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sabato 3 luglio 2021

LADY MONDEGREEN E LE DISTORSIONI PERCETTIVE

La scrittrice e giornalista americana Sylvia Wright (1917 - 1981) ricordava il testo di una poesia che durante l'infanzia sua madre le leggeva spesso. L'autore era il poeta, antiquario e religioso inglese Thomas Percy, nato Piercy (Bridgnoth, 1729 - Dromore, 1811). Il componimento in questione è stato tratto dalla ballata scozzese The Bonnie Earl O' Moray e fa parte della raccolta Reliques of Ancient English Poetry. È scritto in un inglese che presenta una certa influenza della lingua Scots. Ecco il testo nella versione ricordata dalla Wright:
 
Ye Highlands and Ye Lowlands,
Oh Where hae ye been?
They hae slain the Earl Amurray
And Lady Mondegreen.

"Voi monti e vallate,
Oh, dove siete stati?
Hanno ucciso il Conte di Moray
E Lady Mondegreen."
 
Spiccano il pronome ye "voi" (corrisponde a you) e la forma verbale hae "avere" (corrisponde a have). Il problema è che c'è un vistoso errore nell'ultimo verso, causato da una distorsione percettiva! La frase originale era "and laid him on the green" ed è stata segmentata in modo erroneo dalla scrittrice-giornalista, dando origine a un antroponimo femminile fantomatico: Lady Mondegreen.
 
and laid him on the green => and Lady Mondegreen 
 
Questa è la trascrizione IPA della pronuncia, che descrive il mutamento avvenuto:
/ənd 'leɪd (h)ɪm 'ɔn ðəˌgɹi:n/ => /ənd 'leɪdɪ 'mɔndəˌgɹi:n/  

Il pronome obliquo di terza persona singolare maschile, him, spesso perde l'aspirazione e viene agglutinato al verbo che lo precede. In questo caso la consonante finale -m è stata incorporata dalla seguente preposizione on; la fricativa interdentale sonora dell'articolo the è stata percepita come un'occlusiva dentale sonora d-, cosa che senza dubbio ha favorito la creazione di un antroponimo fantomatico. La pronuncia attuale di Mondegreen è /'mɔndɪˌgɹi:n/

Questo è il testo corretto della poesia: 
 
Ye Highlands and Ye Lowlands,
Oh Where hae ye been?
They hae slain the Earl o' Moray
And laid him on the green.
 
"Voi monti e vallate,
Oh, dove siete stati?
Hanno ucciso il Conte di Moray
E lo hanno disteso sul verde."

Questa è la versione in Scots:

Ye Hielands an ye Lowlands,
Oh, whaur hae been?
They hae slain the Earl o' Moray
And lain him on the green. 
 
Si noterà che lo Scots presenta molte più forme verbali irregolari rispetto all'inglese: il verso And lain him on the green non avrebbe potuto essere frainteso come ha fatto la Wright per via della presenza di lain "distesero" anziché laid

Questo è il link all'articolo scritto da Sylvia Wright sull'argomento nel 1954, intitolato The Death of Lady Mondegreen e arricchito con disegni di Bernarda Bryson (che nome evocativo!): 
 
 
Ecco spiegata l'origine della denominazione mondegreen, usata in linguistica per descrivere un particolare tipo di distorsione percettiva in cui una frase viene scambiata per un'altra omofona o quasi omofona. Sia la frase originale che quella male interpretata in genere appartengono alla stessa lingua, ma non necessariamente. In genere un mondegreen avviene ascoltando una canzone, una poesia o uno slogan. Si può descrivere il mondegreen come un fenomeno di pareidolia acustica. Le definizioni inglesi più comuni sono mishearing "malinteso, fraintendimento" e misinterpretation "errata interpretazione". I mondegreen sono particolarmente comuni nella lingua inglese, che è caratterizzata dall'estrema debolezza delle code delle parole. Quando una lingua è composta prevalentemente da monosillabi e da bisillabi, è facile capire male qualcosa: ogni distorsione anche minima avrà gravi ripercussioni. 

Il mondegreen: possibili origini psicologiche
 
Secondo Steven Connor, il mondegreen fa parte del meccanismo conosciuto come dissonanza cognitiva, descritto per la prima volta da Leon Festinger nel 1957. Si può descrivere il cervello umano come una macchina programmata per attribuire un senso a un universo insensato. Quando una persona sente delle parole il cui significato le sfugge, il suo cervello riduce il disagio e la sofferenza mettendosi in azione per cercare di colmare la lacuna conoscitiva, deformando le parole fino a renderle in qualche modo comprensibili. Connor ha definito i mondegreen come "distorsioni del nonsenso nel senso" ("wrenchings of nonsense into sense"). Ecco la citazione dalla sua opera Earslips: Of Mishearings and Mondegreens (2009): 
 
"Ma, sebbene i fraintendimenti possano apparire piacevoli o addirittura sovversivi nel sabotare il senso, in realtà sono essenzialmente neghentropici, vale a dire che spingono verso l'alto il pendio dal rumore casuale alla ridondanza della voce, spostandosi quindi dalla direzione del non senso al senso, dalla non direzione alla direzione. Sembrano rappresentare l'intolleranza dei puri fenomeni. In questo sono diversi dai difetti del linguaggio a cui sono spesso associati. Considerare i lapsus dell'udito semplicemente come il complemento uditivo dei lapsus del linguaggio ne confonde la natura e la funzione programmatica. I fraintendimenti sono i disordini del senso causati dal nonsenso; i fraintendimenti sono la distorsione del nonsenso nel senso." (testo originale: "But, though mishearings may appear pleasingly or even subversively to sabotage sense, they are in fact in essence negentropic, which is to say, they push up the slope from random noise to the redundancy of voice, moving therefore from the direction of nonsense to sense, of nondirection to direction. They seem to represent the intolerance of pure phenomena. In this they are different from the misspeakings with which they are often associated. Seeing slips of the ear as simply the auditory complement of slips of the tongue mistakes their programmatic nature and function. Misspeakings are the disorderings of sense by nonsense; mishearings are the wrenchings of nonsense into sense.").
 
L'iperottimista Steven Pinker, moderno Pangloss nonché massimo esperto mondiale nella difficile scienza della puffologia, si è occupato del fenomeno del mondegreen, cercando in tutti i modi di trovare una spiegazione pierangelista (ossia riduzionista, meccanicista, deterministica, dogmatica). Secondo quanto scritto da Pinker nella sua opera The Language instinct (1994), il mondegreen tende ad essere meno plausibile della frase originale non distorta e crea una sorta di blocco mentale nella persona che ha avuto la distorsione percettiva: una volta fraintesa una frase, scatterebbe un legame emotivo fortissimo con la propria interpretazione fuorviante. Così lo studioso cita l'esempio di uno studente che aveva frainteso una canzone delle Bananarama, Venus (1986), quella che faceva "I'm your Venus, I'm your fire, And your desire" (ossia "Sono la tua Venere, sono il tuo fuoco, e il tuo desiderio"), intrerpretando il ritornello come "I'm your penis, I'm your fire, And your desire" (ossia "Sono il tuo pene, sono il tuo fuoco, e il tuo desiderio"). Questo studente era attratto in modo morboso dai transessuali e fissato con i loro attributi in erezione, tanto che non sapeva pensare ad altro: si masturbava furiosamente fantasticando di penetrare quelle creature androgine mentre raggiungevano l'orgasmo ed eiaculavano. Anche quando è stato messo di fronte alla copertina del disco delle Bananarama, non ha voluto riconoscere il proprio errore. Anzi, in un impeto di ipocrisia si è detto persino sorpreso che una simile canzone fosse trasmessa alla radio. La distorsione percettiva era stata causata da una sola consonante: in inglese Venus suona /'vi:nəs/ e rima con penis, che suona /'pi:nəs/. Io stesso ho frainteso un verso di questa canzone per una consonante, udendo "Making every man mad" ("facendo impazzire ogni uomo") anziché "Making every man a man" ("facendo di ogni uomo un uomo"). 

James Gleick è invece dell'idea che il mondegreen sia una fenomeno abbastanza recente. Nella sua opera The Information: A History, a Theory, a Flood (2011), sostiene che senza l'informazione migliorata e la standardizzazione del linguaggio apportate dalla radio, non ci sarebbe stato modo di riconoscere e di discutere questa esperienza condivisa. Tuttavia l'autore riconosce che nelle canzoni popolari avvengono trasformazioni spontanee del testo quando qualche termine diventa oscuro in quanto non collegabile all'esperienza corrente. Cita come esempio la canzone popolare The Golden Vanity, dove il verso "As she sailed upon the lowland sea" ("Mentre lei navigava sul Mare del Nord") è stato mutato in "As she sailed upon the lonesome sea" ("Mentre lei navigava sul mare solitario") dagli immigrati britannici che si stanziarono in Appalachia. Non avendo più idea di cosa fosse il Mare del Nord, così ben conosciuto dai Vichinghi, lo trasformarono nel mare solitario. Non concordo con Gleick sull'origine non troppo antica del mondegreen, che senza dubbio esiste da quando la specie umana usa il linguaggio articolato. La lingua dei Sumeri aveva in comune con l'inglese moderno la debolezza della coda delle parole: possiamo essere sicuri che vi abbondassero i mondegreen. Alla fine il sumerico è divenuto una lingua puramente letteraria, usata soltanto dai sacerdoti e dagli scribi, forse perché come lingua parlata aveva subìto un'eccessiva degradazione fonetica e dava origine a troppi fraintendimenti. Sarebbe interessante studiare a fondo i documenti in lingua sumerica per trovare qualche possibile traccia di questo processo.
 
