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venerdì 22 novembre 2019

NOTE SUL LAVORO DI LUBOTSKY O IL SOSTRATO NELL'INDOIRANICO

Alexander Lubotsky (Università di Leida) è l'autore del lavoro The Indo-Iranian substratum (Il sostrato indoiranico), pubblicato originariamente in Early Contacts between Uralic and Indo-European: Linguistic and Archaeological Considerations (Contatti precoci tra uralico e indoeuropeo: considerazioni linguistiche e archeologiche). Il contributo è stato presentato a un simposio internazionale tenuto alla Stazione di Ricerca di  Tvärminne dell'Università di Helsinki, 8-10 gennaio 1999. L'articolo è consultabile e scaricabile al seguente url:


È un'approfondita trattazione degli elementi di sostrato comuni alle lingue indiane e a quelle iraniche, con discussione della loro struttura fonetica e morfologica, oltre a elenchi di radici. Questa è la sinossi, da me tradotta:

"Lo studio dei prestiti può essere uno strumento potente per determinare i contatti culturali preistorici e le migrazioni, ma questo strumento è usato in modo diverso in varie discipline. Così gli studi sui prestiti sono pienamente accettati nella linguistica uralica, mentre gli indoeuropeisti sono spesso riluttanti a riconoscere l'origine straniera di parole attestate nelle lingue indoeuropee. La ragione è ovvia: in uralico, noi conosciamo la sorgente dei prestiti (indoiranico, germanico, baltico), mentre la sorgente di possibili prestiti in indoeuropeo è di solito sconosciuta. Nonostante ciò, è una questione di grande importanza distinguere tra il lessico ereditato e i prestiti, anche se la lingua donatrice non può essere determinata. 
Negli anni recenti la metodologia per trattare i prestiti da una fonte sconosciuta è stata sviluppata da Kuiper (1991 e 1995), Beekes (1996) e Schrijver (1997). Come questi studiosi hanno fatto notare, un etimo è verosimilmente da considerarsi un prestito se è caratterizzato da qualcuna delle seguenti caratterstiche: 1) distribuzione geografica limitata; 2) irregolarità fonologica o morfofonologica; 3) fonologia insolita; 4) formazione insolita di parole; 5) semantica specifica, es. una parola appartiene a una categoria semantica che è particolarmente suscettibile di essere presa a prestito." 

Concordo sull'immensa importanza della scienza dei prestiti. Dissento invece sulle ragioni della riluttanza degli indoeuropeisti a riconoscere questo. Non lo fanno perché le lingue donatrici sono ignote, bensì per ragioni ideologiche e dogmatiche. Ragioni che non di rado sono contaminate dalla politica. Ho conosciuto indoeuropeisti convinti che i popoli di lingua indoeuropea debbano essere "moralmente superiori" a popoli che parlano lingue di ceppi diversi.  Quindi passano ad applicare il concetto di "superiorità morale" direttamente alle lingue e persino alle singole parole che ne compongono il lessico. C'è anche un'altra cosa su cui non sono molto d'accordo. Gli uralisti accettano pienamente l'esistenza di prestiti dall'indoiranico, dal germanico e dal baltico nelle lingue uraliche. Diverso discorso quando si tratta di elementi di sostrato provenienti da lingue ignote che compaiono come sostrato, numerosi ad esempio nelle lingue uraliche dei Saami (Lapponi). Sorge allora una specie di puritanesimo non troppo dissimile da quello dei Neogrammatici: ecco che la reazione spontanea di molti studiosi è quella di ricondurre le parole problematiche a etimologie conosciute, anche a costo di far loro violenza. Per fortuna c'è chi fa eccezione. 
 
L'autore applica le linee guida di Kuiper-Beekes-Schrijver al lessico indoiranico alla ricerca di prestiti di origine sconosciuta entrati nella protolingua in epoca anteriore alla sua suddivisione in due rami. Lo studio si fonda su una lista, raccolta dall'etimologo Manfred Mayrhofer (1926 - 2011) e contenente circa 120 parole sanscrite provviste di corrispondenze iraniche, ma prive di chiari collegamenti al di fuori dell'indoiranico. 
 
Le parole della lista di Mayrhofer soddisfano il criterio della limitata distribuzione geografica. Ciò non è però sufficiente. Infatti una parola potrebbe essere priva di un'etimologia credibile solo perché è andata perduta in tutti gli altri rami dell'indoeuropeo, restando soltanto in indoiranico. Può anche darsi che si brancoli nel buio perché l'etimologia corretta non è ancora stata trovata. Soltanto in presenza di altre caratteristiche tipiche di un prestito l'autore prende seriamente in considerazione l'idea di un'origine straniera. Nell'articolo il termine "sostrato" si usa per ogni lingua donatrice di prestiti, senza considerare che potrebbe essere anche un adstrato o un superstrato: la distinzione non può essere determinata allo stato attuale delle conoscenze. Ci potrebbe anche essere stata più di una lingua donatrice. L'autore passa quindi ad analizzare in dettaglio le caratteristiche peculiari mostrate da alcune delle parole indoiraniche isolate.

1) Corrispondenze fonetiche irregolari

In posizione iniziale: 

Sanscrito s- : Proto-iranico *s-
   Sanscrito sikatā- "sabbia" :
   Antico persiano ϑikā- "sabbia".  
   Sanscrito sūcī- "ago" :
   Tardo avestico sūkā- "ago".
Sanscrito k- : Proto-iranico *g- 
   Sanscrito keśa- "capelli" :
   Tardo avestico gaēsa- "capelli ricci".
Sanscrito ph- : Proto-iranico *sp- 
   Sanscrito phāla- "vomere" :
   Persiano moderno supār "vomere".
Sanscrito ś- : Proto-iranico *xšṷ- 
   Sanscrito śepa- "coda", ma pracrito cheppā- :
   Tardo avestico xšuuaēpā- "coda".

In posizione mediana: 

Sanscrito -a- : Proto-iranico *-u- 
   Sanscrito jahakā- "riccio" (animale) :
   Tardo avestico dužuka- "riccio" (animale).
Sanscrito -ā- : Proto-iranico *-a- 
   Sanscrito chāga- "caprone":
   Ossetico sæğ / sæğæ "caprone".
Sanscrito -v- : Proto-iranico *-b- 
   Sanscrito gandharva- "un essere mitico":
   Tardo avestico gaṇdərəβa- "un essere mitico".
Sanscrito -dh- : Proto-iranico *-t- 
   Sanscrito gandha- "odore" :
   Tardo avestico gaiṇti- "cattivo odore".
Sanscrito -ar- : Proto-iranico *-ra- 
   Sanscrito atharvan- "prete" :
   Avestico āϑrauuan- / aϑaurun- "prete". 
Sanscrito -ar- : Proto-iranico *-ṛ- 
   Sanscrito gandharva- "un essere mitico":
   Tardo avestico gaṇdərəβa- "un essere mitico".
Sanscrito -ūr- : Proto-iranico *-ṛ- 
   Sanscrito dūrśa- "indumento grossolano" :
   Wakhi δərs "lana di capra o di yak".

2) Struttura della radice impossibile per una parola indoeuropea

Esiste una ben nota legge fonetica che impedisce la contemporanea presenza di due consonanti occlusive sonore non aspirate nella stessa parola. Si evince quindi che parole come *gadā- "mazza" e *gṛdā- "pene" non possono aver avuto la loro origine nella lingua protoindoeuropea.

3) Struttura sillabica inusuale (parole trisillabiche con vocale lunga o dittongo nella seconda sillaba). 
 
