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martedì 28 febbraio 2023


WHATEVER THAT HURTS 

Gruppo: Tiamat 
Album: Wildhoney 
Anno: 1994 
Paese: Svezia  
Lingua: Inglese 
Genere: Gothic Metal, Death Metal 
Formato: CD 
Etichetta: Century Media 
Formazione: 
  Johan Edlund - voce, chitarra
  Johnny Hagel - basso
  Lars Sköld - batteria
  Magnus Sahlgren - chitarra solista
  Waldemar Sorychta - tastiere
  Birgit Zacher - voce addizionale 
Etimologia del nome del gruppo: da Tiāmat, nome accadico della Dea degli Abissi, Madre del Cosmo (cfr. ebraico Tehōm "Abisso")
Link: 


Testo in inglese: 

Whatever that hurts

Decoction of Jimsonweed
Slimy trailing plants distil
Claustrophobia and blood mixed seed
Cursed downstairs against my will
Cobweb sticks to molten years
Cockroaches served with cream
I wipe the silver bullet tears
And with every tear a dream
With every tear a dream..
Honey tea, psilocybe larvae
Honeymoon, silver spoon
Psilocybe tea
Energy trickles with the tide
Masterminds and the suicide squad
Drink acid water by my side
Stake the saviour of their daily fraud
Overfilled toothpaste tubes
Sleepless and timeless faces
Drippety drop on sugarcubes
The one eyed's eye twinkles and gazes
Twinkles and gazes...
Honey tea, psilocybe larvae
Honeymoon, silver spoon
Psilocybe tea 

Traduzione: 

Qualsiasi cosa dia fastidio 

Decozione di stramonio 
Piante rampicanti viscide distillano
Semi di claustrofobia mista a sangue 
Maledetto piano inferiore 
Contro la mia volontà 
La ragnatela si attacca 
Agli anni fusi 
Scarafaggi serviti con panna 
Asciugo le lacrime del proiettile d'argento 
E con ogni lacrima un sogno... 
Tè al miele, larve di psilocybe  
Luna di miele, cucchiaio d'argento 
Tè alla psilocybe 
L'energia scorre con la marea
I cervelloni e la squadra suicida
Bevono acqua acida al mio fianco
Perfora col palo il salvatore della loro frode quotidiana 
Tubetti di dentifricio stracolmi
Volti insonni e senza tempo
Goccia gocciolante su zollette di zucchero
L'occhio del guercio brilla e guarda... 
Tè al miele, larve di psilocybe
Luna di miele, cucchiaio d'argento
Tè alla psilocybe 

Recensione: 
Il brano è semplicemente esaltante. Il video è uno spettacolare viaggio allucinatorio in un Inferno psichedelico. I colori sono abbacinanti, quasi esplosivi. Si scorgono forme transeunti, vorticose, in cui volti oscuri si ridefiniscono istante dopo istante, sfaldandosi, frammentandosi, ricomponendosi. Un pupazzo si contorce, il suo capo è fatto con una sigaretta mezza combusta. Si contorce, danzando come gli spettri di stelle morenti sul margine di un Orizzonte degli Eventi che annienta l'Essere! Un Buco Nero ontologico! Un burattinaio agita le dita di legno rossiccio, cercando di stringere un pupazzo che è una specie di mosca plasmata da un Demiurgo folle! Intanto dall'alto colano fiotti di un miele allucinogeno, tossico, che uccide i viventi. 

