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sabato 11 settembre 2021

ETIMOLOGIA DI GIAGGIANESE, GIARGIANESE

Cos'è un giaggianese? Molti se lo saranno chiesto. La parola, che ha la comune variante giargianese, in sostanza significa "persona che parla in modo incomprensibile". Ha una connotazione intrinsecamente spregiativa, giungendo a indicare anche chi parla in modo incomprensibile a bella posta, al fine di imbrogliare, di raggirare gli ingenui. L'idea portante è che colui che parla in modo oscuro, lo debba per forza fare per un cattivo fine. 
 
Formazione e diffusione del termine  

La parola in questione, attestata alla fine del XIX secolo, in ultima analisi deriva dal napoletano ggiaggianése, plurale ggiaggianise. Dopo un periodo di declino, negli anni '40 dello scorso secolo la parola ha ripreso vita e da Napoli si è irradiata anche a Settentrione. Nella città Partenopea, giaggianese ormai è più che altro in uso per indicare una lingua incomprensibile, non tanto colui che la parla. La locuzione tipica è "parlare il giaggianese". Per un napoletano, ogni lingua che non riesce a capire è automaticamente una forma di giaggianese. Sembra comunque che la locuzione fosse più diffusa in passato e che attualmente stia scomparendo. A Milano è in uso la forma abbreviata giaggiana o giargiana. Esempio: "L'è un giaggiana" o "L'è un giargiana". L'accezione più comune nella metropoli è quella di "persona non nativa di Milano e non assimilata agli usi locali", quindi anche di "zotico". La traduzione nel gergo dei Paninari sarebbe "tamarro". Pare che sia tuttora considerato un "giargiana" anche chi proviene dalla periferia della città, indipendentemente dalla sua origine etnica. La scomparsa del suffisso -ese e l'uscita maschile in -a sono comuni in milanese, basti pensare a cuménda "commendatore" e a Berlüsca "Berlusconi". Sembra che la parola in questione sia del tutto ignota in Veneto e in Sardegna. A Torino non è ignota, ma a quanto pare è desueta e il suo uso identifica immediatamente la persona come milanese.
 
Esperienze personali: 
giargianese = che parla un diverso dialetto
 
In Puglia, nelle province di Foggia, Bari, Barletta, Andria e Trani, il giargianese (giargianaise) è il forestiero, colui che parla un dialetto differente da quello locale. Quindi il giargianese può anche essere un pugliese egli stesso. Ricordo che due giovani pugliesi, uno di Trani e l'altro di Lecce, non riuscivano affatto a intendersi quando parlavano nelle loro rispettive lingue locali: erano costretti a ricorrere all'italiano come lingua franca. In quell'occasione il pugliese di Trani ebbe a dire, forse scherzosamente, che quelli di Lecce sarebbero "di un'altra razza".

Esperienze personali:
giaggianese = meridionale

Ricordo ancora la frase pronunciata in un'occasione dall'amico P., nativo della Brianza, ai tempi in cui frequentavamo l'università. Quando gli chiesi cosa significasse la parola "giaggianese", rispose così: "I giagianés hinn i teruni", ossia "I giaggianesi sono i terroni". Il termine "terroni", comunemente usato per indicare le genti del Meridione, ha una connotazione abbastanza spregiativa. Lo si sente usare soprattutto nei paesi della Lombardia profonda, che non hanno mai metabolizzato i flussi migratori. Questa traduzione di "giaggianesi" con "terroni" mi lasciò abbastanza interdetto. In vita mia non avevo mai sentito la parola con questo significato. Sapevo invece che alcuni meridionali la usavano per designare le genti del Nord. Come risolvere questa eclatante contraddizione? La cosa mi incuriosiva, ma pensai che dovesse trattarsi di un fraintendimento. Finii col non pensarci più per molti anni, finché il problema semantico ed etimologico non saltò fuori nuovamente. 
 
Esperienze personali:
giaggianese = extracomunitario
 
Nel frattempo la realtà sociale era cambiata profondamente e con "giagganesi" si intendevano  gli extracomunitari, soprattutto quelli provenienti dall'Africa. Rimasi stupito quando un siciliano biondiccio, di accese simpatie neofasciste, indicò come "giaggianesi" proprio le genti del Nordafrica - che per ovvi motivi non riscuotevano affatto le sue simpatie. Ovviamente la traduzione del lombardo P., che rendeva "giaggianesi" con "meridionali", era incompatibile con quella del siciliano neofascista, che era meridionale e rendeva invece "giaggianesi" con "marocchini".  

Tentativi etimologici
 
Non si riesce al momento ad andare oltre alle due principali ipotesi di etimologia finora enunciate. Sono le seguenti: 
 
1) I giaggianesi sarebbero stati in origine gli abitanti di Viggiano (prov. di Potenza, Basilicata). La pronuncia del toponimo è Viggiàno (parola piana).

viggianese => ggiaggianese 
plurale viggianise => ggiaggianise
 
Crollato il Regno delle Due Sicilie, a Napoli si riversarono innumerevoli esuli dalla Lucania, che esercitavano la professione di musicisti ambulanti, vivendo spesso di espedienti e finendo con acquisire una pessima fama di imbroglioni - come di regola accade ai vagabondi. Quando mi sono imbattuto in queste informazioni, all'inizio sono stato diffidente, pensando che potessero essere pacchetti memetici e miti infondati diffusi nel Web. In realtà, sono stato in grado di trovarne conferma. Proprio a Viggiano c'è un'importante tradizione di suonatori di arpa fin dal tempo del Regno di Napoli, attestata già nella prima metà del XVIII secolo (Antonini, 1745). L'arpa viggianese, diatonica e più piccola di quella classica, è sprovvista di pedali. È detta anche arpicedda. Nel corso dei secoli molti musicisti di Viggiano hanno portato la loro arte fin nelle più remote contrade del pianeta, ottenendo talvolta un notevole successo. 

2) I giaggianesi sarebbero stati stati in origine gli abitanti di Vigevano (prov. di Pavia, Lombardia). La pronuncia del toponimo è Vigévano (parola sdrucciola).
 
*viggevanese => ggiaggianese  
plurale *viggevanise => ggiaggianise 

Il romanista Gerhard Rohlfs (Berlino, 1892 - Tubinga, 1986) spiegò questo strano vocabolo in questo modo ingegnoso, per quanto un po' macchinoso e contorto. Così ha scritto: "piccoli commercianti che vengono dall'Alt'Italia per comprare l'uva o il mosto: deformazione di viggevanesi 'di Vigevano'." 
 
A parer mio è più probabile che Vigevano sia divenuto *Viggéggiano per assimilazione, quindi la trafila sarebbe questa:  
 
*viggevanese => *viggeggianese => ggiaggianese 
plurale *viggevanise => *viggeggianise => ggiaggianise 
 
L'amico D. mi spiegava che nel suo paese, situato nel Varesotto, esisteva la costumanza di miscelare il vino locale, rosso e a basso tenore alcolico, a certi rosati pugliesi, economici e molto più forti. Il risultato a quanto pare era eccellente, tanto da essere stato trovato in vendita anche in taverne nella lontana Genova. 

Una profonda incertezza
 
Sono stati fatti tentativi di sintesi per mettere assieme queste due etimologie contrastanti, che pure sembrano avere qualche verosimiglianza: i Vigevanesi compratori di uve e di mosti sarebbero stati assimilati ai precedenti Viggianesi musicisti itineranti per via della loro supposta e comune tendenza a imbrogliare. Ovviamente il condizionale è d'obbligo: secondo altre fonti, i compratori settentrionali di uve e di mosti erano invece persone da infinocchiare (Tarantino, 1985).  
 
L'enigma della rotica  

Lo stesso Rohlfs ebbe occasione di inventare un racconto che a parer mio è ridicolo. È il mito del soldato George. Il vocabolo "giaggianese" sarebbe tornato in auge a Napoli dipo lo sbarco alleato, proprio per via della presenza di militari statunitensi, che parlavano in modo incomprensibile. Dato che molti di loro si chiamavano George, spiega il Rohlfs, ecco che "giaggianese" sarebbe diventato "giargianese", quasi "giorgianese". Sembra che una variante "giorgënése" sia davvero attestata a Monopoli (Cortelazzo, Marcato, 1998), ma questo non prova granché: in molti dialetti meridionali le sillabe pretoniche sono per loro natura abbastanza deboli e suscettibili ad oscillazioni. A mio avviso, è più probabile che da "giaggianese" si sia arrivati a "giargianese" per via di un banale ipercorrettismo.  
 
Alcune considerazioni 
 
Il fallimento della romanistica appare evidente. 
 