Questi sono alcuni esempi di forme proto-indoiraniche ricostruite dall'autore:

*pīi̭ūša- "colostro"
*mai̭ūkʰa- "piolo di legno"
*i̭avīi̭ā- "canale"
*ṷarājʰa- "cinghiale selvatico"
*kapauta- "piccione"
*kapāra- "vaso, piatto"

La struttura di queste parole è tale da rendere molto difficile una spiegazione sulla base della morfologia indoeuropea. Come sempre l'autore è molto diplomatico. Direi che cercare di spiegare le parole di questo genere sulla base della morfologia indoeuropea è come pretendere di spiegare sulla base dell'anglosassone la morfologia della parola axolotl. Il suffisso della parola sanscrita pīyūṣa- "colostro" si trova anche nella parola sanscrita tarda gaṇḍūṣa- "acqua per sciacquarsi la bocca". Lubotsky rimanda a Wackernagel per questo dettaglio morfologico, facendo notare che anche separando il suffisso in pīyūṣa-, resterebbe una base problematica con una vocale lunga -ī- inesplicabile. Aggiungo che gaṇḍūṣa- deriva dalla radice para-Munda *gand- "acqua", termine di sostrato che emerge anche nella toponomastica indiana. 

4) Peculiarità fonetiche  

Aspirate sorde:
*(s)pʰāra- "vomere", *atʰarṷan- "prete", *kapʰa- "muco, catarro", *kʰā- "pozzo, sorgente", *kʰara- "asino", *mai̭ūkʰa- "piolo di legno".

Affricate palatali estremamente frequenti:
*anću- "pianta di Soma", *āćā- / *aćas- "regione, spazio", *ćarṷa, nome di una divinità, *daćā- "orlo, filo", *dṛća- / *dṝća- `coarse garment', *jʰarm(i)
a- "struttura solida, casa permanente", *kaćapa- "tartaruga", *kaića- / *gaića- "capelli", *kućši- "lato del corpo, fianco", *maljʰa- "ventre", *naij(s)- "spiedo", *ućig- "prete sacrificatore", *ṷarājʰa- "cinghiale selvatico", etc.

Frequenti gruppi consonantici con -s-:
*kućši- "lato del corpo, fianco", *ṷṛćša- "albero", *mats
a- "pesce", *naij(s)- "spiedo", *kšīra- "latte", *pusća- "coda", *sćāga- / *sćaga- "caprone". 

La sequenza -rṷ-:
*atʰarṷan- "prete", *ćarṷa-, nome di una divinità, *g(ʰ)andʰ(a)rṷa- (/ -b(ʰ)a-) "un essere mitico". 
 
5) Peculiare formazione delle parole 
 
"Suffisso" -ka- (normalmente soltanto denominale):
*atka- "mantello", *stuka- "ciuffo di capelli", *ṷṛtka- "rene",
*jajʰaka- (/ -ā-) / *jajʰuka- (/ -ā-) "riccio" (animale);

"Suffisso" -sa- (raro nel lessico ereditato):
*pī
ūša- "colostro", *ṷṛćša- "albero";
 
"Suffisso" -pa-
*kaćapa- "tartaruga", *pāpa- "cattivo", *stupa- / *stūpa- "ciuffo di capelli", *šṷaipa- "coda";

Altre suffissazioni insolite:
*stu-ka-
contro *stu-pa- / *stū-pa-, entrambi "ciuffo di capelli", *nagna(jʰu)- "lievito, pane" (sanscrito nagnahu- "lievito", iranico *nagna- "pane"), *karuš- "danneggiato" (detto di denti), *jʰarm(i)
a- "struttura solida, casa permanente", *matsa- "pesce", *naij(s)- "spiedo", *ućig- "prete sacrificatore", *bʰiš- "medicina, erba medicinale" (sanscrito bhiṣaj- "medico", tardo avestico bišaziia- "curare"), *paṷasta- (/ -ā-) "veste". 
 
6) Categorie semantiche 
Si può sospettare che una parola sia un prestito anche se non mostra anomalie fonologiche e/o morfologiche, e questo soltanto per la sua appartenenza a un dato campo semantico (es. religione, culto del Soma, tecnologia). Anche se gli indoeuropeisti classici insorgeranno nel leggerlo, appartiene al sostrato qui studiato anche il teonimo *indra- "divinità uranica", che mostra un vocalismo irregolare, oltre a *ṛši- "veggente", il cui esito sanscrito mostra un accento iniziale aberrante. Motivi semantici spingono ad attribuire un'origine straniera a parole come *daćā- "orlo, filo", *išt()a- "mattone", *ṷāćī- "ascia, coltello appuntito" e via discorrendo. 
 
Il sostrato in proto-indoiranico e in sanscrito
 
A questo punto l'autore indaga la corrispondenza tra le caratteristiche delineate per gli elementi del sostrato nel proto-indoiranico e quelli del sostrato presente nelle sole lingue indiane, che sono entrati in sanscrito soltanto quando le genti indoarie hanno attraversato l'Hindukush. A complicare le cose, si trova una notevole concordanza strutturale, anche in assenza di parole comuni.   

i) Abbondanza di parole trisillabiche con sillaba mediana lunga:
urvārū- "cetriolo", ulūka- "gufo", uṣṇīṣa- "turbante", ṛbīsa- "forno", kapola- "guancia", karīṣa- "letame", karmāra- "fabbro"*, kilāsa- "di colore variegato", kiśora- "puledro", mayūra- "pavone", masūra- "lenticchia", śārdūla- "tigre", śṛgāla- "sciacallo", etc. 
 
*Non è un derivato del verbo kṛ- "fare": occorre fare attenzione alle false etimologie.

ii) Presenza di aspirate sorde:
ulūkhala- "mortaio", khila- "terra incolta", khārī- "misura di grano", kharva- "mutilato", phala- "frutto", mukha- "bocca, faccia", śikhā- "ciuffo di capelli, cresta".

iii) Grande abbondanza di consonanti palatali (fricative e affricate):
nella lista di Kuiper di 383 parole straniere nel Ṛg-Veda, Lubotsky ha contato ben 90 parole contenti tali suoni (corrispondente a circa 23,5% del totale).

iv) Gruppi consonantici con -s-:
kṣauma- "di lino" (cfr. umā- "lino"), ikṣvāku-, nome proprio di persona  (Ṛg-Veda), kutsa-, nome proprio di persona (Ṛg-Veda), etc.

iv) Presenza del "suffisso” -pa-:
alpa- "piccolo", turīpa- "sperma", puṣpa- "fiore", śaṣpa- "erba giovane", śilpa- "variegato" (also śilpa- "ornamento"), śūrpa- "cesto di vagliatura", etc. 

v) Presenza del "suffisso" -h-:
malha- "dal ventre pendente, dal seno pendente" (detto di capre e pecore), barjaha- "mammella", barjahya- "capezzolo".

vi) Presenza del "suffisso" -ig- (si direbbe un agentivo):
ṛtvij- "prete", vaṇij- "mercante".

vii) Presenza della sequenza -rṷ-:
urvārū- "cetriolo", kharva- "mutilato", turvaśa-, nome proprio di persona, paṭharvan-, nome proprio di persona (RV), śarvarī- "notte" (aggiunto dall'autore con qualche dubbio). 

Lubotsky pensa di aver risolto il problema, traendo dall'analisi dei dati la seguente conclusione: la lingua che ha dato gli elementi di sostrato in proto-indoiranico deve essere stata simile a quella che ha dato gli elementi di sostrato in sanscrito, a causa delle caratteristiche fonologiche e morfofonologiche condivise. Il quadro che ne deriva è a mio avviso estremamente semplicistico e non tiene conto della complessità delle stratificazioni di elementi di sostrati in sanscrito. Per comprendere quanto è intricata la situazione rimando alle mie note sul lavoro di Witzel: 
 
 
Notiamo subito un problema che Lubotsky sembra non considerare: i prefissi delle parole di sostrato attribuibili alla lingua perduta chiamata para-Munda (ka-, ku-, ki-, etc.), che a quanto pare mancano nelle parole di sostrato in proto-indoiranico. Trovo soltanto kṣauma- "di lino" rispetto a umā- "lino", che mi pare inesplicabile. Ho rilevato una parola che doveva già essere presente prima dell'arrivo delle genti indoarie in India, ma che in seguito deve essere entrata come prestito nel para-Munda, assumendo un prefisso caratteristico e finendo quindi in sanscrito. Questo è il percorso: 
 
Proto-indoiranico: *stupa / *stūpa "ciuffo di capelli" =>
Para-Munda: *ka-stūpa "ciuffo di capelli" =>
Sanscrito: kastūpa "ciuffo di capelli". 