San Isidro o la carne degli Dei 

La Psilocybe cubensis (Earle) Singer, 1948 è un fungo basidiomicete della famiglia delle Strophariaceae. Ha poteri psichedelici, contenendo il principio attivo detto psilocibina. Questo fungo, noto anche con il sinonimo scientifico di Stropharia cubensis, in Messico è denominato San Isidro, che in spagnolo significa "San Isidoro". Gli Aztechi ne facevano largo uso e lo chiamavano teōnacatl, ossia "carne degli Dei" (più precisamente "fungo degli Dei", da teōtl "divinità" e nanacatl "fungo", alla lettera "quasi-carne", forma reduplicata di nacatl "carne"). Francamente non so se sia infestato da larve o se queste si siano prodotte nella mente frenetica del cantante dei Tiamat. Nemmeno so se con questo fungo ci facciano del tè, se lo mettano in infusione. Molti anni fa mi capitò di conoscere in chat un pazzoide che ci faceva delle fritture. Poi parlava di Rettiliani e delle opere di Carlos Castaneda.

sabato 26 novembre 2022

ETIMOLOGIA DI MANIGOLDO

Ormai la parola manigoldo è quasi desueta. L'ultima volta che mi sono imbattuto nel suo uso nella lingua scritta al di fuori dei miei studi, è stato in un racconto di Zio Paperone e Paperino, in cui Paperinik era etichettato come "un gran manigoldo". Per quanto riguarda la lingua parlata, esiste maggior riscontro, ho sentito pochi giorni fa un carissimo amico riferirsi a un politicante definendolo "manigoldo". Se qualche giovane della Generazione Z dovesse sentire qualcuno pronunciare questo termine, si chiederebbe: "Chi è questo babbo?" Oppure sentenzierebbe: "OK, boomer!" Come al solito, è necessario procedere nella ricerca dell'etimologia. Partiamo dunque dai dati disponibili:

manigoldo 
Pronuncia: /mani'goldo/ (con -o- tonica chiusa)
Uso: sostantivo 
Forma plurale: manigoldi 
Forma femminile (obsoleta): manigolda 
Significato: 
  1) individuo malvagio e privo di scrupoli
  2) furfante, briccone, mascalzone (epiteto scherzoso
  3) aguzzino, carnefice 
Glossa inglese: rascal, rogue, scoundrel
Derivati (obsoleti): manigoldaccio, manigoldone, manigolderia



Esempi di frasi: 

Razza di manigoldi! 

Guarda che cosa ha combinato quel manigoldo di tuo figlio!

Poi che d'innumberabil battiture 
Si vide il manigoldo Amor satollo 
(Ariosto)

Diffusione nella Romània: 

La voce è tipica della sola lingua italiana: lo spagnolo manigoldo è un evidente prestito dall'italiano.

Alcune note etimologiche

L'opinione corrente è che l'epiteto manigoldo derivi dall'antico alto tedesco Manegold, attestato nel XI secolo come antroponimo maschile (variante: Mangold; forma latina: Manegoldus, Manegaudus). Per l'esattezza, ci è noto un ecclesiastico alsaziano, Manegoldo di Lautenbach (1040 - circa 1119), che fu teologo e filosofo. Viene ricordato come autore di libelli contro gli eretici e per le sue posizioni anti-imperiali, spinte fino alla giustificazione morale del tirannicidio. Sosteneva la riforma monastica nella sua forma più radicale. Queste sono le sue opere, menzionate più volte nel Web ma in concreto difficilmente reperibili: 

i) Ad Gebehardum liber
ii) Ad Wibaldum Abbatem
iii) De psalmorum libro exegesis 
iv) Contra Wolfelmum Coloniensem
      (Liber contra Wolfelmum)

A quanto sono riuscito ad appurare, Manegoldo di Lautenbach era un convinto terrapiattista: sosteneva che i cristiani non devono necessariamente fare affidamento sulle opere degli autori pagani per quanto riguarda la cosmologia. Quindi polemizzò e tentò di confutare i geografi che sostenevano la geometria sferica della Terra. 

