquente 
    Martina Orlop: Ballerina bionda in topless 
    Virgilio Ponti: Pappone 
    Giuliana Ruffini: Prostituta 
    Clemente Ukmar: Barone 
    Mira Vidotto: Prostituta 
    *Nella versione in inglese è Nana, ma nel film in italiano
    si sente in modo nitidissimo Anna
Doppiatori originali:
    Stefano Satta Flores: Luca Canali
    Sandro Iovino: David Catania
    Bruno Alessandro: Frank Webster
    Antonio Guidi: Don Vito Tressoldi
    Noemi Gifuni: Eva Lalli
    Gabriella Genta: Lucia Canali
    Ludovica Modugno: Trini
    Gino Donato: Damiano
    Giorgio Piazza: Corso 
Titolo provvisorio: Ordini dall'altro mondo 
Titoli in altre lingue: 
   Tedesco: Der Mafia-Boss - Sie töten wie Schakale 
   Francese: L'Empire du crime 
   Spagnolo (Spagna): Nuestro hombre en Milán 
   Lituano: Žmogaus medžioklė 
   Russo: Охота на человека 
   Serbo: Po naređenju podzemlja 
   Turco: Gangsterler çarpışıyor 
   Giapponese: 皆殺しハンター (Mina-goroshi Hanta) 

Trama: 
Primi anni '70. Milano brutale e corrotta, ma illuminata da un pallido sole primaverile. Due sicari, l'inespressivo Dave Catania e il colossale mandingo Frank Webster, vengono inviati da New York a Milano dal loro boss Corso, con la missione di trovare e uccidere Luca Canali, un piccolo magnaccia accusato di aver sottratto un carico di eroina della mafia. Il locale boss mafioso Don Vito Tressoldi è sconvolta dall'intrusione degli americani nel suo territorio, ma è costretto a stare al gioco dando ordine di consegnare loro Canali. Schiera così una rete di spie e informatori in tutta la città per trovarlo, ma questi riesce a eludere tutti per un pelo. Per il pappone ha inizio una precipitosa fuga, anche se i suoi stessi amici si rivoltano contro di lui. Tra questi, uno strano sodomita biondiccio, che cerca di consegnarlo ai picciotti.  
Si scopre che il carico di droga è stato effettivamente rubato da Don Vito, che ha provveduto a incastrare Canali, scegliendolo perché è un "pesce piccolo", dotato di bassa "statura criminale". A un certo punto il boss maligno ricorre all'uccisione della moglie e della figlia di Canali per attirarlo allo scoperto. Infuriato, Canali scatena una violenta vendetta contro la mafia, facendo fuori i membri della gang e infine uccidendo lo stesso Don Vito con una revolverata nel cuore, nel suo stesso ufficio. Si tratta di una vera e propria esecuzione: il boss ammette di essersi gravemente sbagliato sulla "statura criminale" di Canali e sulle sue capacità. Così, capendo di aver perduto il suo "onore", chiede di essere soppresso.  
Canali conduce Catania e il mandingo gigantesco, Webster, a uno scontro finale in uno squallidissimo cantiere di demolizione di automobili, dove riesce a ucciderli entrambi, pur rimanendo gravemente ferito nella lotta. Esausto, Canali crolla sul posto di guida di un mezzo d'opera dotato di artigli meccanici, lasciando il finale ambiguo, senza che lo spettatore possa capire se riuscirà a sopravvivere o se le sue ferite sono mortali. 


Recensione: 
Questo film è il secondo capitolo della cosiddetta Trilogia del milieu del regista Di Leo, dopo Milano calibro 9 (1972) e seguito da Il boss (1973), quest'ultimo ambientato in una Palermo anomala, perennemente notturna.   
Il soggetto de La mala ordina è stato tratto dalla raccolta di racconti noir Milano calibro 9 dello scrittore e giornalista di origine ucraina Giorgio Scerbanenco. In particolare, si riconosce facilmente la trama del racconto Milan by Calibro 9
"David e Frank Drewer, killer americani, si recano a Milano per uccidere Giordano, un malavitoso locale. Guidati per i locali della città da una ragazza di nome Francesca, i due killer portano a termine il loro incarico."
(Fonte: Wikipedia) 
Potente, adrenalinico, pervaso in ogni fibra dal profondissimo nichilismo antropologico che costituisce una caratteristica fondante dell'opera di Fernando Di Leo. Il mondo è come una massa di cibo attaccato e corrotto dai bruchi delle tarme: non si trova nemmeno una sua particella che non sia contaminata dall'oscena masticazione dei parassiti e dai loro escrementi! 
Superlativo il grandissimo Mario Adorf! In lui agisce la Forza della Sopravvivenza, che è qualcosa di inenarrabile nella sua coercizione. Egli, colpito da fati avversi, vorrebbe porre fine al tormento degli eventi, ma non gli è concesso di fermarsi neppure per un attimo, pena la morte! Così, tesissimo come un cavo di fibre d'acciaio, diventa una spaventosa macchina di guerra e di morte. L'eroismo entra nelle sue membra e gli permette di aver ragione dei suoi nemici, seppur a carissimo prezzo!  
Ottimo anche Adolfo Celi nel ruolo del Padrino, con quel faccione sardonico e quegli occhi cerulei da cui irradia l'Abisso del Male! Mefistofele ha presieduto alla nascita del personaggio, assieme a tutti i Demoni del Gran Consiglio dell'Inferno!  
Henry Silva è un corpo senz'anima, una specie di golem. Non si scorge alcuna luce nei suoi occhi incapaci di qualsiasi minimo movimento! Agisce spinto da una volontà demoniaca, eseguendo con membra zombesche i comandi che giungono dall'Oltre. 
Il mandingo Woody Strove è reso ancora più odioso dal suo salutismo fanatico, che lo spinge a rifiutare anche una singola goccia di alcol. Parafrasando il Sommo Lovecraft, le sue braccia sono vere e proprie zampe anteriori! Le sue mani sono macine in grado di stritolare. 
Sylva Koscina, è splendida e ha un portamento nobilissimo, anche se mi sembra un po' afflittiva, forse per via del suo ruolo di ex moglie. Terribile la scena in cui viene investita e uccisa assieme alla figlia - una scena che dovrebbe far riflettere chi si culla nell'illusione di una mafia che non uccide donne e bambini. 
Eva Paluzzi è una bellissima fulva, ma trovo il suo personaggio troppo passivo, troppo remissivo. Purtroppo fa una brutta fine, come un agnello sacrificale condotto allo scannatoio. 
Francesca Romana Coluzzi interpreta la contestatrice pasionaria, oltre che zoccolona, che fa la sua bella figura con la parrucca azzurra. A un certo punto dice: "Il negro mi piaceva, mi era venuto di farmelo, ma il bianco proprio no, non mi piaceva". Già solo per via di un mandingo chiamato "negro", sarebbero capaci di censurare il film!
Femi Benussi è molto convincente nel ruolo della fallofora  esuberante e aggressiva, dalla marcata cantilena napoletana.
Compaiono i soliti intensi flussi di pubblicità occulta (in realtà molto esplicita), tanto che vari produttori di liquori, come il whisky J&B e il vermut Punt e Mes, andrebbero accreditati nei dati tecnici assieme ad Armando Novelli e a Ermanno Curti. 