Del resto, non posso fare a meno di notare che diverse parole raccolte dall'autore e presenti soltanto in sanscrito si discostano da tutto ciò che è stato analizzato da Witzel - e in particolare dal para-Munda - mostrando invece un'effettiva rassomiglianza fonologica con gli elementi di sostrato in proto-indoiranico. Potrebbe darsi che fossero un tempo presenti in proto-indoiranico per poi finire perdute in iranico e conservate soltanto in sanscrito. Alludo a forme come ṛtvij- "prete", vaṇij- "mercante". 
 
Prestiti indoiranici in uralico 
 
Esistono molti prestiti indoiranici nelle lingue uraliche. Nonostante ciò, l'autore è incline a pensare che non ci siano realmente prestiti indoeuropei in proto-uralico. La sua opinione sembra allinearsi con quella degli studiosi che considerano le isoglosse tra indoeuropeo e uralico una prova della relazione etimologica tra le due (proto)lingue. I prestiti dall'indoiranico inizierebbero nel periodo ugrofinnico. Peccato che non si riesca a far collimare i dati. Il più antico strato di prestiti consiste di parole che si trovano soltanto in sanscrito, senza alcun corrispondente iranico. Questi sono alcuni esempi:       

Ugrofinnico *ora "lesina" :
    Sanscrito ārā- "lesina"
Finnovolgaico *reśmä "corda" :
   Sanscrito raśmi- "briglia"
Finnovolgaico *onke "uncino" :
   Sanscrito aṅka- "uncino"
Finnopermico *ant3 "erba giovane"
   Sanscrito *andhas- "erba"
 
Secondo Lubotsky, questo si dovrebbe al fatto che i popoli uralici sarebbero entrati in contatto prima con le genti indoarie, considerate una sorta di avanguardia, durante la loro migrazione verso oriente. I prestiti iranici sarebbero giunti dopo, come un flusso continuo. Ci sono parole proto-indoiraniche presenti già in ugrofinnico: 
 
Ugrofinnico mekše "ape" :
   Proto-indoiranico makš- "ape" 
 
Ci sono poi prestiti dal proto-indoiranico al proto-permico, che non possono essere troppo recenti perché mostrano la sibilante /s/ conservata: 
 
Proto-permico *sur "birra" : 
   Proto-indoiranico *surā "birra"
La probabile origine ultima della radice è sumerica. 
 
Il vogulico tas "estraneo" è un prestito dal proto-indoiranico *dasu- "straniero". Anche qui la sibilante integra è prova di antichità. E se i prestiti fossero giunti in uralico direttamente dalla lingua del sostrato senza mediazione indoeuropea?    
 
Esempi di false etimologie 

Il proto-indoiranico *matsa- "pesce" (sanscrito matsya-, tardo avestico masiia-) non può essere ricondotto al protogermanico *mati- "pasto" (donde gotico mats "cibo", matjan "mangiare"; inglese meat "carne", etc.). La radice protogermanica *mati- è abbastanza isolata (sono stati proposti esili paralleli in antico irlandese) ed è stata fatta risale a un fantomatico protoindoeuropeo *mad-. La radice proto-iranica non si spiega: semantica difettosa (indica anche il pesce vivo, non necessariamente come cibo, etc.), oltre alla presenza dell'ingombrante "suffisso" -s-
 
Il proto-indoiranico *magʰa- "dono, offerta sacrificale" (sanscrito magha-, tardo avestico maga) non può essere connesso con la radice protogermanica *maγ- "essere capace, potere" (donde gotico magan "essere capace, potere", mahts "forza, potenza") per evidenti motivi semantici. Oltretutto la radice protogermanica ha paralleli soltanto in baltico, in slavo e in celtico (gallico mageto-, mogeto-, mogit- "potente", documentato in antroponimi e topomini), ha tutta l'aria di essere un prestito da una lingua perduta.  

venerdì 8 novembre 2019

NOTE SUL LAVORO DI WITZEL

Michael Witzel (Harvard University, Department of Sanskrit and Indian Studies) è l'autore del lavoro Substrate Languages in Old Indo-Aryan (Ṛgvedic, Middle and Late Vedic), ossia Lingue di sostrato nell'antico indoario (ṛgvedico, medio e tardo vedico), pubblicato nel 1999 sull'Electronic Journal of Vedic Studies (EJVS) e attualmente consultabile in svariati siti del Web, ad esempio su Researchgate.net:


Anche il sito del professor Witzel contiene la risorsa in analisi, assieme a molte altre assai utili: invito i navigatori a consultare una biblioteca tanto ricca e mirabile.


Trovo che Substrate Languages in Old Indo-Aryan sia un'esaustiva e interessantissima trattazione delle lingue di sostrato del subcontinente indiano. Il saggio è ancor più meritorio se si considera che l'argomento è ignoto al grande pubblico. Anche moltissime persone che si sono avvicinate allo studio del sanscrito, credono tuttora in modo incrollabile al dogma dei Neogrammatici. Così attribuiscono all'intero lessico della lingua dell'India classica un'origine indoeuropea, senza sapere che moltissime parole sono state prese da lingue parlate alla popolazione stanziata sul territorio prima che vi arrivassero gli Indo-Arii. Basterebbe anche poco a capirlo. Ci si potrebbe arrivare già soltanto dando un'occhiata alla fonetica di un gran numero di parole, unita all'impossibilità di trovare paralleli credibili in altre lingue indoeuropee.

Questo è l'indice dell'opera:

§ 0. Definitions ... 2

§ 1. Greater Panjab ... 6
§ 1.1. Ṛgveda substrate words  ... 6
§ 1.2. Para-Munda loan words in the Ṛgveda ... 6
§ 1.3. Para-Munda and the Indus language ofthe Panjab ... 10
§ 1.4. Munda and Para-Munda names ... 11
§ 1.5. Other Panjab substrates ... 13
§ 1.6. Dravidian in the Middle and Late Ṛgveda ... 14
§ 1.7. Greater Sindh ... 21
§ 1.8. The languages of Sindh ... 22
§ 1.9. The Southern Indus language: Meluhhan ... 24
§ 1.10. Further dialect differences ... 30
§ 1.11. Dravidian immigration ... 32

§ 2. Eastern Panjab and Upper Gangetic Plains ... 33
§ 2.1. The Kuru realm ... 33
§ 2.2. The substrates of Kuru-Pañcāla Vedic ... 35
§ 2.3. The Para-Munda substrate ... 36
§ 2.4. Substrates ofthe Lower Gangetic Plains and “Language X” 
    ... 40
§ 2.5. Tibeto-Burmese ... 43
§ 2.6. Other Himalayan Languages ... 46

§ 3. Central and South India ... 49

§ 4. The Northwest ... 51

§ 5. Indo-Iranian substrates from Central Asia and Iran ... 54

§ 6. Conclusions ... 56

Gli stessi argomenti sono trattati e approfonditi in un'altra opera dello stesso autore: Early Sources for South Asian Substrate Languages, ossia Antiche fonti per le lingue di sostrato dell'Asia meridionale, pubblicato sempre nel lontano 1999, attualmente consultabile su Academia.edu e scaricabile a questo url:


Anche questo studio è eccellente: The Languages of Harappa, sempre dello stesso autore, pubblicato nel 2000:


I Veda furono composti oralmente in un periodo compreso all'incirca tra il 1700 a.C. e il 500 a.C., in ogni caso dopo il collasso della civiltà della valle dell'Indo (intorno al 1900 a.C.), in zone di quelle terre che oggi sono chiamate Afghanistan, Pakistan e India Settentrionale (Grande Panjab). I testi del gveda, una delle quattro suddivisioni canoniche dei Veda, sono stati classificati in funzione dell'età di composizione, stabilita sulla base di criteri interni di arrangiamento testuale:  

I - Periodo ṛgvedico antico (1700-1500 a.C.)
II - Periodo ṛgvedico medio (1500-1350 a.C.)
III - Periodo ṛgvedico tardo (1350-1200 a.C.)