1) Si avverte la necessità di un vocabolario storico del napoletano, che a quanto pare è tuttora inesistente. 
2) Si avverte la necessità di mappe di diffusione dei termini colloquiali, che a quanto pare mancano o sono in ogni caso di difficile reperibilità. 
3) Non è possibile che si debba scavare nei forum del Web per raccogliere informazioni frammentarie, spesso difficili a validarsi.  
4) Troppo spesso non si riesce ad andare oltre alla fatidica etichetta "etimologia incerta", per quanti sforzi si possano fare. È la condizione terribile del PANTANO ETIMOLOGICO
5) Il senso di impotenza e inconoscibilità si accresce in modo enorme quando ad essere di "etimologia incerta" sono vocaboli di origine recente.

sabato 3 luglio 2021

LADY MONDEGREEN E LE DISTORSIONI PERCETTIVE

La scrittrice e giornalista americana Sylvia Wright (1917 - 1981) ricordava il testo di una poesia che durante l'infanzia sua madre le leggeva spesso. L'autore era il poeta, antiquario e religioso inglese Thomas Percy, nato Piercy (Bridgnoth, 1729 - Dromore, 1811). Il componimento in questione è stato tratto dalla ballata scozzese The Bonnie Earl O' Moray e fa parte della raccolta Reliques of Ancient English Poetry. È scritto in un inglese che presenta una certa influenza della lingua Scots. Ecco il testo nella versione ricordata dalla Wright:
 
Ye Highlands and Ye Lowlands,
Oh Where hae ye been?
They hae slain the Earl Amurray
And Lady Mondegreen.

"Voi monti e vallate,
Oh, dove siete stati?
Hanno ucciso il Conte di Moray
E Lady Mondegreen."
 
Spiccano il pronome ye "voi" (corrisponde a you) e la forma verbale hae "avere" (corrisponde a have). Il problema è che c'è un vistoso errore nell'ultimo verso, causato da una distorsione percettiva! La frase originale era "and laid him on the green" ed è stata segmentata in modo erroneo dalla scrittrice-giornalista, dando origine a un antroponimo femminile fantomatico: Lady Mondegreen.
 
and laid him on the green => and Lady Mondegreen 
 
Questa è la trascrizione IPA della pronuncia, che descrive il mutamento avvenuto:
/ənd 'leɪd (h)ɪm 'ɔn ðəˌgɹi:n/ => /ənd 'leɪdɪ 'mɔndəˌgɹi:n/  

Il pronome obliquo di terza persona singolare maschile, him, spesso perde l'aspirazione e viene agglutinato al verbo che lo precede. In questo caso la consonante finale -m è stata incorporata dalla seguente preposizione on; la fricativa interdentale sonora dell'articolo the è stata percepita come un'occlusiva dentale sonora d-, cosa che senza dubbio ha favorito la creazione di un antroponimo fantomatico. La pronuncia attuale di Mondegreen è /'mɔndɪˌgɹi:n/

Questo è il testo corretto della poesia: 
 
Ye Highlands and Ye Lowlands,
Oh Where hae ye been?
They hae slain the Earl o' Moray
And laid him on the green.
 
"Voi monti e vallate,
Oh, dove siete stati?
Hanno ucciso il Conte di Moray
E lo hanno disteso sul verde."

Questa è la versione in Scots:

Ye Hielands an ye Lowlands,
Oh, whaur hae been?
They hae slain the Earl o' Moray
And lain him on the green. 
 
Si noterà che lo Scots presenta molte più forme verbali irregolari rispetto all'inglese: il verso And lain him on the green non avrebbe potuto essere frainteso come ha fatto la Wright per via della presenza di lain "distesero" anziché laid

Questo è il link all'articolo scritto da Sylvia Wright sull'argomento nel 1954, intitolato The Death of Lady Mondegreen e arricchito con disegni di Bernarda Bryson (che nome evocativo!): 
 
 
Ecco spiegata l'origine della denominazione mondegreen, usata in linguistica per descrivere un particolare tipo di distorsione percettiva in cui una frase viene scambiata per un'altra omofona o quasi omofona. Sia la frase originale che quella male interpretata in genere appartengono alla stessa lingua, ma non necessariamente. In genere un mondegreen avviene ascoltando una canzone, una poesia o uno slogan. Si può descrivere il mondegreen come un fenomeno di pareidolia acustica. Le definizioni inglesi più comuni sono mishearing "malinteso, fraintendimento" e misinterpretation "errata interpretazione". I mondegreen sono particolarmente comuni nella lingua inglese, che è caratterizzata dall'estrema debolezza delle code delle parole. Quando una lingua è composta prevalentemente da monosillabi e da bisillabi, è facile capire male qualcosa: ogni distorsione anche minima avrà gravi ripercussioni. 

Il mondegreen: possibili origini psicologiche
 
Secondo Steven Connor, il mondegreen fa parte del meccanismo conosciuto come dissonanza cognitiva, descritto per la prima volta da Leon Festinger nel 1957. Si può descrivere il cervello umano come una macchina programmata per attribuire un senso a un universo insensato. Quando una persona sente delle parole il cui significato le sfugge, il suo cervello riduce il disagio e la sofferenza mettendosi in azione per cercare di colmare la lacuna conoscitiva, deformando le parole fino a renderle in qualche modo comprensibili. Connor ha definito i mondegreen come "distorsioni del nonsenso nel senso" ("wrenchings of nonsense into sense"). Ecco la citazione dalla sua opera Earslips: Of Mishearings and Mondegreens (2009): 
 
"Ma, sebbene i fraintendimenti possano apparire piacevoli o addirittura sovversivi nel sabotare il senso, in realtà sono essenzialmente neghentropici, vale a dire che spingono verso l'alto il pendio dal rumore casuale alla ridondanza della voce, spostandosi quindi dalla direzione del non senso al senso, dalla non direzione alla direzione. Sembrano rappresentare l'intolleranza dei puri fenomeni. In questo sono diversi dai difetti del linguaggio a cui sono spesso associati. Considerare i lapsus dell'udito semplicemente come il complemento uditivo dei lapsus del linguaggio ne confonde la natura e la funzione programmatica. I fraintendimenti sono i disordini del senso causati dal nonsenso; i fraintendimenti sono la distorsione del nonsenso nel senso." (testo originale: "But, though mishearings may appear pleasingly or even subversively to sabotage sense, they are in fact in essence negentropic, which is to say, they push up the slope from random noise to the redundancy of voice, moving therefore from the direction of nonsense to sense, of nondirection to direction. They seem to represent the intolerance of pure phenomena. In this they are different from the misspeakings with which they are often associated. Seeing slips of the ear as simply the auditory complement of slips of the tongue mistakes their programmatic nature and function. Misspeakings are the disorderings of sense by nonsense; mishearings are the wrenchings of nonsense into sense.").
 
L'iperottimista Steven Pinker, moderno Pangloss nonché massimo esperto mondiale nella difficile scienza della puffologia, si è occupato del fenomeno del mondegreen, cercando in tutti i modi di trovare una spiegazione pierangelista (ossia riduzionista, meccanicista, deterministica, dogmatica). Secondo quanto scritto da Pinker nella sua opera The Language instinct (1994), il mondegreen tende ad essere meno plausibile della frase originale non distorta e crea una sorta di blocco mentale nella persona che ha avuto la distorsione percettiva: una volta fraintesa una frase, scatterebbe un legame emotivo fortissimo con la propria interpretazione fuorviante. Così lo studioso cita l'esempio di uno studente che aveva frainteso una canzone delle Bananarama, Venus (1986), quella che faceva "I'm your Venus, I'm your fire, And your desire" (ossia "Sono la tua Venere, sono il tuo fuoco, e il tuo desiderio"), intrerpretando il ritornello come "I'm your penis, I'm your fire, And your desire" (ossia "Sono il tuo pene, sono il tuo fuoco, e il tuo desiderio"). Questo studente era attratto in modo morboso dai transessuali e fissato con i loro attributi in erezione, tanto che non sapeva pensare ad altro: si masturbava furiosamente fantasticando di penetrare quelle creature androgine mentre raggiungevano l'orgasmo ed eiaculavano. Anche quando è stato messo di fronte alla copertina del disco delle Bananarama, non ha voluto riconoscere il proprio errore. Anzi, in un impeto di ipocrisia si è detto persino sorpreso che una simile canzone fosse trasmessa alla radio. La distorsione percettiva era stata causata da una sola consonante: in inglese Venus suona /'vi:nəs/ e rima con penis, che suona /'pi:nəs/. Io stesso ho frainteso un verso di questa canzone per una consonante, udendo "Making every man mad" ("facendo impazzire ogni uomo") anziché "Making every man a man" ("facendo di ogni uomo un uomo"). 

