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lunedì 8 febbraio 2021

DIECI CHILI DI FRUTTA AL GIORNO E DIVENTI IMMORTALE!

Gli scienziati della Terra di Jimmy Savile e i diavoli dell'OMS si sono inventati una maledizione per torturare il genere umano: la trovata raccapricciante delle cinque porzioni quotidiane di frutta e di verdura per restare in salute. Sono sicuro che il loro ispiratore sia stato Belzebù in persona. Essendo essi tizzoni dell'Inferno, gli hanno obbedito prontamente e hanno preso volentieri l'incarico di diffondere tra le genti questo molestissimo comandamento. 
 
Le streghe naturiste e i giornalisti hanno cominciato a urlare senza sosta: "Cinque porzioni di frutta e verdura ogni giorno!" 
A un certo punto le cinque porzioni di frutta e verdura sono diventate insufficienti! Non bastano! Ecco che le streghe naturiste e i giornalisti si sono messi a strepitare: "Dieci porzioni di frutta e verdura ogni giorno!"  E perché no? Aumentano la dose: "Quindici porzioni di frutta e verdura ogni giorno!", "Venti porzioni di frutta e verdura ogni giorno!" Avanti così, fino a scoppiare!
Che palle! 

Mi faccio beffe di tutto ciò. Durante il lock down del 2020 mi sono trovato con sintomi di scorbuto: mi sanguinavano le gengive e barcollavo. Come ho mangiato una mela e ho bevuto un bicchiere di succo di limone, il sanguinamento è cessato e mi sono sentito meglio. Da tempo mi sostentavo unicamente con carne in scatola e alcol. Nel giro di tre anni ho mangiato in tutto quattro mele, e con un certo disgusto. A parte un paio di confezioni di lamponi e mirtilli durante l'estate, non ho ingerito frutta. A parte la guarnitura di lattuga dei piatti di pesce fritto mangiato al mare, non ho ingerito nemmeno verdura a foglia larga. Il mio consumo di bevande inebrianti si attesta sulle 60 unità alcoliche alla settimana. A sentire quei babbioni dell'OMS, dovrei essere una massa di cancro semovente, con giusto qualche cellula sana in un mare di metastasi! "Perché ti vuoi così male?", mi ha chiesto una volta una femmina. "Perché è mille volte meglio il mio male del bene imposto da altri!", le ho risposto.
 
Viviamo in tempi orribili, dominati da orde di convulsionarie e dai loro immondi deliri. Guardo con un certo sollievo a epoche lontane, in cui la terra era inzuppata di sangue e ingrassata dai cadaveri. Poco fa mi sono imbattuto nella foto del cranio di un guerriero celta, che era stato reciso ed esibito come trofeo. Uno splendido reperto archeologico! Morire spappolati da una scure sul campo di battaglia in quei giorni di gloria era infinitamente meglio che vivere nella presente epoca infame e degenerata, che il folle Steven Pinker si ostina a ritenere "Il migliore dei mondi possibili". Tanto l'Angelo della Morte giungerà a ghermire anche questo moderno Dottor Pangloss! Coglierà tutte le urlatrici che inneggiano alla Natura, ignorando che anche l'Amanita phalloides è un prodotto della loro adorata Madre Terra. A cosa serviranno, di fronte ad Azrael, tutte le loro porzioni di frutta e di verdura? A nulla. Conteranno meno delle pustole sull'ano di un cane smerdante.  
 
Ecco dunque una mia breve creazione satirica, che sono felice di presentarvi: 
 
Il coro greco delle Eumenidi fruttariane 
 
Navigatore (smarrito): "L'OMS dice che per vivere sani bisogna mangiare cinque porzioni di frutta e di verdura ogni giorno. Ma come si fa? Io proprio non ci riesco, dovrei passare il tempo soltanto per quello e nemmeno mi piace..."
Prima Eumenide (stizzita): "Ma cosa dici? Io ci riesco benissimo! Adoro la frutta e la mangio anche dieci volte al giorno!"
Seconda Eumenide (con fare moralista): "Dieci volte? Io mangio la frutta quindici volte al giorno!"
Terza Eumenide (sibilando): "Io mangio la frutta venti volte al giorno!"
Quarta Eumenide (con voce roca): "Io mangio la frutta anche quando sono seduta sulla tazza!"
Quinta Eumenide (petulante): "Io mangio la frutta anche quando parlo al cellulare!"
Sesta Eumenide (suadente): "Io mangio la frutta anche quando scopo!"
Settima Eumenide (rantolando): "Io mangio la frutta anche quando dormo!"
Ottava Eumenide (con voce piatta): "Io mangio la frutta... anche quando mangio!"

lunedì 18 gennaio 2021

IL MAGO DI OZ: ORIGINI, PRONUNCIA ED ETIMOLOGIA

 
Il romanzo Il meraviglioso mago di Oz (The Wonderful Wizard of Oz) è opera di Lyman Frank Baum (1856 - 1919) ed è stato pubblicato per la prima volta nel 1900 da George M. Hill Company. Il suo successo è stato immenso e ha dato origine a una lunga serie di sequel. Ecco un elenco di queste opere, che sono finite tutte nell'Oblio e nel Nulla: 
 
1) The Marvelous Land of Oz (1904), pubblicato in italiano come Il meraviglioso paese di Oz e Oz paese incantato;
2) Ozma of Oz (1907), pubblicato in italiano come Ozma, regina di Oz e Ozma di Oz;
3) Dorothy and the Wizard in Oz (1908), pubblicato in italiano come Il ritorno del mago di Oz;
4) The Road to Oz (1909), pubblicato in italiano come La strada per Oz;
5) Emerald City of Oz (1910), pubblicato in italiano come La città di smeraldo di Oz
6) The Patchwork Girl of Oz (1913), pubblicato in italiano come La ragazza di pezza di Oz;
7) Tok of Oz (1914), pubblicato in italiano come Tic toc di Oz;
8) The Scarecrow of Oz (1915), pubblicato in italiano come Lo spaventapasseri di Oz;
9) Rinkitink in Oz (1916), pubblicato in italiano come Rinkitink a Oz;
10) The Lost Princess of Oz (1917), pubblicato in italiano come La principessa perduta di Oz;
11) Tin Woodman of Oz (1918), pubblicato in italiano come Il boscaiolo di latta di Oz;
12) The Magic of Oz (1919), pubblicato in italiano come La magia di Oz;
13) Glinda of Oz (1920), pubblicato in italiano come Glinda di Oz.

Tutti conoscono il personaggio chiamato Mago di Oz, più che altro per via degli adattamenti cinematografici del primo romanzo. Se non c'è alcun particolare merito a sapere chi è questo facitore di miracoli, pochi si sono chiesti da dove derivi l'enigmatico toponimo Oz. Esistono a questo riguardo numerose ipotesi cervellotiche tra loro in contraddizione e in genere inconsistenti come un mucchietto di feci canine deposto su una via. Alcune poi sono leggendarie e appartengono al regno della memetica, quindi sono di per sé prive di qualsiasi valore. Comunque sia, le passo in rassegna in questa sede: 
 
1) Il toponimo fantastico Oz sarebbe stato scelto per la sua somiglianza a Boz, pseudonimo impiegato dallo scrittore Charles Dickens, il cui lavoro era ammirato da Baum. Lo pseudonimo Boz deriva chiaramente da Boaz, nome di una delle due colonne del Tempio massonico.

2) Il toponimo fantastico Oz sarebbe stato scelto per la sua assonanza con Ozymandias, titolo di una famosissima poesia di Percy Bysshe Shelley. Questo nome, come già spiegato in altra sede, è una grecizzazione di uno dei tanti epiteti del Faraone Ramesse il Grande, oggi più noto come Ramses II. Per maggiori dettagli rimando a questo post: 
 

3) La Terra di Oz (Land of Oz) descritta da Baum sarebbe stata chiamata così perché nella Bibbia è menzionata la Terra di Uz, nel Libro di Giobbe.
Gli anglosassoni d'America credono che ciò possa dimostrare che Baum pronunciasse Oz più o meno come il biblico Uz. Questo tuttavia è un grave errore. Si noterà che Oz è stato fatto rimare con il verbo inglese was "fu" in una canzone apparsa nella bozza di una drammatizzazione inedita del libro di Baum, risalente all'anno 1901. In ebraico la Terra di Uz è chiamata אֶרֶץ־עוּץ Erets-ʿŪts. Dobbiamo notare che Uz è scritto עוּץ, deve essere pronunciato /ˁu:ts/, dove la consonante finale non è affatto come quella del verbo was, bensì come il gruppo -ts finale nel plurale cats (e come -zz- nell'italiano cazzo). Una trascrizione di Uz in grado di suggerire a un anglosassone una pronuncia accettabile sarebbe Oots. In latino si hanno gli adattamenti Os, Ox e Ausitis.
In Israele, nel XX secolo, quando The Wizard of Oz fu tradotto in ebraico, il traduttore dei sottotitoli del film scelse di usare Erets-ʿŪts (ossia "Terra di Uz") per rendere l'originale Land of Oz. In aggiunta a ciò, l'adattamento musicale di Avraham Shlonsky della fiaba dei Fratelli Grimm, Rumpelstiltskin, oltre a chiamare il personaggio principale Uz-li-Guz-li, aggiunge esplicitamente che la storia si svolge nella Terra di Uz. Quindi per i lettore israeliani Erets-ʿŪts ha assunto un nuovo strato di significati privi di connessione con il testo biblico.