Si tratta di materiale dell'Età del Bronzo indiana, anteriore all'introduzione dell'uso del ferro. Il geva è seguito da una varietà di altri testi vedici: Samaveda, Yajurveda, Atharvaveda (più antichi del 1100 a.C.), Brāhmana (1100-800 a.C.), Āraṇyaka (1100-800 a.C.) e Upaniṣad (800-500 a.C.). Ṛgveda, Sāmaveda, Yajurveda e Atharvaveda sono noti come le quattro Saṃhitā. Esistono poi testi ancora più recenti, composti dopo il 500 a.C.: i Sūtra e i Vedāṅga. Non va taciuto che la datazione dei testi più antichi è controversa; in India gli studi sono fortemente condizionati dalla religione e dall'ideologia politica, tanto che lo stesso Witzel ha dovuto lottare strenuamente contro un gran numero di fanatici.

L'idea più semplice che può venire in mente a chi affronta per la prima volta il problema delle parole di sostrato nei testi vedici, è quella di attribuire ogni termine non indoeuropeo trovato al dravidico. Questo perché le lingue dravidiche, tuttora fiorenti e dominanti nell'India meridionale, sono il più noto esempio di lingue preindoeuropee del subcontinente. Si potrebbe quindi pensare che un tempo il proto-dravidico fosse parlato in tutta l'India e fosse proprio la sorgente delle enigmatiche parole del sostrato. In realtà le cose non sono affatto così semplici. Oltre alle lingue dravidiche, esistono in India anche le lingue Munda, di origine austroasiatica. Non solo: dovettero esistere altre lingue del tutto diverse, ormai perdute e di classificazione assai difficile (per non dire impossibile). Riporto a questo punto un sintetico quadro cronologico del sostrati presenti nei testi ṛgvedici: 

1) Ṛgveda arcaico 
Si trova soltanto materiale di sostrato di origine centroasiatica, presente nel proto-indoario e portato in India dall'esterno.
2) Ṛgveda I 
Non si trovano tracce di parole dravidiche; si ha invece abbondante presenza di termini presi a prestito da una lingua ricca di prefissi, che è stata chiamata para-Munda o para-austroasiatica. Si trovano anche prestiti correlati all'agricoltura, da una lingua sconosciuta e diversa, soprannominata lingua X di Masica (dal nome del suo primo indagatore).  
3) Ṛgveda II e III 
Cominciano a comparire prestiti dravidici.
4) post-Ṛgveda 
Continua l'influenza lessicale dello stesso tipo di lingue non indoeuropee nel linguaggio vedico educato dei Brahmini. Si trova materiale onomastico proto-Munda nelle regioni del Nordest indiano.

Esistono poi altri sostrati in India, come il proto-Burushaski nel Nordovest, il tibeto-birmano nella regione himalayana e nel Kosala, oltre agli antenati di alcune lingue antiche ora residuali, parlate in sacche isolate nel subcontinente (Kusunda nel Nepal centrale, Nihali nell'India centrale e resti lessicali di lingue perdute, come quella originaria dei Tharu, dei Nilgiri e dei Vedda). Mi emerge un ricordo d'infanzia. Durante una trasmissione condotta da Mike Bongiorno, a un concorrente specializzato in cultura indiana, fu chiesto qual è la lingua parlata in quel paese, che non somiglia a nessun'altra lingua del mondo. Se la memoria non m'inganna, il concorrente rispose col nome della lingua Nihali (Nahali). In realtà il lessico del Nihali ha subìto imponenti influenze da parte dei vicini Munda e Dravida, eppure resistono importanti strati lessicali privi di parentele ovvie.

Il termine para-Munda è usato per indicare una lingua le cui uniche attestazioni sono le tracce lasciate nel lessico vedico e post-vedico. Deve il suo nome al fatto che le parole mostrano una notevole somiglianza tipologica con quelle delle lingue Munda, soprattutto nell'uso dei prefissi. Siccome moltissime parole iniziano con la stessa sillaba (ka-, ki-, ku-, etc.), si è potuto ipotizzare la natura originariamente morfologica di questo elemento. In alcuni casi abbiamo alternanze tra una parola con un simile elemento iniziale e una variante che ne è priva. Quando passiamo all'analisi delle radici, una volta che abbiamo separato i prefissi, non abbiamo tuttavia altrettanta fortuna: solo in alcuni casi l'etimologia concreta di questa parole è stata trovata. Proprio per questo si parla di sostrato para-Munda (ossia che ha caratteri simili al Munda) e non di sostrato proto-Munda o semplicemente sostrato Munda. Passiamo ora ad elencare un certo numero di parole di questo genere. 

Materiale di sostrato para-Munda in sanscrito (ṛgvedico e post-ṛgvedico):

1) Prefisso ka- 

kakardu "bacchetta di legno"
kapardin "con nodi nei capelli"
kabandhin, kavandha "barile"
kamaṇḍalu "vaso d'acqua" (cfr. maṇḍala "cerchio")
kapaṭu "fungo"
kapāla "teschio"
kapiñjala "pernice"
kapola "guancia"
kaphauḍa, kaphoḍa "clavicola; gomito"
kasarṇīla "tipo di serpente"
kastūpa "ciuffo di capelli" (cfr. stupa "ciuffo di capelli; cima")
kākambīra "un tipo di albero"

Con palatalizzazione:

śakuna "(grande) uccello"
śakuni "uccello augurale"
śakunta
, śakuntaka, śakunti, śakuntikā "uccello"
Śakuntalā, nome di una ninfa

2) Prefisso ki-

kimīdin "un demone"; nome di una classe di demoni
kiyāmbu "una pianta acquatica"
kilāsa "maculato; lebbroso"
kīkaṭa, nome di una tribù
kīkasā "vertebra; costola"
kīja "strumento"
kīnārā "due aratori"
kīnaśa "aratore"
kīlāla "colostro; una bevanda dolce"
kīsta "lodatore; poeta"

Con ulteriore prefisso su-:

sukiṃśuka, nome di un albero (Butea frondosa)

Con palatalizzazione:

śimida, śimidā "demone femminile" (cfr. kimīdin)
śiṃśumāra
"delfino gangetico"
śiśūla "delfino"

3) Prefisso ku-

kumāra "ragazzo, giovane uomo"
kurīra "acconciatura femminile di capelli"
kuruṅga, nome di un capitano dei Turvaśa
kuliśa "ascia"

4) Doppio prefisso *Cǝr- (con o senza palatalizzazione)

i) Prefisso kal- / kar- 

kalmalīkin "splendente"
kalmāṣa "variegato, maculato"
karañja, nome di un demone
karambha "farinata"
karbara "maculato"
kardama "sporcizia; fango"
karkandhu "tipo di albero" (Zizyphus Jujuba)
karkari "liuto"
karkaṭa "granchio"
karkoṭaka "demone serpente, Nāga"
kārotara "setaccio, filtro"
kārṣmarya "tipo di albero" (Gmelia arborea)

Variante gar-

garmut, gārmuta "fagioli selvatici"

ii) Prefisso kil- / kir-  

kilbiṣa "azione malvagia"
kirmira "variegato"


iii) Prefisso khar-

khargalā "gufo"
kharjūra "palma da datteri"
akharva "mutilato"


iv) Prefisso kṛ-

kṛpīṭa "cespuglio"
kṛśana "perla" 


v) Prefisso palatalizzato jar- 

jartila "sesamo selvatico" (cfr. tila "sesamo", tilvila "fertile",
     tilpiñja "sesamo infertile")


vi) Prefisso palatalizzato śal- / śar-  

śarkara "ciottolo, sassolino; sabbia"
śarkoṭa "demone serpente, Nāga" (cfr. karkoṭaka)
śarvarī "notte"
śalmali, nome di un albero (Salmalia malabarica)

v) Prefisso assibilato sar- / sṛ-

sardigṛdi "parte dell'organo sessuale femminile"
sṛbinda, nome di un demone
sṛdara "serpente"
sṛdāku "lucertola"