Produzione

Dato che nel cast c'erano almeno tre nazionalità diverse (italiana, tedesca, americana), i dialoghi sul set per la maggior parte delle riprese erano in inglese. Questo è ovvio se si guarda il doppiaggio in lingua inglese; i dialoghi si sincronizzano con le labbra degli attori nella maggior parte delle scene, mentre non lo fanno nelle versioni italiana e tedesca. Per avere un'idea delle parti non in inglese, si rimanda nel seguito all'espressività della prostituta crespa Anna! 

Strane comparse 

In mezzo alla fauna notturna si nota di sfuggita, vestito da Figlio dei Fiori con la bombetta in testa, il famoso Renato Zero. In tutto, questo personaggio controverso è comparso in nove film, dal 1967 al 1979.  

Ulli Lommel, l'attore e regista tedesco noto per le sue collaborazioni con Rainer Werner Fassbinder, appare come comparsa. È un individuo bizzarro con una fisionomia dura e patibolare, che non sfigurerebbe nel mondo dei gorilla e dei gangster. Tra le altre cose, ha diretto La tenerezza del lupo (Die Zärtlichkeit der Wölfe, 1973), incentrato sul serial killer pederasta e cannibale Fritz Haarmann, sorpannominato "Il macellario di Hannover", clinicamente affetto da vampirismo (sindrome di Renfield): ha ucciso alcune vittime recidendo loro la carotide con un morso! 

Un caratteristico insulto napoletano 

Una delle puttane gestite da Luca Canali, delusa, gli urla: "Vaffambocca!" In pratica si augura che il grosso magnaccia sia irrumato da un fallo. L'esclamazione "vaffambocca" (ossia "vai a fare in bocca") è in tutto e per tutto parallela al più noto "vaffanculo" (ossia "vai a fare in culo"). L'origine è dal napoletano 'afammocc, usato molto di frequente in frasi brutali come "'afammocc a chi t'è mmuort, 'afangul a chi t'è strammuort".
Trovo strano che questo insulto non sembri essere molto diffuso al di fuori della Campania. Tutte le sue (rarissime) attestazioni in cui mi sono imbattuto nel mondo della Settima Arte, sono riconducibili a personaggi napoletani. In un film con l'eroico Tomas Milian, non ricordo bene quale, un brigadiere partenopeo apostrofava così un agente veneto biondiccio: "Vaffambocca, Ballarin, tu e l'anima r'o ricchione ca sì". Non è facile ricostruire i dettagli: avvengono distorsioni nei miei banchi di memoria stagnante, ma la sostanza è proprio quella da me riportata! Ai nostri giorni, simili sequenze non potrebbero più essere girate: il politically correct lo impedirebbe sul nascere!  
Mi stupisce enormemente che non si sia diffusa dovunque in Italia l'usanza di dire "vaffambocca" e che la sua applicazione sembri essere riferita soltanto a persone di sesso maschile - quando sappiamo bene che sarebbe più idonea riferita alle zoccole. La crespa prostituta Anna, si guadagnava il pane proprio facendo in bocca, poi apostrofava il suo pappa, che tutto sommato era incredibilmente civile e gentile: nella Milano degli inizi XXI secolo sarebbe stata massacrata a zampate! 


Di Leo e Tarantino 

Anche a costo di finire linciato dal pubblico, dirò senza esitazione che detesto vivamente Quentin Tarantino e le sue opere. A pelle mi dà l'impressione di un personaggio untuoso e turpe. Spiace avere in comune con lui la passione per le pellicole di Fernando Di Leo! È appurato che i due gangster Catania e Webster hanno dato l'ispirazione per i protagonisti del tarantinesco Pulp Fiction (1994), interpretati da John Travolta e da Samuel L. Jackson. 

Tecnicamente non poliziesco

Una cosa salta subito all'occhio. In tutto il film sembra che non esistano Forze dell'Ordine. Ci sono sparatorie, inseguimenti, investimenti, scontri, violenze di ogni genere, eppure nessuno interviene. Si ha una sola menzione dell'esistenza di qualche autorità non appartenente al mondo criminale, quando un giovane freak trova il nerboruto lenone alla porta ed esclama: "C'è uno con la faccia da poliziotto!" Stando così le cose, non si potrebbe ascrivere quest'opera di Di Leo al genere poliziesco o poliziottesco. Eppure, nonostante questi dati di fatto di per sé innegabili, Tarantino ha definito La mala ordina "capolavoro assoluto del genere poliziesco". 

Un universo interconnesso 

Nel film scerbanenchiano Liberi, armati e pericolosi, diretto da Romolo Guerrieri (1976), si ha un esplicito riferimento a La mala ordina. Il titolo della pellicola di Di Leo viene pronunziato a voce alta da uno dei tre protagonisti criminali e borghesi, mentre gli altri due uccidono i gangster in un'autodemolizione. 


Origine e diffusione del cognome Canali 

Dal modo di parlare, si capisce all'istante che Luca Canali è siciliano doc: tipica cantilena, forme pronominali come a mmia, a ttia, ordine SOV della frase e via discorrendo. Eppure al Sud il cognome Canali è rarissimo. È particolarmente diffuso in Lombardia, in Emilia-Romagna e nel Lazio. Certo, il simpatico pappone potrebbe aver preso il cognome dalla madre, che sarà stata del Nord. In fondo anche l'attore, Mario Adorf, che ha padre calabrese e madre tedesca, si trova in una situazione abbastanza simile. Oppure sarà stato proprio il padre a trasmettere a Luca Canali un cognome raro nella sua terra d'origine?   
Per quanto riguarda l'etimologia del cognome, il sito Cognomix riporta quanto segue:
"Dovrebbe derivare, direttamente o tramite una modificazione dialettale, da toponimi quali Canale (TR) - (CN) - (AV) - (BL) - (GE) - (RM) - (TN) - (BO), o dal fatto che la famiglia abitava in prossimità o sulle rive di un canale." 
Questa è la mappa di diffusione per regione: 


Alcune note sul cognome Catania

Mentre il ben noto toponimo siciliano è pronunciato Catània, con l'accento sulla seconda sillaba, il cognome che ne è derivato è pronunciato Catanìa, con l'accento sulla -i-. A prima vista non è facile trovare una chiara spiegazione del curioso fenomeno, anche se non è un caso unico. Ad esempio il cognome siciliano Troja è pronunciato Troìa, anche qui con l'accento sulla -i-. Con ogni probabilità questa inconsueta posizione dell'accanto si deve ad influenza greca. Così il toponimo Kατάνη (Katánē), di origine sicula (dovrebbe significare "grattugia") e pronunciato in epoca bizantina /ka'tani:/, che ha dato direttamente il cognome Catani, è stato adattato in romanzo come Catània, quindi è tornato in greco per effetto boomerang, dando Catanìa, da cui l'omonimo cognome. In latino il toponimo era Catĭna, con la -i- breve e l'accento sulla prima sillaba: /'katina/. Non può aver dato i cognomi di cui ci stiamo occupando. Nemmeno l'arabo è una sorgente plausibile: la città era chiamata Qutāna, ma sono attestate le denominazioni Madīnat-al-fīl "Città dell'elefante" e Balad-al-fīl "Territorio dell'elefante".  