Alcuni mondegreen musicali 
 
La canzone Bad Moon Rising dei Credence Clearwater Revival (1969) ha un testo in cui ogni verso termina con le parole "There's a bad moon on the rise" ("C'è una luna cattiva in crescita"). Ebbene, moltissimi anglosassoni hanno inteso "There's a bathroom on the right" ("C'è un cesso sulla destra"). 
La canzone Purple Haze di Jimi Hendrix (1967) ha il verso "Scuse me while I kiss the sky" ("Scusami mentre bacio il cielo"), che è stato costantemente equivocato in "Scuse me while I kiss this guy" ("Scusami mentre bacio questo tipo"). 
Nemmeno i Beatles sono stati immuni al potere del mondegreen: nella canzone Lucy in the Sky with Diamond (1967), il verso "The girl with kaleidoscope eyes" ("La ragazza con gli occhi caleidoscopici") è stato equivocato in un esilarante "The girl with colitis goes by" ("Passa la ragazza con la colite"). La gentile creatura doveva avere occhi magici e bellissimi: è diventata una cagona! 
La missionaria americana Fanny Cosby (1820 - 1915), discendente dei Puritani, ha composto l'inno Keep Thou My Way, il cui verso "Gladly the cross I'll bear" ("Volentieri porterò la Croce") ha subìto una grottesca distorsione in "Gladly, the cross-eyed bear" ("Gladly, l'orso strabico"). A causare il mondegreen è stata la sintassi inconsueta del verso, caratterizzata da un ordine OSV (oggetto-soggetto-verbo), incomprensibile agli attuali anglosassoni.  
 
Alcuni mondegreen letterari 

Lo scrittore e attore irlandese-americano Malachy McCourt ha dato alle sue memorie un titolo singolare: A Monk Swimming (1998). Questo perché ha male interpretato la frase amongst women "tra (tutte) le donne", che compare nella Salutatio Angelica, come a monk swimming "un monaco che nuota". Evidentemente la parola amongst /ə'mʌŋst/ non è stata capita dall'autore perché rara e ricercata. Così ha subìto una profonda metanalisi e la sequenza /ə'mʌŋs(t) 'wɪmɪn/ è diventata /ə'mʌŋk 'swɪmɪn/
Lawrence A. Perkins ha scritto un racconto di fantascienza Come You Nigh: Kay Shuns, pubblicato sulla rivista americana Analog Science Fiction and Fact nel 1970. Il tema fondante di questa storia è la codifica delle comunicazioni interplantarie usando i mondegreen per renderle sicure e incomprensibili agli alieni: ad esempio la parola comunications "comunicazioni" è codificata in "come you nigh, Kay Shuns", ossia "vieni vicino, Kay Shuns".  

Esperienze personali
 
I primi esempi di mondegreen, di cui sono stato consapevole, provengono dalla mia giovinezza. Ricordo quando frequentavo le scuole medie, quel dannato calderone di stramaledetti bulli. Cominciavo a guardare cartoni animati giapponesi, le cui sigle, tradotte in italiano, erano particolarmente grottesche. La sigla della serie Jeeg robot d'acciaio diede luogo ad alcune difficoltà di comprensione a causa della voce del cantante, che impastava le parole. Così la frase "Jeeg va!", con l'accento sulla prima parola, era da me percepita come "Gippa!", con una bizzarra assimilazione consonantica (in tempi abbasstanza recenti, l'amico P. mi ha detto che anche lui sentiva "Gippa!"). Poi c'era la frase "vola fra lampi di blu", pronunciata in un modo che era umanamente impossibile comprendere: alle mie orecchie giungeva come "o la falappi di blu". Ho la chiara memoria di un fatto curioso: anche Beppe Grillo in una trasmissione aveva riportato lo stesso mondegreen, "o la falappi di blu", chiedendosi cosa potesse significare. All'epoca faceva ancora il comico. Il mio cervello, proprio come quello di Grillo, aveva cercato di decrittare la frase pronunciata male, rianalizzandola e creando il verbo falappare, a cui però sembra impossibile attribuire un valore semantico.   
Ricordo quando udii per la prima volta una famosa canzone di Edoardo Bennato, Il gatto e la volpe (1977). La frase "Lui è il gatto ed io la volpe" fu da me compresa come "Lui è il gatto e Dio la volpe". Allo stesso modo, il titolo dello sdolcinato film Il Re ed io (The King and I, diretto da Walter Lang, 1956) fu da me compreso come "Il Re e Dio". Anche il titolo originale può essere frainteso in modo simile come The King and Die!, anche se non è grammaticalmente sensato. In questi due casi, il problema è la congiunzione "e" nella sua forma eufonica, ossia "ed", la cui consonante finale si agglutina per necessità alla vocale iniziale della parola seguente. Questo può creare gravi equivoci in moltissimi casi: ogni volta che ricorre la sequenza "ed a", può essere frantesa come "e da". Così "ed ai monti" corre il rischio di diventare "e dai monti". Per questo motivo la stessa Accademia della Crusca è intervenuta con voce tonitruante, condannando l'abuso delle forme eufoniche e cercando di limitare l'uso di "ed" ai casi in cui la parola seguente inizia con la vocale e-. Analogamente l'uso di "od" dovrebbe essere limitato ai casi in cui la parola seguente inizia con la vocale o- e via discorrendo. 
Un altro mondegreen risale a tempi ben più recenti. Ricordo ancora quando il rossochiomato F. mi fece ascoltare una serie di canzonette allegre di una band denominata My Chemical Romance. In uno di questi brani c'era un insistente e nitidissimo ritornello che suonava così alle mie orecchie: "LECCA LA CALIPPA BLU!" Non sono riuscito a ottenere spiegazioni dal bellimbusto fulvo, che si è limitato a sorridere, segno che anche lui aveva inteso qualcosa di strano; neppure le mie insistenti ricerche in Google mi sono state fruttuose. Ho anche visionato diversi video dei My Chemical Romance presenti in YouTube, senza trovare quello che mi interessava. Non ho mai compreso la natura della distorsione percettiva che mi ha colpito. Verosimilmente ho interpretato una frase in un inglese degradato distorcendola in una frase in italiano. Ho poi cercato di razionalizzare la distorsione percettiva immaginando che la parola "calippa" indicasse la fica, anche se il riferimento al colore resterebbe comunque inesplicabile. Forse si parla di una fica livida? Oppure è la fica di una femmina aliena dalla pelle blu? Fatto sta che per me è diventato un tormentone: ancora a distanza di anni, ogni tanto la frase insensata erutta dalle profondità del mio encefalo, ossessionandomi per ore ed ore, simile a un mantra, al punto da farmi temere di morire pazzo come è successo a Cantor. 
Vediamo che certi mondegreen stravaganti (es. "o la falappi di blu", "LECCA LA CALIPPA BLU") sembrano contraddire le spiegazioni psicologiche date da Pinker e da Connor, proprio perché hanno prodotto frasi prive di senso e neppure assimilabili ad antroponimi. Non riducono l'inspiegabilità e l'assurdo: si limitano a dargli una labile apparenza di sintassi coerente.

Soramimi e traduzioni omofoniche

Un fenomeno non troppo dissimile dal mondegreen è il soramimi, (dal giapponese 空耳 "ascolto alterato", "pensare di aver sentito"), che però si distingue per il fatto non irrilevante di essere volontario. Alcuni lo reputano un caso particolare di mondegreen; questa ipotesi mi appare abbastanza discutibile. Tuttavia non si può escludere che all'origine di un soramimi possa esserci un mondegreen, una pareidolia involontaria poi usata a bella posta. Un caso particolare di soramimi è la traduzione omofonica o quasi omofonica, che consiste nell'adattamento di una frase o di un intero testo da una lingua ad un'altra, basandosi interamente sull'assonanza. La traduzione omofonica parte dal testo in una data lingua e ottiene un testo in una lingua diversa. Il soramimi include anche casi in cui si parte dal testo in una data lingua e si ottiene un altro testo nella stessa lingua. L'intento di simili costruzioni non è necessariamente di scherno o di satira.
Tutti ci siamo imbattuti in stramberie di questo genere nel corso della nostra esistenza. Ricordo il cantante biondiccio dei Gatti di Vicolo Miracolo, mentre si esibiva su Antenna 3 Lombardia assieme a Umberto Smaila, all'epoca affettuosamente soprannominato "Smaiala". La canzone intitolata Georgia on my mind (Ray Charles, 1979, da un precedente motivo) era tradotta come "Giorgia, non mangi mai", richiamando l'attenzione sul terribile problema dell'anoressia giovanile. In modo simile, le parole "feelings, nothing more than feelings" (Morris Albert, 1974) furono trasposte in italiano come "fili, fili di parole". Credo che questo adattamento fosse opera di Johnny Durelli, pardon, Dorelli.
La tipica pronuncia accademica inglese della lingua latina ha permesso il proliferare di soramimi goliardici, che rientrano nella casistica del cosiddetto Pig Latin ("latino dei maiali") o Dog Latin ("latino dei cani"), come ad esempio questa poesiola: 
 
Caesar had some jam for tea,
Brutus had a rat.
Ceasar sick in omnibus,
Brutus sick in 'at.
 