4) Il nome Oz sarebbe stato ispirato da un altro concetto biblico, quelle esposto in un passaggio del Libro della Rivelazione (1, 8): "
Io sono l'Alfa e l'Omega, disse il Signore Dio, "che è, che fu e che sarà, l'Onnipotente." 
Secondo questi imbecilli d'America, dato che il corrispondente di Alfa-Omega nell'alfabeto latino è A-Z, ne sarebbe derivato direttamente Oz, come tentativo di pronunciare come sillaba la sequenza di lettere A-Z, benché non sia logico pronunciare A (in inglese /eɪ/) come O (in inglese /oʊ/, /əʊ/). Si ricorda che Oz rima con il verbo inglese was "fu", per testimonianza dello stesso autore, cosa che invalida questa grossolana ipotesi religiosa.

5) Il nome Oz sarebbe derivato dal fatto che Baum avrebbe amato "le storie che facevano esclamare al lettore
‘Ohs’ e ‘Ahs’ per la meraviglia" (originale: "liked stories that caused the reader to exclaim with ‘Ohs’ and ‘Ahs’ of wonder"). Da questi supposti versi inarticolati, che non è facile attestare altrove, sarebbe venuto il nome.

6) Secondo Martin Gardner, il nome Oz sarebbe derivato da un'abbreviazione criptica dello Stato federale di nascita dello stesso Baum. Secondo questa grottesca idea, essendo NY le iniziali di New York, N sarebbe diventata O per il salto di una lettera, e allo stesso modo Y sarebbe diventata Z. Così NY "New York" avrebbe dato origine a OZ. Secondo una simile procedura criptica, ma eseguita al contrario il nome del computer HAL 9000 nel film 2001: Odissea nello spazio (Stanley Kubrick, ), sarebbe derivato da IBM. Questa sarebbe la chiave: I => H; B => A; M => L. Trovo che tutto ciò sia abbastanza ridicolo.

7) Negli anni '60 del XX secolo, The Wonderful Wizard of Oz è stato interpretato come una parabola populista, dove Oz sarebbe semplicemente l'abbreviazione standard per ounce "oncia" (unità di misura di peso), in accordo col simbolismo aureo della strada lastricata di mattoni gialli e del simbolismo argenteo delle pantofole di Dorothy. L'argomentazione è di una fragilità logica molto spinta.

8) Il nome Oz sarebbe un'abbreviazione vernacolare di Australia /ɔːˈstɹeɪlɪə/, scritta con una varietà di ortografie Ossie, Ozzie, Aussie, Aus e anche Oz. La pronuncia australiana di queste abbreviazioni è /ˈɔzi/, sempre con la sibilante sonora. L'Australia è un grande continente prevalentemente desertico, con oasi verdi ricoperte da una rigogliosa vegetazione tropicale, subtropicale e subalpina. Le abbreviazioni del nome dell'Australia, Ozzie, Aussie e simili, sono attestate per la prima volta nel 1902, ma dovettero esistere già da tempo, ben prima della loro comparsa su carta stampata.   

9) Una leggenda piuttosto diffusa circa l'origine del nome Oz è che l'autore l'abbia tratto dalle lettere che comparivano sul dorso di due raccoglitori: A-N, O-Z. Esiste anche una variante di
questa narrazione, che ha l'aria di essere stata inventata di sana pianta. Ramona Baxter Bowden, nipote dell'autore, gli avrebbe chiesto in un'occasione quale fosse l'origine del singolare toponimo fantastico. Lo zio le avrebbe indicato tre raccoglitori nel suo casellario, contrassegnati dalle lettere A-G, H-N e O-Z. Questa stupida storia è attestata per la prima volta nel 1903, ma la moglie di Baum l'ha sempre rigettata come apocrifa.   

10) Il nome Oz sarebbe derivato da un'abbreviazione del toponimo Ozark Plateau, altopiano di rocce magmatiche situato negli Stati del Missouri, Arkansas, Oklahoma e Kansas, tra i fiumi Arkansas e Missouri. L'ipotesi è stata formulata per via del fatto che numerose storie di Baum sono ambientate in regioni impervie ed inospitali degli Stati Uniti. Proprio in tali vallate sopravvisse più a lungo il lupo terribile (Canis dirus), detto anche metalupo. Gli accademici credono che Ozark derivi in ultima analisi dal francese Aux Arcs "Verso gli Archi", oppure da un improbabile Aux Arkansas, che dovrebbe significare "Verso l'Arkansas", anche se non mi è chiaro il motivo della preposizione articolata al plurale.

11) Il nome Oz sarebbe derivato dall'irlandese Óg "Giovane", ben noto per via del toponimo mitico Tír na nÓg "Terra dei Giovani" (variante Tír na hÓige "Terra della Giovinezza"). Se non è possibile affermare un legame diretto tra la mitologia di Oz e la terra incantata del folklore irlandese, sono state ritenute degne di attenzione alcune vaghe somiglianze fonetiche, come quella tra la divinità celtica Ogma e la Principessa Ozma. Per me sono stronzate degne di essere derise: la divinità Ogma era di sesso maschile, con pelle rugosa e un immenso cazzone, mentre la Principessa Ozma è chiaramente di sesso femminile, con una  fica pelosa e spanata tra le gambe. Semmai la Principessa Ozma è più simile alla Sheela na Gig!  

L'opinione di una vedova
 
Secondo l'associazione chiamata Club Internazionale del Mago di Oz, Maud Baum, vedova dell’autore, affermò in una lettera a Jack Snow che il nome Oz fu inventato di sana pianta. Ecco, sono sufficienti poche parole di una donna matura per annientare interi castelli di fantasie!  

Il problema della pronuncia di Oz 

In italiano si segue nella maggior parte dei casi il deprecabile principio della pronuncia ortografica. In altre parole, si pronunciano i vocaboli sconosciuti come si scrivono, secondo l'ortografia italica. Quindi Oz è pronunciato /ɔts/, con la consonante z che si trova nella parola razzismo: un'affricata postalveolare sorda. Proprio come il giapponese kamikaze (alla lettera "vento divino") ha dato origine ai kamikazzi sulla bocca di Luca Giurato, quello del Mudo li Merlino! Così ha detto con la sua pronuncia distorta: "Ci sono cinquantapila kamikazzi." Questo problema esiste anche in tedesco, dato che la lettera z trascrive una consonante affricata postalveolare sorda /ts/ anche in quella lingua. La pronuncia di Oz in tedesco è identica a quella che ha in italiano. La pronuncia originale di Oz dovrebbe invece essere /ɔz/, con la consonante s che si trova nella parola rosa: un fricativa sibilante sonora. Va però detto che abbiamo serie difficoltà a capire cosa avesse davvero in mente Lyman Frank Baum, che pur essendo un genuino discendente di rampolli della Germania, pronunciava il suo cognome /bɔ:m/ anziché /baʊm/. Secondo gli Israeliani, sostenitori della tesi dell'identità tra il Paese di Oz e la Terra di Uz, Baum avrebbe dovuto usare una consonante affricata postalveolare sorda, come in italiano. Bisogna tenere conto di questa opinione autorevole.
 
Semantica di Oz
 
Fortunatamente conosciamo la traduzione del nome Oz: nel libro Dorothy and the Wizard in Oz, the name is translated as "grande e buono". Saremmo a questo punto tentati di trarre da tutti questi elementi una desolante conclusione: ovviamente si tratta di un'invenzione arbitraria, senza alcun fondamento in qualsiasi lingua parlata dal genere umano, nel passato, nel presente o nel futuro. Ma è davvero così?
 
 
Leone di Lernia, il Mago di Auz!
 