5) Doppio prefisso Cən- / Cəm- (con o senza palatalizzazione) 

kambala "coperta di lana; abiti"
kambūka "pula"
Kamboja, nome di un popolo dell'Afghanistan
kandhara "collo"
kaṅkūṣa "parte della testa"
kāmpila "tipo di abito, gonna"

Forme palatalizzate:

jāmbila "saliva"
śambūka "pula" (cfr. kambūka)

6) Altri prefissi (ba-, bal-, mar-, pa-, pal-, pra-, vi-, etc.)

balāsa "una malattia" (cfr. kilāsa "lebbroso")
balbaja, nome di un'erba (Eleusine indica) 
balkasa "sedimento, residuo"
barbara "dai capelli crespi"
barhiṇa "pavone"

markaṭa "scimmia"
markaṭaka "un tipo di grano"

palala "sesamo macinato"
palālī "paglia"
palāva "pula"
palāṇḍu
"cipolla"
palpūlana "liscivia, risciacquatura"
pālāgala "messaggero, corridore"

Pramaganda, nome di un capitano dei Kīkaṭa
Praskaṇva, nome di un re; nome di un saggio

Quando si riesce a individuare l'etimologia di una radice risaltente a questo sostrato, le deduzioni sono molto feconde. Facciamo un esempio. Il proto-Munda *ga(n)d- "fiume" permette di spiegare idronimi e altri nomi risalenti al sostrato para-Munda. Così abbiamo il fiume Gandhāra, che è anche il nome del famoso paese che attraversa, oltre al popolo Gandhāri. Con il suffisso pluralizzatore -ki (ben noto al Munda) abbiamo l'idronimo Gaṇḍakī, alla lettera "Fiumi". Con altro suffisso in velare abbiamo Gaṅgā, il famosissimo nome del Gange, che potrebbe ben significare "Grande Fiume". Un'antica popolazione stanziata sull'alto corso del Gange ha il nome Gandhina. L'antroponimo Pramaganda, nonostante il suo aspetto fonetico indoeuropeo, risulta impenetrabile finché si utilizzano gli strumenti dei Neogrammatici. Se confrontiamo la parola con le lingue Munda, apprendiamo subito che il prefisso pra- significa "figlio", che ma- è un prefisso possessivo, mentre -ganda risale alla radice sopra vista che significa "fiume". Così Pramaganda significa "Figlio del Fiume". Una formazione molto simile si trova in Magadha, nome di un antico regno gangetico, che significa "Appartenente al Fiume". Nelle parole indoeuropee ereditate non si hanno simili alternanze tra -d- e -dh-, solo per fare un esempio, ma nelle parole prese a prestito questo è frequente. Come spesso accade quando masse di parole di sostrato penetrano nella lingua dei nuovi dominatori, si hanno notevoli incertezze nel consonantismo. Tutti gli indizi stanno a dimostrare che il para-Munda è stata una lingua viva e vitale per tutto il periodo vedico. Non era un idioma morto e sclerotizzato, bensì una fonte attiva di prestiti ancora in epoca abbastanza tarda, post-vedica.

A partire dai più antichi materiali del Ṛgveda si riscontrano parole che non possono essere classificate come para-Munda, avendo esse una fonotattica incompatibile e mancando dei caratteristici prefissi. Non sono nemmeno parole dravidiche: devono essere i resti di una lingua parlata nelle pianure gangetiche e appartenuta a una civiltà molto avanzata. Colin P. Masica, che ha studiato l'argomento, ha pubblicato nel 1979 l'articolo Aryan and non-Aryan elements in North Indian Agriculture, purtroppo irreperibile nel Web. Witzel parla troppo poco di questa lingua perduta e ne riporta poche parole, facendo notare che vi abbondano le consonanti geminate (forse dovute ad antiche assimilazioni, ma senza dubbio anomale). Questi sono senza dubbio prestiti notevoli:

bhallūka "orso" (cfr. Nihali bologo "orso")
guggulu
"bdellio, gommoresina vegetale" (variante: gulgulu)
kakkaṭa "un tipo di uccello" (variante: katkaṭa)*
kapittha "un tipo di albero" (Feronia elephantum)
karella, karavella "un tipo di zucca" (Momordica charantia)
khalla "cuoio"
pippala "fico" (varianti: piṣpala, supiṣpala)** 
roṭika
"pane"

*Si noterà che in Pali kakkaṭa indica invece un grosso cervo, probabilmente l'origine della denominazione sta nel comune colore di questi animali.
**Questa parola è di notevole importanza e ben integrata nella lingua sanscrita, tanto da formare il derivato pippalāda "dedito ai piaceri sensuali" (alla lettera "mangiatore di fichi"), un composto formato con la ben nota radice indoeuropea *ed- "mangiare". Una dimostrazione che nell'India degli asceti è sempre esistito anche chi opponeva resistenza alle dottrine correnti.

Nella lingua Hindi è tuttora in uso una peculiare terminologia agricola, caratterizzata da un 30% di parole non indoeuropee, non dravidiche e non Munda. In alcuni casi è possibile ricostruire una protoforma che si trova nel lessico vedico, mentre in altri non si ha alcuna corrispondenza con alcunché di noto. Si tratta di materiale residuale proveniente proprio dalla lingua X delle pianure gangetiche. Così abbiamo in Hindi kaith "Feronia elephantum" come diretta derivazione di kapittha. Riconosciamo subito l'Hindi piplī, pīplā "albero di fico" come un diretto discendente del sanscrito pippala "fico" (vedi sopra). Ecco alcune protoforme ricostruite a partire dal materiale lessicale moderno:

*alla "un tipo di pianta" (Morinda citrifolia)
*balilla "bue"
*bājjara
"miglio" (cereale)
*carassa "cuoio non conciato"
*chācchi "fior di latte"
*maṭṭara "pisello"
*suppāra "noce di areca"
*sūjji / *sōjji "farina bianca grezza"
*uḍidda "un legume"

Praticamente ogni protoforma contiene una consonante geminata, cosa senza dubbio notevole, anche se il significato più profondo ci sfugge e forse ci sfuggirà sempre. Non si conserva alcun dettaglio grammaticale, nessun termine del lessico di base che possa aiutarci a capire che lingua potesse essere. Sono necessari studi molto più accurati.

Si noterà che in Nihali le geminate abbondano in termini senza etimologia nota:

aḍḍo "albero"
beṭṭo
"morire"
bijjok "aspettare in attesa della preda"
biṭṭhāwi "unione; orizzonte" (cfr. biḍum, biḍi "uno")
bokko "mano"
buddi "tramontare"
coggom "maiale"
cuṭṭi "battere, martellare"
joppo "acqua"
kaggo "bocca"
kāllen "uovo"
maikko "ape"
oṭṭi "estrarre; bruciare"
poyye "uccello"
unni "prendere"

Witzel parla delle poche parole dravidiche trovate nei testi rgvedici medi e tardi, elencandole e discutendole senza indagare troppo i dettagli. Questo è l'elenco dei lemmi trattati (in cui tra l'altro non mancano problemi e controversie):

bala "forza"
bila "buco; caverna"
daṇḍa "bastoncino"
kaṭu(ka) "acre, pungente"
kāṇa "guercio, monocolo"
kulpha "caviglia"
kuṇāru "impedito nel braccio" 
kuṇḍa "vaso"
kūṭa "martello"
mayūra "pavone
naḷa "canna"
piṇḍa "palla, gnocco"
phala "frutto"
phāla "vomere"
ulūkhala "mortaio"
vriś "dito (della mano)"

Esiste la possibilità che alcune di queste parole siano a loro volta prestiti dal proto-Munda, come è stato appurato per mayūra "pavone". Queste sono le forme corrispondenti nelle principali lingue dravidiche: 

Tamil: mayil
Irula: muyiru
Tulu: mairu
Konda: mrīlu, miril 
etc.

La sorgente ultima è il Munda mara' "pavone".