Questa è la spiegazione:
 
Caesar adsum iam forte "Cesare, sono già qui, come capita" è diventato Caesar had some jam for tea "Cesare ha preso della marmellata per il tè"; 
Brutus aderat "Bruto era presente" è diventato Brutus had a rat "Bruto aveva un ratto";
Caesar sic in omnibus "Cesare è così in tutte le cose" è diventato Ceaesar sick in omnibus "Cesare ha vomitato nell'autobus"; 
Brutus sic in at (frase di dubbia grammatica ma traducibile alla lettera come "Bruto è così nel ma") è diventato Brutus sick in 'at "Bruto ha vomitato nel (suo) cappello". 
 
L'autore a quanto pare è il giornalista e scrittore inglese Geoffrey Willans (1911 - 1958). Si può riportare anche un singolare caso di soramimi inverso. Jonathan Swift (1667 - 1745) voleva adorare una fanciulla bellissima che si chiamava Molly, così le scrisse questa poesiola in pseudo-latino:

Mollis abuti,
Has an acuti,
No lasso finis, 
Molli divinis. 
Omi de armis tres, 
Imi na dist res, 
Cantu disco ver 
Meas alo ver?

Ecco il testo in inglese, nascosto con cura sotto le apparenze latine:

Moll is a beauty 
Has an acute eye, 
No lass so fine is, 
Molly divine is. 
O my dear mistress, 
I'm in a distress, 
Can't you discover 
Me as a lover?

Il testo che sembra in latino non ha alcun senso, è stato costruito a partire da quello in inglese.

venerdì 28 maggio 2021

 
O VARIUM FORTUNE 
 
Titolo originale: O varium Fortune 
Gruppo: Corvus Corax 
Autori: Corvus Corax, Ingeborg Schöpf & Klaus Lothar Peters 
Album: Cantus Buranus II 
Anno: 2008 
Data di rilascio: 1 agosto 2008
Genere: Musica neomedievale, Folk Rock 
Paese: Germania
Lingua: Latino medievale
Etichetta: Pica Records, Irond 
Formato: CD, Digibook
Orchestra: Deutsches Filmorchester Babelsberg
Formazione Corvus Corax: 
   Ardor von Venushügel 
   Castus Rabensang 
   Harmann der Drescher
   Hatz 
   Meister Selbfried  
   Patrick der Kalauer
   Teufel 
   Wim 
Cantante (Soprano): Ingeborg Schöpf 
Etimologia del nome del gruppo: dal nome scientifico del corvo imperiale (Corvus corax Linnaeus, 1758) 
Video: Live in München 2009 
Rimasterizzazione: 2016 
Link: 
 
Testo in latino medievale:
 
O VARIUM FORTUNE 
 
O varium fortune lubricum
Dans dubium tribunal iudicum,
Non modicum paras huic premium,
Quem colere tua vult gratia.

Et petere rote sublimia,
Dans dubia tamen prepostere
De stercore pauperem erigens,
de rhetore consulem eligens.

Et petere rote sublimia,
Dans dubia tamen prepostere
De stercore pauperem erigens,
de rhetore consulem eligens.

O varium fortune lubricum
Dans dubium tribunal iudicum,
Non modicum paras huic premium,
Quem colere tua vult gratia.

Et petere rote sublimia,
Dans dubia tamen prepostere
De stercore pauperem erigens,
de rhetore consulem eligens.

Edificat Fortuna diruit;
Nunc abdicat quos prius coluit. 
Edificat Fortuna diruit;
Nunc abdicat quos prius coluit. 
 
Et petere rote sublimia
Dans dubia tamen prepostere
De stercore pauperem erigens
De rhetore consulem eligens.

Et petere rote sublimia
Dans dubia tamen prepostere
De stercore pauperem erigens
De rhetore consulem eligens.
 
Il testo è un piccolo estratto di un componimento ben più esteso, che fa parte dei Carmina Burana. Questi testi poetici sono opere dei Goliardi o Clerici vagantes. Risalgono al XI e al XII secolo e sono riportate nel Codex Latinus Monacensis 4660, detto anche Codex Buranus - da cui il nome della raccolta - in quanto reperito nel 1803 nella Bura di San Benedetto (Benediktbeuren) in Alta Baviera. In tutto sono 228, scritti nella maggior parte dei casi in latino, anche se alcuni sono in medio alto tedesco e uno in provenzale. Riflettono un movimento internazionale, che andava dalla Linguadoca alla Germania, all'Inghilterra e alla Scozia. Stava sorgendo l'Università, che è un'istituzione più antica dell'Impero Azteco, per quanto la cosa possa essere sorprendente. Questi Clerici vagantes vagavano da un ateneo all'altro, per tutta l'Europa, per poter seguire le lezioni che consideravano più utili. In questo erano favoriti dall'uso pervasivo del latino, vera e propria lingua franca dell'epoca. Avevano gli ordini minori, quindi godevano di alcuni privilegi ecclesiastici, pur non essendo vincolati ai voti imposti dall'ordinazione sacerdotale: conducevano esistenze sregolate tracannando ettolitri di vino e copulando selvaggiamente. Furono loro a reintrodurre il vino nella poesia dopo secoli di silenzio. Immensa era la loro avversione alla Curia pontificia, colpita dagli strali della satira per la sua simonia e per la sua corruzione. Di questi argomenti si dovrà parlare con maggior dettaglio in altra sede.

Ecco il testo completo della poesia da cui hanno attinto i Corvus Corax:  
 
O VARIUM (CB 14)

1.
O varium | Fortune lubricum,
dans dubium | tribunal iudicum,
non modicum | paras huic premium,
quem colere | tua vult gratia
et petere | rote sublimia,
dans dubia | tamen, prepostere
de stercore | pauperem erigens,
de rhetore | consulem eligens.

2.
Edificat | Fortuna, diruit;
nunc abdicat, | quos prius coluit;
quos noluit, | iterum vendicat
hec opera | sibi contraria,
dans munera | nimis labilia;
mobilia | sunt Sortis federa,
que debiles | ditans nobilitat
et nobiles | premens debilitat.

3.
Quid Dario | regnasse profuit?
Pompeïo | quid Roma tribuit?
Succubuit? | uterque gladio.
eligere | media tutius
quam petere | rote sublimius
et gravius | a summo ruere:
fit gravior | lapsus a prosperis
et durior | ab ipsis asperis.

4.
Subsidio | Fortune labilis
cur prelio | Troia tunc nobilis,
nunc flebilis | ruit incendio?
quis sanguinis | Romani gratiam,
quis nominis | Greci facundiam,
quis gloriam | fregit Carthaginis?
Sors lubrica, | que dedit, abstulit;
hec unica | que fovit, perculit.

5.
Nil gratius | Fortune gratia,
nil dulcius | est inter dulcia
quam gloria, | si staret longius.
sed labitur | ut olus marcidum
et sequitur | agrum nunc floridum,
quem aridum | cras cernes. Igitur
improprium | non edo canticum:
o varium | Fortune lubricum. 

Traduzione libera in italiano:

1. 
O Fortuna, volubile e scivolosa
che giudice incostante tu sei.
Largisci premi smisurati
a chi hai deciso di prediligere con la tua grazia
e di porre sulla sommità della tua ruota.
Ma i tuoi doni sono incerti e senza preavviso:
alzi il povero dallo sterco
ed eleggi l'orator a console.

2. 
La Fortuna costruisce, la Fortuna distrugge:
in un attimo abbandona colui che finora coccolava
per favorire un altro che poc'anzi respingeva.
Com'è contraddittoria quest'opera,
come sono fugaci i doni della Fortuna.
Incerti sono i patti della sorte
che umilia i nobili opprimendoli
e nobilita gli umili arricchendoli.

3. 
Che cosa è servito a Dario essere re?
Come Roma ha ripagato Pompeo?
Tutti e due sono stati vinti dalla spada.
È più sicuro scegliere la via di mezzo
che salire in alto sulla ruota
e poi cadere rovinosamente in basso.
Chi oggi Fortuna esalta
domani sarà ridotto in miseria.

4. 
Per quale capriccio della Fortuna
Troia un tempo gloriosa in battaglia
e ora degna di pianto, è annientata da un incendio?
Chi ha distrutto la grandezza dei Romani,
estinto l'eloquenza dei Greci,
infranto la gloria dei cartaginesi?
È la Sorte incostante che sottrae ciò che elargiva,
solo essa abbatte ciò che prima favoriva.