Critica

Mi sono divertito ad assemblare un ricco cut-up raccolto dal sito Il Davinotti. Ne raccomando la lettura.
"Scattante, iperviolento, con una sceneggiatura stringente e un cast di facce da duri, su cui giganteggia un ottimo Adorf, prima piccolo malavitoso smarrito in un gioco più grande di lui, poi implacabile nella sua vendetta"
"Ottima la prova del cast (specie del bravo Mario Adorf), così come la colonna sonora" 
"Musiche di Trovatoli (sic) che si fondono efficacemente con le immagini"
"Adorfiano ed alterno"
"L'inizio è lento ma il film ingrana poco a poco, regalando una seconda parte davvero adrenalinica e mozzafiato"
"Altro potente capitolo del noir italiano, che rispetto a MC9 appare meno cupo e tragico e più essenziale, lineare ed immediato"
"Inferiore al bellissimo Milano calibro 9, anche se ne segue lo stile" 
"Tra i migliori esempi di film di genere italiano, ed ottimo esempio di noir, è anche una delle opere migliori di Fernando Di Leo"
"Bel noir di Di Leo, non all'altezza degli immortali Milano calibro 9 o Il boss, ma comunque buono" 
"Inizio con luci e ombre, parte centrale bella carica per merito di Adorf, finale abbastanza banale" 
"Molto convincente Mario Adorf, nel ruolo di un pappone milanese un po' sbruffone, che viene incastrato dal boss locale" 
"Noir criminale nel quale i pesci grossi vengono sconfitti dalla voglia di vivere di uno rimasto incastrato" 
"Straordinario quadro al contempo pop e verista, ritratto d'ambiente e saggio sulla violenza cinematografica"
"Bravo il protagonista a costruire il personaggio, che da omuncolo dalla lingua lunga si trasforma in vendicatore, quando viene attaccato negli affetti più cari. Nessuna morale. Il boss difenderà nome e credibilità a tutti i costi" 
"Pietra miliare dileiana, liberamente tratta dalla vena noir di Scerbanenco, qui con un "uomo di casino" braccato come nelle più sadiche delle cacce all'uomo"
"Finale memorabile" 
"Morti a non finire in questo boss-movie che dagli Usa muove i suoi tentacoli a Milano alla ricerca di un malandrino da poco"
"Scabro e prototipico"
"il film ancora spaura e avvince per la sua intrinseca natura di fumetto metafisico che trascende tutti i suoi singoli elementi (alcuni dei quali evidentemente dissonanti o persin pressapochisti - leggasi i dialoghi minimali) in un ensemble iconografico che rende sacro il profano e viceversa" 
"A tratti sembra anche meglio di Mc9, ma nel complesso è meno secco" 
"Grezzo, trucido, spietato ma simpatico" 
"Secondo capitolo della cosiddetta trilogia del milieu. È il più debole dei tre ma raggiunge comunque vette di potenza notevoli per il genere criminale all'italiana"
"Di Leo, autore anche del soggetto, è bravo nel descrivere con cura la disperata deriva di un uomo finito in un ingranaggio più grosso di lui"
"Luca Canali è fisiognomicamente animalesco" 
"Un noir... zoomorfo!"
"Al di là del surplus di spot poco occulti (ma questo sappiamo che accadeva a tantissimi film italiani dell'epoca) e di alcuni dialoghi un po' ambigui nonchè di alcune scazzottate che nulla han da invidiare ai film di Bud Spencer, sono anche tante le cose notevoli" 
"Tenuto in piedi da un Adorf come sempre grande e sottovalutato" 
"Le musiche e i continui effetti sonori, dovuti agli scontri tra gli scagnozzi, sono inseriti sempre al punto giusto e non sfociano mai nel banale" 
"Alla cieca furia vendicatrice del protagonista, spesso mostrata con una spietatezza unica, si affianca il lato "debole" della persona con i suoi affetti familiari" 
"Livido, violento, spietato, degno di autori di fama mondiale come Don Siegel e Melville. Sceneggiatura tesa e vibrante" 
"ritmo che decolla lentamente ma che poi vola fino a quota diecimila" 
"A rivederlo oggi ci si accorge quanto sia invecchiato ben poco e di come rimanga piacevolissima la visione: merito di una trama molto semplice, efficace anche per questo"
"Di Leo non si differenzia di molto dagli altri registi del genere di quel periodo. Violenza allo stato puro. Personaggi intelligenti ed originali, ma forse cade un po' nella storia" 
"Erculeo e sanguigno Adorf" 
"Viscerale, crudo, violento" 
"Dopo la superba interpretazione del Rocco Musco di Milano calibro 9 Di Leo promuove Adorf come protagonista assoluto e gli cuce addosso un ruolo perfetto" 
"Raoul Montalbani, Ugo Piazza, Luca Canali, ecc.. ecc... Tutti nomi rimasti nel mito del cinema di genere gangsteristico italiano anni '70; nomi che, anche oggi, i ragazzi delle nuove generazioni ricordano"
"Da vedere e rivedere!" 

martedì 16 agosto 2022


MILANO CALIBRO 9

Titolo originale: Milano calibro 9 
Titolo in inglese: Caliber 9
Lingua originale
Italiano
Paese di produzioneItalia
Anno1972
Durata88 min
Rapporto1,85:1
GenereNoir, poliziesco, thriller
Sottogenere
: Poliziottesco, gangsterologico 
Regia: Fernando Di Leo
Soggetto: Fernando Di Leo, Giorgio Scerbanenco
    (accreditato da IMDb.com
Sceneggiatura: Fernando Di Leo 
Produttore: Ermanno Curti e Armando Novelli
Casa di produzione: Cineproduzione Daunia 70
Distribuzione in italiano: Minerva Pictures
Fotografia: Franco Villa
Montaggio: Amedeo Giomini
Musiche: Luis Enríquez Bacalov e gli Osanna
Scenografia: Francesco Cuppini
CostumiFrancesco Cuppini e Marcella Moretti
TruccoAntonio Mura 
Continuità: Vivalda Vigorelli 
Interpreti e personaggi: 
    Gastone Moschin: Ugo Piazza
    Barbara Bouchet: Nelly Bordon
    Mario Adorf: Rocco Musco
    Frank Wolff: Commissario di polizia
    Luigi Pistilli: Vicecommissario Mercuri *
    Ivo Garrani: Don Vincenzo
    Philippe Leroy: Chino
    Lionel Stander: L'Americano **
    Salvatore Aricò: Luca
    Mario Novelli: Pasquale Tallarico
    Giuseppe Castellano: Nicola
    Ernesto Colli: Alfredo Bertolon 
    Giulio Baraghini: Brigadiere baffuto 
    Giorgio Trestini: Franceschino
    Fortunato Cecilia: Vincenzo Affatato
    Omero Capanna: Uomo con il tick alla spalla
        nelle scene iniziali; uomo ucciso nella piscina
    Mira Vidotto: Prostituta nella villa
    Rossella Bergamonti: Prostituta nella villa
    Marina Brengola: Prostituta nella villa
    Bruno Bertocci: Primo corriere 
    Empedocle Buzzanca: Secondo corriere 
    Imelde Marani: Terzo corriere
    Sergio Serafini: Quarto corriere 
    