James Gleick è invece dell'idea che il mondegreen sia una fenomeno abbastanza recente. Nella sua opera The Information: A History, a Theory, a Flood (2011), sostiene che senza l'informazione migliorata e la standardizzazione del linguaggio apportate dalla radio, non ci sarebbe stato modo di riconoscere e di discutere questa esperienza condivisa. Tuttavia l'autore riconosce che nelle canzoni popolari avvengono trasformazioni spontanee del testo quando qualche termine diventa oscuro in quanto non collegabile all'esperienza corrente. Cita come esempio la canzone popolare The Golden Vanity, dove il verso "As she sailed upon the lowland sea" ("Mentre lei navigava sul Mare del Nord") è stato mutato in "As she sailed upon the lonesome sea" ("Mentre lei navigava sul mare solitario") dagli immigrati britannici che si stanziarono in Appalachia. Non avendo più idea di cosa fosse il Mare del Nord, così ben conosciuto dai Vichinghi, lo trasformarono nel mare solitario. Non concordo con Gleick sull'origine non troppo antica del mondegreen, che senza dubbio esiste da quando la specie umana usa il linguaggio articolato. La lingua dei Sumeri aveva in comune con l'inglese moderno la debolezza della coda delle parole: possiamo essere sicuri che vi abbondassero i mondegreen. Alla fine il sumerico è divenuto una lingua puramente letteraria, usata soltanto dai sacerdoti e dagli scribi, forse perché come lingua parlata aveva subìto un'eccessiva degradazione fonetica e dava origine a troppi fraintendimenti. Sarebbe interessante studiare a fondo i documenti in lingua sumerica per trovare qualche possibile traccia di questo processo.
 
Alcuni mondegreen musicali 
 
La canzone Bad Moon Rising dei Credence Clearwater Revival (1969) ha un testo in cui ogni verso termina con le parole "There's a bad moon on the rise" ("C'è una luna cattiva in crescita"). Ebbene, moltissimi anglosassoni hanno inteso "There's a bathroom on the right" ("C'è un cesso sulla destra"). 
La canzone Purple Haze di Jimi Hendrix (1967) ha il verso "Scuse me while I kiss the sky" ("Scusami mentre bacio il cielo"), che è stato costantemente equivocato in "Scuse me while I kiss this guy" ("Scusami mentre bacio questo tipo"). 
Nemmeno i Beatles sono stati immuni al potere del mondegreen: nella canzone Lucy in the Sky with Diamond (1967), il verso "The girl with kaleidoscope eyes" ("La ragazza con gli occhi caleidoscopici") è stato equivocato in un esilarante "The girl with colitis goes by" ("Passa la ragazza con la colite"). La gentile creatura doveva avere occhi magici e bellissimi: è diventata una cagona! 
La missionaria americana Fanny Cosby (1820 - 1915), discendente dei Puritani, ha composto l'inno Keep Thou My Way, il cui verso "Gladly the cross I'll bear" ("Volentieri porterò la Croce") ha subìto una grottesca distorsione in "Gladly, the cross-eyed bear" ("Gladly, l'orso strabico"). A causare il mondegreen è stata la sintassi inconsueta del verso, caratterizzata da un ordine OSV (oggetto-soggetto-verbo), incomprensibile agli attuali anglosassoni.  
 
Alcuni mondegreen letterari 

Lo scrittore e attore irlandese-americano Malachy McCourt ha dato alle sue memorie un titolo singolare: A Monk Swimming (1998). Questo perché ha male interpretato la frase amongst women "tra (tutte) le donne", che compare nella Salutatio Angelica, come a monk swimming "un monaco che nuota". Evidentemente la parola amongst /ə'mʌŋst/ non è stata capita dall'autore perché rara e ricercata. Così ha subìto una profonda metanalisi e la sequenza /ə'mʌŋs(t) 'wɪmɪn/ è diventata /ə'mʌŋk 'swɪmɪn/
Lawrence A. Perkins ha scritto un racconto di fantascienza Come You Nigh: Kay Shuns, pubblicato sulla rivista americana Analog Science Fiction and Fact nel 1970. Il tema fondante di questa storia è la codifica delle comunicazioni interplantarie usando i mondegreen per renderle sicure e incomprensibili agli alieni: ad esempio la parola comunications "comunicazioni" è codificata in "come you nigh, Kay Shuns", ossia "vieni vicino, Kay Shuns".  

Esperienze personali
 
I primi esempi di mondegreen, di cui sono stato consapevole, provengono dalla mia giovinezza. Ricordo quando frequentavo le scuole medie, quel dannato calderone di stramaledetti bulli. Cominciavo a guardare cartoni animati giapponesi, le cui sigle, tradotte in italiano, erano particolarmente grottesche. La sigla della serie Jeeg robot d'acciaio diede luogo ad alcune difficoltà di comprensione a causa della voce del cantante, che impastava le parole. Così la frase "Jeeg va!", con l'accento sulla prima parola, era da me percepita come "Gippa!", con una bizzarra assimilazione consonantica (in tempi abbasstanza recenti, l'amico P. mi ha detto che anche lui sentiva "Gippa!"). Poi c'era la frase "vola fra lampi di blu", pronunciata in un modo che era umanamente impossibile comprendere: alle mie orecchie giungeva come "o la falappi di blu". Ho la chiara memoria di un fatto curioso: anche Beppe Grillo in una trasmissione aveva riportato lo stesso mondegreen, "o la falappi di blu", chiedendosi cosa potesse significare. All'epoca faceva ancora il comico. Il mio cervello, proprio come quello di Grillo, aveva cercato di decrittare la frase pronunciata male, rianalizzandola e creando il verbo falappare, a cui però sembra impossibile attribuire un valore semantico.   
Ricordo quando udii per la prima volta una famosa canzone di Edoardo Bennato, Il gatto e la volpe (1977). La frase "Lui è il gatto ed io la volpe" fu da me compresa come "Lui è il gatto e Dio la volpe". Allo stesso modo, il titolo dello sdolcinato film Il Re ed io (The King and I, diretto da Walter Lang, 1956) fu da me compreso come "Il Re e Dio". Anche il titolo originale può essere frainteso in modo simile come The King and Die!, anche se non è grammaticalmente sensato. In questi due casi, il problema è la congiunzione "e" nella sua forma eufonica, ossia "ed", la cui consonante finale si agglutina per necessità alla vocale iniziale della parola seguente. Questo può creare gravi equivoci in moltissimi casi: ogni volta che ricorre la sequenza "ed a", può essere frantesa come "e da". Così "ed ai monti" corre il rischio di diventare "e dai monti". Per questo motivo la stessa Accademia della Crusca è intervenuta con voce tonitruante, condannando l'abuso delle forme eufoniche e cercando di limitare l'uso di "ed" ai casi in cui la parola seguente inizia con la vocale e-. Analogamente l'uso di "od" dovrebbe essere limitato ai casi in cui la parola seguente inizia con la vocale o- e via discorrendo. 
Un altro mondegreen risale a tempi ben più recenti. Ricordo ancora quando il rossochiomato F. mi fece ascoltare una serie di canzonette allegre di una band denominata My Chemical Romance. In uno di questi brani c'era un insistente e nitidissimo ritornello che suonava così alle mie orecchie: "LECCA LA CALIPPA BLU!" Non sono riuscito a ottenere spiegazioni dal bellimbusto fulvo, che si è limitato a sorridere, segno che anche lui aveva inteso qualcosa di strano; neppure le mie insistenti ricerche in Google mi sono state fruttuose. Ho anche visionato diversi video dei My Chemical Romance presenti in YouTube, senza trovare quello che mi interessava. Non ho mai compreso la natura della distorsione percettiva che mi ha colpito. Verosimilmente ho interpretato una frase in un inglese degradato distorcendola in una frase in italiano. Ho poi cercato di razionalizzare la distorsione percettiva immaginando che la parola "calippa" indicasse la fica, anche se il riferimento al colore resterebbe comunque inesplicabile. Forse si parla di una fica livida? Oppure è la fica di una femmina aliena dalla pelle blu? Fatto sta che per me è diventato un tormentone: ancora a distanza di anni, ogni tanto la frase insensata erutta dalle profondità del mio encefalo, ossessionandomi per ore ed ore, simile a un mantra, al punto da farmi temere di morire pazzo come è successo a Cantor. 
Vediamo che certi mondegreen stravaganti (es. "o la falappi di blu", "LECCA LA CALIPPA BLU") sembrano contraddire le spiegazioni psicologiche date da Pinker e da Connor, proprio perché hanno prodotto frasi prive di senso e neppure assimilabili ad antroponimi. Non riducono l'inspiegabilità e l'assurdo: si limitano a dargli una labile apparenza di sintassi coerente.