Il Burushaski è una lingua isolata parlata da circa 50.000 / 60.000 persone nelle impervie montagne del Pakistan settentrionale, nelle valli dell'Hunza, di Nagir, Yasin e Gilgit. Si tratta di quel bizzarro popolo oggetto di una stravagante fake news. Avete presente quella favola dei mitici Hunza tutti ultracentenari a causa della loro dieta a base di albicocche essiccate? Ebbene, sono proprio loro. L'etnonimo corretto è Burusho (antico *Mrūžo, attestato già in vedico come Mūjavant). La lingua Burushaski è ha caratteristiche uniche e stupisce la sua mancanza di parentele chiare. L'ipotesi più probabile è quella di una connessione con la lingua Ket dello Yenissei, oltre che con le lingue del Nord Caucaso e con il basco (vedi Bengston, Starostin et al.), sebbene non si sia ancora giunti a una ricostruzione universalmente accettata. Si trovano interessanti corrispondenze con elementi del sostrato più antico presenti in sanscrito, quello formatosi in Asia Centrale prima della migrazione in India e per questo comune con le lingue iraniche. 

Burushaski baluqa "pietra" (in giochi infantili); báltaṣ "pietra
   lanciata a qualcuno" : Sanscrito paraśu "ascia di pietra"
   (cfr. greco pélekus "scure")
Burushaski baṅ "resina di alberi" : Sanscrito bhaṅga "canapa"
Burushaski bras "riso" : Sanscrito vrīhi "riso"
Burushaski bus "covone" :
Sanscrito busa, bṛsī "pula"
Burushaski gur "frumento" :
Sanscrito godhūma "tipo di grano"
    (Triticum aestivum)
Burushaski γupas "cotone": Sanscrito karpāsa "cotone"
Burushaski ku(h)á "luna nuova": Sanscrito kuhū "deità della luna
    nuova"
Burushaski mēṣ "otre di pelle" :
Sanscrito meṣa "ariete"

Esistono anche alcune corrispondenze sorprendenti con il materiale lessicale para-Munda, con ogni probabilità dovute a prestiti remoti. 

Burushaski γarqas "lucertola" : Sanscrito karkoṭaka "demone
    serpente"
Burushaski γoro "pietre" : Sanscrito śarkara "ciottolo, sassolino;
    sabbia" (śar- è un prefisso para-Munda)
Burushaski kilāy "bevanda dolce" : Sanscrito kīlāla "colostro;
    bevanda dolce"

In un caso abbiamo addirittura una corrispondenza con un vocabolo sanscrito attribuito al dravidico:

Burushaski śon "cieco" : Sanscrito kāṇa "guercio, monocolo"

L'etimologia dravidica della parola sanscrita per "monocolo" non è delle più convincenti, a causa di difficoltà semantiche (è confrontata con il Tamil kaṇ "occhio", kāṇ "vedere"), cosicché potremmo in realtà essere di fronte a un altro termine para-Munda, passato in Burushaski come prestito in epoca assai remota.

Quanto esposto è soltanto un riassunto sintetico della questione dei sostrati nel sanscrito vedico e post-vedico. Ci sono molti argomenti che non possiamo trattare in questa sede per mancanza di spazio e la cui trattazione siamo costretti a rimandare. Una cosa è certa: orientarsi in un simile ginepraio è tutto fuorché facile. 

sabato 20 aprile 2019


DREAMSCAPE -
FUGA NELL'INCUBO

Titolo originale: Dreamscape
Lingua originale: Inglese
Paese di produzione: Stati Uniti d'America
Anno: 1984
Durata: 99 min
Rapporto: 1,78:1
Genere: Fantascienza, orrore, avventura
Regia: Joseph Ruben
Soggetto: David Loughery, Roger Zelazny
Sceneggiatura: David Loughery, Chuck Russell, Joseph
     Ruben
Produttore: Chuck Russell, Bruce Cohn Curtis
Produttore esecutivo: Tom Curtis
Casa di produzione: HBO
Musiche: Maurice Jarre
Interpreti e personaggi
    Dennis Quaid: Alex Gardner
    Max von Sydow: Paul Novotny
    Christopher Plummer: Bob Blair
    Kate Capshaw: Jane DeVries
    David Patrick Kelly: Tommy Ray Glatman
    Eddie Albert: il Presidente degli USA
    George Wendt: Charlie Prince
    Chris Fulkey: Gary Finch
    Larry Gelman: George Webber
    Cory "Bumper" Yother: Buddy Driscoll 
    Redmond Gleeson: Snead
    Eric Gold: Il padre di Tommy Ray
    Peter Jason: Roy Babcock
    Jana Taylor: Melanie Webber
    Fred M. Waugh: Bill Hardy
    Madison Mason: Fred Schoenstein
Doppiatori italiani
    Claudio Capone: Alex Gardner
    Pietro Biondi: Paul Novotny
Budget: 6 milioni di dollari USA
Box office: 12,1 milioni di dollari USA


Trama: 

Alex Gardner è un giovane bellimbusto biondiccio dal fisico nerboruto, ed è oltretutto dotato di formidabili poteri paranormali. Egli è un telepate. Legge nella mente e può condizionare i desideri altrui penetrando qualsiasi cervello. Il punto è questo: egli usa queste sue facoltà splendide per biechi motivi personali, come le vincite alle corse dei cavalli. Non ci sono dubbi. Caligola sarebbe stato fiero di lui. I suoi problemi sono tutto sommato pochi, ma abbastanza significativi. Nell'agenda delle afflizioni di Alex il primo posto è occupato dal gangster irlandese Snead, che lo tormenta senza sosta per via di certi debiti inevasi. Subito dopo viene il dottor Paul Novotny, che in passato ha compiuto su di lui alcune sperimentazioni scientifiche e che vorrebbe ricominciare a tormentarlo. Accade così un giorno che il ragazzo, pur di sfuggire ai picciotti di Snead, accetta un passaggio da due sconosciuti che si presentano come Finch e Babcock. Viene così riportato nel laboratorio del dottor Novotny. Lo scienziato ora dirige una ricerca sui poteri psionici finanziata da fondi governativi ed è aiutato da una affascinante milf bionda e ricciolona, la dottoressa Jane DeVries. In particolare ha elaborato una tecnica innovativa che permette a sensitivi selezionati di introdursi nel subconscio dei pazienti durante il sonno REM, interagendo con i loro sogni per aiutarli a risolvere traumi psichici. L'ispirazione di questo progetto è venuta a Novotny da studi antropologici su una popolazione indigena della Malesia, i Senoi, che sono capaci di fare sogni lucidi, controllando le proprie immagini oniriche con la forza della volontà. La ricerca, nata allo scopo di aiutare pazienti affetti da incubi, è stata manipolata e dirottata da un potente agente del governo, Bob Blair, che intende usarla per scopi del tutto diversi e ben più sinistri. Nel corso della sperimentazione, Alex si cala nella mente di due soggetti particolarmente problematici. Il primo paziente è un uomo sposato, per la precisione un cornuto, ossessionato dalle attività orgiastiche della moglie che si fa penetrare da tutti, anche dal prete. Il secondo paziente è un bambino paraplegico, Buddy, terrorizzato da raggelanti visioni notturne in cui si manifesta un mostro che ha la forma di un uomo con l'orribile testa di un cobra. In entrambi i casi l'aiuto di Alex è determinante: il cornuto smette di essere ossessionato dai pruriti della moglie e Buddy sconfigge l'uomo-serpente. Nel frattempo il giovane psionico e la bella Jane provano reciproca attrazione. Mentre la milf dai capelli crespi dorme, il suo spasimante si insinua nei suoi sogni riuscendo a consumare un rapporto sessuale. Lei reagisce male, percependo di essere stata manipolata, ma la cosa notevole è un'altra: l'intrusione telepatica nelle sequenze oniriche è avvenuta senza bisogno di alcun mezzo tecnologico, cosa che non era mai accaduta in precedenza. Alex fa la conoscenza dello scrittore Charlie Prince, un ficcanaso che segue di nascosto il progetto di Novotny. Apprende così qualcosa di preoccupante: Blair intende usare la tecnologia onirica per uccidere senza lasciare tracce. Le cose si complicano. Il perfido Blair fa sottoporre il Presidente degli Stati Uniti al trattamento sperimentale, a sua detta per curare l'illustre paziente dagli incubi che lo tormentano. Questi terrori notturni lo proiettano in uno scenario postatomico. A causa dell'apocalisse termonucleare, le città sono distrutte, il cielo è rosso come il sangue e la terra è desolata, sterile. Tra le rovine si aggirano gli zombie. Il Presidente, convinto assertore della distensione con l'URSS, è visto dal guerrafondaio Blair come un debole e come un pericolo gravissimo per la Nazione. Blair incarica lo psicopatico parricida Tommy Ray Glatman di calarsi nei sogni del Presidente per ucciderlo. È stato infatti provato che se una persona viene uccisa nel fragile stato di sonno REM, muore realmente. Prima l'agente governativo fa eliminare Charlie Prince e quindi anche il dottor Novotny, che aveva scoperto i suoi progetti criminali. A questo punto la stessa sopravvivenza del genere umano è tutta nelle mani di Alex, che entra nell'ennesimo incubo apocalittico del Presidente e combatte contro il killer Tommy Ray Glatman una lotta accanita, senza esclusione di colpi. Sarà una vera e propria discesa negli Inferi, coronata però dal trionfo finale. 