Fernando Cerulli: Portiere d'albergo
    Ettore Geri: Barman del night club
    Gastone Pescucci: Funzionario di polizia 
    Alessandro Tedeschi: Corriere tedesco 
    Artemio Antonini: Incappucciato  
    Franco Beltramme: Incappucciato 
    Salvatore Billa: Incappucciato
    Alberto Fogliani: Incappucciato 
    Gilberto Galimberti: Incappucciato 
    Dolores Calò: Cliente del night club 
    Pupita Lea Scuderoni: Ciente del night club 
    Cesare Di Vito: Poliziotto 
    Luigi Antonio Guerra: Poliziotto 
    Mauro Vestri: Poliziotto
    Edda Tiberio: Prostituta 
    Toni Trono (come Tony Trono) 
    Luciano Cecchini 
    * Nella versione in inglese è Fonzino
    ** Nella versione in inglese è The Mikado.
Doppiatori originali: 
    Noemi Gifuni: Nelly Bordon
    Stefano Satta Flores: Rocco Musco
    Sergio Rossi: Commissario di polizia
    Renato Izzo: Vicecommissario Mercuri
    Giacomo Piperno: Chino
    Antonio Guidi: L'Americano 
Titoli in altre lingue: 
   Tedesco: Milano Kaliber 9 
   Francese: Milan calibre 9 
   Spagnolo: Milán, calibre 9
   Russo: Миланский калибр 9 


Trama: 
Primi anni '70. Dopo un periodo in prigione, il piccolo gangster milanese Ugo Piazza viene subito perseguitato dai suoi vecchi soci, guidati da un potente riciclatore conosciuto semplicemente come "L'Americano", che lo crede colpevole di avergli rubato rubato 300.000 dollari durante una consegna, poco prima del suo arresto per rapina. Piazza nega categoricamente il furto, anche sotto coercizione da parte del volubile braccio destro dell'Americano, Rocco Musco. Anche la sua ragazza, la bionda ballerina go-go Nelly Bordon, crede che lui abbia rubato i soldi, così come il lombrosiano commissario di polizia, che tenta invano di convertirlo in un informatore. 
Piazza incontra il suo ex padrino Don Vincenzo, ormai vecchio e cieco, con il suo unico uomo rimasto, Chino. Anche se Rocco si fa beffe dell'autorità di Don Vincenzo, nutre ancora un riluttante rispetto per Chino, che si è rifiutato di lasciare il suo padrino anche dopo che tutti gli altri lo hanno fatto. L'Americano dà a Piazza un ultimatum per restituire i soldi e riprendere a lavorare per lui, ma lui insiste ancora affermando di non averli e di non sapere chi li abbia. Paranoico per altri furti simili, Rocco inizia a brutalizzare e uccidere i suoi corrieri di denaro. 
Piazza viene inviato a uno scambio di 30.000 dollari, che avviene in una sala da bowling. Lo scambio è però interrotto da un misterioso aggressore con una sciarpa bianca, che uccide il loro cliente e ruba la borsa di pelle marrone contenente i soldi. L'Americano dà a Rocco e a Piazza l'ordine di uccidere gli uomini da lui ritenuti responsabili, ma quando i due arrivano a destinazione scoprono che le vittime designate sono Chino e Don Vincenzo. Piazza si rifiuta di uccidere il suo ex padrino, ma Rocco spara a sangue freddo al vecchio, mentre Chino riesce a scappare per un pelo. L'Americano fa picchiare Piazza per la sua insubordinazione e sta per farlo uccidere, tuttavia gli viene risparmiata la vita quando sostiene in modo convincente che dietro il furto dei 30.000 dollari c'erano Rocco e la sua gang. 
L'Americano si ritira in una tenuta rurale con le sue guardie del corpo, tra cui Piazza, ma viene colpito e ucciso in un'imboscata dal vendicativo Chino. Nel corso della strage, Piazza punta la pistola contro gli uomini dell'Americano e li abbatte, prima che Chino muoia per le ferite riportate. A questo punto Piazza si reca in una chiesa abbandonata nelle spettrali campagne fuori Milano e recupera una borsa blu con i 300.000 dollari, rivelando di aver rubato davvero i soldi all'Americano anni prima e di aver orchestrato tutto per farlo uccidere. Viene però fermato dalla polizia per guida con patente scaduta e costretto a recarsi in commissariato per un colloquio. 
Nella sala d'attesa Piazza incontra Rocco, interrogato per il massacro in casa dell'Americano. Rocco, vedendo la borsa contenente il denaro, non mostra animosità e anzi propone a Piazza di entrare in società con lui. Piazza rifiuta e viene rilasciato; subito si dirige a casa di Nelly con i soldi, progettando di fuggire insieme a lei per andare a vivere a Beirut, a quell'epoca capitale della Dolce Vita. La sorpresa che scopre è amarissima: la perfida marchettara Nelly è assieme a Luca, un gangster della banda di Rocco, scelto come amante per via del suo enorme Schwanzstücker. È proprio lui il misterioso uomo con la sciarpa responsabile del furto dei 30.000 dollari al bowling. Nelly aveva cospirato con il suo amante segreto per impadronirsi dei 300.000 dollari da Piazza! Luca spara a Piazza, ancora annichilito dallo stupore, che però riesce ad uccidere Nelly con un solo pugno prima di spirare. Rocco, che aveva seguito Piazza a casa, irrompe e uccide Luca facendogli cozzare la nuca contro uno spigolo, spinto da un impeto di rabbia per il suo tradimento e per aver mancato di rispetto alla statura criminale di Ugo Piazza. I poliziotti, che a loro volta avevano seguito Rocco, lo trascinano lontano dal cadavere insanguinato di Luca. 