Soramimi e traduzioni omofoniche

Un fenomeno non troppo dissimile dal mondegreen è il soramimi, (dal giapponese 空耳 "ascolto alterato", "pensare di aver sentito"), che però si distingue per il fatto non irrilevante di essere volontario. Alcuni lo reputano un caso particolare di mondegreen; questa ipotesi mi appare abbastanza discutibile. Tuttavia non si può escludere che all'origine di un soramimi possa esserci un mondegreen, una pareidolia involontaria poi usata a bella posta. Un caso particolare di soramimi è la traduzione omofonica o quasi omofonica, che consiste nell'adattamento di una frase o di un intero testo da una lingua ad un'altra, basandosi interamente sull'assonanza. La traduzione omofonica parte dal testo in una data lingua e ottiene un testo in una lingua diversa. Il soramimi include anche casi in cui si parte dal testo in una data lingua e si ottiene un altro testo nella stessa lingua. L'intento di simili costruzioni non è necessariamente di scherno o di satira.
Tutti ci siamo imbattuti in stramberie di questo genere nel corso della nostra esistenza. Ricordo il cantante biondiccio dei Gatti di Vicolo Miracolo, mentre si esibiva su Antenna 3 Lombardia assieme a Umberto Smaila, all'epoca affettuosamente soprannominato "Smaiala". La canzone intitolata Georgia on my mind (Ray Charles, 1979, da un precedente motivo) era tradotta come "Giorgia, non mangi mai", richiamando l'attenzione sul terribile problema dell'anoressia giovanile. In modo simile, le parole "feelings, nothing more than feelings" (Morris Albert, 1974) furono trasposte in italiano come "fili, fili di parole". Credo che questo adattamento fosse opera di Johnny Durelli, pardon, Dorelli.
La tipica pronuncia accademica inglese della lingua latina ha permesso il proliferare di soramimi goliardici, che rientrano nella casistica del cosiddetto Pig Latin ("latino dei maiali") o Dog Latin ("latino dei cani"), come ad esempio questa poesiola: 
 
Caesar had some jam for tea,
Brutus had a rat.
Ceasar sick in omnibus,
Brutus sick in 'at.
 

Questa è la spiegazione:
 
Caesar adsum iam forte "Cesare, sono già qui, come capita" è diventato Caesar had some jam for tea "Cesare ha preso della marmellata per il tè"; 
Brutus aderat "Bruto era presente" è diventato Brutus had a rat "Bruto aveva un ratto";
Caesar sic in omnibus "Cesare è così in tutte le cose" è diventato Ceaesar sick in omnibus "Cesare ha vomitato nell'autobus"; 
Brutus sic in at (frase di dubbia grammatica ma traducibile alla lettera come "Bruto è così nel ma") è diventato Brutus sick in 'at "Bruto ha vomitato nel (suo) cappello". 
 
L'autore a quanto pare è il giornalista e scrittore inglese Geoffrey Willans (1911 - 1958). Si può riportare anche un singolare caso di soramimi inverso. Jonathan Swift (1667 - 1745) voleva adorare una fanciulla bellissima che si chiamava Molly, così le scrisse questa poesiola in pseudo-latino:

Mollis abuti,
Has an acuti,
No lasso finis, 
Molli divinis. 
Omi de armis tres, 
Imi na dist res, 
Cantu disco ver 
Meas alo ver?

Ecco il testo in inglese, nascosto con cura sotto le apparenze latine:

Moll is a beauty 
Has an acute eye, 
No lass so fine is, 
Molly divine is. 
O my dear mistress, 
I'm in a distress, 
Can't you discover 
Me as a lover?

Il testo che sembra in latino non ha alcun senso, è stato costruito a partire da quello in inglese.

giovedì 10 giugno 2021

 
EXCALIBUR 
 
Titolo originale: Excalibur
Paese di produzione: Stati Uniti d'America, Regno Unito
Anno: 1981 
Lingua: Inglese
Durata: 140 min
Rapporto: 1,85 : 1 
Specifiche tecniche: Panoramico Colore
Genere: Fantasy, epico, avventura, drammatico
Regia: Sir John Boorman
Soggetto: da Le Morte d'Arthur di Thomas Malory
Sceneggiatura: Rospo Pallenberg, Sir John Boorman
Produttore: Sir John Boorman
Produttore esecutivo: Robert A. Eisenstein, Edgar F. Gross 
Produttore associato: Michael Dryhurst
Casa di produzione: Orion Pictures Corporation
Fotografia: Alex Thomson
Montaggio: John Merritt
Effetti speciali: Wally Veevers (effetti ottici), Michael Doyle, Peter 
    Hutchinson, Alan Whibley, Gerry Johnston
Musiche: Trevor Jones
Scenografia: Anthony Pratt, Tim Hutchinson, Bryan Graves 
Coreografia: Anthony Van Laast
Costumi: Bob Ringwood
Trucco: Anna Dryhurst, Basil Newall
Interpreti e personaggi:
    Nigel Terry: Re Artù
    Helen Mirren: Morgana
    Nicholas Clay: Lancillotto
    Cherie Lunghi: Ginevra (Guinevere)
    Paul Geoffrey: Parsifal (Perceval)
    Nicol Williamson: Merlino
    Corin Redgrave: Gorlois, Duca di Cornovaglia (Cornwall)
    Patrick Stewart: Leodegrance (Leondegrance)
    Keith Buckley: Uryens
    Clive Swift: Sir Hector (Ector)
    Liam Neeson: Galvano (Gawain)
    Gabriel Byrne: Uther Pendragon
    Robert Addie: Mordred 
    Charley Boorman: Mordred da ragazzo
    Katrine Boorman: Igrayne  
    Ciarán Hinds: Lot
    Niall O'Brien: Kay
    Eamonn Kelly: Abate 
    Brid Brennan: Dama di compagnia 
    Gerard Mannix Flynn: Luogotenente di Mordred 
    Barbara Byrne: Morgana da giovane 
    Kay McLaren: Morgana da vecchia 
    Hilary Joyalle: Dama del Lago 
    Liam O'Callaghan: Sadok 
    Michael Muldoon: Astamor 
    Garret Keogh: Mador 
    Emmet Bergin: Ulfius 
    Patrick Steward: Signore di Camelyard 
Doppiatori italiani:
    Pino Colizzi: Re Artù
    Maria Pia Di Meo: Morgana
    Gianni Williams: Lancillotto
    Emanuela Rossi: Ginevra
    Romano Ghini: Parsifal
    Sergio Rossi: Merlino
    Gianni Marzocchi: Gorlois, Duca di Cornovaglia
    Renato Mori: Leodegrance
    Sandro Iovino: Uryens
    Sergio Fiorentini: Sir Hector
    Paolo Poiret: Galvano
    Romano Malaspina: Uther Pendragon
    Sandro Acerbo: Mordred
    Simona Izzo: Igrayne
    Luciano De Ambrosis: Kay
    Roberto Villa: Abate 

Citazioni: 

"Anni per costruire, attimi per distruggere, e tutto per lussuria!"
(Merlino) 

"Ricordate bene dunque questa notte, questa grande vittoria, così che negli anni a venire possiate dire: “Io ero lì quella notte, con Artù, il Re!” Poiché la maledizione degli uomini è che essi dimenticano."
(Merlino)  
 
"Adesso ascolta. Una volta restai esposto all'alito del Drago perché un uomo giacesse una notte con una donna. Nove lune mi ci sono volute per riavermi! E tutto per questa follia chiamata amore, questo pazzo turbamento che colpisce i mendicanti e i re. Non lo rifarò! Mai più." 
(Merlino) 

"Rinunzio ai miei castelli e alle mie terre, qui è il mio dominio, dentro questa pelle di metallo. E do in pegno tutto ciò che ancora ho: la mia carne, le mie ossa, il mio sangue e il cuore che lo pompa."
(Lancillotto) 

"Verità. Ecco, sì. Deve esserci verità, soprattutto. Quando un uomo mente, assassina una parte del mondo." 
(Merlino) 

"Ci sono altri mondi. Questo ha finito con me."
(Merlino) 
 
"Un sogno per alcuni... Un incubo per altri!"
(Merlino)

"Io mi sto consumando, non posso morire e non posso vivere." 
(Artù)

"Non sapevo quanto la mia anima fosse vuota finché non è stata riempita." 
(Artù)
 