Ecco finalmente la spiegazione definitiva. L'ispirazione è venuta a Baum dalla prodigiosa apparizione di un crononauta: Leone di Lernia che ha viaggiato indietro nel tempo! Lo scrittore americano si è trovato davanti a sé all'improvviso la figura del cantautore pugliese, con gli occhi strabuzzati, che ha urlato un suono arduo quanto incomprensibile: "ÀUZ!!!"

martedì 1 dicembre 2020


ALL'ONOREVOLE PIACCIONO LE DONNE
 
Titolo originale: Nonostante le apparenze... e purché la
      nazione non lo sappia... All'onorevole piacciono le donne  
Lingua originale: Italiano 
Altre lingue: Siciliano, mafiese
Paese di produzione: Italia, Francia
Anno: 1972
Durata: 109 min (versione integrale) 
     101 min (versione censurata)
Genere: commedia, erotico, grottesco
Regia: Lucio Fulci
Soggetto: Lucio Fulci, Sandro Continenza
Sceneggiatura: Lucio Fulci, Sandro Continenza, Ottavio 
    Jemma
Produttore: Edmondo Amati
Casa di produzione: New Film Production, Productions 
     Jacques Roitfeld
Distribuzione in italiano: Fida Distribuzione
Fotografia: Sergio D'Offizi
Montaggio: Vincenzo Tomassi
Effetti speciali: Eugenio Ascani
Musiche: Fred Bongusto
Costumi: Luciana Marinucci
Trucco: Giannetto De Rossi
Interpreti e personaggi:
    Lando Buzzanca: Onorevole Giacinto Puppis
    Lionel Stander: Cardinale Maravidi
    Laura Antonelli: Suor Delicata*
    Renzo Palmer: Padre Lucion
    Corrado Gaipa: Don Gesualdo Pafundi
    Agostina Belli: Suor Brunhilde
    Anita Strindberg: Moglie dell'ambasciatore francese
    Feodor Chaliapin Jr.: Senatore Torsello
    Francis Blanche: Padre Schirer
    José Quaglio: Pietro Fornari
    Arturo Dominici: Sua eccellenza
    Eva Czemerys: Donna del sogno
    Armando Bandini: Bartolino, segretario di Maravidi
    Aldo Puglisi: Carmelino, autista e cameriere di Puppis
    Christian Aligny: Segretario di Puppis
    Claudio Nicastro: Baddoni, capitano di polizia
    Guglielmo Spoletini: Antonio Gazza
    Luigi Zerbinati: Il generale
    Quinto Parmeggiani: Capitano Leonardi
    Pupo De Luca: Poliziotto alle intercettazioni
    Giuseppe Fortis : Giornalista televisivo
    *Sister Hildegarde nella versione in inglese.
Doppiatori italiani:
    Corrado Gaipa: Cardinale Maravidi
    Melina Martello: Suor Delicata
    Elio Zamuto: Don Gesualdo Pafundi
    Solvejg D'Assunta: Suor Brunhilde
    Alberto Lionello: Senatore Torsello
    Oreste Lionello: Padre Schirer e Carmelino l'autista
    Renato Cortesi: Segretario di Puppis
    Manlio Busoni: Pietro Fornari
    Renato Turi: Baddoni, capitano di polizia
    Luigi Casellato: Il generale
    Roberto Bertea: Poliziotto all'intercettazioni
    Luigi Carrai : Giornalista televisivo
    Renzo Montagnani : Giornalista al montaggio
Location: Bagnaia (Roma), Santo Speco di Subiaco; alcune 
    chiese sconsacrate dell'Umbria 
Titolo originale del soggetto: Nel supremo interesse della 
    Nazione
Titolo di lavorazione: L'onorevole piace alle donne  
Titoli in altre lingue: 
    Inglese: The Eroticist
    Tedesco: Der lange Schwarze mit dem Silberblick
    Francese: Obsédé malgré lui
    Spagnolo (Spagna): A su excelencia le gustan las mujeres
    Spagnolo (Argentina): Al senador le gustan las mujeres
    Portoghese (Brasile): O Deputado Erótico  
    Finlandese: Senaattori eksyy erotiikkaan
    Lituano: Senatoriui patinka moterys
    Polacco: Lubieznik
    Greco: O entimotatos... agapa tis gynaikes! 
Box office: circa 1,4 miliardi di lire italiane 

Trama: 
A Palazzo Montecitorio si stanno svolgendo le elezioni del Presidente della Repubblica. I candidati favoriti sono il senatore Torsello e Giacinto Puppis, Presidente dei Consiglio. Accade un fatto increscioso. Puppis è inviato ad accogliere la Presidentessa della Repubblica dell'Uria, una bella milf mora, e durante la cerimonia, in preda a un raptus erotico, le mette una mano sulle natiche e le palpa avidamente. L'accaduto viene ripreso e il filmato finisce nelle mani di Padre Lucion, un lascivo fratacchione domenicano, amicissimo di Puppis. Per prima cosa Padre Lucion avvisa l'onorevole, dicendogli che qualcuno sta cercando di ricattarlo. Gli mostra le inequivocabili sequenze per fargli capire il pericolo. Sulle prime Puppis, che non ricorda di aver toccato le chiappe della Presidentessa dell'Uria, cerca di liquidare la pellicola come un fotomontaggio. A un certo punto, vedendo le immagini, si rende conto di essere stato proprio lui a compiere quell'atto di libidine. Ammette che un vulcano di sessualità sfrenata si è messo ad eruttare in lui dopo una gioventù da seminarista, vissuta nella repressione di ogni impulso. Il problema è che questa incandescente colata lavica sessuale rischia di guastare ogni suo rapporto con l'altro sesso. Padre Lucion gli consiglia allora di recarsi da un altro fratacchione domenicano, Padre Schirer, che è anche psichiatra. Poco dopo Puppis annuncia pubblicamente di andare in convento per un ritiro spirituale. Quando giunge al convento di Padre Schirer, il politico si trova in stato di alterazione alcolica e subito porta scompiglio. Durante un sonno convulso e cavernoso prima insidia il fratacchione, scambiandolo per una chubby, poi si scatena sulle suore, rompendo imeni e iniettando litri di sperma. Nell'Urbe le autorità sospettano l'onorevole, pensando che la sua assenza nasconda un complotto. Una telefonata con Padre Lucion viene intercettata dalla polizia ed equivocata: gli agenti credono che sia in atto un golpe. L'esercito e i servizi segreti vengono informati e indagano. Al vertice della piramide informativa si trovano i mafiosi e il potentissimo Cardinale Maravidi, uomo senza scrupoli che si libera degli oppositori "canonizzandoli", cioè trasformandoli in statue di cera. Puppis ritorna a Roma, affermando di essere guarito. Quando Padre Schirer scopre che le suore sono state rotte, cerca di raggiungere il libidinoso politico. Si reca alla sua villa, dove lo trova in mutande e si accorge che il Cardinale Maravidi bussa furiosamente alla porta. Preso dal terrore, il fratacchione ha un malore e viene portato nel cesso e messo nel vano della doccia. Ha un infarto e muore nel più laido dei modi, smerdandosi, mentre il porporato entra e si aggira nella casa, tuonando. Puppis, che non si accorge del decesso, va al Quirinale per la cerimonia della Festa della Repubblica. Qui seduce la moglie dell'ambasciatore francese, una splendida milf bionda: la porta dietro una siepe, la penetra e fa sgorgare in lei fiotti di liquido seminale, ingravidandola. Nel frattempo l'autista del deputato erotico trova il cadavere del fratacchione vicino alla tazza e viene rapito dai mafiosi. Puppis rientra a casa, dove è raggiunto da Suor Delicata, del convento del defunto Padre Schirer, l'unica ad essere rimasta vergine. La suora vuole essere frustata per espiare il suo desiderio. Il politico, vedendo giungere i mafiosi, la prende per mano e fugge con lei passando da una finestra. La coppia si rifugia in un albergo, abbandonandosi alla foga erotica. Dopo lunghe e selvagge copule, irrompe nella stanza il Cardinale Maravidi, che fa rapire la suora per "canonizzarla". Puppis cerca con ogni mezzo di opporsi all'ecclesiastico, annunciandogli il proprio ritiro dalla politica. Il porporato non si lascia intimidire e ricatta l'onorevole, mostrandogli una serie di "santi canonizzati", tra cui Carmelino e Padre Lucion. Invaso dal terrore, Puppis cede e acconsente a continuare la sua carriera. Il senatore Torsello ha un incidente aereo e muoro, così nulla ferma l'ascesa di Puppis, che viene eletto Presidente della Repubblica. In un bar la televisione trasmette il primo discorso ufficiale del Presidente. I gerente gira su un altro canale, dove il concorrente di un quiz ride in modo convulso. Nessun sembra essere consapevole di vivere una terribile pagina della storia del Paese.       