Recensione: 

Direi proprio che si tratta di un bel film, vivace e godibile. Mi ha fatto piacere vederlo, anche se è molto lontano dal sentire dei nostri tempi, dimostrando a tratti una certa ingenuità. Va detto che è un'ingenuità che si perdona volentieri. In ogni caso ne consiglio la visione a tutti, non soltanto ai nostalgici dei primi anni '80, per i molteplici spunti di riflessione filosofica a cui si presta. Il mondo dei sogni non può essere liquidato come il semplice prodotto di una riaggregazione di elementi di scarto provenienti dallo stato di veglia, ordinati in qualche modo e rigettati dalla mente allo scopo di riposarsi - quasi parlassimo della merda dello psichismo, della sua orina. Gli enigmi notturni permangono insoluti da secoli, da millenni: finora nessuno ha saputo formulare una teoria soddisfacente in grado di dare una spiegazione alle ombre e alle forme che si manifestano a noi nel corso del Simulacro della Morte conosciuto come Sonno. Ecco, qui abbiamo un intreccio affascinante tra i misteri di Morfeo e quelli di Chronos!

I sogni lucidi tra i Senoi 

A scanso di equivoci, i Senoi esistono davvero. Non si tratta di un parto della fantasia, a differenza della fantomatica tribù degli Hinchi del Messico Centrale descritta nel film Stati di allucinazione (Altered States, Ken Russell, 1980). A dire il vero i Senoi (Sengoi, S'ngoi) sono piuttosto un gruppo di popoli appartenenti alla vasta famiglia degli Orang Asli, le antichissime genti indigene della Malesia peninsulare. Le tribù asliane non condividono un'unica lingua: parlano numerose lingue di ceppo austroasiatico, che pur avendo la stessa origine sono tra loro molto diverse. I Senoi sono stati visitati dall'antropologo americano Kilton Riggs Stewart, che nel 1948 ha scritto una tesi di dottorato sul loro modo di intendere i sogni. Nel 1954 lo stesso autore pubblicò il libro Pygmies and Dream Giants (Pigmei e Giganti dei Sogni), che ebbe grande successo e fu pubblicizzato dall'Esalen Institute, oltre che dai parapsicologi Charles Tart e George Leonard. Negli anni '70 la psicologa cognitiva Patricia Garfield descrisse l'uso dei sogni lucidi tra i Senoi, adducendo come fonte dei suoi studi alcuni contatti nativi incontrati all'ospedale psichiatrico di Gombak, in Malesia. I successivi ricercatori non riuscirono a trovare conferma di tutto questo materiale, finché nel 1985 George William Domhoff, Professore Emerito di Psicologia dell'Università di Santa Cruz (California), stabilì in buona sostanza che si trattava soltanto di colossali baggianate New Age. 


Ontologia temporale e onirismo

La natura del tempo nel film di Ruben non sembra poi troppo opprimente, dato che lascia agli attori del dramma umano un sufficiente numero di libertà. Il futuro, ramificato e aperto, può essere modificato abbastanza facilmente. Inoltre il meccanismo perverso delle profezie che si autoavverano può essere neutralizzato. Già questo è un punto abbastanza controverso, visto che è a tutti evidente quanta forza possieda una profezia autoavverante nel mondo reale. Esistono profezie che non siano autoavveranti? In fondo se una profezia non si autoavverasse... sarebbe falsa! Esistono davvero i sogni premonitori? Se esistono, quale ne è l'origine? Possibile che non esista nell'intero mondo scientifico nessuno studioso serio disposto ad approfondire questi argomenti e che possa aiutare a trovare risposte a queste opprimenti domande? Forse le domande non sono ben poste. Sorgono altri dubbi. Come è definito il tempo nei sogni? Possiamo dire che in tutti i sogni che facciamo il tempo è definito allo stesso modo? Se esiste una definizione temporale diversa per ciascun sogno, esiste qualcosa che lega tutte queste definizioni? Esiste una relazione tra il tempo in un dato sogno e quello della realtà di veglia? Potrebbe non essere affatto garantito che il mondo onirico sia caratterizzato dalla stessa freccia del tempo che sperimentiamo quando siamo svegli e che sia possibile fare confronti sensati tra i diversi stati di esistenza. Possiamo misurare il tempo onirico? Come possiamo costruire orologi in grado di segnare lo scorrere soggettivo del tempo durante la fase di sonno REM? Come definire il concetto stesso di premonizione? E se si trattasse soltanto di illusioni, di qualcosa che il sognatore crede di poter riconoscere nella realtà di veglia in base a un inganno della mente? Forse non sarà mai possibile dipanare questa matassa. 

Paranoie popolari 

L'anno che ha visto l'uscita del film in analisi cade in una fase breve ma intensa della contrapposizione tra USA e URSS, nota come "Seconda Guerra Fredda". Un'opprimente cappa di fobia e di terrore avvolgeva ogni cosa, le probabilità di un conflitto termonucleare globale erano massime. Già nel 1985 sarebbe iniziata una nuova tendenza, che avrebbe portato la Guerra Fredda nella sua fase terminale. Questo almeno è quanto riportato sui manuali degli storici, da sempre poco interessati all'antropologia. Negli anni in cui Reagan guidava gli States l'immaginario collettivo era pieno zeppo di fantasie su presidenti folli, consiglieri maligni e militari ottusi, tutti coi piedi premuti sull'acceleratore che avrebbe portato allo scambio di testate atomiche tra le due superpotenze - e alla conseguente fine della vita sulla Terra. Fatto sta che tale pedale autodistruttivo non è mai stato premuto da nessuno. Quello di cui il mondo della narrazione fantastica non tiene in alcun modo conto è un fatto banale ma significativo. Nessun uomo può arrivare alla presidenza degli Stati Uniti se non è sposato e se non ha figli. A quanto ho appreso, il solo ad aver ricoperto quella carica rimanendo sempre scapolo è stato James Buchanan, il 15° Presidente degli Stati Uniti. La sua presidenza iniziò il 4 marzo 1857 e si concluse il 4 marzo 1861. Si capisce bene che un Presidente con moglie e figli non scatenerà mai l'Apocalisse, essendo legato al mondo da interessi biologici schifosamente meschini. Lo stesso Donald Trump è soltanto un povero succube di Melania e di Ivanka, il loro zerbino. Come potrebbe prendere una decisione coraggiosa?     

Stupro telepatico!