5. 
Niente è più grato della grazia della Fortuna
niente è più dolce tra le cose dolci
della gloria, se resta più a lungo. 
Ma decade come verdura marcia 
e segue il campo ora in fiore, 
che domani ti accorgi essere arido. 
Allora non mangio una brutta canzone: 
O Fortuna, volubile e scivolosa. 

[traduzione: Modo Antiquo 1999 (1 - 4); sottoscritto (5)] 
 

Memorie: 
Vidi i Corvus Corax con i miei occhi di carne nel lontano 1991, nell'augusta e metallica città di Berlino. Ne rimasi subito conquistato. Ero in una rievocazione medievale simile a una fiera, molto ben ricostruita. Anche il suduciume era autentico. C'erano molte persone che sembravano uscite dal XI secolo. A una specie di tenda era affisso un invitante cartello. Mostrava il disegno di una donna nuda messa a pecora che esibiva il deretano, con una scritta in medio tedesco ben traducibile: "Date un'inseminata a questa femmina". Sì, avrei voluto farlo. Poi ho saputo da un passante che in realtà c'era soltanto una massaggiatrice e che era un'audace trovata pubblicitaria. Dopo aver fatto qualche giro e aver trangugiato un litro di birra scura, mi sentivo a casa. Mi ero dimenticato di tutto, vivevo nella convinzione di essermi svegliato da un brutto sogno e di essere finalmente me stesso. Fu a questo punto che mi imbattei nei Corvus Corax. Suonavano le cornamuse su un palco di legno. La loro musica mi penetrava fin nelle ossa. Fui stupito dalle loro figure. Avevano la faccia tinta come antichi Britanni. Fu uno di quegli incontri che non si possono dimenticare, perché cambiano la vita.    

Recensione:
Esaltante! Sia la musica che il video dello spettacolo tenuto a Monaco di Baviera nel 2009 sono capolavori assoluti! Ogni nota entra nel sangue e nelle ossa e scuote le fondamenta stesse della mia anima. Ho ascoltato il brano per ore, cadendo in uno stato simile all'estasi. La cantante bionda vestita come la Dea Fortuna è la soprano austriaca Ingeborg Schöpf. È di una bellezza divina. Ancora oggi, ogni volta che guardo il video non riesco a staccare gli occhi da lei. La gioia che mi dà contemplarla è come quella che provo a inebriarmi con l'idromele. Se la incontrassi di persona, mi innamorerei alla follia e cadrei folgorato senza potermi più rialzare. Mi viene da piangere e mi sembra di essere un lombrico, una specie di uomo-verme, condannato a non poter neppure sfiorare tanto splendore. Ci sono donne così, che mi fanno questo effetto. Sarebbe stato bellissimo se fosse stata cantata l'intera poesia, anziché soltanto il suo inizio. Forse gli autori temevano che un'eccessiva lunghezza del canto non avrebbe giovato. Peccato.    

Il problema della musicazione dei testi 
 
Sappiamo che 47 componimenti del Codex Buranus sono corredati di una trascrizione musicale tramite neumi in campo aperto (notazione adiastematica), la cui interpretazione può considerarsi un'impresa disperata. La ricostruzione delle musiche originali è a quanto pare un cammino in salita che non ha un traguardo univoco, anche se sono stati fatti diversi tentativi. Il compositore tedesco Carl Orff (Monaco di Baviera, 1895 - Monaco di Baviera, 1982) è famoso per aver musicato i Carmina Burana, anche se la sua opera non ha nulla a che vedere con le melodie originali, essendo stata composta di sana pianta (O varium non figura tra l'altro nell'elenco delle 24 poesie musicate). La stridente diversità dei risultati delle musicazioni del componimento che stiamo trattando è evidente da alcuni video reperibili nel Web. Invito tutti ad ascoltarli per comprendere ciò che intendo dire. 
 



La musicazione di un testo implica il tentativo di comporre qualcosa che appartiene al mondo contemporaneo al musicatore, non a quello contemporaneo all'autore delle parole. Si dà così origine a un insieme armonico di suoni che non poteva esistere all'epoca in cui visse il poeta. Il punto è che la sensibilità di un secolo viene ad essere innestata in un secolo diverso, con una sensibilità che potrebbe addirittura essere incompatibile. Non è un problema di poco conto. Si canta la Fortuna che abbandona ciò di cui aveva favorito la diffusione. Non dobbiamo però dimenticarci la forza spaventosa che tutto domina: l'Oblio. Ogni cosa finisce in una discarica, dove subisce disgregazione e si disfa nel Nulla. Mi pongo quindi una domanda. Ha senso la mia stessa opera? Ha senso che io mi curi di cose che sono state lasciate alla deriva? Ha senso che cerchi con ogni mezzo di ricostruirle, di restaurarle nella forma originale? No. Non ne ha nessuno. Dopo anni e anni di sforzi inani, sono costretto a questa conclusione, che nulla di sensato esiste nell'Universo. Siamo come topi in un labirinto variabile che non permette di dedurre una regola in grado di spiegarne il funzionamento. Questa mutabilità estrema ci condanna al logorio e alla morte vana.    

Glossario latino: 
 
abdicat "abbandona"  
consulem "il console" (accusativo di consul)
dans "che dà" 
dubium "dubbio" 
   dubia "dubbi" (neutro plurale)
de rhetore "dall'oratore"  
de stercore "dallo sterco" 
diruit "distrugge", "demolice", "manda in rovina"
edificat "costruisce" 
     (latino classico aedificat)
eligens "che elegge" 
erigens "che fa alzare"  
Fortuna "Fortuna, Sorte"
Fortune "della Fortuna, della Sorte" (genitivo) 
     (latino classico Fortunae
huic "a questo", "a costui" (dativo)
lubricum "scivoloso" (aggettivo neutro) 
non modicum "non scarso" (aggettivo neutro) 
nunc "ora, adesso" 
O varium Fortune lubricum "O Fortuna volubile e scivolosa", 
    alla lettera "O cosa volubile scivolosa della Fortuna"
paras "prepari" 
petere "chiedere, ricercare"
pauperem "il povero" (accusativo di pauper
premium "premio, ricompensa" 
     (latino classico praemium)
prepostere "confusamente, senza ordine" (avverbio)
      (latino classico praepostere
rote "alla ruota" (dativo) 
      (latino classico rotae)
quos prius coluit "coloro che prima trattava con riguardo": 
    quos "coloro" (accusativo plurale) 
    prius "prima" 
    coluit "trattava con riguardo" 
sublimia "le cose sublimi" (neutro plurale collettivo 
    dell'aggettivo sublimis
tamen "nondimeno, ciononostante" (avverbio) 
tribunal iudicum "tribunale dei giudici": 
   iudicum "dei giudici" (genitivo plurale di iudex "giudice") 

Si nota che dans dubium tribunal iudicum significa letteralmente "tribunale dei giudici che dà il dubbio".

Note sulla pronuncia e sull'ortografia: 
 
Si nota che in luogo del dittongo grafico ae si trova la vocale semplice e, così abbiamo Fortune, rote, edificat, premium, prepostere. Questa è una caratteristica tipica del latino medievale. 

Una peculiarità della musicazione è la posizione dell'accento, che cambia a seconda delle necessità del ritmo. Ecco un elenco di parole in cui l'accento cambia posizione: 
 
variúm anziché várium 
lubrícum anziché lúbricum 
dubiúm anziché dúbium 
tribunál anziché tribúnal  
modicúm anziché módicum 
coleré anziché cólere 
parás anziché páras
peteré anziché pétere 
roté anziché róte 
dubiá anziché dúbia 
tamén anziché támen
prepostére anziché praepóstere 
stercoré anziché stércore 
paupérem anziché páuperem 
erígens anziché érigens 
consúlem anziché cónsulem 
elígens anziché éligens
 
Forme con accentazione normale: 

Fortúne 
iúdicum 
húic 
prémium 
grátia 
sublímia 
túa
 
Anche nella poesia dell'antica Roma l'accento poteva subire simili variazioni. C'è però una differenza sostanziale. Nell'antica metrica a determinare la posizione dell'accento - che poteva contrastare con quella della lingua parlata - era la sequenza di sillabe brevi e sillabe lunghe secondo schemi precisi, come ad esempio quello dell'esametro. Qui invece è importante soltanto il ritmo musicale, dato che non vi è alcuna consapevolezza della quantità delle sillabe nel loro alternarsi.  

La pronuncia adottata è quella ecclesiastica ed accademica tipica della Germania, in cui g davanti a vocali anteriori ha il suono velare e non si palatalizza: 
 
erigens /e'rigens/ (anziché /'erigens/)
eligens /e'ligens/ (anziché /'eligens/)  
 
Come nella pronuncia ecclesiastica italica, t seguito da i e da vocale ha il suono affricato: 
 
gratia /'gratsia/ 
 
Non si ha l'approssimante /j/, bensì la vocale piena /i/
 
varium /vari-'um/ (anziché /'varium/)
dubium /dubi-'um/ (anziché /'dubium/)
dubia /dubi-'a/ (anziché /'dubia/)

Persino in iudicum all'inizio della parola si nota una sequenza iatale: 
 
iudicum /i-'udikum/
 
La pronuncia di qu è /kv/
 
quem /kvem/  
 
Si noti che questa pronuncia è comunque diversa da quella usata dai Clerici vagantes, che era la pronuncia carolingia elaborata dal dottissimo Alcuino per placare i timori superstiziosi del Re Carlo. 
 