Trama:   
Nella Britannia postromana imperversa il caos. Uther Pendragon è determinato a diventare il Re dei Britanni, combatte contro i suoi oppositori e contro i Sassoni, riuscendo ad ottenere la vittoria grazie a Merlino, che gli ha consegnato la Spada del Potere, Excalibur. Qui ha inizio l'esistenza di Artù, il Figlio dell'Incantesimo. A concepirlo è la bellissima Igrayne, posseduta con l'inganno da Uther Pendragon, infiammato dalla libidine fin dal primo momento in cui l'ha vista. La copula è resa possibile grazie al sortilegio di Merlino, che ha fatto assumere a Uther Pendragon le sembianze di Gorlois, fregandosene degli ipocriti concetti di Amore e di fedeltà coniugale. Così il marito della dama, il Duca di Cornovaglia Gorlois, si è ritrovato cornuto ed è stato ucciso in battaglia. In cambio della copula tanto desiderata, Uther Pendragon ha dovuto promettere a Merlino il figlio che ne sarebbe nato. Quando il bambino viene al mondo, il necromante si presenta a pretendere ciò che gli appartiene, portandolo via dalle braccia di Igrayne. Poco dopo, in seguito alle sue azioni proditorie, Uther Pendragon cade vittima di un'imboscata e prima di spirare l'ultimo respiro conficca la sua spada Excalibur in una roccia, profetizzando che solo un Re potrà estrarla. Passano gli anni e nessuno è mai riuscito nell'impresa. Artù, che nel frattempo è stato affidato da Merlino a Sir Hector, ormai è un diventato un giovane uomo, educato come scudiero. Ignora del tutto le proprie origini. Molte cose sono cambiate dai tempi di Uther. Il Cristianesimo è riuscito ad imporsi e c'è un monaco a benedire con un aspersorio chi cerca di estrarre Excalibur dalla roccia. Per puro caso ci riesce proprio Artù, che da allora conosce un rapidissimo successo. Merlino ricompare dopo una lunga assenza e guida il giovane. Artù vince un'importante battaglia, ma il signore sconfitto non accetta di sottomettersi a lui perché non è un cavaliere. Così il vincitore accetta di farsi nominare da lui cavaliere: una volta concluso il rito, la sua vittoria viene riconosciuta e la fedeltà del vinto è garantita. Merlino, che nel nuovo mondo è come un masso erratico, afferma di non aver mai visto in vita sua nulla di simile. Consolidata la sua autorità di Re dei Britanni in seguito a una grande vittoria sugli invasori Sassoni, Artù ha grandi piani per il futuro della sua nazione. Ottiene la fedeltà del cavaliere Lancillotto, fino ad allora imbattuto. Si sposa con la bellissima Ginevra, una ragazza dai capelli corvini e crespi di cui è follemente innamorato, figlia del suo suo fedele vassallo Leodegrance. Al contempo progetta la costruzione dell'immenso castello di Camelot, che sarà il centro di irradiazione del suo potere. Una volta edificata la reggia di Camelot, viene fondata la Tavola Rotonda: è l'apogeo di un'epoca di prosperità e di magnificenza. Qualcuno però trama nell'ombra. È Morgana, la sorellastra di Artù, nata da Igrayne e dal suo legittimo consorte, il Duca di Cornovaglia. Essendo pagana come Merlino, Morgana si avvicina a lui e ne diventa l'apprendista, pur utilizzando per cause malvagie gli insegnamenti acquisiti. La sua prima azione consiste nel corrompere il cavaliere Galvano, che in preda all'alterazione accusa Ginevra di avere una tresca con Lancillotto, insultandola pesantemente. Dato che le genti di Camelot credono nel Giudizio di Dio, viene organizzato un torneo in cui Lancillotto difende l'onore della Regina, riuscendo a sconfiggere Galvano. Qualcosa si incrina e da quel momento tutto va a rotoli. Morgana riesce a ingannare Merlino, che già si era congedato da Artù, inducendolo a rivelargli la Magia del Fare e usandola per intrappolarno in un cristallo di ghiaccio. Lancillotto e Ginevra cedono alla forza magmatica delle passioni, amandosi nel bosco, nudi e ardenti. Artù li sorprende mentre dormono, sfiniti dalle fatiche dell'Amore. Anziché ucciderli, pianta Excalibur nella terra in mezzo a loro e allontanandosi in preda alla disperazione. Quando gli amanti si svegliano, hanno una sorpresa tremenda. Lancillotto, in preda al terrore assoluto, urla: "Il Re senza la Spada! La Terra senza un Re!" Questa sciagura non è sufficiente: Morgana assume magicamente le sembianze di Ginevra e copula col suo fratellastro Artù. Dopo l'atto sessuale, sorridendo in modo languidissimo gli sussurra che ha concepito un figlio. A questo punto il sovrano si avvede dell'inganno. Troppo tardi. Il figlio dell'incesto nasce e Artù viene colpito dal fulmine. A causa di questa folgorazione, cade in uno stato crepuscolare di infermità, mentre Morgana si allontana col suo bambino mostruoso, Mordred. Il nuovo nato viene cresciuto magicamente, diventando ben presto un ragazzo pieno di ormoni e di crudeltà. Camelot decade come un cadavere, ovunque regnano carestia, malattia e morte. Ginevra si è ritirata in convento, mentre Lancillotto vaga sbandato tra torme di miserabili. A un certo punto Artù incarica i cavalieri superstiti di trovare il Graal, sola possibile fonte di Salvezza. Molti cavalieri partiti per la ricerca vengono uccisi tra atroci tormenti da Mordred e dai suoi uomini. Alla fine a riuscire nell'intento è Parsifal, che era stato scudiero di Lancillotto. Il segreto del Graal è sconvolgente. Il Graal coincide con lo stesso Artù e la Conoscenza che egli ha perduto è espressa da una frase lapidaria: "Tu e la Terra siete Uno". Parsifal torna dal suo Signore, portandogli la coppa che lo risana. Inizia la riscossa: Artù va da Ginevra in convento, recuperando Excalibur, che lei aveva custodito. Poi procede con le sue armate ricostituite, cavalcando verso il Regno di Mordred. Intanto Merlino riesce a liberarsi dalla sua prigione, apparendo a Morgana e privandola dell'incantesimo che la mantiene giovane: la maga invecchia a vista d'occhio e il figlio, avendo in abominio il suo aspetto, la uccide strangolandola. La battaglia è tremenda. Artù e Mordred si uccidono a vicenda, trafiggendosi con le lance. Prima di spirare, il Sovrano di Camelot incarica Parsifal di gettare Excalibur nella acque, dicendo che la spada sorgerà di nuovo quando verrà un Re. Poi muore e tre misteriose figure femminili vestite di bianco lo portano via su un'imbarcazione, verso le Terre Immortali.    
 
 
Recensione: 
La potenza è incredibile. Ogni singolo dettaglio è evocativo e perfetto. La colonna sonora è esaltante. Magnifiche e insuperabili sono le interpretazioni di Nicol Williamson nel ruolo di Merlino e di Helen Mirren nel ruolo di Morgana. In tutto e per tutto uno splendido film, che ha lasciato in me un segno profondo, avendolo visto durante l'adolescenza. Vidi una delle prime immagini sessuali che potei esperire nella mia sventurata e inutile vita, quando ancora non avevo facile accesso alla pornografia. A distanza di tanti anni penso che fosse una cosa molto grottesca e irrealistica, con quest'uomo brutale che penetrava una bionda bellissima senza nemmeno togliersi l'armatura. Anche l'incesto tra Morgana e Artù colpì molto la mia immaginazione ancora informe e la plasmò. La pellicola di Boorman ha meriti considerevoli e si caratterizza per la crudezza delle sequenze, costituendo qualcosa di unico nel panomama degli adattamenti del mito di Re Artù, che sono tutti incentrati sul tema della relazione adulterina tra Lancillotto e Ginevra, per giunta trattato in modo superficiale. Qui invece notiamo un grande approfondimento di tematiche religiose ed esoteriche, che disegnano un quadro più complesso. Più in generale, quest'opera si contrappone al fantasy esangue e asettico di ispirazione tolkieniana. Il fantasy che vorrei dovrebbe trarre la sua sostanza da Excalibur ed essere pieno di violenza, sangue, eccidi, morte e perversione! Questa è l'unica ricetta possibile in grado di salvare un genere (sia a livello di romanzo che cinematografico) che langue per mancanza di linfa vitale. Fate beccare ai corvi gli occhi dei moribondi impiccati e il fantasy vivrà la sua stagione di gloria! 
 
Adattamento 

La pellicola boormaniana è stata tratta da Le Morte d'Arthur (La Morte di Artù), voluminosa opera di Sir Thomas Mallory (circa 1400 - circa 1470) le cui fonti sono in massima parte francesi. Eletto due volte al Parlamento, questo autore fu anche condannato per una serie di reati gravi, tra cui aggressione, furto, stupro e tentato omicidio. Scrisse La Morte d'Arthur mentre era in prigione. 
Boorman e Pallenberg hanno avuto un'idea che reputo geniale. Hanno deciso di rendere più snella la trama facendo collassare alcuni personaggi ridondanti. Il Ciclo di Artù non è affatto un argomento facile. Comprende un numero incredibile di scritti di moltissimi autori, spesso in contraddizione tra loro, con infiniti personaggi, intrighi e vicende complicatissime che non è umanamente possibile tenere a mente nella loro interezza. Così sono state operate fusioni tra figure tra loro simili e tra differenti tematiche.
 
1) Igrayne aveva tre figlie: la Fata Morgana, Anna Morgause ed Elaine. Sono collassate in un'unica figura: Morgana.
2) Il Re Ferito, detto anche Re Pescatore (o Re Peccatore), è confluito in Re Artù. 
3) Il cavaliere Bedivere è confluito in Percival. 
4) Il cavaliere Galahad è confluito in Percival. 
 
Inoltre: 
 
i) La Spada nella Roccia in alcuni scritti è distinta da Excalibur: le due armi sono state unite. 
ii)  La spada conficcata tra i due amanti dormienti proviene dalla storia di Tristano e Isotta.
 
Il risultato di tutto ciò è incredibile! Il regista ha reso fruibile una massa gigantesca di dati spesso molto lontani dalla sensibilità moderna. Non ci sarebbe stato altro modo per riuscire in un'impresa tanto titanica. Approvo questa scelta, anche se sono sempre stato un fanatico del rigore filologico. 
 