Il bellimbusto muscoloso e baciato dalla Sorte non teme certo la Legge di Dio, né la morale corrente nel suo grande Paese: irride tutte queste cose e persegue unicamente il proprio soddisfacimento sessuale. Così non si fa scrupolo alcuno ad entrare nella mente della sua amata dorminente, alterandone l'attività REM. Si insinua nei suoi sogni, la illude e riesce a possederla carnalmente. Le infila il fallo eretto nel vaso procreativo. Solo quando rilascia i fiumi di sperma nel canale vaginale, lei si accorge che qualcosa non va per il verso giusto. Così la donna si sveglia in preda al panico, percependo con la massima chiarezza la violazione subìta. Pur non essendo l'atto sessuale realmente avvenuto (la consumazione è stata soltanto onirica), ha la stessa densità e concretezza di un abuso accaduto nella realtà di veglia. Oggi questi contenuti non passerebbero più. Un film così non si potrebbe più fare. La dittatura del pensiero unico politically correct e buonista lo vieta con più forza di quanto il Profeta vieti ai suoi fedeli di consumare la carne di porco, il sangue e le carogne. Quindi Dreamscape deve essere considerato un fossile, un residuo di un'epoca meno isterica e più liberale, che non sacrificava la creatività sull'altare di un rigore morale ipocrita e dell'impostura farisaica. Nessuna è stata davvero abusata nella realizzazione di Dreamscape, nemmeno nella finzione, tanto che alla fine del film la libidinosa protagonista si concede ben volentieri al suo drudo, al suo ganzo, accogliendo davvero il suo fallo tra le gambe e facendosi inondare di sperma. Tutto ciò sarebbe stato impossibile se l'intromissione onirica di Alex fosse stata uno stupro a tutti gli effetti, come vorrebbero le moderne convulsionarie. Per contro, nessuno avrebbe nulla da ridire sui crimini commessi da Tommy Ray Glatman, personaggio odioso e psicopatico che si introduceva nel sonno REM delle sue vittime allo scopo di commettere omicidio. Che dire poi dell'uccisione del brutto e cattivo Blair ad opera del fustaccione Alex Gardner, sempre tramite irruzione onirica? Per il momento tali azioni sono considerate irrilevanti anche da chi  inciterebbe l'attirice che ha interpretato Jane DeVries a unirsi alle forcaiole di MeToo. Per il momento, solo per il momento. Mala tempora currunt sed peiora parantur. Finirà così, che prima o poi qualcuno, armatosi della nociva dottrina della political correctness, affermerà che si dovrebbe abolire ogni descrizione di un omicidio, come se l'uccisione di un personaggio in un romanzo o in un film corrispondesse moralmente all'uccisione di una persona nel mondo reale! 


Un finale olomanista

Un elemento sorprendente fa la sua comparsa proprio alla fine del film. Quando la bella milf si concede ad Alex sul treno - meritata ricompensa dopo tante traversie - ecco irrompere nello scompartimento il controllore, che è proprio quello già visto nel precedente sogno di simile ambientazione! Come è possibile questo? Tutto si spiega soltanto ammettendo che l'intero universo in cui si svolge l'azione è illusorio. In altre parole, la realtà stessa è proprio una creazione di Alex Gardner, che è l'unico ad esistere davvero, mentre tutti gli altri personaggi sono soltanto sue proiezioni oniriche. Solipsismo Assoluto. Non c'è una contrapposizione tra sogno e realtà di veglia, ma tra diversi livelli di sogno, più o meno densi, più o meno articolati. Se non fosse per quest'unico indizio rivelatore, ossia l'uomo che controlla i biglietti sul treno, non avremmo avuto modo di comprendere tutto questo e la vicenda narrata sarebbe stata ben più banale.    

Curiosità varie  

La parte di Tommy Ray Glatman era stata offerta a Kevin Costner, che però ha rifiutato. Secondo quanto ho reperito nel Web, l'attore non avrebbe accettato la proposta perché non gli andava di interpretare un ruolo secondario. Credo piuttosto che non volesse sporcare la sua reputazione finendo identificato con un personaggio moralmente ripugnante. 

Nel bel mezzo del film doveva esserci una scena di sesso tra Alex e Jane, molto più polposa del loro incontro onirico, con i corpi avvinghiati in stato di completa nudità. Se ho ben compreso il contorto linguaggio delle fonti anglosassoni, la scena erotica è stata girata realmente ed è stata tagliata prima dell'uscita del film a causa di un improvviso inasprimento dei regolamenti censori.

Nel giro di un anno uscirono ben tre film incentrati sul rapporto tra realtà e sogno. Dreamscape fu preceduto da Brainstorm - Generazione elettronica (Brainstorm, Douglas Trumbull, 1983) e uscì simultaneamente a Nightmare - Dal profondo della notte (A Nightmare in Elm Street, 1984). L'idea in comune è la capacità di uccidere le persone in sogno.

Altre recensioni e reazioni nel Web: 

Questo è riportato sul sito The Science Fiction Encyclopedia (SFE): 

"In Dreamscape the penny-dreadful thriller plot is so ludicrous that it is only the dreams themselves that have much entertainment value. The effects are lively, especially in the climactic vision of Washington in flames after the Bomb."

Mi sono imbattuto in una perla su Rotten Tomatoes. Un recensore definisce il film di Ruben "leggero e spazzaturoso": 

"DREAMSCAPE is a perfect B movie for the 1980s: light and trashy, with political overtones and a blend of science fiction and paranoia, all calculated to provide fun for an audience disinclined to take matters seriously."

E ancora: 

"Made on a tight budget, the special effects are never very convincing, but the performances are all good. If you're willing to suspend disbelief, this is a neat thriller that's enjoyable from start to finish."  

Come spesso accade, il sito Filmtv.it è una vera miniera di pensieri frammentari e talvolta interessanti. Ne riporto alcuni.

Alfatocoferolo scrive: 

"Date le premesse roboanti ed i proclami grandiosi, mi aspettavo quasi un capolavoro. Invece è un filmetto che si basa su presupposti paranormali inutili, giacché sarebbero bastati quelle fantascientifici, e con un Densis Quaid così piacione da apparire irritante, tra sorrisini e ammiccamenti alla protagonista ed alle spettatrici adoranti. A parte questo, il film scorre bene, si sviluppa su linee tutto sommato non prevedibilissime ma soffre un po' la datazione, quanto ad effetti speciali. Guardabile." 

superficie 213 scrive:

"Un cult.Dreamscape e' una pellicola intelligente,originale e ben fatta.Certo essendo un film dei primi '80 ha qualche sequenza un po' datata e non tutto fila liscio - un po' troppo classico l'intrigo -,ma le belle scene oniriche,i bravissimi attori,la bella messa in scena,la fotografia cupa ed il finale valgono davvero la pena.Un gioiellino da riscoprire.The cell ha copiato tutto...o quasi."

movieman scrive:

""Dreamscape" s'impegna, si dà da fare, ma non riesce a fare presa o lasciare il segno. Colpa probabilmente di una premessa che nel 1984 appariva piuttosto campata in aria, e che a dirla tutta appare un tantino campata in aria pure oggi. Uscito nel 1984 così come il ben più noto primo "Nightmare" con Freddy Krueger. I due film si somigliano, senonché questo solo nel finale rivela i suoi lati più sinistri, ma è difficile dire se sia nato prima l'uovo o la gallina."

supidany scrive:

"“Dreamscape” è un cult che non gode dei riconoscimenti che invece merita, al contrario di altri film a sfondo fantascientico degli anni ottanta, tanto più visto che anticipa un tema poi elargito alla grande da “Inception”, ma l’idea originale ha un merito che non può essere accantonato (e con questo non intendo dire che Nolan sia partito da qui per il suo film), nonostante qualche enfatizzazione molto anni ottanta."

Giurista 81 scrive: 

"E’ il film dal quale è stato ispirato The Cell. Considerando che è dell’84 è veramente un buon film con ottimi effetti speciali e con un cast all’altezza della situazione. Particolarmente buona la parte finale del film e le idee, riprese anche recentemente, che in sogno tutto è possibile e che la morte nel sogno equivale a morte nella realtà. Per le idee sviluppate è un film più recente rispetto all’anno in cui è stato realizzato."

Che altro dire? Approfondiremo ogni questione quando recensiremo i film citati nelle recensioni di cui sopra:

Nightmare - Dal profondo della notte (Wes Craven, 1984) 
The Cell (Tarsem Singh, 2000)
Inception (Christopher Nolan, 2010) 

Aggiungiamone pure un altro, già citato:

Brainstorm - Generazione elettronica (Douglas Trumbull, 1983).