Citazioni: 

“Tu uno come Ugo Piazza non lo uccidi a tradimento! Tu a uno come Ugo Piazza non lo devi neanche toccare! Tu a uno come Ugo Piazza non lo devi neanche sfiorare! Tu quando passa uno come Ugo Piazza il cappello ti devi levare! Il cappello ti devi levare! Il cappello ti devi levare!”
(Rocco Musco) 


Recensione: 
Questo è il primo capitolo della cosiddetta Trilogia del milieu di Fernando Di Leo, che prosegue con La mala ordina (1972) e Il boss (1973). 
Ambientato in una Milano cupa e plumbea, questo è un ottimo film con un robusto Gastone Moschin, scerbanenchiano fino al midollo. Anche quando si vede la luce del sole, è pallida e malata. La tenebra dell'Essere è assoluta, impenetrabile, compatta, così densa che nemmeno un'esigua scintilla può farvi il suo corso. Il concetto stesso di speranza è del tutto assente, non se ne trova nemmeno il minimo abbozzo. Ogni singola sequenza trasuda totale senso di annichilimento: il mondo che il regista ci mostra è uno dei più abissali distretti dell'Inferno. È la Morte Eterna. Molte sono le interpretazioni memorabili. Indimenticabile è il sanguigno Mario Adorf nel ruolo di Rocco Musco, il colossale gangster siciliano e smargiasso, perennemente esagitato. 
Il massacro finale assume proporzioni irreali, quasi genocidarie. Ricorda quei film spaghetti-western in cui nel corso di alcuni regolamenti di conti venivano annientate intere comunità! Le pistole sparano infiniti colpi come se le pallottole scaturissero dal nulla: si assiste in tutto soltanto a un caricamento! Solo i film brasiliani di Glauber Rocha sulle gesta di Antonio das Mortes mostrano sparatorie più prodigiose! Chino, ottimamente interpretato da Philippe Leroy, è una vera e propria macchina da guerra. 
Posso senz'altro dire che aver visionato questa pellicola gangsterologica mi abbia molto giovato. La trovo eccellente!

Milano calibro 9 è il titolo di una raccolta di 22 racconti dello scrittore e giornalista Giorgio Scerbanenco, nato Volodymyr-Džordžo Ščerbanenko, all'anagrafe italiana Wladimiro Scerbanenko (Kiev, 1911 - Milano, 1969). Fu pubblicata per la prima volta nel 1969. Uno di questi racconti noir si intitola Milan by Calibro 9, ma ha una trama molto diversa ed è stato adattata in un altro film di Di Leo, La mala ordina. Qualcuno pensa che l'ispirazione sia stata tratta da un altro racconto di Milano calibro 9, ossia Stazione centrale ammazzare subito. Non mi pare comunque che ci sia una grande somiglianza, trattandosi della storia di due malviventi, ciascuno dei quali riceve l'incarico di uccidere l'altro. Lo scrittore dalla figura scheletrica, notissimo per i polizieschi-noir, ha scritto anche romanzi di generi molto diversi: fantascienza, western e persino rosa (incredibile dictu). 


Conversazioni sull'origine del crimine 

A un certo punto Di Leo ha pensato di espungere un dialogo particolarmente scomodo tra il commissario fascista e il neocommissario comunista Mercuri, appena promosso e trasferito nell'impervia Lucania (promoveatur ut amoveatur). Il regista riteneva che la conversazione ad alto contenuto politico togliesse forza alla trama, o forse gli è venuto in mente di aver osato troppo. Per fortuna ha deciso di conservare quelle sequenze: il lavoro degli attori Frank Wolff e Luigi Pistilli era così eccellente che non poteva assolutamente essere tagliato. Riporto a pubblica edificazione l'interessante discorso. 

Commissario: "Ah, Mercuri! Signori, il nostro caro Mercuri, funzionario democratico, è stato promosso. Trasferito e promosso. Fategli le vostre congratulazioni. Che, mi vuoi parlare, Mercuri?" 
Neocommissario Mercuri: "Sì, un momento solo." 
Commissario: "Scusatemi, eh. Torno subito. Vieni, vieni."
Neocommissario Mercuri: "So che debbo a lei il mio trasferimento."
Commissario: "Trasferimento d'urgenza e d'ufficio per lei, mio caro commissario Mercuri." 
Neocommissario Mercuri: "Volevo dire che fare il poliziotto in Basilicata o in Lombardia per me è lo stesso. L'importante è saper fare il proprio dovere."
Commissario: "E io non ho dubbi che lei lo sappia fare il suo dovere. Specialmente dove non ci sono ricchi e soprattutto gente come l'Americano." 
Neocommissario Mercuri: "Posso dire qualcosa, senza urtare la sua suscettibilità?"  
Commissario: "È molto difficile urtare la mia suscettibilità. Dica pure, collega."
Neocommissario Mercuri: "Lei è un vecchio poliziotto, cioè un poliziotto vecchio. Sì, lei ha pochi anni più di me, ma ha una mentalità vecchia. E perciò è inadatto a occupare il posto che occupa." 
Commissario: "Ti senti di fottere, eh, Mercuri? E che cosa ci vuoi fare? Io che ho una mentalità arretrata, me ne resto qua, e tu che sei moderno te ne vai a pascolare bello bello le tue pecorelle in Basilicata. Perché, non ti va?" 
Neocommissario Mercuri: "No, io non mi sento di fottere, come dice lei. Volevo soltanto spiegarle due o tre cose, e lei mi permette." 
Commissario: "E come, lo permetto! Ma fa' presto, perché non aggio pigliato ancora o' cafè"
Neocommissario Mercuri: "L'Americano è un effetto e non una causa, come sono effetti tutti i delinquenti. Mi ascolta?"
Commissario: "Sì, sì, la ascolto."
Neocommissario Mercuri: "Lei mi capisce?" 
Commissario: "Finora no. Ma vada avanti. Continui."
Neocommissario Mercuri: "Dicendo che l'Americano e i delinquenti meridionali sono un effetto, intendevo dire questo. La massa dei meridionali che viene a lavorare qui nel Nord fa i mestieri più umili, quelli che da decenni gli altri si rifiutano di fare. Mal pagati, male alloggiati, niente affatto assistiti. Per forza poi diventano delinquenti." 
Commissario: "E basta, Mercuri, aggio capito. Delinquenti si nasce. Per adesso va dove ti hanno mandato, va'. E scrivi una cartolina illustrata, mi raccomando." 

Poco prima i due avevano avuto un altro scambio di opinioni su un tema connesso e cruciale. Questo spiega la particolare avversione di Mercuri per i plutocrati. 