 Etimologie varie 

L'etimologia del nome Uther (gallese Wthyr, Uthr, Uthyr, Ythyr) è abbastanza oscura. In medio gallese il vocabolo uthr significava "terribile", ma anche "magnifico". La protoforma ricostruibile è *OUTROS, derivato da *OUTUS "orrore".  Difficile spiegare le diverse varianti ortografiche. 
Il soprannome Pendragon significa "Testa di Drago". Non credo che sia difficile capire che -dragon altro non è che un prestito latino. In gallese medio, dreic è derivato direttamente dal latino dracō, mentre dragon è derivato in modo altrettanto regolare dal genitivo dracōnis. Il gallese medio pen "testa" deriva direttamente in modo regolare dal britannico *PENNON (< *KWENNOM). Ecco spiegato l'arcano. 
Il nome Gorlois compare per la prima volta nell'Historia Regum Britanniae di Goffredo di Monmouth (1136). In gallese è Gwrlais, ma credo che questa forma sia stata presa a prestito da Gorlois anziché il contrario. Nella versione originale del film è chiamato Cornwall, ossia "Cornovaglia". Da questo mi è venuto in mente che Gorlois potrebbe essere semplicemente una forma volgare di Cornuallois "Cornovagliese" (moderno Cornouaillois). In lingua d'oïl si deve pronunciare /gor'lois/ e non /gor'lwa/, visto che la pronuncia /wa/ del dittongo oi è molto più recente. 
Il nome della spada Excalibur, latinizzato in Caliburnus da Goffredo di Monmouth, corrisponde al gallese Caldedfwlch e all'irlandese antico Caladbolg (variante Caladcholg), che indica la spada dell'eroe Fergus mac Roich nel Ciclo dell'Ulster. Si tratta di derivati del proto-celtico *KALETOS "duro": gallese caled "duro", irlandese antico calad "duro". In gallese fwlch significa "spaccatura". In irlandese antico bolg significa tra le altre cose "fulmine". Ricostruirei la protoforma *KALETO-BOLGOS "Duro Fulmine". Il prefisso ex- presente in Excalibur è con ogni probabilità derivato da una contrazione del latino ēnsis "spada". Diffusa è l'idea di una derivazione dal latino chalybs "acciaio" (dal greco χάλυψ), che però non rende conto delle forme celtiche, senza dubbio antiche.  
Il nome Igrayne (Igraine) è un adattamento del francese antico Ygraine: tuttavia notiamo che nei manoscritti sono attestate molte varianti come Igerne, Ygerne, Ugerne, Uguerne, etc. In tardo latino era Igerna (Hierna, etc.). In medio gallese era Eigyr. Il significato dell'antroponimo femminile non è al momento determinabile. Si potrebbe ricostruire una protoforma britannica *AIGRĀ. L'alternanza tra Igerne e Ygraine suggerisce che la prima forma avesse una consonante /g/ velare, anche se non va taciuto che sono documentate forme come Izerna e Izerla.
Il nome Morgana (inglese Morgan la Fay, francese Fée Morgane, gallese Morgên y Dylwythen Deg), corrisponde al teonimo irlandese Morrígan (Mórrígan, Mórrígu). Proprio le irregolarità fonetiche fanno pensare a un prestito dall'antico irlandese anziché a una forma ereditaria. La protoforma ricostruibile dovrebbe essere *MORO-RĪGANĪ "Regina dei Demoni". Meno probabile è che si tratti di un derivato di *MORI-GENĀ "Figlia del Mare".
Il nome del castello di Camelot è un derivato di *KAMULO-DŪNON "Città del Gigante", toponimo britannico che è ben attestato in latino come Camulodūnum (attuale Colchester, Essex). In lingua d'oïl sono attestate moltissime varianti come Camaalot, Camalot, Camaaloth, Caamalot, Chamalot, Camahaloth, Gamalaot, etc. La fonetica prova che la trafila non è passata attraverso lingue britanniche come il gallese o il bretone: sembra invece essere avvenuta attraverso una forma tarda di gallico.
Il nome Artù, in gallese Arthur, latinizzato in Artūrius, è ricostruibile come *ARTO-RĪIOS, a sua volta da *ARTO-RĪGIOS "del  Re Orso", formato da *ARTO-RĪX "Re Orso" (che in irlandese ha dato Artrí). Il passaggio da *ARTO-RĪIOS a un più recente *ARTŌRIOS è strano ma non impossibile: si tratterebbe di un allungamento compensativo della vocale -O-. Non si può ricostruire *ARTO-WIROS "Uomo Orso", come pure è stato fatto: l'esito gallese sarebbe *Arthwr. Esiste una teoria che riconduce il nome Artù al gentilizio Artōrius. La gens Artōria era una gens romana di rango equestre, la cui presenza è in effetti attestata in Britannia; il suo nome è di origine incerta e probabilmente etrusca.
 
Il problema degli anacronismi
 
Come è stato più volte fatto notare nel Web, i castelli mostrati nel film e tanto presenti nell'immaginario collettivo non potevano essere pensati e a maggior ragione costruiti nell'epoca del tardo Impero Romano, quando le legioni abbandonarono la Britannia e i suoi abitanti alle crescenti scorrerie di Angli, Sassoni e Iuti. Allo stesso modo, le armature sono abbastanza irrealistiche. Queste critiche mi paiono del tutto irrilevanti. Boorman non ha mai avuto la pretesca di fare un film storicamente verosimile. Egli ha immerso la narrazione nel mito, che ne costituisce il solo fondamento.  
La stessa Materia di Bretagna era piena zeppa di anacronismi, avendo trasfuso il mondo celtico nella lingua d'oïl, con rielaborazioni complicatissime. Nel sentire comune è diffusa l'assurda idea che Artù fosse Re degli Inglesi, altro anacronismo. Credono che a Camelot si parlasse un inglese anticato (il famigerato Olde Englishe, creato aggiungendo una -e finale alle parole che finiscono in consonante e usando una -y- al posto della -i-), oltre al francese - ovviamente nella sua forma moderna. Sia l'inglese che il francese applicati a quel contesto sono puri e semplici anacronismi. Questo immaginario collettivo non è una novità. Basti considerare i nomi dei Cavalieri della Tavola Rotonda scritti sulla Tavola Rotonda di Winchester (S sta per Sir) sono i seguenti 25: 
Re Artù (Kyng Arthur), Galahad (S Galahallt), Lancelot du Lac (S Launcelot Deulake), Gawain (S Gauen), Percivale (S Percyvale), Lionel (S Lyonell), Bors de Ganis (S Bors de Ganys), Kay (S Kay), Tristram de Lyones (S Trystram Delyens), Gareth (S Garethe), Bedivere (S Bedwere), Bleoberis (S Blubrys), La Cote Male Taile (S Lacotemale Tayle), Lucan (S Lucane), Palomedes (S Plomyde), Lamorak (S Lamorak), Safir (S Safer), Pelleas (S Pelleus), Hector de Maris (S Ectorde Maris), Dagonet (S Dagonet), Degore (S Degore), Brunor le Noir (S Brumear), Le Bel Desconneu (S Lybyus Dyscony[us]), Alymere (S Alynore), Mordred (S Mordrede). 
Questa Tavola Rotonda, che potei vedere con i miei occhi, fu in realtà costruita per una festa a tema per ordine del Re Edoardo I Plantageneto (1239 - 1307), il tiranno contro cui lottò strenuamente William Wallace (1270 - 1305). Nessuno alla corte del Plantageneto avrebbe creduto che la lingua di Re Artù fosse quella da cui è derivato il gallese.

 
L'Incantesimo del Fare 
 
Una formula che è penetrata in ogni fibra del mio essere! Mai si era vista una simile potenza!  
 
Anaal nathrakh,
Urth vas bethud,
Dokhjel djenve. 
 
Questa è la pronuncia nella versione in italiano nel film: 
 
/a'na:l na'trak, 
ut 'vas be'tot, 
do'kjel djen've/ 
 
Questa invece è la pronuncia nella versione originale: 
 
/a'na:l na'θraχ, 
u:rθ 'va:s be'θʌd, 
do'xje:l djen've:/

Si vede che nell'adattare il testo in italiano è stata adottata una certa semplificazione fonetica.
 
Questi sono i versi originali in irlandese medio:
 
Anál nathrach,
orth' bháis's bethad, 
do chél dénmha. 

Traduzione in italiano: 

"Alito del Drago,
magia di vita e di morte,
portento di realizzazione." 
 