Conclusioni 
 
Stupisce osservare che c'era molta più integrazione linguistica in Europa nel XI secolo che attualmente. Ai nostri giorni uno studente di Milano che volesse recarsi a frequentare lezioni all'Università di Parigi o di Strasburgo farebbe una grande fatica, dovrebbe parlare un inglese informe, alterato da pronunce scolastiche semiortografiche e corrotte. All'epoca invece esisteva una vasta comunità di giovani latinofoni che potevano andare ovunque, capire e farsi capire senza difficoltà con una lingua maneggevole dalla pronuncia facile. L'inglese usato nell'attuale Europa è distorto, turpe, dominato da una deformità abominevole: ogni parlante pronuncia i suoni incerti di quella lingua in modo tanto confuso da non poter essere quasi inteso da un suo conterraneo. Ci sono tante lingue pseudoinglesi quanti sono gli studenti! Pensiamo un po' a cosa doveva essere il mondo dei Goliardi (ben diversi dai tristissimi bulli che ne hanno usurpato il nome): tramite loro si tramandava in qualche modo il ricordo, seppur alterato, di Roma antica, il vagheggiamento di una gloria che strideva con la miseria del presente; con i loro attacchi contro l'alto clero ebbe vita un materiale che sarebbe riverberato per secoli, facendo infine diroccare l'edificio tirannico del Papato.  

mercoledì 28 aprile 2021

I CONTURBANTI MISTERI DELL'OLLA PODRIDA

Il piatto conosciuto come olla podrida (alla lettera "pentola marcia", pronuncia /'oʎa po'ðriða/) è tipico della cucina spagnola e gode di ottima tradizione, essendo già presente nella gastronomia medievale. È associato soprattutto alle regioni storiche dell'Estremadura e della Castiglia e León. È spesso considerato un bollito o un minestrone, anche se sarebbe più logico ritenerlo uno stufato. Gli ingredienti sono molteplici: carni varie, salsicce, lardo, altri cibi stagionati e affumicati, legumi, spezie e uova. Tutti convengono sul fatto che questa preparazione culinaria sia molto indigesta e adatta soprattutto ai climi rigidi. Il termine olla significa "pentola" e indica il nome del recipiente in cui tradizionalmente lo stufato composito viene cucinato; più precisamente si tratta di una pentola di argilla (olla de barro). È una parola che non presenta particolari problemi semantici. Le difficoltà le si incontra quando si cerca di analizzare l'attributo di olla, ossia podrida, che significa senza alcuna possibilità di errore "putrida, imputridita, marcia". Perché dare a un piatto glorioso e saporito un nome tanto dequalificante e umiliante? 
 
 
L'inconsistenza dell'etimologia tradizionale 

A un certo punto le genti di Spagna hanno provato un immenso imbarazzo per il nome dell'olla podrida. Per risolvere un simile assillante problema, hanno fatto ricorso all'etimologia popolare, dando un'origine implausibile all'aggettivo podrida, sommamente scomodo. Si è così diffusa l'idea secondo cui il nome originale dello stufato composito sarebbe stato olla poderida, interpretato come "pentola poderosa", da poder "potere". Le spiegazioni addotto sono in sostanza due: 
 
1) lo stufato se lo sarebbero potuti permettere soltanto i potenti (quindi sarebbe da interpretare "pentola dei poderosi", perché era "un plato muy ríco y costoso"); 
2) lo stufato sarebbe stato chiamato così per via della sua pesantezza, della potenza dei suoi molteplici ingredienti.
 
In ogni caso, secondo questa storiella invereconda, la fantomatica olla poderida sarebbe in seguito diventata per naturale evoluzione fonetica olla podrida: da qui la confusione con l'aggettivo podrida il cui significato è "marcia, imputridita". Stupisce che gli accademici, in mancanza di meglio, diano credito a una baggiata così colossale. Nessuno tra gli studiosi sembra aver notato una cosa molto semplice: non è mai esistito nella lingua spagnola un aggettivo *poderido "poderoso". Non se ne trova nemmeno una singola attestazione in tutta la letteratura spagnola. Non è mai esistito, anche perché è formato male. Il suffisso -ido è tipico del participi passati. Non è possibile aggiungere il suffisso del participio passato all'infinito di un verbo, come è appunto poder "potere". Non si può aggiungere -ido a -er nemmeno considerando poder come un sostantivo derivato dall'infinito dell'omonimo verbo. Questa formazione presupporrebbe l'esistenza di un verbo *poderir, con due suffissi dell'infinito, il che è semplicemente assurdo! Quindi tutti se ne devono fare una ragione: podrida significa proprio "marcia, imputridita" e non ha altro senso possibile.
 
Rudimentali tentativi di spiegazione  

Il lessicografo, crittografo e presbitero spagnolo Sebastián de Covarrubias y Orozco (Toledo, 1539 - Cuenca, 1613), ha scritto a proposito dell'olla podrida quanto segue: "por cuanto que se cuece muy despacio, que casi lo que tiene dentro viene a deshacerse", ossia "siccome cuoce molto lentamente, che quanto c'è dentro viene a disfarsi". Sempre meglio della favola della "pentola poderosa". Teniamo conto del fatto che lo stufato composito poteva essere un piatto di recupero, con cui processare avanzi di ogni tipo, anche carne un po' rancida. L'usanza di recuperare carne speziandola e cuocendola a lungo è ben nota anche tra gente di terre lontane: le badani ucraine cucinano la carne di cattiva qualità lessandola e riempiendola d'aglio; anni fa ne vidi una cucinare della carne passata che già aveva cattivo odore, trattandola con aceto e spezie, ottenendone uno stufato che sembrava fatto di carne fresca. Qualcuno ha persino supposto che l'olla podrida fosse chiamata così per pura e semplice ironia. L'ipotesi mi pare comunque abbastanza implausibile.   
 
Adattamenti in altre lingue 
 
Adattamento in italiano: olla podrida, ogliapodrida, òglia podrida, òglia putrida, òglia pudrida, ogliopotrida (l'accento è sempre sulla sillaba -ri-: podrìda, etc.); pentola marcia (quest'ultima voce è un calco, ossia una traduzione letterale).  
Adattamento in francese: pot pourri (si tratta di un calco, ossia di una traduzione letterale, da pot "pentola" e pourri "marcio"); sembra che il neologismo sia stato coniato da François Rabelais e di fatto compare per la prima volta in una sua opera, il Quinto libro di Pantagruel (pubblicato nel 1564). 
Adattamento in inglese: olio, glossato come "A spiced meat and vegetable stew of Spanish and Portuguese origin. Hence: any dish containing a great variety of ingredients" (Oxford English Dictionary).
 
Effetto boomerang: Il francese pot pourri (o pot-pourri), usato in ambito musicale o letterario per indicare una composizione di vari generi, è entrato in spagnolo come popurrí - anche se mai applicato all'ambito culinario. È parimenti entrato in italiano come pot-pourri /popu'ri/ (adattamento familiare pupurrì), con la stessa accezione, avendo anche il significato di "mescolanza di cose eterogenee". Allo stesso modo in inglese si ha potpourri /ˌpəʊpəˈɹiː/, /pəʊˈpʊəɹi/, /pəʊˈpɔːɹi/ (UK), /ˌpoʊ.pʊˈɹiː/, /ˈpoʊ.pʊɹiː/ (US), con la stessa accezione molto estesa: "A collection of various things; an assortment, mixed bag or motley".
 
Citazioni letterarie 
 
Riportiamo in questa sede i testi di quattro autori che menzionano il piatto spagnolo:  

"Quel piattone fumante laggiù mi sembra proprio olla podrida” – afferma il fedele scudiero e compagno di avventure di Don Chisciotte “e per la quantità di cose diverse che ci mettono non potrò non trovarcene qualcuna di mio gusto e giovamento" 
(Miguel de Cervantes Saavedra, Don Chisciotte della Mancia, Libro II, cap. 47)
 
"Però, se volete più sicuramente filosofare dite che de' corpi integranti dell'universo, quelli che son per natura mobili, si muovon tutti circolarmente, e che però la calamita, come parte della verace primaria ed integral sustanza del nostro globo, ritien della medesima natura; ed accorgetevi con questa fallacia, che voi chiamate corpo misto la calamita, e corpo semplice il globo terrestre, il quale si vede sensatamente esser centomila volte più composto poiché, oltre il contenere mille e mille materie tra sé diversissime, contien egli gran copia di questa che voi chiamate mista, dico della calamita. Questo mi pare il medesimo, che se altri chiamasse il pane corpo misto, e corpo semplice l’ogliopotrida, nella quale entrasse anco non piccola quantità di pane, oltre a cento diversi companatici."
(Galileo Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo) 