 
Recensione: 
Senz'altro questa è un'opera non banale, che merita un'analisi approfondita. Contiene un intero universo occulto, che faccio emergere con questo mio contributo. Purtroppo ben pochi sembrano avere capito i contenuti e la portata di questo singolare gioiello del cinema italiano degli anni '70. I giudizi della critica sono quasi tutti ingenerosi e scontati. Ad esempio Tullio Kezich ha scritto questo: "Ingiudicabile come prodotto artistico, All'onorevole piacciono le donne è un fenomeno interessante sotto il profilo sociologico". Fanno eccezione Paolo Albiero e Giacomo Cacciatore, che hanno dato un giudizio eulogistico: 
 
"Etichettato in modo sbrigativo, il film è in realtà uno spaccato tagliente, un apologo crudele e spietato dei pochi splendori e delle tante miserie italiane: dal popolo alla chiesa, dalle forze dell'ordine alla classe politica. L'occhio cinico di Fulci, come suo costume, non risparmia niente e nessuno." 
 
Eppure non si tratta soltanto di satira politica, religiosa e sociale. Esiste anche un livello più profondo in questa pellicola, qualcosa di cui la critica finora non si è mai accorta. Fulci fa una consapevole e anacronistica propaganda contro quella che i teologi della Chiesa Cattolica hanno etichettato come "Eresia Catara". Sembra incredibile, ma analizzando punto per punto la trama lo si può dimostrare in modo scientifico. La cosa lascia interdetti. Non si riesce assolutamente a capire il motivo di tutto ciò. A chi intendeva rivolgersi il regista? Non è dato sapere. Qualcuno potrà pensare che la responsabilità sia anche degli sceneggiatori Continenza e Jemma. Mi sentirei di escluderlo. Anche se l'idea del film venne a Jemma, queste bizzarrie si devono certamente all'estro di Fulci. L'embrione del progetto infatti era molto diverso dal prodotto finito. Secondo lo stesso Fulci, alla sceneggiatura avrebbe collaborato anche Luciano Cirri, giornalista di destra. Questa informazione è però contraddetta da Jemma, che riduce il ruolo di Cirri a qualche suggerimento richiesto dal regista. Tutto molto confuso. In ogni caso, anche se il mio sentire non è certo quello di Fulci, ritengo che la sua trattazione di certi temi sia di qualche utilità.      
 
 
Un domenicano dissoluto  
 
Padre Lucion rappresenta l'Ordine dei Domenicani ed esprime senza mezzi termini una teologia fondata sull'esaltazione della corporeità, concepita come un consapevole strumento di lotta antiereticale. Come se si fosse in pieno XIII secolo. Egli ha il preciso compito di distogliere Puppis dalla negazione della carne e dei suoi bisogni, a cui è stato educato col massimo rigore, e di allontanarlo dalle opinioni dei Patarini (rappresentate dal Cardinale Maravidi). Il fratacchione compare nei sogni dell'Onorevole Puppis, incarnando addirittura il Serpente dell'Eden. Nella grottesca raffigurazione onirica, il rettile è avvolto con le spire intorno al tronco di un improbabile albero tropicale, e ha proprio la testa di Padre Lucion. Il suo ghigno è tremendo. Il mito che Fulci mette in scena non è tratto dalla narrazione di Genesi, ma da quella della Cena Segreta (Interrogatio Iohannis), in cui il Serpente viene formato dalla bava dell'Artefice Malvagio che ha intrappolato le anime nel corpo di Adamo e di Eva. Il Serpente-Domenicano istiga Puppis a mangiare il Frutto Proibito, che ha la forma delle chiappe femminili, e ad abbandonarsi alla libidine più sfrenata... Che altro dire? Ci riesce egregiamente!  


Le idee catare di uno strano cardinale 
 
Il Cardinale Maravidi è il padre spirituale dell'Onorevole Puppis, colui che lo ha cresciuto in uno stato di segregazione e di disprezzo nei confronti del genere femminile. Nel suo nichilismo, egli è anche il Puparo di Cosa Nostra, setta che appare come un puro e semplice fantoccio nelle sue mani. Si capisce subito che questo ecclesiastico in qualche modo rappresenta qualcosa di totalmente estraneo alla Chiesa Romana. Fulci ha fatto di lui il rappresentante della Fede dei Patarini, mostrata in modo a dir poco sinistro. Il porporato, siciliano doc, mostra un'avversione viscerale verso il sesso in ogni sua forma, cosa che non ci si aspetta da un figlio della Trinacria. Arriva persino a redarguire il boss mafioso per una battuta sul "màsculu sicilianu", la cui menzione lo infastidisce enormemente. Quando mai si è vista una cosa simile? In Sicilia esiste un'etichetta che impone ad ogni uomo di mostrarsi fremente per la "fimmina". Il porporato non solo ha fatto di tutto per crescere Puppis come asessuale, insegnandogli che il sesso è opera del Demonio, ma è arrivato persino ad attribuirgli come cameriere e autista quello che in siciliano è chiamato "aricchiuni" o "arrusu". Quando il Cardinale Maravidi fa sopprimere il domenicano Padre Lucion, lo "canonizza" trasformandolo proprio in una statua di cera di Domenico di Guzman. Ecco le sue parole, mentre mostra a Puppis il macabro feticcio: "Forse preferisci questo santo. Questo qui, vedi, è Santo Domenico di Guzman. Fu il grande fondatore dell'Ordine dei Domanicani. Grandissimo avversario dell'Eresia fu." Si capisce che è sarcasmo, di un ferocia subliminale e a dir poco inquietante. Non soltanto: l'irruzione del Cardinale Maravidi nel luogo del convegno d'amore tra Puppis e Suor Delicata si traduce in una sfuriata tremenda. Il fatto che l'onerevole chiami la sua amante "Satanuccia" provoca nel porporato un travaso di bile. Tutto ciò non è liquidabile come pura e semplice "sessuofobia cattolica". Il Cardinale Maravidi insegna attivamente ad odiare le donne (questa è l'accusa rivoltagli dal figlio spirituale Giacintuzzu), per via del loro potere sessuale e procreativo. La scena mi ha fatto venire in mente il mito narrato nella Cena Segreta, in cui Lucibello seduce gli Spiriti mostrando loro una donna bellissima e dà origine alla Caduta. Si converrà che non si inventano riferimenti simili così a caso, senza un preciso motivo. Quello che l'ecclesiastico non sa è che il proprio segretario, Bartolino, ha i cassetti pieni zeppi di riviste pornografiche e che conserva le mutandine di una francesina, amante occasionale di Puppis. Le annusa con avidità, inalando l'odore dello sticchiu.     


Il Potere di Garibaldi

Vediamo che il boss mafioso don Gesualdo Pafundi ha come emblema del potere un bizzarro bastone il cui pomolo ha le sembianze della testa di Garibaldi. Tempo fa La Repubblica diffuse i testi di un rituale 'ndranghetista, in cui gli affiliati giuravano in nome di Garibaldi, Mazzini e Lamarmora. Ovviamente il giornalista era esterrefatto e non comprendeva il ricorrere i nomi di queste personalità, che qualcuno ingenuamente considera all'origine della libertà dei cittadini in uno stato di democrazia. Eppure non sembrano esserci dubbi: da questi elementi si capisce che gli stessi Garibaldi, Mazzini e Lamarmora sono stati anche i fondatori delle associazioni mafiose, coloro che hanno fornito la sostanza esoterica ai precedenti sodalizi criminali, traendola dai misteri massonici. Forse si può capire qualcosa di più considerando la leggenda di Osso, Mastrosso e Carcagnosso, il mito fondativo di cui tra gli altri ha parlato anche Roberto Saviano: sarebbe una codifica in chiave simbolica di un importante evento del Risorgimento occulto, destinato però a restare inconoscibile e a sfuggire all'analisi degli storici. Fulci doveva sapere bene tutte queste cose e voleva in qualche modo comunicarle allo spettatore, o non avrebbe nemmeno mostrato il bastone con l'effigie di Garibaldi. È come se il regista dicesse: "Guardate che la storia che insegnano a scuola è soltanto la punta dell'iceberg in un mare oscuro, lutulento e impenetrabile"
 
Il gergo mafiese 
 
Nel corso di una riunione Don Gesualdo parla ai suoi uomini in un linguaggio quasi impenetrabile, che ha come base il siciliano. Il regista ha fatto ricorso ai sottotitoli per assicurarne la comprensione al pubblico. Si tratta del mafiese. Alcuni suoi termini sono ormai noti a tutti ed entrati nell'uso comune: basti pensare a cupola "commissione suprema", lupara bianca "omicidio con sparizione di cadavere", quaquaraquà "persona insignificante", etc. Il mafiese si è sviluppato a partire dal baccàgghiu, il gergo della vecchia mafia rurale. Le origini del baccàgghiu sono complesse. Vi si trovano alcuni interessanti anglismi: biffa "membro virile", dall'inglese beef "carne bovina"; alluccari "esaminare qualcosa", dall'inglese to look "guardare"; bisinissi "affare", dall'inglese business. Sono presenti anche arabismi (es. bàitu "furto domestico", dall'arabo bayt "casa"), grecismi (es. antrinu "capo mafioso", la cui radice compare anche in Calabria come 'ndrina "cosca malavitosa") e persino lombardismi. La stessa radice di baccàgghiu si ritrova in una parola del gergo della mala milanese: bacaià "dire". 