Che fondamento c'è in questa connessione tra il nome del teologo alsaziano e la parola manigoldo? Ben poco, a mio avviso. Secondo i sostenitori di questa teoria etimologica, Manegoldo era talmente odiato per le sue idee che il suo nome sarebbe diventato una parola comune per indicare un malfattore. La cosa pare piuttosto implausibile. Per ovviare a questo problema semantico, è stato da lungo tempo supposto che esistesse un altro famoso Manegoldo, che esercitava la professione del carnefice. Un boia quasi proverbiale, una specie di Mastro Titta del medioevo germanico. Resta il fatto che di un simile personaggio, che mi immagino simile al Boia Scarlatto, non esiste traccia alcuna nella storiografia. Tutto ciò ha l'aria di una storiella costruita ex post

Bisognerebbe smetterla di rimandare tutto a un nome proprio di persona, confidando nel fatto che sia incomprensibile per sua intrinseca natura ("è un nome di persona, cosa dovrebbe significare", disse un cinese a una ragazza che gli aveva chiesto lumi sul perché si chiamasse così). Invece i nomi hanno un significato, anche se spesso si è sclerotizzato e non è più chiaro alle genti da tempo immemorabile. 
L'antroponimo Manegold sarebbe di per sé ben comprensibile al filologo appassionato delle lingue degli antichi Germani: 

Protogermanico: *manaγīwaldaz "che domina le masse"
   (< *manaγīn "folla", "moltitudine";
     -waldaz "che domina") 
Possibili esiti antroponimici in antico alto tedesco: 
ManegoldManigoldMangoldManogold, ManogaldManagoldManagolt, ManigoltMenegald, etc.
Nota: 
Esiste il cognome Menegaldo, particolarmente diffuso in Veneto ma presente anche in Lombardia, Piemonte, Umbria e Lazio (con ogni probabilità per migrazione). 



Se questa fosse la vera origine di manigoldo, come sostenuto ad esempio da Reinold Kapff (1889), potremmo ipotizzare questa catena di slittamenti semantici: 

dominatore di folle => capopopolo, sobillatore => tirannello => malvagio,  malfattore 

Il Vocabolario Etimologico di Pianigiani (prima edizione 1907), non si spinge a tanto, fermandosi al significato originale "colui che domina la gente", aggiungendo queste considerazioni: "lo che però se sta in accordo con un onesto nome di persona, si ribella al significato obbrobrioso, che è annesso alla voce Manigoldo." Ne conclude quanto segue: "Dunque è chiaro che siamo dinanzi a una confusione di nomi, con idee separate e diverse, a meno che il senso di spregio non sia puramente aneddotico."


Ebbene, esiste la possibilità, a lungo sostenuta dagli studiosi, che manigoldo abbia avuto origine nella Langobardia e che si sia quindi diffuso in Germania come antroponimo. 

Etimologia: 

Protogermanico: *mundōwaldaz "che esercita l'autorità" 
   (< *mundō / *munduz "mano", "autorità";
   -waldaz "che domina")
   Esito longobardo: mundoald "tutore", "guardiano legale" 
   Varianti: mundualt 
   Forma tedesca attuale: Mundwald
   Forme italianizzate: mundoaldo, mondoaldo,
        mundualdo, mondualdo 

La radice mund- (chiaramente imparentata alla lontana con il latino manus), ha dato origine al termine legale latinizzato in mundium (Rotari et al.). 

Esempi di attestazioni datate:

si autem mundoald eius [puellae] consentiens fuerit, aut tradederit eam ante ... duodecim annos, conponat in sagro palatio solidos trecentos, et mundium eius amittat, et sit ipsa cum rebus suis in mundio palatii
(717)

si quis fream alienam sine uolontatem de mundoald eius mouere de casa, ubi inhabitat, presumpserit, et alibi duxerit, conponat ille, qui in caput est, pro inlecita presumptione ad mundoald eius solidos numero octonta 
(727)

si ... quiscumque homo, in cuius mundium non est, hoc facere presumserit, conponat uuirigild suum in sagro palatium, et ipsa cum rebus suis sit in potestatem mundoaldi sui
(728)

ubi ipsa femina pro sua necessitatem nuda esse uedetur, pungere uel percutere presumpserit, conponat ad mundoald eius solidos octuagenta
(731)