Il sonno tarda a venire
poi mi raggiungerà senza preavviso.
Fuori deve accadere qualche cosa
per dimostrarmi che il mondo esiste e che
i sedicenti vivi non sono tutti morti.
Gli acculturati i poeti i pazzi
le macchine gli affari le opinioni
quale nauseabonda olla podrida!
E io lì dentro incrostato fino ai capelli!
Stavolta la pietà vince sul riso. 
(Eugenio Montale, Dormiveglia) 

“Se mi conosceste di più” rispose sorridendo il conte, “non vi preoccupereste di una cosa quasi umiliante per un viaggiatore come me, che ha successivamente vissuto con maccheroni a Napoli, con polenta a Milano, con olla podrida a Valenza, con riso asciutto a Costantinopoli, con karrick nelle Indie, e con nidi di rondini nella Cina. Non c’è una cucina particolare per un cosmopolita come me: mangio di tutto ed in ogni luogo; solo mangio poco, ed oggi che mi rimproverate la mia sobrietà, sono in una delle giornate del mio massimo appetito, perché da ieri mattina non ho più mangiato.”
(Alexandre Dumas, Il conte di Montecristo) 

Alcune deduzioni culturali e antropologiche. Il testo di Galilei ci mostra come l'olla podrida fu importata in Italia, dove fu protagonista delle tavole dei ceti abbienti nel XVI-XVII secolo. Montale etichettò l'olla podrida come "nauseabonda", forse più per il significato letterale del termine che per esperienza diretta del piatto. Anche Cervantes sembrava nutrire poco amore per l'olla podrida, credo per via di problemi di digestione.
 
La soluzione del mistero della pentola marcia 
 
Ricordo quando mangiavo tranci di prosciutto cotto, che era in uno stato appena appena migliore di quello della Marina Militare Britannica. Era grigiastro. Mancavano soltanto i bigattini brulicanti. Lo tagliavo a dadi e lo ingurgitavo avidamente! Mi faceva defecare zolfo liquido e caustico per giorni. Un fetore spaventoso, come se avessero rotto con una spranga un quintale di uova marce. Fuoriuscita di emorroidi, sfintere anale ustionato, come se fosse venuto a contatto con un carbone ardente. Questo sentenziò giustamente Andrea M., non appena lesse su Facebook delle mie difficoltà intestinali e anali:

"Chi mangia ben di Dio, caga peste"

L'olla podrida non è chiamata così per via dei suoi ingredienti o della procedura di preparazione: ha ricevuto questo nome perché fa produrre feci pestilenziali, marce, fortemente disbiotiche! Non è tanto l'input ad essere importante per la definizione, quanto l'output! Possibile che nessun filologo ci sia mai arrivato? 
 
Scatologie iberiche 

L'ipocrisia degli Spagnoli riguardo alle feci è a dir poco grottesca. Intendono rimuovere ogni allusione alla merda, poi sodomizzano volentieri e senza nemmeno usare clismi. Le ragazze spagnole smerdano pitoni giganteschi e scorreggiano in modo fragoroso. Ebbi il piacere di sentirne alcune mentre mi trovavo nelle latrine di un rifugio di montagna: mentre cercavo di liberare la vescica, le gentili donzelle usavano il cesso attiguo, una dietro l'altra. Svuotavano rapidamente gli intestini, facendo concerti con la tromba di culo! Ricordo un video porno interpretato da una coppia spagnola. Lei era una pingue chubby, lui era un ragazzo robusto e col pizzetto. Prima le ha leccato l'ano, poi ha spinto dentro il glande eccitato, nell'accogliente budello, cominciando a stantuffare. A un certo punto la chubby si è ritratta e gli ha deposto un escremento scuro sul glande. La povera ragazza grassoccia non era riuscita a trattenersi mentre lui le scavava dentro! Il ganzo non ha voluto continuare il coito e ha esclamato stizzito: "¡Es suficiente! ¡Es suficiente!" Non ha nemmeno eiaculato. All'epoca in cui la tradizione dell'olla podrida era al massimo del suo splendore, non si poteva nemmeno pensare al sesso anale, pena l'essere bruciati vivi sul rogo dall'Inquisizione. Oggi i divieti anti-sodomitici non sono più in vigore, eppure la materia fecale non la vuole sentir nominare nessuno, neanche quando ce l'ha addosso per qualche attività ludica finita male. Questo è quanto. 

martedì 6 aprile 2021

IL CULTO DI NERONE: ELEMENTO DI CONTINUITÀ TRA L'IMPERO ROMANO E IL MEDIOEVO

Esiste una zona di Roma chiamata Tomba di Nerone. È la cinquantatreesima zona di Roma nell'Agro Romano, indicata con Z. LIII; è nota con lo stesso nome anche la zona urbanistica 20C del Municipio Roma XV. Il toponimo è davvero singolare, ne converrete tutti. Il toponimo Tomba di Nerone trae la sua origine dalla presenza di un grande monumento sepolcrale sulla via Cassia, che la tradizione popolare attribuisce all'Imperatore Nerone Claudio Cesare Augusto Germanico (Anzio, 15 dicembre 37 d.C. - Roma, 9 giugno 68 d.C.), nato Lucio Domizio Enobarbo, ultimo appartenente alla dinastia giulio-claudia. In realtà è la tomba di Publio Vibio Mariano, proconsole e preside della Sardegna e prefetto della Legio II Italica, vissuto nel III secolo d.C.; nel sarcofago è sepolta anche sua moglie Reginia Maxima. Il monumento fu fatto erigere dalla figlia della coppia, Vibia Mària Maxima.  

 
L'epitaffio
 
Questo è il testo dell'iscrizione sepolcrale in latino, tuttora visibile: 

D M S  
P. VIBI P.F. MARIANI E M V PROC
ET PRAESIDI PROV SARDINIAE PP BIS
TRIB COHH X PR XI VRB III VIG PRAEF LEG
II ITAL PP LEG III GALL FRVMENTARIO
ORIVNDO EX ITAL IVL DERTONA
PATRI DVLCISSIMO
ET REGINIAE MAXIMAE MATRI
KARISSIMAE
VIBIA MARIA MAXIMA C F ET HER 

Così può essere restaurato:
 
D(is) M(anibus) S(acrum) 
P. VIBI P.F. MARIANI E(gregiae) M(emoriae) V(iro) PROC(uratori)
ET PRAESIDI PROV(inciae) SARDINIAE P(rimo)P(ilo) BIS
TRIB(uno) COHH(ortis) X PR(aetoriae) XI VRB(anae) III VIG(ilum) PRAEF(ecto) LEG(ionis) 
II ITAL(icae) P(rimo)P(ilo) LEG(ionis) III GALL(icae) FRVMENTARIO 
ORIVNDO EX ITAL(ia) IVL(ia) DERTONA 
PATRI DVLCISSIMO 
ET REGINIAE MAXIMAE MATRI 
KARISSIMAE 
VIBIA MARIA MAXIMA C(larissima) F(emina) ET HER(es)  

Vediamo subito che il sepolto era un importante politico nativo di Tortona (all'epoca Iulia Dertona). L'abbondante uso di abbreviazioni ha contribuito a rendere l'iscrizione poco comprensibile anche alle poche persone tra il volgo dotate di qualche dimestichezza con le lettere dell'alfabeto.  
 
 
Veniamo al dunque. Da dove è nata e si è diffusa la credenza popolare che in questo monumento riposassero le spoglie dell'Imperatore Nerone, a dispetto dell'iscrizione che dimostra il contrario? Per capirlo dobbiamo fare un passo indietro nella Storia e proiettarci agli inizi del XII secolo. 
 