 
Etimologia del cognome Puppis 
 
Il cognome dell'Onorevole è chiaramente un nomen omen. In latino puppis significa "parte posteriore della nave" e in senso lato anche "posteriore di una persona, chiappe". In latino volgare la parola è diventata *puppa, cambiando declinazione, ed è passata a indicare il seno della donna, donde l'italiano poppa. Sicuramente Fulci era un fine filologo e non ha tirato a caso: aveva in mente il significato originale! In origine il personaggio doveva chiamarsi in modo più anodino Santo Schinnasi. All'inizio della produzione, il soggetto del film era abbastanza castigato: solo in seguito ha acquisito un carattere nettamente erotico. A questo punto sono entrate in scena le chiappe! Il cognome Puppis esiste realmente e si trova principalmente in Friuli e in Veneto, con poche attestazioni sporadiche in Lombardia. A quanto risulta dal sito Gens Labo (www.gens.info), non si trova invece in Sicilia né in altre regioni del Mezzogiorno. 
 
Etimologia del cognome Maravidi 
 
Il cognome del cardinale "canonizzatore" è di origine spagnola. Deriva dal nome di una moneta che a lungo ebbe corso nella penisola iberica: il maravedí. Il nome di questa moneta è di origine araba e deriva da quello della dinastia degli Almoravidi. In basco si è avuta un'interessante contrazione: si ha infatti marai "maravedí". A quanto risulta dal sito Gens Labo (www.gens.info), il cognome Maravidi sarebbe inesistente in Italia. Non ho trovato traccia nemmeno di possibili varianti come Maravedi, Maravedino, etc. Potrebbe esistere realmente e non essere documentato dal sito in questione (a volte accade), oppure essere esistito un tempo essendo però ora estinto. Alcuni siti Web riportano erroneamente il cognome del porporato come Maravigli
 
Produzione e cast 
 
Quando fu scelto per il ruolo di Puppis, Lando Buzzanca si trovava all'apogeo nel cielo della commedia sexy all'italiana, che mostrava un profluvio di corpi nudi a un'italica gioventù duramente oppressa dal regime della Democrazia Cristiana, che ancora diffondeva il mito della vagina dentata e della cecità causata dalla masturbazione. L'attore siciliano ebbe sempre buoni rapporti con Fulci. Impressionante era la sua somiglianza con l'allora Presidente del Consiglio Emilio Colombo (previo opportuno trucco), fatto che a detta del regista era un puro e semplice caso.  
 
Laura Antonelli, di cui ho sempre apprezzato la bellezza e la morbosità, non ebbe facili rapporti con Fulci. Per qualche sua bizzarra determinazione, l'attrice rifiutava di girare qualsiasi scena di nudo. Per questa ragione i due litigarono in modo furioso, non rivolgendosi la parola durante le riprese.   
 
A interpretare il Cardinale Maravidi avrebbe dovuto essere Vittorio Gassman, che rifiutò (a parer mio non sarebbe comunque stato adatto). Fu così che subentrò Lionel Stander, nato nel Bronx nel 1908 e figlio di immigrati russi di origine ebraica. La sua mimica e la sua espressività gli hanno permesso di impersonare in modo magistrale il sinistro porporato.

Censura 
 
Questa pellicola fu subito nell'occhio del ciclone. Fulci e Amati, recatisi alla Terza Commissione di censura, scoprirono che nella sala di proiezione non c'era anima viva. La pellicola era stata proiettata in gran segreto al Viminale davanti ai vertici della dirigenza democristiana. Gli alti papaveri della DC furono presi dal terrore e capirono la natura portentosa di quanto videro: le sequenze erano un segno che annunciava la loro fine e quella del loro mondo. Respinto dalla censura, il film fu sequestrato per oscenità. Quando fu riesaminato, furono imposti molti tagli, per un totale di 800 metri.      
 
Come lo stesso Fulci ricorda, ad essere espunte non sono state le sequenze erotiche, bensì quelle in cui erano attaccate e satirizzate le istituzioni politiche e religiose. In particolare, mancherebbero all'appello cinque sequenze: 
 
1) Il commissario Nardone e il generale Leopardi che si trovano nello stesso luogo per arrestare il cineoperatore ricattatore, giungendo però troppo tardi perché è già stato rapito dai mafiosi per essere soppresso;
2) I poliziotti che arrestano per errore i carabinieri, giunti sullo stesso luogo per lo stesso motivo, originando una serie di situazioni oltremodo grottesche; 
3) Il capo della Polizia che, parlando con un generale dei Carabinieri, afferna di aver fatto trasferire nella desolata Filicudi i responsabili dell'incidente summenzionato;
4) Il cineoperatore interrogato dai mafiosi nella fabbrica di statue di cera;
5)  Il commissario Nardone che interroga in modo brutale l'autista di Puppis, l'effeminato Carmelino, arrivando a minacciarlo di defenestrazione, per poi stracciare e cestinare i verbali quando questi gli rivela i rapporti tra il cardinale Maravidi e il boss mafioso don Gesualdo; i poliziotti testimoni della scena sono cacciati via in malo modo assieme all'autista torchiato.

Secondo il parere di Antonella Fulci, figlia del regista, sarebbero state epurate anche alcune sequenze in cui comparivano veri uomini politici dell'epoca, ripresi nel corso della parata della Festa della Repubblica.  
 
 
Altre recensioni e reazioni nel Web

Il sito Il Davinotti etichetta il film fulciano come "scadente e ripetitivo". Questo per l'incapacità di guardare sotto la superficiale patina delle apparenze. 
 

Riporto in questa sede alcuni interventi. 
 
Deepred89 ha scritto:

"Film curioso, ma piuttosto mediocre. Non mancano alcune idee geniali e punte di cinismo piuttosto insolite, ma il ritmo è decisamente discontinuo e la storia è a tratti confusa (forse anche a causa degli interventi della censura dell'epoca); inoltre manca l'equilibrio tra comicità pecoreccia e commedia politicamente scorretta. Ottimo il cast: memorabile Buzzanca (ottimamente truccato da Giannetto De Rossi) nel ruolo dell'onorevole Puppis, bravissimo Stander nei panni del cardinale. Buone le musiche di Fred Bongusto." 

Puppigallo (il cui nick sembra derivare da Puppis) non ha apprezzato e ha scritto:

"Super boiata, che ha però un merito: anticipa ciò a cui stiamo assistendo proprio ora, ovvero a una passerella di politici repressi, che vanno a trans, a mignotte, a "massaggiatrici". Qui invece, il buon Buzzanca, sempre in parte, ha la fissa dei sederi e la sua mano morta non perdona. Anche i religiosi, nessuno escluso, non ne escono certo bene, perdonando agli altri, ma soprattutto a se stessi, qualunque peccato (la segretaria statuizzata). Da salvare c'è però ben poco, a parte l'interpretazione di Buzzanca (esce dall'ascensore con ancora la mano in posizione di tocco) e qualche macchietta.
MEMORABILE: Un'idea per eliminare un politico scomodo: "Ripeschiamo quello scandalo delle sovvenzioni ai bambini spastici seviziati"."
 