Glossario: 
 
anál "alito, respiro" 
nathrach "del drago" (sta per na draice
ortha "incantesimo"
bháis's bethad "della morte e della vita": 
   bháis "della morte" (genitivo di bás "morte")
   's "e" (contrazione di is "e") 
   bethad "della vita" (genitivo di betha "vita") 
do chél "il tuo presagio" 
dénmha "dell'atto di fare" (genitivo di dénamh)
 
A parte l'anacronismo della lingua, troppo consunta per l'epoca e resa male nella pronuncia, non ci aspetteremmo che Merlino la usasse, a meno che non provenisse dall'Irlanda. Detto questo, Merlino avrebbe dovuto usare l'antenato dell'antico gallese, non una forma di antico irlandese. A un genio come Boorman perdoniamo questo ed altro. Non sono riuscito ad accertare quale sia l'esatta fonte della formula, che non compare affatto nel libro di Mallory. Secondo il linguista Michael Everson, il canto magico è una mera invenzione. Va detto comunque che esiste una tradizione secondo cui Merlino sarebbe da identificarsi con un caledone di nome Lailoken, che viveva allo stato selvaggio nei boschi e aveva il dono della profezia.  
 
Alcune note sull'etimologia di Merlino 
 
Il nome originale di Merlino era Myrddin, che indicava provenienza dall'omonima città gallese: è l'antica Moridūnum, adattamento del celtico *MORI-DŪNON "Città del Mare", da MORI- "mare" e DŪNO- "città". Così il mago si sarebbe chiamato *MORI-DŪNOS. Fu Goffredo da Monmouth (circa 1100 - circa 1155) a latinizzare il gallese Myrddin in Merlinus, perché chiamare il mago col nome Merdinus avrebbe gettato grave discredito sull'Inghilterra in un periodo storico molto delicato. L'assonanda col francese merde è stata evitata da un provvidenziale lambdacismo. Il processo non è ignoto in Italia: Camerlata (comasco Camerlada) in origine doveva essere una Casa merdata, ma fu nobilitata in una Casa merlata, ossia provvista di merli, che sono tipici elementi architettonici medievali. Nessuno avrebbe voluto abitare in un paese che traeva il suo nome da un edificio sporco di escrementi! Il torrente Merlata (milanese Merlada) in origine doveva essere chiamato Merdata, perché raccoglieva parte delle acque reflue fecali di Milano. Questo corso d'acqua sporca e marrone ha dato il suo nome a una foresta piena di fontanili, conosciuta per l'appunto come Bosco della Merlata, da cui deriva anche il nome della Cascina della Merlata. Anche in questo caso l'origine del toponimo è proprio la merda. Piaccia o no, ci sono pochi dubbi: la Cascina della Merlata era in origine una Cascina della Merdata (doveva suonare all'incirca Cassina de la Merdada). Era tutto pieno di feci e puzzava! In cremasco lo stronzo è tuttora chiamato merlòt (da un precedente *merdòt) ed esiste la forma italianizzata merlotto
 
 
Altre etimologie arturiane  

Il nome Lancillotto (varianti italiane: Lancellotto, Lanzerotto, Lanciotto, francese e inglese Lancelot) sembra un diminutivo del nome germanico Lanzo, ipocoristico di nomi derivati dalla radice land- "terra" (es. Landeberto, Landefranco, etc.). Da Lanzo deriva l'antroponimo inglese Lance, che ha subìto etimologia popolare, essendo accostato all'omonima parola che significa "lancia".  In gallese Lancillotto è chiamato Lawnslod, che è un chiaro prestito dalla forma francese antica. 
Il nome Ginevra (inglese Guinevere, francese antico Genievre, francese moderno Guenièvre) proviene dal gallese Gwynhwyfar, la cui protoforma celtica ricostruibile è *WINDO-SĒBARIS "Fantasma Bianco", "Spirito Bianco". In cornico è Gwynnever, in bretone è Gwenivar. In irlandese antico il nome proprio femminile corrispondente è Finnabair (Findabair). Vari gli adattamenti in latino medievale, ad esempio Guennuvar, Guennimar, Guanhumara (XII sec.), Wennevereia (XIII sec.).  
Il nome Galvano (inglese Gawain) è un adattamento del gallese Gwalchfai, che alla lettera significa "Falcone di Maggio" - da gwalch "falcone" e da fai, forma lenita di mai "maggio", dal latino Māius. Potrebbe essere una falsa etimologia. Risalire all'originale è molto difficile. 
Il nome Percival è stato sottoposto a una falsa etimologia già in epoca medievale e inteso come un derivato dall'antico francese percier "bucare" e val "valle". Quindi sarebbe un "Buca-Valle". In realtà si tratta dell'adattamento del medio gallese Peredur, che probabilmente significa "Lancia di Acciaio" - da ber "lancia" (proto-celtico *BERU) e da dur "metallo duro, acciaio" (derivato dal latino dūrus "duro"). Le varianti Parzival e Parsifal si devono a Wolfram von Eschenbach (circa 1170 - circa 1220). In particolare, Parsifal è stato ripreso da Wagner. 
Il nome Mordred corrisponde al medio gallese Medrawt e all'antico gallese Medraut, che sembra essere un derivato regolare del latino Moderātus. L'alterazione di Medrawt in Mordred si deve forse all'associazione con lo stesso elemento mor- da cui sono formati i nomi di Morgana e Morgause. Secondo altri a influenzare l'aspetto fonetico del nome sarebbe invece stata la parola latina mors "morte". 

 
Merlino, Artù, i biscotti e le donne 

Merlino enuncia in poche parole la massima saggezza concepibile. Ginevra avanza verso il giovane Re tenendo in mano una tortina dall'invitante farcitura di petali di rose e gliela offre, quindi ritorna nel vivo della festa. Merlino allora rivolge ad Artù queste parole, alludendo alla bellissima Ginevra intenta a danzare: "Guardare quel biscotto è come guardare il futuro. Finché non l'hai assaggiato, cosa ne sai in realtà? E allora... allora è troppo tardi! Troppo tardi." Parole sacrosante! Mi sono sempre attenuto a questo Insegnamento. Un uomo concupisce una ragazza, ma di lei non sa assolutamente nulla. Come può avere la certezza che lei gli porterà la gioia? Come può essere sicuro che in lei potrà trovare la pace? Potrebbero anche emergere incompatibilità gravi e tutto si guasterebbe. Quando uno è andato troppo avanti nel dichiarare il proprio desiderio alla donzella, non può più tirarsi indietro. Sarebbe pavido e ci farebbe una figura fecale. Va quindi avanti, solo per scoprire che lei non è intenzionata a concedergli cosa che gli piaccia... o che gliela farà pagare carne salata! 
 
La castità di Merlino 
 
Pochi hanno fatto caso ad alcuni dettagli particolarmente significativi dell'atteggiamento di Merlino nei confronti del sesso e delle donne. Ebbene, Merlino vive in uno stato di castità assoluta e disprezza la sessualità. Rifugge le passioni, la sua condotta è molto simile a quella degli Stoici. A un certo punto rinfaccia a Uther Pendragon la sua follia, che ha portato a distruggere in pochi attimi ciò che era stato creato in anni, mandando tutto in rovina a causa della lussuria. La risposta di Uther è questa: "Non per lussuria, Merlino, ma per Igrayne. Ma tu non puoi capire, non sei un uomo!" Cosa significa? Semplice: per un duro guerriero come Uther, un individuo di sesso maschile che vive in stato di castità non è davvero un uomo, è una specie di eunuco. Va specificato che Uther non era cristiano. Quando ha compiuto le sue gesta, i Britanni adoravano ancora gli antichi Dei. Quindi è da escludere che il disprezzo nei confronti di Merlino potesse avere motivazioni religiose. Secondo alcuni critici, Merlino vagheggiava Morgana. Vero è però che non ha ceduto alla sua seduzione e l'ha combattuta con determinazione. Anche se molti non lo sanno, nel territorio della Gallia Transalpina è stato trovato vassellame con iscrizioni di carattere stoico, redatte in lingua celtica. Anche da questi dettagli estremamente curati si capisce il genio di Boorman e la grandezza della sua opera. Simili argomenti non erano mai stati affrontati prima nella Settima Arte.        

 
La triste fine di un mondo 
 
Artù fu crescuto nel Cristianesimo. Eppure rimasero sempre fortissimi i suoi legami con Merlino, ultimo rappresentante della religione dei Druidi. Quando ancora era un ragazzo, il figlio di Uther Pendragon apprese l'esoterismo degli Antichi e la rappresentazione dell'Universo come il corpo smisurato del Drago. Così gli parlava Merlino: "Il Drago è ovunque. Il Drago è in ogni cosa. Le sue squame brillano nella corteccia degli alberi. Il suo ruggire si sente nel vento. E la sua forcuta lingua colpisce come il fulmine." Un'ambiguità di non poco conto. Simulacri del Drago ornavano il castello di Camelot. Merlino fu sempre protetto. Quando il mago capì di essere in difficoltà, perché in caso di morte del suo regale patrono si sarebbe trovato in mezzo a cristiani ostili, pensò bene di allontanarsi senza dare troppo nell'occhio. Il legame tra due mondi, quello degli Dei e quello del nuovo Dio, continua fino alla fine: quando Artù muore, per lui c'è un destino ultraterreno pagano. Non il Paradiso di cui parlò Cristo, bensì le Tre Sorelle Fatali che lo trasportano nella Terra Immortale di Avalon. Merlino avrebbe potuto appoggiare Morgana e suo figlio Mordred nel tentativo di abbattere il Cristianesimo, ma non lo fece. Non poteva rinnegare il legame con Artù, nemmeno di fronte alla morte degli Dei e del loro culto. Ad animarlo è sempre stata una consapevolezza stoica, un'accettazione eroica dell'Annientamento.  
Fin da subito mi sono rimaste impresse le struggenti parole rivolte da Merlino a Morgana durante una bella passeggiata silvestre:
 
"Ormai i giorni dei pari nostri sono numerati. Il Dio Unico viene a cacciare via i molti Dei. Gli spiriti dei boschi e dei torrenti cominciano a tacere. È il destino delle cose, sì. È il tempo degli uomini e dei loro modi."  
 