 
La tomba perduta 
 
La vera sepoltura di Nerone si trovava sul Colle degli Ortuli, dove oggi sorge la basilica di Santa Maria del Popolo, proprio a Piazza del Popolo. Questa tomba era denominata Mausoleo dei Domizi Enobarbi. Le ceneri dell'Imperatore, morto suicida il 9 giugno dell'anno 68 e cremato, vi erano conservate in un'urna di porfido sormontata da un altare di marmo di Luni. Il sepolcro era dominato da un immenso albero, un noce secolare tra le cui fronde si accalcavano corvi chiassosi in gran numero. Proprio questi sinistri volatili destarono terrore in Papa Pasquale II (regno: 1099 - 1118), che li riteneva esseri funesti e demoniaci. Il Pontefice, ossessionato da una rudimentale applicazione della scienza teologica ebraica conosciuta come Ghematriah, era convinto che Nerone fosse l'Anticristo e che sarebbe risorto presto dalla sua tomba, scatenando l'Apocalisse, portando il caos sulla Terra e riprendendosi il suo trono. Stando alla tradizione, tra il volgo correvano voci insistenti sulle streghe di Roma che si riunivano in quel luogo spettrale a mezzanotte ed evocavano gli spiriti maligni. Accadde così che nel primo anno del suo regno, Papa Pasquale ordinò di abbattere il noce e l'altare, facendo distruggere l'urna cineraria e disperdere nel Tevere i resti mortali dell'Imperatore (secondo un'altra versione ci sarebbero state ancora delle ossa, combuste insieme al noce). A consigliare il Pontefice sarebbe stata addirittura una supposta apparizione mariana avuta in sogno, in cui una figura che diceva di essere la Madre di Dio gli avrebbe chiesto di distruggere la tomba imperiale e di cancellare ogni traccia di Nerone da Roma. Questi resoconti, anche se in parte contraddittori, rendono l'idea del clima didelirio mistico e di terrore soprannaturale imperante! Come "riparazione", il Pontefice fece erigere sul luogo una cappella commemorativa dedicata alla Vergine, che secoli dopo si sarebbe sviluppata nella basilica di Santa Maria del Popolo. Secondo la narrazione ecclesiastica ufficiale, sarebbe stato lo stesso popolo romano a implorare Papa Pasquale di praticare il rito esorcistico e di demolire la tomba, versando contributi per la costruzione della cappella (che in realtà prende il nome da un albero: popolo = pioppo). C'è poi un problema di non poco conto. Per il popolo romano, Nerone era una figura molto riverita. Era ricordato come un sovrano il cui governo fu felice, illuminato e prospero: l'esatto contrario di quanto andavano sostenendo da molti secoli i Cristiani. In occasione dell'anniversario della sua morte, il 9 giugno, gli venivano portati fiori. Questo affetto per un passato imperiale tanto scomodo era considerato dal Papato uno scandalo insopportabile, da reprimere e di cui cancellare ogni memoria. La distruzione dei resti di Nerone ebbe le sue conseguenze immediate. Accadde che si scatenarono gravi tumulti. Per sedare gli insorti fu diffusa artatamente la falsa voce secondo cui le ceneri dell'Imperatore sarebbero state traslate nottetempo - per non meglio precisate ragioni di sicurezza - proprio nel sepolcro di Publio Vibio Mariano sulla via Cassia. Paradossalmente il luogo non era molto lontano da quello in cui Nerone si era suicidato. Comunque ci fu chi non credette alla voce e continuò a portare fiori nella cappella al Colle degli Ortuli. Altri intrapresero pellegrinaggi per visitare la nuova tomba del Divo, nonostante si trovasse ben al di fuori delle mura della città e non fosse agevole da raggiungere. In ogni caso il culto non si estinse e le speranze del Pontefice andarono deluse. Da questa usanza di recarsi una volta all'anno sulla via Cassia a portare fiori a Nerone nacque la famosa "gita fuori porta".  
 
Nerone e il Numero della Bestia  
 
Veniamo ora alla Ghematriah. Una delle ossessioni più potenti del Cristianesimo, associata al Libro della Rivelazione scritto da Giovanni di Patmos, è senza dubbio il cosiddetto Numero della Bestia, ossia 666 (seicentosessantasei). Ecco il passo (Apocalisse 13, 16-18): 
 
"Faceva sì che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi ricevessero un marchio sulla mano destra e sulla fronte; e che nessuno potesse comprare o vendere senza avere tale marchio, cioè il nome della Bestia o il numero del suo nome. Qui sta la sapienza. Chi ha intelligenza calcoli il numero della Bestia: infatti è numero d'uomo, e il suo numero è seicentosessantasei."
 
Questo è il testo in greco: 
 
"καὶ ποιεῖ πάντας, τοὺς μικροὺς καὶ τοὺς μεγάλους, καὶ τοὺς πλουσίους καὶ τοὺς πτωχούς, καὶ τοὺς ἐλευθέρους καὶ τοὺς δούλους, ἵνα ⸀δῶσιν αὐτοῖς ⸀χάραγμα ἐπὶ τῆς χειρὸς αὐτῶν τῆς δεξιᾶς ἢ ἐπὶ τὸ μέτωπον αὐτῶν, καὶ ἵνα μή τις ⸀δύνηται ἀγοράσαι ἢ πωλῆσαι εἰ μὴ ὁ ἔχων τὸ χάραγμα, τὸ ὄνομα τοῦ θηρίου ἢ τὸν ἀριθμὸν τοῦ ὀνόματος αὐτοῦ. ὧδε ἡ σοφία ἐστίν· ὁ ἔχων νοῦν ψηφισάτω τὸν ἀριθμὸν τοῦ θηρίου, ἀριθμὸς γὰρ ἀνθρώπου ἐστίν· καὶ ὁ ἀριθμὸς ⸀αὐτοῦ ⸂ἑξακόσιοι ἑξήκοντα ἕξ⸃."
 
Il latino Nero Caesar "Cesare Nerone" è stato adattato in greco come Νέρων Καίσαρ (Nerōn Kaisar). I nomi maschili latini in (III declinazione) sono adattati in come nomi maschili in -ων (-ōn). La trascrizione di Νέρων Καίσαρ in lettere ebraiche è נרון קסר. Ad ogni lettera dell'alfabeto ebraico (e allo stesso modo di quello aramaico) è associato un valore numerico, come accade anche per l'alfabeto greco. Ecco il calcolo che secondo Giovanni avrebbe dovuto fare chi ha intelligenza: 
 
נ  N (nun) = 50
ר  R (resh) = 200
ו  W (waw) = 6
ן  N (nun) = 50
ק  Q (qof) = 100
ס  S (samekh) = 60
ר  R (resh) = 200
 
Totale: 50 + 200 + 6 + 50 + 100 + 60 + 200 = 666 
 
Alcuni criticano la riportata trascrizione in lettere ebraiche, che è invece ineccepibile. La lettera samekh è la consonante adatta per trascrivere la sibilante di Caesar. La grafia קסר QSR (variante קיסר QYSR) è attestata e non è frutto di fantasia. La mater lectionis waw in נרון NRWN non deve essere omessa, mentre può essere omessa la mater lectionis yod, che è presente nella grafia קיסר QYSR.

Notiamo che alcuni codici antichi hanno 616 (seicentosedici) come Numero della Bestia. Ireneo riteneva che questa discrepanza fosse dovuta e errori di copiatura. Non è così. La dimostrazione è presto fornita. Trascrivendo la forma latina Nero Caesar in lettere ebraiche, senza passare attraverso la mediazione greca, otteniamo questo calcolo: 
 
נ  N (nun) = 50
ר  R (resh) = 200
ו  W (waw) = 6
ק  Q (qof) = 100
ס  S (samekh) = 60
ר  R (resh) = 200
 
Totale: 50 + 200 + 6 + 100 + 60 + 200 = 616

La differenza tra i due numeri è proprio il valore numerico della lettera nun finale nel nome dell'Imperatore, presente in un caso e assente nell'altro! Non c'è quindi alcuna contraddizione tra 666 e 616. Questo risultato è un fortissimo indizio a favore dell'interpretazione del Numero della Bestia come forma cifrata del nome di Nerone col suo epiteto Cesare (ossia "Imperatore"). 
 
Sono da rigettarsi tutte le infinite interpretazioni strampalate che si leggono nel Web. Non stiamo nemmeno a citarle tutte. Basterà riportare quella che vede nel numero 6 qualcosa di difettoso rispetto al numero 7, esprimente invece la perfezione; la ripetizione del 6 per tre volte indicherebbe un'imperfezione indefettibile, diabolica. Eppure Giovanni dice chiaramente che 666 è "numero d'uomo". Evidentemente molti fanatici biblici le Scritture nemmeno le leggono. Ancor più assurda è l'identificazione del 666 con i vaccini o con i chip sottocutanei: se anche Giovanni avesse visto tali cose, non avrebbe saputo interpretarle. Invece egli scrive che chi ha intelligenza sa come eseguire il calcolo. Si rivolgeva ai suoi correligionari, a cui bastava saper leggere, scrivere e far di conto. Nulla di trascendentale! 
 
Alcuni sostengono che il Libro della Rivelazione sarebbe stato composto all'epoca di Domiziano, quando Nerone era già defunto da tempo. Va detto questo: 
1) Secondo autori come Origene, Clemente di Alessandria e San Gerolamo, il Libro della Rivelazione fu invece composto all'epoca di Nerone; 
2) Esisteva l'idea secondo cui Domiziano sarebbe stato Nerone redivivo. In altre parole, Nerone era diventato per molti Cristiani (non per tutti) un epiteto dell'Anticristo.  
 
Si evidenzia uno dei gravissimi limiti della Ghematriah, che ora della fine ne dimostra l'intrinseca inconsistenza, è proprio questo: non riesce a distinguere le radici dei nomi (portatrici di significato) da elementi come suffissi e terminazioni dei casi; non riesce a tenere conto dei piccoli cambiamenti fonetici e morfologici dovuti all'adattamento di una parola da una lingua a un'altra.

Il terrore del Ritornante 

Questo afferma Agostino d'Ippona nel De Civitate Dei (20, 19, 3):

"Vi sono perciò persone che affermano che Nerone risorgerà e diventerà l’Anticristo, mentre altri suppongono che egli non sia morto, ma sia scomparso in modo da farlo credere ucciso, e sia ancora vivo e nascosto e nel pieno dell’età che aveva al tempo della sua presunta morte, finché «non venga rivelato al tempo giusto per lui» e rimesso sul suo trono. Quanto a me, sono assai stupito dalla grande presunzione di coloro che azzardano simili congetture."