Il Gobbo, mitico, ha scritto:

"Film capitale, che rivisto ora in una finalmente bella copia dvd non ha perduto un'oncia della sua carica a momenti addirittura eversiva per l'esplicitezza delle accuse. Ma c'è Buzzanca, ci sono i culi, c'è il pecoreccio, e quindi nessuno capì (tranne i maggiorenti democristiani che ebbero una non del tutto lecita anteprima e fecero sforbiciare). I blandi coprolalici in cerca di patenti di martire avrebbero da imparare sulla satira. Buzzanca enorme e Fulci grandissimo, che inventa incubi felliniani e palpate con atmosfere thrilling."

venerdì 28 agosto 2020

 
QUESTIONE DI CENTIMETRI

Attore: Luca Fagioli
Direttore: Paolo Migone
Autore dei testi: Paolo Migone 
Anno: 1993
Genere: Tragicomico
Forma narrativa: Monologo
Durata: 58 min

Link:

 
Luca Fagioli interpreta se stesso: il personaggio si chiama "Fagioli Luca", altezza 133 centimetri. Nel suo desolante monologo, il protagonista descrive la visuale grottesca con cui percepisce un mondo a lui sostanzialmente estraneo. Le stesse leggi fisiche agiscono sul suo minuscolo corpo in modo inquietante e diverso da quanto fanno su tutti gli altri: è come se a lui non fosse permesso interagire con gli oggetti, così ogni cosa viene presentata in virtù della sua irraggiungibilità. Gli sono impraticabili le azioni più banali, come guardare una persona negli occhi o prendere qualcosa da uno scaffale. Un mondo fatto di spigoli, sportelli troppo alti e ostacoli. Una realtà tutta pervasa da una paranoia quasi dickiana. 
 
L'Attore:  
 
Nato a Pisa, è laureato in giurisprudenza. 
Video di Luca Fagioli: 
   Il sablé (1986) 
   Il primo fidanzato (1987) 
   Biancaneve (1989)
   Il gioco dell'oca (1990)
   Ricordi difficili (1991)
   Insieme contro il crimine (1992)
Filmografia di Luca Fagioli: 
   Ivo il tardivo, di Alessandro Benvenuti (1955)
   Il cielo e la luna, di Massimo Fagioli (1998)
   Il pesce innamorato, di Leonardo Pieraccioni (1999) 
   La grande prugna, di Claudio Malaponti (1999) 
   Il guerriero Camillo, di Claudio Bigagli (1999)
   Nonhosonno, di Dario Argento (2000) 
 
Recensione:  

Teatro Litta di Milano, Marzo 1993. Ero presente. Era l'epoca della cattività cardanese, il periodo di confino in quel tristissimo anfratto fecale a cui le genti native danno il nome di Cardano al Campo. Dovetti accompagnare una scolaresca a vedere alcuni spettacoli teatrali. Uno di questi, tenutosi nello stesso oscuro borgo lombardo, mostrava alcuni vecchi che venivano scherniti, bastonati e smaltiti come immondizia, in sacchi neri e bidoni della spazzatura. Non riesco a ricordare null'altro della trama, solo queste sequenze allucinatorie, che sembravano frutto dell'ingestione di una frittura di psilocybe. Forse era un rudimentale adattamento di Quarto: uccidi il padre e la madre, di Gary K. Wolf, ma non ne sono sicuro. Vi fu però anche un'eccezione in quell'anno umiliante e disperato. Mi fu permessa una gradita escursione, a mio avviso molto utile. Fu proprio quando andai a Milano al Teatro Litta con la scolaresca, su iniziativa del professor G., che riteneva molto utile ed educativo lo spettacolo di Luca Fagioli. Furono quelli gli unici momenti che potrei definire, se non proprio "felici", almeno "non afflittivi", in un periodo della mia vita che dovrebbe essere cancellato dal Libro dell'Esistenza. 
 
Un tempo si diceva "Italiani, popolo di navigatori, santi e poeti". Poi qualcuno ha coniato il detto "Italiani, popolo di impastatori", per via della loro avidità di lievito durante il lockdown (avidità istigata dall'osceno tam tam mediatico dei giornalisti). Potremmo però aggiungere, oltre a "Italiani, popolo di delatori", anche "Italiani, popolo di bulli, persecutori di deboli e di inermi". A volte mi domando perché Sodoma e Gomorra non siano sopravvissute, mentre uno scandalo come questo vivaio di bulli continui a marcire impunemente sotto la luce tossica del sole. Già me ne accorsi quando ero un moccioso, il giorno stesso in cui sono stato portato all'asilo. Da allora mi sono imbattuto in un numero enorme di persone moleste come tafani, che si sentono vive soltanto se hanno qualcuno da deridere e da tormentare, traendo piacere dall'altrui sofferenza. 
 
Luca Fagioli porta in scena il proprio dramma esistenziale. Deve portare il peso di un vissuto molto problematico, caratterizzato da continui episodi di bullismo in età giovanile, per via della sua corporatura minuta. Tecnicamente parlando, è affetto da nanismo tiroideo. La bizzarra conformazione delle membra e l'aspetto ben singolare attirano in modo ineluttabile lo scherno e l'irrisione da parte delle persone definite "normali". Gli epiteti, come ad esempio "tappo", non si sprecano. Ognuna di questi insulti è una stilettata nel cuore. 
 
Il professor G. faceva notare alla scolaresca che Luca Fagioli ha avuto una vita piena di soddisfazioni umane e professionali e che ha avuto la fortuna di trovare una compagna splendida. La morale del professore, che era un convinto fautore del politically correct (anche se all'epoca non si usava questa locuzione), voleva insegnare il rispetto per la "diversità" a una classe particolarmente indisciplinata, dove non mancavano simpatie naziste. Tali simpatie non derivavano certo dalla lettura del Mein Kampf o dalla comprensione delle dottrine hitleriane: erano reazioni viscerali da parte di giovani rozzi e privi di qualsiasi senso critico, che in questo modo si ribellavano a un indottrinamento scolastico particolarmente oppressivo. Si può dire che il professor G. abbia creato un allevamento di naziskin, senza averne la minima consapevolezza. L'accaduto mi induce alcune amare riflessioni. A Luca Fagioli è andata bene: si è affermato come attore e ha trovato la sua metà. Ma per una persona a cui è andata bene, quante ce ne sono che hanno fallito? Quante persone sole sono state schiantate da questa Italia in cui chi ha problemi è considerato uno zimbello da annientare? Innumerevoli, e non c'è rimedio. Non ci sarà rimedio alcuno, se non il giorno in cui questo paese farà la fine di Atlantide. 

Mi è rimasta particolarmente impressa la lamentazione dell'autore, chiuso nella sua solitudine densa come il piombo. Un'oscurità in cui non si trova un varco, in cui non filtra nemmeno il riverbero di una remota sorgente luminosa. Trovo che sia pura poesia, lirismo assoluto, così la propongo in questa sede:
 
"Mi trovo a ripercorrere il perimetro della mia cameretta
la testa affollata dai pensieri, paure, progetti.
Ho murato la finestra
ma alcuni raggi del sole,
filtrati dalle fessure dei mattoni,
disegnano sul mio viso strani arabeschi.
Mi lascio cadere sulla sedia,
e annoto sul diario:


Intanto passano i giorni,
si sommano in settimane,
si aggrovigliano in mesi,
si ingarbugliano in stagioni,
si ammatassano in anni
natali, pasque, ferragosti
natali, pasque, ferragosti
anni,
natali, pasque, ferragosti

La sveglia mi guarda,
girami!
Fa tic e poi fa tac.
Le ragnatele cambiano ogni anno,
le vedi lì e le ritrovi là.
E nel silenzio più assoluto,
sentire il rumore della barba che cresce.
Deriso da un destino beffardo,
buttato lì come una vecchia cima,
schernito dal tempo inesorabile,
potenza in un nulla fatto di niente,
scheggia di un universo di diversi universi,
truciolo di falegnameria!
briciolino di pane!
(alcune parole borbottate, indistinte, che si perdono nel rumore di fondo) 
 
Quest'opera è etichettata dai media come "commedia", ma a mio avviso non lo è affatto. Si potrebbe andar più vicini al vero ritenendola tragicomica. Unisce in sé spunti ironici e sarcastici con una sostanza assolutamente tragica. Su questo non ci sono dubbi: prevale in ogni suo istante un senso di sofferenza assoluta, che non conosce requie. Non ho mai avuto alcuna esilarazione durante lo spettacolo, proprio perché le sofferenze del protagonista sembravano a me simili a quelle che ho dovuto subire nel corso della mia vita - nonostante la mia statura fisica non possa essere definita esigua. 

Il rustico giannesco in Lucchesia! 
 