Vicecommissario Mercuri: "Perché non agiamo in modo più massiccio?"
Commissario: "Ah, in modo più massiccio! Ma fammi il piacere: gli uomini chi me li dà? Tu stai qua da poco tempo, ma il nostro organico lo conosci, no?"
Vicecommissario Mercuri: "Facciamoci dare quelli che cacciano chi non ha una casa, che picchiano gli studenti, che disperdono gli operai! Per questa roba agenti ce ne sono!"
Commissario: "Mercuri, non fare il sovversivo! La cittadinanza non ne può più di scioperi e occupazioni abusive: gli agenti occorrono lì!"
Vicecommissario Mercuri: "Ma di quale cittadinanza parla? Dei cosiddetti "benpensanti"?"
Commissario: "Mercuri, tu leggi troppo i giornali di sinistra! Ho capito dove vuoi arrivare, ai ricchi, ma ci sono ricchi e ricchi!"
Vicecommissario Mercuri: "Ma di quali ricchi parla lei?! Di quelli che dicono "paghiamo meglio i terroni"? "Diamo loro le case più abitabili"? Ma ne conosce qualcuno?!"
Commissario: "I ricchi non danno fastidio!" 
Vicecommissario Mercuri: "E no, commissario, li danno eccome! Di che cosa ci stiamo occupando? Di ricchi che mandano i soldi all'estero! Di fastidi ne danno eccome!"
Commissario: "Insomma, Mercuri, tu vuoi fare un comizio. Te l'ho detto: ci sono ricchi e ricchi, e noi lotteremo contro quelli che mandano via i soldi! Mercuri, lo so, tu vuoi una bandiera rossa, ma la questura ne è sfornita. Poliziotti, ricordatevi: la proprietà è un furto. È giusto?" 
Vicecommissario Mercuri: "Sì, commissario, proprio così! Noi della polizia dobbiamo tenerlo presente che la proprietà è un furto! Noi, che finora siamo sempre stati al servizio dei ricchi!" 
Commissario: "A noi spetta soltanto di fare osservare le leggi, e la legge, mio caro Mercuri, è uguale per tutti!" 
Vicecommissario Mercuri: "Uguale per tutti?! Ma mi dica lei quando mai abbiamo manganellato dei ricchi! Oppure i ricchi hanno sempre ragione, e il torto sta sempre dove stanno gli operai, gli studenti e i meridionali?!" 
Commissario: "C'è qualcuno che vuole applaudire, no? E applaudo io! E adesso ascolta, Mercuri, quello che hai detto forse è giusto, forse è sbagliato, non lo so. Però la realtà qua è un'altra. Tu hai fatto il tuo servizio in provincia, e hai avuto a che fare con quattro rubagalline, cose 'e pretura. Qui la lotta è contro l'Americano. Un giro grosso, gente che ce li ha quadrati, e se io mi distraggo, lui me lo fa tanto così! Le belle parole non servono. Tu le hai dette, le belle parole. E a che sono servite? A fare fumo! Ma voi guardate che cacchio mi tocca sentire in questura!"

Ed ecco qualche considerazione sul sistema carcerario e sull'efficacia della pena:  

Commissario: "Come si sta adesso a San Vittore?"
Ugo Piazza: "Un carcere vale l'altro: uno schifo!"
Commissario: "Ah si capisce, adesso si son messi pure a contestare i carceri! San Vittore lo vogliono chiudere, ai detenuti non sta più bene! Vogliono luoghi salubri, spaziosi, vogliono andare in vaganza! Tra poco vorranno le donne come in Messico e finiranno col dargliele! Ci sarà qualche psicologo o sociologo che dirà che è giusto, che fa bene! E già, e questi devono stare bene in carcere, in modo che quando escono sono in perfetta salute!"
Vicecommissario Mercuri: "Be', io credo che un po' male delle carceri italiane lo si possa dire, perché così come sono messe adesso fanno pensare che lo Stato si voglia vendicare sui detenuti. Commissario, per esempio il potere legislativo per le amnistie..." 
Commissario: "Loro prima di delinquere si possono fare i calcoli, visto che è ricorrente, e a volte più volte in un anno. Questo si vede soltanto in un Paese come il nostro che perdona sempre! Ti dico che l'amnistia è uno stimolo a delinquere! Avanti, Piazza, dillo anche tu, di' la verità, tanto puoi dirla: facendo la rapina pensavi sì o no ai benefici dell'amnistia?" 
Ugo Piazza: "Pensavo a non farmi prendere."
Commissario: "Pensavi a quanti anni ti davano e a quanti anni ti saresti fatto realmente in carcere!"
Ugo Piazza: "All'amnistia si pensa quando si è dentro, non prima."

Nessuno dei due funzionari ha davvero ragione sull'ontologia delinquenziale. La vera origine del crimine organizzato non è genetica e non è sociale: è esoterica. La mafia è una vera e propria setta, una forma di religione occulta il cui codice si trasmette da una generazione all'altra. Ha i suoi miti fondanti, i suoi riti di iniziazione, i suoi complessi rituali che regolano ogni aspetto della vita, i suoi tabù, la cui violazione può essere espiata soltanto tramite la morte.  

Razzismo indotto 

L'apparato delle Forze dell'Ordine è composto quasi interamente da meridionali, eppure si nota sia nel Commissario che negli agenti una diffusa avversione nei confronti dei propri conterranei. "Finalmente abbiamo trovato un delinquente che non è meridionale", dice il commissario, che è napoletano. "È un anàrcoco (sic)", sentenzia il brigadiere, un massiccio baffuto. Molti anni fa mi sono imbattuto in un caso simile, che era stato etichettato dalla stampa come "razzismo indotto", in cui un poliziotto di Parigi, di origine magrebina, vessava con particolare accanimento una comunità magrebina non assimilata, comportandosi come un aguzzino e cercando addirittura di imporre la violazione del Ramadan. Anche questa è a tutti gli effetti una forma di autorazzismo, ossia di odio verso la propria stessa etnia. Seppur diverso nell'aspetto, nella sostanza e negli effetti pratici, questo autorazzismo è molto simile alla ripugnante follia woke, quella malattia dello spirito che sostiene l'inesistenza dei popoli, spingendo i dementi che ne sono colpiti a proferire aberrazioni del tipo "non esistono Italiani etnici", "non esistono Tedeschi etnici", "non esistono Francesi etnici", "non esistono Finlandesi etnici" e via discorrendo. 


La pronuncia del commissario 

Nelle conversazioni non mancano tratti "dialettali". Un esempio è l'uso che il Commissario fa di una lenizione molto spinta. Le consonanti /p/, /t/, /k/, /f/, sono realizzate come /b/, /d/, /g/, /v/. Il mutamento però non scatta nei gruppi /sp/, /st/, /sk/ e quando le consonanti sono doppie, /pp/, /tt/, /kk/, /ff/. Anzi, i gruppi /sp/, /st/, /sk/ all'inizio di parola sono realizzati con la sibilante palatalizzata, come /ʃp/, /ʃt/, /ʃk/. Spesso la sibilante /s/ inervocalica è realizzata come /z/ (la cosiddetta "s di rosa") anche quando le vocali appartengono a parole diverse. Ecco alcuni esempi, ben coglibili anche da uno spettatore dall'udito poco attento:   

calcoli => gàlgoli 
come => gome 
commissario => gommissario
continui => gondinui  
delinquenti => delinguendi 
delinquere => delinguere 
furto => vurdo  
mio caro => mio garo 
non sta => non shta
parole => barole 
perdona sempre => berdona zembre  
prima => brima 
proprietà => brobriedà 
provincia => brovingia 
può => buò 
ricordatevi => rigordadevi 
ricorrente => rigorrende 
scrivi => shcrivi 
stesso => shtesso 
tanto => dando 
tempo => dembo 

Detto dal Commissario, "puoi" suona indistinguibile da "buoi" e si fa un'enorme fatica a distinguere le forme verbali "puoi" e "vuoi". Bizzarramente non si nota la lenizione nei segmenti in napoletano genuino, come "aggio pigliato", "aggio capito", "ancora""o' cafè", che mostrano le consonanti sorde /p/, /t/, /k/ e /f/. Non dice *bigliado, *gabido, *angora, *gavè. Queste stranezze sono sempre molto affascinanti e si fa una gran fatica a spiegarle. Una cosa davvero strana: non si conosce il cognome del Commissario! 