Gli stessi concetti sono ribaditi nella scena del commiato di Merlino da Artù e da Camelot. Così parla il mago al Re, che gli aveva chiesto se fosse il caso di uccidere la moglie infedele e il suo amante Lancillotto: 
 
"Non posso dirti niente di più. I miei giorni sono finiti. Gli Dei di una volta sono andati per sempre. È il tempo degli uomini, ora. Il tuo tempo, Artù."
 
Tutto questo è lirismo assoluto! Ogni volta che ci penso rimango commosso. In me si staglia l'agonia dell'antichità pagana, davanti ai miei occhi si estendono boschi abbandonati e rovine. Ed ecco quella che Cioran chiamava "l'insania di ogni aurora". Ecco arrivare come un bulldozer quelle che di questi tempi sono chiamate "le radici cristiane dell'Europa".  

 
Morgana, l'incesto e il Graal  
 
Sono sempre stato affascinato dalle storie sull'incesto tra fratello e sorella. Boorman è stato uno dei pochissimi registi ad aver avuto il coraggio di trattare questo delicato argomento in una pellicola. 
"Dio ci salvi da Morgana! E ci salvi dal suo figlio sacrilego!", tuona il sacerdote dopo il travagliato parto della maga, elevando il calice eucaristico verso una finestra. Ecco che un fulmine si abbatte su Artù, bucandogli la corazza. Il Re ha assunto su di sé una colpa terribile, che i comuni mezzi non hanno il potere di redimere.
Si nota che il Graal non è assimilabile al Calice dell'Ultima Cena, preservato da Giuseppe di Arimatea, come vuole la leggenda a tutti nota. Qui siamo di fronte a un prototipo non ancora cristianizzato: il mitico Calderone dell'Abbondanza degli antichi Celti. Il Segreto che il Graal rivela è pagano, non cristiano. Consiste nel concetto celtico della regalità: il Sovrano coincide con la Terra. Se il Sovrano è in salute, la Terra è prospera e dà frutti rigogliosi. Se il Sovrano assume su di sé una grave colpa e per questo diventa malato, allora infrange la sua unità con la Terra. La conseguenza possibile è una sola: la Terra diventa sterile e desolata.   

 
La colonna sonora 
 
Il componimento numero 17 dei Carmina Burana, O Fortuna, è noto soprattutto per la musicazione che ne fece Carl Orff (1895 - 1982). Credo che questo brano si possa definire un elemento fondamentale della colonna sonora della pellicola di Boorman. La sua potenza è unica, assoluta! Ecco il testo, capolavoro dei Clerici vagantes, dai contenuti di una grande profondità filosofica:  

O FORTUNA
 
O fortuna
velut luna
statu variabilis
semper crescis
aut decrescis
vita detestabilis
nunc obdurat
et tunc curat
ludo mentis aciem
egestatem
potestatem
dissolvit ut glaciem. 
 
Sors inmanis
et inanis
rota tu volubilis
status malus
vana salus
semper dissolubilis
obumbrata[m]
et velata[m]
mihi quoque niteris
nunc per ludum
dorsum nudum
fero tui sceleris.

Sors salutis
et virtutis
mihi nunc contraria
est affectus
et defectus
semper in angaria
hac in hora
sine mora
cordis pulsum tangite
quod per sortem
sternit fortem
mecum omnes plangite. 

Ecco una traduzione:

O Fortuna,
come la luna
(sei) variabile nel (tuo) stato,
sempre cresci
o decresci,
vita detestabile!
(La Fortuna) ora indurisce
ed ora cura,
per giuoco, l'acutezza della mente;
miseria,
potenza,
dissolve come ghiaccio.

Sorte immane
ed inane,
tu ruota volubile,
stato incerto,
vano benessere
sempre dissolubile,
obumbrata
e velata
pure me sovrasti.
Ora per giuoco
il dorso nudo
reco del tuo scempio.

Sorte di salute
e di virtù
ora a me contraria,
(ogni uomo) è (da te) colpito
e prostrato,
sempre in schiavitù.
In questo momento,
senza indugio,
alle corde il polso percotete!
Poiché per sorte
(la Fortuna) prostra un forte,
con me tutti piangete! 

Proprio il film di Boorman ha contribuito a diffondere a livello internazionale la fama dei Carmina Burana e della musica di Carl Orff. Importanti nella colonna sonora sono anche alcuni suggestivi brani di Wagner (Tristano e Isotta, Parsifal e la Marcia funebre di Sigfrido) e le bellissime musiche da ballo in stile medievale.       
 
Rospo Pallenberg 
 
Sono stato subito colpito da un antroponimo tanto bizzarro e inusuale: Rospo. In effetti il vero nome dello sceneggiatore e regista britannico è Richard. Nato nel 1939 a Croydon, rione della zona sud di Londra, è figlio dello scrittore e giornalista italiano Corrado Pallenberg, che era romano e figlio di un pittore tedesco. Così dichiarò Boorman: "Rospo è un nomignolo che gli ha dato la madre quando era piccolo perché aveva il naso con le narici molto larghe ed era fondamentalmente brutto da vedere". Immenso è il numero di anglosassoni che ignorano l'italiano, così ben pochi arrivano a identificare il nomignolo Rospo con l'inglese Toad, eppure credo che la madre non gli abbia comunque fatto un gran regalo chiamandolo in questo modo. 
 

Curiosità varie 

Sono state girate più di tre ore di film. Molte delle sequenze non incluse nella versione distribuita sono andate perdute. A quanto pare ne è sopravvissuta una in un trailer, in cui si vede Lancillotto nell'atto di difendere l'amata Ginevra dall'assalto di un bandito in una foresta. Sembra che nel mondo del cinema sia piuttosto comune il problema delle sequenze extra andate smarrite.
 
Helen Mirren (Morgana) aveva problemi a lavorare con Nicol Williamson (Merlino): i due non si parlavano per via dei loro burrascosi trascorsi in una disasastrosa produzione del Macbeth. Boorman pensò bene di metterli assieme per via della loro naturale animosità. 
 
Inizialmente il regista aveva in mente di fare un film tratto da Il Signore degli Anelli. Non avendo però acquistato i diritti per farlo, cambiò progetto all'improvviso,  quanto pare per via dei costi ritenuti troppo elevati. Qualche spunto dell'originale matrice tolkieniana confluò poi nel progetto arturiano.  Il titolo originale doveva essere Merlin: non fu possibile utilizzarlo per via di un canale televisivo che deteneva i diritti su uno show intitolato Mr. Merlin. La successiva opzione contemplata dal regista fu Knights (ossia "Cavalieri"). Nemmeno questa andò in porto per via di un altro film che aveva un titolo troppo simile. A questo punto giunse un'ispirazione improvvisa: Excalibur.    

Katrine Boorman (Igrayne) e Cherie Lunghi (Ginevra) girarono le loro scene di nudo senza alcuna controfigura. Il parto di Morgana fu simulato con uno stratagemma ingegnoso: una vera donna incinta giaveva su un tavolo e aveva la testa nascosta da un panno nero, mentre la testa della Mirren sporgeva da un buco. 
 
Nelle prime fasi del progetto, si pensò a Sean Connery per il ruolo di Artù - che poi interpretò nel film Il primo cavaliere (First Kight, 1995), diretto da Jerry Zucker. Max von Sydow avrebbe dovuto interpretare Merlino nella pellicola di Boorman: di certo non sarebbe stato da meno di Williamson. 
 
Gli errori rilevati nel film sono dovuti soprattutto a figure della troupe riflesse nelle armature di Artù e dei cavalieri, oltre che nella bizzarra calotta metallica e lucidissima indossata da Merlino sul cranio. 
 
Cineforum Fantafilm 
 
Il film di Boorman è stato proiettato al Cineforum Fantafilm dell'amico Andrea "Jarok" Vaccaro la sera dell'8 gennaio 2007. Purtroppo non sono stato presente alla proiezione e non ho potuto partecipare al dibattito, i cui contenuti non sono stati documentati, finendo col disperdersi nel Nulla.