Anche se l'Ipponate non approvava queste credenze, ne ha documentato l'esistenza e la diffusione ancora nella sua epoca. Sono le stesse che terrorizzavano Papa Pasquale II molti secoli dopo! 

Deduzioni su un culto di grande importanza 
 
Sono dell'idea che non si possa trascurare un fatto di per sé evidente: gli onori tributati alla memoria di Nerone dal popolo romano si sono trasmessi dall'Antichità imperiale al Medioevo in modo diretto e senza soluzione di continuità. La costumanza di portare fiori a Nerone comparve subito dopo la sua morte e la ritroviamo tal quale ai tempi di Pasquale II. La storiografia tradizionale si è affannata per lungo tempo a sostenere la discontinuità tra il Medioevo e l'Evo Antico, interpretati come due universi senza alcuna connessione, fatti di sostanze del tutto dissimili. A quanto possiamo dimostrare con questi studi, una simile concezione non è ben fondata, perché presenta almeno una grave falla.          

Alcuni siti utili 

Riporto alcuni link a interessanti siti del Web che trattano questi argomenti, purtroppo negletti dalla storiografia e non sufficientemente indagati dagli studiosi.
 
 
 
 
 
Le fonti menzionate nella Wikipedia in italiano sono le seguenti: 

1) Filippo Coarelli, Guida archeologica di Roma, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1984;
2) Massimo Fini, Nerone. Duemila anni di calunnie, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1993; 
3) Edward Champlin, Nerone, Editori Laterza, 2010. 
 
Ho potuto avere accesso agli ultimi due lavori. In particolare quello di Champlin è eccellente. Una vera e propria miniera di informazioni preziose. 

 
Il Belli e il ricordo di Nerone  

Giuseppe Gioachino Belli (1791 - 1863) scrisse nel 1831 un sonetto intitolato Un deposito, in cui fa menzione della tomba di Vibio Mariano e della sua attribuzione a Nerone.
 
"Io qui ritraggo le idee di una plebe ignorante, comunque in gran parte concettosa ed arguta, e le ritraggo, dirò, col concorso di un idiotismo continuo, di una favella tutta guasta e corrotta, di una lingua infine non italiana e neppur romana, ma romanesca. Questi idioti o nulla sanno o quasi nulla: e quel pochissimo che imparano per tradizione serve appunto a rilevare la ignoranza loro: in tanto buio di fallacie si ravvolge. Sterili pertanto d’idee, limitate ne sono le forme del dire e scarsi i vocaboli." 

Questo è il sonetto:
 
Un deposito 
 
Dove nasce la cassia, 
a mmanimanca, nò a ppontemollo, tre mmía piú llontano, 
ce sta ccome un casson de pietra bbianca
o nnera, cor P. P. der posa-piano.


Lí, a Rromavecchia, ha dditto l’artebbianca, 
ce sotterronno un certo sor Mariano, 
che mmorze de ’na palla in una scianca 
a la guerra indov’era capitano.

Duncue, o cqui er morto è stato sbarattato;
e allora me stordisco de raggione
ch’er governo nun ciabbi arimediato.


O cchi ha scritto er pitaffio era un cojjone:
perché, da sí cch’er monno s’è ccreato,
questa è la sepportura de Nerone. 

Si menziona una rudimentale conoscenza del latino da parte di un fornaio (denominato artebbianca, ossia "arte bianca"), che riesce a identificare il nome del personaggio sepolto, Mariano, pur attribuendogli gesta anacronistiche: sarebbe morto sul campo di battaglia per un proiettile in una gamba. Di fronte alla stridente incongruenza tra la tradizione e i dati raccoglibili tramite i sensi, il popolano trova soltanto due spiegazioni possibili: o hanno sgombrato i resti di Nerone mettendoci dentro quelli di un certo Mariano, oppure il lapicida era un idiota che ha scritto "Mariano" anziché "Nerone" per incompetenza.    
 
Gli idioti di Quora  

Nel triste e turpissimo social network denominato Quora mi sono imbattuto in una lunghissima serie di dementi fallocefali e stolitissimi, la cui cultura è essenzialmente cinobalanica, oltre che autoreferenziale. Il loro ragionamento è questo: se una cosa non è scritta sui libri di scuola su cui hanno studiato al liceo, allora non esiste. Sic et simpliciter. Quando qualcuno riporta loro qualcosa che non hanno mai sentito, reagiscono con stizza e lo aggrediscono, accusandolo di inventare di sana pianta. Così questi saputelli gnè gnè gnè, senza alcuna cognizione di causa, negavano l'esistenza stessa del culto di Nerone, pur essendone documentata la persistenza. Mi faccio una domanda. Perché non si calano in un crogiolo di fonderia per ricevere addosso una colata di ghisa? 
 
 
Il culto non muore!
 
Alla faccia di Pasquale II e degli stolti che hanno creduto alle sue boiate, in qualche modo il culto di Nerone è sopravvissuto fino ai nostri giorni. Esistono prove inconfutabili di questo fatto. Ancora oggi qualcuno lascia fiori a Santa Maria del Popolo, per onorare il Benefattore la cui fama immensa ha sfidato i millenni, caso quasi unico in tutta la Storia. Nel 2010 è stato inaugurata ad Anzio una statua di bronzo dedicata a Nerone, opera dello scultore Claudio Valenti, con una targa commemorativa riportante la seguente iscrizione: 
 
"Nerone Claudio Cesare Augusto Germanico, nato ad Anzio il 15/12/37 d.C. con il nome di Lucio Domizio Enobarbo,  figlio di Gneo Domizio Enobarbo e di Agrippina Minore, sorella dell'imperatore Caligola. Nel 54 d.C. divenne imperatore per acclamazione dei pretoriani. Durante il suo principato l'impero conobbe un periodo di pace, di grande splendore e di importanti riforme. Morì il 9/06/68 d.C." 
 
Queste sono le parole di Luciano Bruschini, all'epoca sindaco di Anzio:

"Probabilmente è l'unico monumento al mondo dedicato all'Imperatore Nerone, nostro concittadino. Non a caso abbiamo posizionato la statua davanti all'antico porto neroniano e nelle immediate vicinanze del Parco Archeologico della Villa di Nerone. Infatti diverse vicende della vita dell'Imperatore Nerone sono legate al luogo natale, sede di una residenza imperiale che, nei secoli, ha assunto le dimensioni monumentali che tuttora ammiriamo nell'area tra il faro, il Porto Neroniano e l'Arco Muto".
 
E ancora: 
 
"A distanza di venti secoli finalmente gli storici seri stanno rivalutando la figura di Nerone: un grande Imperatore, amato dal suo popolo, per le sue coraggiose riforme sociali e per il lungo periodo di pace che ha caratterizzato il suo principato che con questo monumento contribuiamo a ricordare come merita, superando ridicole ricostruzioni storiche e cinematografiche."
 
Questo riporta Champlin nella nota 44 del suo utilissimo libro:
 
"Nel 1909 Lanciani osservò a proposito di Anzio, la città dove erano nati l’imperatore e la sua unica figlia: «Nerone è ancora l’eroe popolare di Anzio e il protagonista di molte leggende del suo folklore» (Lanciani 1909, 340). Si paragonino le storie sul bagno di latte di Poppea narrate ancora oggi nella zona del suicidio di Nerone a nord di Roma: Quilici e Quilici Gigli 1986, 102, n. 125."
 
Tutto ciò si contrappone all'irriverenza di Petrolini, che guittescamente schernì l'indimenticabile Cesare, ritraendolo nelle sue squallide macchiette come un decerebrato dall'aspetto oltremodo grottesco. Ancor più esecrabile è la rappresentazione fatta da Mel Brooks, che nel film demenziale La pazza storia del mondo (History of the World, Part I, 1981) ha ritratto Nerone come un odioso panzone calvo e sostanzialmente imbecille - cosa che non era affatto - e per giunta intento a spappolare pomodori che non potevano esistere! 

 
Meritoria opera di ricostruzione 
 
Uno studioso e artista spagnolo, Salva Ruano, ha prodotto una serie di statue iperrealistiche per il suo progetto Césares de Roma, dedicato ai grandi protagonisti storici dell'Urbe. La base su cui si fonda la sua opera immensa ed ingegnosa sono le raffigurazioni scultoree dell'epoca antica e le fonti letterarie, che permettono di ricreare il passato con una precisione che ha dell'incredibile. Riporto le sue commoventi parole: "Questo è il progetto artistico più importante della mia vita, unisce le mie grandi passioni: l’arte e la storia". Il volto di Nerone è stato ricostruito a grandezza naturale servendosi di silicone, acrilico e capelli naturali. Così riporta Gaio Svetonio Tranquillo: "La sua statura si avvicinava alla media, il suo corpo era coperto di macchie", aggiungendo "Gli occhi erano incavati e deboli alquanto, il collo grosso". Le macchie sul corpo erano efelidi. La chioma era di un bel colore rosso, gli occhi erano chiari.      

Conclusioni
 
Naturalmente sono un grandissimo fan dell'Imperatore Nerone e reputo che egli sia la soluzione ideale alle piaghe che affliggono Roma e l'Italia intera. Possa risorgere dall'Ade!