L'Americano e i problemi di doppiaggio

Nella versione in inglese, l'Americano è chiamato The Mikado. Il motivo di questa scelta, a prima vista così stravagante, è quella solita del doppiatore raffreddato. La parola "Americano" è stata percepita come qualcosa di simile a "Mikado", per via della difettosa pronuncia di alcune consonanti da parte di un uomo dal naso pieno zeppo di catarro (Americano > *Americado > Mikado). Ecco che il nome distorto è stato quindi frainteso e interpretato come l'appellativo dell'Imperatore del Giappone! Un caso molto simile è quello di Darth Vader, che nella versione in italiano di Star Wars (George Lucas, 1977) è diventato Dart Fener.  
Del tutto incomprensibile è invece il destino del Vicecommissario Mercuri (poi promosso a commissario), che si è visto trasformare prodigiosamente in Fonzino. Qui non c'è nemmeno l'ombra di una somiglianza fonetica e non so dare una ragionevole spiegazione della scelta arbitraria. No, non penso che Fonzino sia un piccolo Fonzie, chiamato così perché vuol fare a tutti i costi il fighetto. 


Il Padrino e i Beati Paoli

Chino: "L'Americano fa troppo chiasso. Bombe, in pieno giorno. Una volta li faceva sparire con più cura."
Ugo Piazza: "Ora ha molta più gente." 
Chino: "Appunto. E più sono e meno si controllano. Lui queste cose le dovrebbe sapere, no? Si vede che impegni grossi ha. Dammi retta, stanne alla larga, Ugo. Non dura."  
Ugo Piazza: "Ah, sai che mi ha detto l'Americano? Che hai esagerato. E vuole delle scuse."  
Chino: "Non voglio avere niente a che fare con lui, nemmeno per delle scuse. Una volta lo stimavo, adesso te l'ho detto, fa troppo chiasso.
Don Vincenzo: "Se continua così, vedrai che faranno l'Antimafia pure per Milano."
Ugo Piazza: "Un'Antimafia per Milano? Ma che c'entra?"
Don Vincenzo: "Niente! Perché, credi che nelle altre parti c'entri? La chiamano "mafia", ma oggi sono... sono bande: bande in lotta e concorrenza tra di loro. La vera mafia non esiste più. Quando quelli della droga vogliono investire i loro guadagni, costruiscono palazzi. E quelli della milizia sparano. Che c'entra la mafia? La vera mafia è morta." 

Don Vincenzo si presenta come un nostalgico di un ideale di "mafia cavalleresca", da lui considerata come una diretta discendenza della setta medievale dei Beati Paoli, simili per impegno a Robin Hood. Il suo racconto è chiaramente una distorsione profonda della realtà, in ogni caso si capisce cosa lo inquieta. Depreca soprattutto la mancanza di discrezione ("l'Americano fa troppo chiasso") e la mancanza di coesione ("bande in lotta e concorrenza tra loro"). Vuole mantenere "zone grigie" ed evitare lo scontro diretto con lo Stato.
Una cosa sorprende molti nella galassia della critica online: la menzione dell'Antimafia in un film del 1972. In effetti, la Direzione Nazionale Antimafia (DNA) e la Direzione Investigativa Antimafia (DIA) furono istituite nel 1991 su iniziativa di Giovanni Falcone, circa vent'anni dopo gli eventi immaginari narrati dal film. Abbiamo a che fare con una profezia? In realtà penso che non ci sia nessun anacronismo. L'aggettivo "antimafia" esisteva già negli anni '70, come pure la sua forma sostantivata. L'opera di Di Leo potrebbe infatti riferirsi alla Commissione Parlamentare Antimafia, che era stata istituita nel dicembre 1962. Resta in ogni caso un fatto: a Milano fino agli anni '80 dello scorso secolo persisteva nelle istituzioni un atteggiamento di radicale negazione della presenza mafiosa nella metropoli, ben al di fuori del suo contesto di origine. Quindi in un qualche modo si può dire che comunque Di Leo abbia precorso i tempi. 


Curiosità 

La pubblicità occulta è imperante. Il whisky J&B, con la sua tipica etichetta gialla e rossa, è onnipresente, come in molti altri poliziotteschi e non solo. Anche altri prodotti sono messi in bella vista: ricordo che nel secondo film della Trilogia del milieu, oltre al J&B era reclamizzato in modo massiccio il vermut tipicamente milanese (d'adozione) Punt e Mes. In seguito queste pratiche furono vietate.  

La morte di Luca originariamente era più lunga e sanguinosa, ma dovette essere ridimensionata a causa delle lamentele della censura. Probabilmente anche l'invettiva di Rocco doveva essere più lunga e questo spiegherebbe come mai se ne trovino in giro citazioni estese: "Tu uno come Ugo Piazza non lo devi neanche nominare! Tu uno come Ugo Piazza non lo devi neanche guardare!", etc. 

L'attore Frank Wolff è morto suicida poco dopo aver completato le sue scene, quindi il suo doppiaggio in inglese ha dovuto essere completato dal suo frequente co-protagonista ed ex compagno di stanza Michael Forest. Il suicidio di Frank Wolff, forse dovuto a depressione causata da una delusione amorosa, fu davvero terribile: si recise la carotide in una stanza d'albergo, a quanto pare usando la lametta di un rasoio. 

Nel 2006, una sequenza di questo film, con Moschin che torna nella discoteca dove balla Barbara Bouchet, è stata utilizzata dal gruppo Vinylistic come videoclip per la loro canzone Record Player

Gastone Moschin (Ugo Piazza) e Lionel Stander (L'Americano) si sono ritrovati nello stesso anno di uscita di Milano calibro 9, il 1972, a interpretare rispettivamente Don Camillo e Peppone in Don Camillo e i giovani d'oggi, diretto da Mario Camerini. Indimenticabile è poi l'eccellente interpretazione di Stander nella parte del bizzarro Cardinale Maravidi in Nonostante le apparenze... e purché la nazione non lo sappia... All'onorevole piacciono le donne, sempre del 1972, diretto da Lucio Fulci! 


Il tallone d'Achille, la spalla di Sigfrido

Ugo Piazza sembra fatto di acciaio. Impassibile, subisce tutti i colpi dell'avversa fortuna senza mai lasciarsi sfuggire un lamento. In realtà ha un solo punto debole: le femmine. Al loro fascino è molto sensibile. In particolare è fissato con la prostituta bionda che alla fine lo fa ammazzare dal suo nuovo ganzo. Basta poco per essere condotti all'annientamento. 
La morale è lampante, eppure è necessario ripeterla senza sosta, all'infinito: le puttane fanno schifo, sono peggiori dei vermi dei cadaveri! 