Fagioli Luca apprende che il suo amico Gianni, l'architetto, ha invitato amici ed amiche per un weekend nel suo rustico in Lucchesia. Così prende coraggio, gli telefona e gli dice che lo raggiungerà. Inizia la narrazione di qualcosa che sembra a metà strada tra una serie di contrattempi e le dodici fatiche di Ercole. I toni sono volutamente iperbolici. Ogni minima cosa è descritta dall'attore in un modo così surreale da provocare una sensazione di fortissimo straniamento, come se egli fosse un microscopico uomo di Lilliput giunto all'improvviso a Brobdingnag, ove regnano i giganti! Il fine settimana abortisce miseramente: Luca, come un pigmeo nel Labirinto di Cnosso, sbaglia l'ingresso e si ritrova nella cuccia del cane, poi finisce riesce a entrare nell'atrio ma finisce nel camino (il soffitto è alto come quello del Valhalla), quindi rinuncia all'impresa e passa la notte in un campo, trovandosi sommerso da nugoli di grilli zampettanti e da masse di crisalidi. Viene avvicinato da un dobermann libidinoso che cerca di avere un rapporto con una sua gamba e di tenerlo come schiavo sessuale. Al culmine del grottesco, Luca mima una copula, ancheggiando in modo frenetico. Riuscito a sottrarsi all'animale, per quindici giorni si addentra nella campagna toscana, che è descritta come se fosse Mordor! Dopo uno sfinimento estremo, il culmine si ha quando, giunto fino a Marina di Grosseto, si trova davanti la figura immane di Gianni. La sua gioia è incontenibile. "Gianni!!!", esclama. Mi sembra di vedere Gianni, di averlo davanti agli occhi, con quei manoni grandi simili a pale, con quel faccione smisurato perennemente sorridente. Proprio lui: Gianni, l'eterno coprofago! O forse è tutto frutto di un'allucinazione? Fatto sta che Gianni non sembra riconoscere l'amico farfugliante, che alla fine si allontana, annientato. "Ciao Gianni!", gli dice. Poi, dopo qualche passo: "Gianni, ma vaffanculo!"  

Un epilogo annichilente 

Fagioli Luca giunge infine al Capolinea. Certo, quello è il luogo dove prima o poi giungono tutti - anche se i bulli e i gorilla non lo sanno, credendosi immortali. Credo che sia un geroglifico della Morte dell'Essere. Ci viene descritto come uno squallido bar di periferia milanese, con luci al neon che deprimono lo Spirito. Chi è costretto a vegetare sotto quei raggi mortiferi, è come se avvizzisse e si riducesse a una mosca agonizzante sul bordo di un cesso. Ecco, il nostro amato protagonista si trova proprio lì, cercando di ordinare un caffè al banco. Non ci riesce. Aggiunge invano lo zucchero ad alcune tazzine che non sa essere vuote, poi lo ingurgita in preda al disgusto. Tenta anche di ordinare un tramezzino, senza che i risultati siano migliori. Il banco è sopra la sua testa, riesce a malapena a raggiungerlo, come se fosse uno Hobbit tra gli Orchi. Poi ha un'idea geniale. Si allontana e raggiunge il telefono pubblico presente nella sala. Compone il numero del locale e la cameriera che sta al banco risponde. Così può ordinare un tramezzino. "Cristina, dammi un tramezzino!", le urla, dopo essere riuscito ad attirare la sua attenzione. Siamo all'Annichilimento Assoluto. Quello è il luogo in cui l'Essere muore in Eterno! 

Insopportabilità del pubblico 

Quello che ho detestato in modo viscerale sono state le insulse risate di molti spettatori. Cosa diamine c'era mai da ridere? Mi sarei aspettato un profondo silenzio, carico di rispetto e di introspezione. Invece nulla. Alcune risate giungevano proprio nei momenti più penosi, più tragici. Questo mi ha dato una conferma in più della natura bullesca della maggior parte dei frequentatori di teatri. Moltissimi sono coloro che non vanno a teatro per imparare qualcosa, bensì per mero conformismo, per ostentare la loro pretesa superiorità e la loro condizione sociale, per trovare qualcuno da schernire, da tirare per il culo. Certo, l'attore è stato applaudito quando la rappresentazione si è conclusa, ma in un certo senso era un atto dovuto. Non dimentichiamoci che questa gente applaude anche ai funerali, così posso soltanto considerare vuote e ipocrite le loro manifestazioni di entusiasmo. Per molto tempo ho odiato il teatro proprio perché vi si respira un'aria di snobbismo molesto, e la sensazione è analoga al fastidio provocato agli equini dalle punture delle mosche cavalline. Mi affiora un bizzarro ricordo d'infanzia: mio zio S. era convinto che in realtà nessuno ridesse a teatro e che le risate fossero invece il prodotto di un'apposita macchinetta. "Schiacciano un bottone e si sentono le risate", diceva sempre, "ma sono finte". Di certo mio zio S. era più felice di me. 

lunedì 18 maggio 2020

IL MISTERO DELL'OSFAGARTA

Anni fa mi sono imbattuto nel bizzarro portale dell'Istituto Italiano di Coproterapia (ICC) di Roma, ospitato su Blogspot. "La coproterapia è una disciplina naturale che consiste nell'immersione del corpo in una vasca di feci umane calde, o nella loro somministrazione per bocca" (cit.). In un post dell'ICC, che ora sembra essere irreperibile, si parlava di coprofagia in relazione alla scienza gastronomica e si descriveva la pajata romana come una preparazione culinaria fecale. Cosa abbastanza sensata, vista anche l'autorevole opinione di Alberto Sordi, che nel film Il marchese del Grillo (Mario Monicelli, 1981), definiva i rigatoni con la pajata in un modo abbastanza crudo: "merda". In buona sostanza si tratta di intestino tenue di vitello da latte, non privato del chimo (che è il latte digerito) e da usarsi per fare una salsa con cui condire la pasta. È ben nota la scena in cui il Sor Marchese inizia a questa conoscenza misterica la splendida francesina, Olimpia. 
 
 
 
Orbene, accanto alla pajata il blog menzionava un altro piatto di origine fecale, ben più enigmatico. Il suo nome è OSFAGARTA. Secondo le scarne spiegazioni che erano fornite, l'osfagarta sarebbe in tutto e per tutto simile alla pajata, ma preparata con intestino di agnello anziché di vitello. Nel blog non erano indicate fonti convincenti, né alcuna nota etimologica dello stravagante vocabolo. Si accennava soltanto a un certo professor A. Veneziano, che avrebbe condotto uno specifico studio sull'interessante materia gastronomica. Il nome A. potrebbe stare per Alberto, Aldo, Adolfo, Agostino e via discorrendo. Non si ha informazione alcuna sul nominativo completo. A conti fatti, in Google non è emerso proprio un bel nulla su questo fantomatico studioso. Dopo una lunga ricerca, sono riuscito a ritrovare il testo che cercavo, servendomi della Macchina del Tempo di Internet (Wayback Machine). Non l'ho trovato nel blog dell'ICC, ma in un sito di Altervista che lo menzionava. Riporto il reperto: 
 
 
"La paiata e l’osfagarta  (ci ricorda A. Veneziano N.d.r.)  sono solo alcuni dei molteplici piatti a base uro-fecale tipici della cucina Italiana.  Nella nostra alimentazione (continua A. Veneziano N.d.r.)  ci sono sempre stati dei piatti con ingredienti  uro-fecali. Il problema è che nella maggior parte dei casi il “donatore” non è umano, cioè le feci provengono da animali di allevamento. Il che comporta il rischio di contrarre malattie di origine bovina (nel caso della paiata) e ovina (l’osfagarta) e riduce al minimo le proprietà benefiche dell’assunzione." 
 
L'autore del testo, humanfailure, si augura quindi l'introduzione di piatti a base di sterco umano!

"Feci e urina devono quindi provenire da un “donatore” umano. Per chi non lo sapesse ricordiamo che è vietata la vendita di escrementi di origine umana (non a caso si usa il termine “donatore”)." 

Tutta la faccenda ha l'aria di essere un fake. Tuttavia si ricorda che anche un fake deve avere un'origine, non può essere scaturito dal Nulla. 
 
All'inizio avevo pensato a una contrazione del latino ovis "pecora", al genitivo, con la consonante finale fossilizzata. Anche se os- per ovis sembrava verosimile dal punto di vista tecnico, la cosa mi è subito sembrata assurda, irreale, così mi sono destato dalla fantasia. La seconda parte del composto resisterebbe ad ogni tentativo di analisi. Come dare un senso a -fagarta? La formazione non si spiega in alcun modo, la terminazione -arta permane oscurissima e priva di paralleli. Siamo di fronte a una parola impenetrabile. Non si riesce a trovare nessuna informazione che ci possa permettere di far penetrare un po' di luce in tenebre tanto fitte. In tutto il Web, prima che mi occupassi della questione, non esistevano altre menzioni della parola. Non si è trovata alcuna citazione utile in Google Books o nei forum.

Ho persino provato con un sito di anagrammi. Questi sono i risultati della ricerca:
 
Target = osfagarta
[sfata fasta] [gora agro]
[strafa sfrata] ago
[stara sarta rasta] foga
grafo asta
[targa grata] sofa
[targa grata] fa so
[targa grata] sa fo
[sfato fasto] [gara agra]
[gastro argots] afa
[gasato agosta] fra
sagrato fa
forata gas
[sorga sargo] [fata afta]
[trago targo grato argot] fa sa
[sagra ragas] fato
sfoga [tara rata atra]
[sfara farsa] [toga gota]
[gara agra] sta fo
[gara agra] sto fa
saga tra fo
[tara rata atra] gas fo
foga tra sa
[gora agro] sta fa
[toga gota] fra sa
[atro arto] gas fa
fra ago sta
 

Non se ne cava nulla. Vano è stato anche un tentativo di ricorrere a Quora, il social in cui tutti possono porre domande su qualsiasi argomento, ottenendo risposte che qualche volta possono essere sensate. Proprio come in Facebook, gli utenti facevano una ricerca, si imbattevano nella menzione dell'osfagarta sul blog dell'Istituto Italiano di Coproterapia e in Altervista, dando per scontato che l'informazione fosse fidedigna e riproponendola ad infinitum.
 
L'amico Marco Ajello propendeva per un'origine sarda, cosa che anche a me in un primo momento pareva abbastanza verosimile. Questa è la sua interessante considerazione:
 
"Forse in Sardegna... guarda lì che fine ha fatto la parola ovis." 
 
E ancora: 
 
"ovis come genitivo mi sa che sia la strada più percorribile... anche se poi i mutamenti son singolari."
 
Così gli avevo risposto: 
 
"Forse è davvero così, ma non ho trovato traccia del misterioso vocabolo nel dizionario online di Rubattu; inoltre la presenza di un nesso /sf/ è ostica. Il sardo ama già poco il suono /f/. Un problema terribile è il silenzio dei motori di ricerca: non restituiscono nemmeno una menzione del vocabolo oltre a quella descritta. Come mai? Non si dovrebbe trovare un sito con frasi del tipo "sono andato a mangiarmi l'osfagarta", etc. Nulla. Com'è possibile che una forma così singolare, se davvero esistente su suolo italico, non abbia mai attirato l'attenzione degli studiosi? Se invece è una parola di una lingua non romanza, dovrebbe comunque trovarsene traccia da qualche parte.
 
E ancora: 
 
"Si potrebbe fare un esperimento antropologico. Girare per le osterie di Roma ordinando un piatto di osfagarta. Immagino l'espressione turbata e irosa dei pingui tavernieri. Deve essere un ambiente difficile. Ricordo che anni fa sono entrato in una pizzeria. Tutti si rivolgevano a me in inglese. Quando ho detto loro di essere di Milano, mi hanno guardato straniti come se avessi detto di venire da Betelgeuse!"
 
Va detto che all'epoca non era nemmeno indicizzata da Google la domanda che avevo fatto su Quora. Questa dunque è la seconda teoria formulata da Marco Ajello:  
 
"Altre ipotesi: un articolo? Oppure osfag- è proprio il nome dell'intestino dell'animale. O una qualche preposizione (come eso-fago)." 
 
In effetti, la cosa appariva più convincente di una contorta derivazione da ovis. In altre parole l'osfagarta sarebbe quello che in italiano chiameremmo *ESOFAGATA. Anche se non conosco nessun esito romanzo del latino oesophagus (dal greco oisophágos, formato da oísein "portare" e da phageîn "mangiare"), non sarebbe impossibile l'evoluzione volgare della parola in *OSFAGU, da cui si giungerebbe a un derivato collettivo *OSFAGATA. La semantica non crea troppi problemi: non dobbiamo credere che i parlanti di una forma di protoromanzo avessero la conoscenza dei moderni medici. Uno slittamento di significato da "esofago" a "primo tratto dell'intestino tenue" non dovrebbe dare grosse difficoltà. La ritrazione dell'accento, da esòphagus a *òsfagu non è impossibile: in fondo conosciamo un italiano antico stàrlogo, variante di astròlogo. Già, tutto questo sembra molto chiaro. Il termine greco oisophagos è attestato già in Aristotele; la forma latina sembra molto più tarda. In inglese compare oesophagus nel XIV secolo; in italiano compare esofago nel XV secolo. Non sono affatto sicuro che sia possibile postularne l'esistenza in protoromanzo. Si dovrebbe pensare che la nostra *ESOFAGATA sia ben più recente. Permane poi un problema di non poco conto: come spiegare la consonante rotica in OSFAGARTA
 
Anche su Quora un utente mi aveva risposto sostenendo la diretta derivazione di esofago (Juan Luis Pedrosa: "magari la parola de partenza sia "esofago"?"). Ormai mi ero quasi convinto. In un modo o nell'altro si doveva trattare di una derivazione abbastanza recente di *ESOFAGATA e al diavolo la rotica di troppo! Come un moscone nel cervello, qualcosa di subliminale mi infastidiva e ogni tanto riemergeva dal pelo dell'autocoscienza, allertandomi. 
 
L'amica Fabiana Cilotti ha scoperto una bizzarra assonanza nel nome del fiume Osfago, citato da Tito Livio, chiedendosi dove si trova questo corso d'acqua. Questa è la citazione in latino: "Movere itaque ex Pluvina Romani, et ad Osphagum flumen posuerunt castra". Così rispondevo: "Il fiume Osphagus è in Macedonia. Bizzarramente il correttore automatico di Google cerca di convertirne il nome in Esophagus."
 
A distanza di tempo, ho riletto l'intera conversazione su Facebook (un thread piuttosto caotico) e la mia attenzione è caduta su una proposta etimologica alternativa, sempre formulata da Marco Ajello: 
 
"Penso anche a "oxen" (buoi) inglese". 
 
Non ero stato particolarmente entusiasta di questa ipotesi ingegnosa, tanto che avevo risposto così:

"Però l'intestino usato è ovino, non bovino. Inoltre resta in ogni caso un residuo -fagarta che sfugge ad ogni analisi, come se provenisse da una lingua di Vega o di Altair." 
 
Adesso credo che potrebbe essere verosimile. Il residuo -fagarta potrebbe benissimo essere nient'altro che l'inglese faggot, fagot, un derivato diretto dell'italiano fagotto. Attualmente negli Stati Uniti d'America, questa parola indica soprattutto un omosessuale passivo, proprio a causa del riferimento gergale all'intestino, usato come cavità sessuale. Qualche pastore protestante ha come motto "God hates faggots", o qualcosa del genere. Esistono poi significati diversi di questa parola, come "fascina di legna da ardere", ma la cosa è irrilevante, trattandosi di sviluppi secondari. Trovo invece di un estremo interesse, il fatto che in Scozia la parola faggot sia usata per indicare una preparazione gastronomica fatta con lo stomaco di animali macellati. Si potrebbe dunque azzardare un percorso etimologico e semantico credibile. Presuppongo un composto OX FAGGOT, alla lettera "fagotto di bue", usato da qualche italo-americano per indicare la pajata romana. La pronuncia di questo OX FAGGOT in broccolino (gergo italo-americano di Brooklyn) sarebbe qualcosa come OSFAGAATA. L'ipercorrezione in OSFAGARTA, dati i problemi di pronuncia delle consonanti rotiche in inglese, sarebbe plausibilissima. Un oste romano che in una taverna avesse udito OX FAGGOT pronunciato come OSFAGAATA, OSFAGARTA, ne avrebbe tratto il vocabolo. Questo deve essere accaduto a Roma quando la pajata di vitello era proibita per via dell'epidemia di encefalopatia spongiforme di Creuzfeldt-Jacob (volgarmente detta "morbo della vacca pazza"). A causa di questo inconveniente poco piacevole, il taverniere romano serviva ai clienti un succedaneo della pajata, ottenuta da intestino di agnello. Si potrebbe anche pensare che il taverniere in questione fosse originario della Sardegna: nell'isola esiste la tradizione di produrre un formaggio a partire dal latte semidigerito dagli agnelli, estraendolo dal loro stomaco durante la macellazione. Il visitatore americano, probabilmente di Brooklyn, non si era avveduto della cosa, pensando di mangiare rigatoni con la pajata di bovino. Così ha chiamato il piatto OSFAGARTA e in qualche modo la cosa è finita su Internet.