Colonna sonora

L'autore è il maestro argentino Luis Enríquez Bacalov, che ha utilizzato le musiche da lui composte per il complesso progressive degli Osanna. Si nota anche l'inserimento di un brano dei New Trolls, intitolato Adagio e tratto dall'album Concerto grosso. 
Queste sono le tracce: 

1. Preludio
2. Tema
3. Variazione I (To Plinius)
4. Variazione II (My Mind Flies)
5. Variazione III (Shuum...)
6. Variazione IV (Tredicesimo cortile)
7. Variazione V (Dianalogo)
8. Variazione VI (Spunti)
9. Variazione VII (Posizione raggiunta)
10. Canzona 


Critica 

Riporto un cut-up ottenuto dalla pagina dedicata al film di Di Leo sul sito Il Davinotti


"Regia e fotografia di altissimo livello e musiche straordinarie"
"Un Moschin superlativo per un film teso, sporco e piuttosto crudele" 
"Se Gastone Moschin appare inespressivo, Mario Adorf risulta caricaturale nel ruolo del solito mafioso siciliano impomatato."
"Un film più strutturato rispetto alla media dei polizieschi italiani"
"Teso, violento, cinico e beffardo, un noir che attinge a Melville e Siegel, ma che marca l'impronta personalissima di Di Leo"
"Colpisce come il protagonista si lasci, almeno apparentemente, scivolare tutto addosso: insulti, minacce, pressioni" 
"Donne inermi percosse a sangue, presunti traditori fatti esplodere con la dinamite... Impensabile poter riproporre nelle sale odierne una pellicola tanto radicale e drasticamente pessimista."
(Invece dovremmo avercelo, il sacrosanto coraggio di farlo!) 
"I primi minuti sono una vetta inviolabile anche per Tarantino e compagnia"
"Se alla solida sceneggiatura che si impreziosisce di spunti sociologico-politici aggiungiamo un cast di altissimo livello (il furioso Adorf, il glaciale Moschin e il tenace Leroy) è impossibile non chinare il capo e applaudire alla maestosità del progetto"
"Memorabile poliziesco fortemente noir di Fernando di Leo: violento, brutale, ma con molto ritmo e ben realizzato" 
"Luigi Pistilli, poliziotto "progressista" contrapposto al "destrorso" Frank Wolff, è un po' manieristico" 
"Comincia così una violenta partita a scacchi in cui ruoli e morale si annullano"
"Il gelido realismo, il pessimismo di fondo, l’esemplare rappresentazione dell’ambiente criminale e lo spessore psicologico dei personaggi, lo rendono una pietra miliare del genere"
"Fernando Di Leo con questo film ha dimostrato cosa sapesse fare: vero cinema" 
"se si pensa che Moschin e Stander erano appena stati Don Camillo e Peppone vengoni (sic) i brividi!"
"Violento quanto basta, ideologicamente agguerritissimo (ancora oggi fanno molto discutere i dialoghi tra Wolff, commissario conservatore e Pistilli, poliziotto progressista in rotta con i superiori) e per certi versi anche profetico"
"Grandi facce, grandi attori: Moschin indecifrabile, Adorf una forza della natura!" 
"Probabilmente il miglior film di Di Leo e uno dei migliori noir di sempre" 
"Cupo, pessimista, imperdibile" 
"Un tuffo negli anni 70 in una Milano autunnale, quando il Duomo era ancora annerito" 
"Più che un film, uno spaccato di storia sociale italiana: potrebbero farlo studiare nelle facoltà di Storia, magari per un esame di Storia contemporanea italiana"
"Più che un poliziesco è un noir dalle atmosfere tese e dure, con un'analisi interna alla società italiana davvero spietata"
"Un incubo nero sognato a occhi aperti"
"la polizia non capisce niente dei delinquenti, di tutte le variabili etiche, esistenziali, estetiche, insospettabili sfumature di un universo che appare uniforme, dominato da un plumbeo ed elementare codice d'onore, e invece è variegato e profondo" 
"Scelta come teatro la plumbea Milano, Di Leo disegna un'esiziale parabola sul potere, capace di perpetrare se stesso attraverso espiazioni, tradimenti e compromessi necessari"
"Particolare Philippe Leroy doppiato in siciliano" 
"Noir da pelle d'oca con musiche fantastiche, una Milano fredda, grigia, cinica e maledetta" 
"Il punto di vista di Fernando Di Leo è forte, tragicamente reale, vergognosamente identico al nostro, abitanti dell’anno 2012" 
"Eccezionale Di Leo che partendo da Scerbanenco delinea un genere che negli anni a seguire produrrà centinaia di (discontinui) cloni."
"Gregari e nemici sono sostanza per far la guerra per il bottino, per la vita e l'onore."
"Film senza fronzoli, dalle inquadrature sporche."
"Ovunque è diventato film di culto: e non a caso."
"Se il personaggio di Pistilli è quasi una caricatura, gli altri sono invece ineguagliabili per tensione emotiva e credibilità: grande Moschin nella sua imperturbabilità, fantastico Adorf nella sua irruenza." 
"Capolavoro di Di Leo che compone un noir antieroico pressoché perfetto e incalzante con evidenti echi melvilliani, dotato di un intreccio torbidissimo e tragico, violento e paranoico in cui si mescolano senso dell'onore, romanticismo e nefandezza."
"Un tuffo negli anni 70 in una Milano autunnale, quando il Duomo era ancora annerito."
"Più che per la sceneggiatura, questa pellicola va protetta come le specie in estinzione per il suo valore storico." 
"Unico appunto: la sparatoria in villa, girata con un po' di leggerezza."
"Cult Assoluto."

Una sorta di "auto-remake" 

Il regista nel 1978 diresse Diamanti sporchi di sangue, che è una riedizione di Milano calibro 9, ambientato però a Roma. La sceneggiatura originale si intitolava proprio Roma calibro 9; il titolo è stato cambiato in fase di lavorazione, dapprima in Diamanti rossi di sangue e quindi nel definitivo Diamanti sporchi di sangue. Questa mania di apportare lievi cambiamenti nei titoli, anche solo in una preposizione o in un articolo, è tipica degli editori di noir, che non riescono a comprendere il suo potenziale di confusione. Nel riadattamento romano la parte dell'equivalente di Ugo Piazza è interpretata da Claudio Cassinelli, mentre a Martin Balsam è toccato il ruolo di un boss molto simile a quello che conosciamo col volto di Lionel Stander. 

Il sequel 

Un sequel del film di Di Leo, Calibro 9, fu girato nel 2020. È stato diretto da Toni D'Angelo e prodotto da Gianluca Curti, il cui padre Ermanno era stato un co-produttore della prima pellicola. Marco Bocci interpreta Fernando Piazza, figlio del personaggio di Moschin, con Barbara Bouchet che riprende la parte di Nelly Bordon (ma come, non era stata uccisa con un pugno?). Tra gli attori c'è anche Michele Placido nella parte di Rocco Musco, oltre ad Alessio Boni e alla russa Kseniya Rappoport. La trama sembra una riedizione: il figlio di Ugo Piazza è sospettato di aver sottratto soldi alla mafia. La mia idea è sempre la stessa: Paganini non ripete. Che necessità c'era di fare un sequel?