ut si aliqua iniuria aut obprobrium, ... aut mortem ibi acceperint, nihil ad ipsas mulieres aut ad uiros aut ad mundoald earum conponant illi, qui se defendendum eis aliqua fecerint lesionem
(734)

si quis inuenerit libera mulierem aut puellam per campum suum seminatum ambolantem et uiam indicantem, pignerit eam, et parentes aut mundoald eius conponat pro ipsa solidos sex
(735) 

serui ipsi tradantur in manus mundoald eius, et ipse faciat de eis, quod ei placuerit
(755)

cum illa compositione quam in publico dare debuerunt vel mundoaldo eius
(779)

et Pisana civitas habeat plenam iurisdicionem ... faciendi iusticiam et etiam vindictam et dandi tutores et mundualdos et alia
(1162)

et dandi tutores et curatores et mundualdos et cetera omnia que iudex ordinarius ab imperatore debet habere ex sua iurisditione in suo districtu
(1191)


Potremmo ipotizzare questa verosimile catena di slittamenti semantici che ha portato da mundoald al manigoldo

tutore => uomo oppressivo, tirannico => malvagio,  malfattore => aguzzino, boia, carnefice  

Dal momento che sussisterebbe qualche difficoltà fonetica, possiamo immaginare che tutto si spieghi con la traduzione in latino del primo membro del composto: 
 
Traduzione: mund- "mano, autorità" => mani- 
Motivo della traduzione: formazione in epoca tarda di un gergo italo-longobardo. 

A riprova di ciò, in italiano esiste un'antica variante inattesa di mundoaldo, che è nata dalla stessa operazione di adattamento tramite traduzione: manovaldo. Questa è foneticamente molto affine a manigoldo.

Tentativi etimologici fallimentari 

Sono stati fatti anche altri tentativi di spiegazione, per lo più incentrati sull'idea che il significato originale fosse quello di "boia". Non risultano affatto convincenti. 
1) Jacob Grimm (1785 - 1863) ha ipotizzato un composto antico alto tedesco formato da menni, meinni , da lui tradotto come "collo", e da gold "oro", a significare quindi "collo d'oro". Sarebbe stato dato a un boia particolarmente vanesio o come denominazione ironica. Il composto, ammesso che sia esistito, significherebbe invece "oro del collare". Infatti menni non significa affatto "collo", bensì "collare"; l'ordine delle parole nel composto è sbagliato.  
2) C'è poi la ricostruzione di manigoldo come Manowalt, tradotto come "che maneggia il collare". Tuttavia l'antico alto tedesco mana non significa affatto "collare", bensì "criniera". 
3) Friedrich Kluge (1856 - 1926) ha invece preso il nome composto Managold interpretandolo come "molto potente" (tedesco Vielherrscher) anziché "che domina le masse", ritenendolo un sinonimo dell'antroponimo greco Πολυκράτης.  
4) Un blogger, Michele Rondelli, ha ipotizzato che manigoldo sia una termine italoamericano proveniente da money "denaro" con l'aggiunta di gold "oro". C'è da dire che la sua suggestione non ha alcuna pretesa di essere autorevole. Non sembra avere ben chiaro che Ariosto non avrebbe potuto usare una parola italoamericana, per semplici ragioni di cronologia. Il composto "denaro" + "oro" non è molto solido. Ho tuttavia ritenuto utile riportare anche questa paretimologia.


Conclusioni 

Si ravvisa sempre il solito problema delle proposte etimologiche datate che vengono rese nuovamente popolari da Google, soffocando ogni iniziativa. Mancano studi innovativi nel mondo accademico. Mi rendo conto che un blog non sia il mezzo adatto per trovare soluzioni a problemi tanto gravi, tuttavia non ci sono molte alternative. 

martedì 8 novembre 2022

ETIMOLOGIA DI MAMBO

La parola mambo, che indica un tipo di danza, si è diffusa con questo significato dallo spagnolo di Cuba. In ultima istanza deriva dal creolo haitiano manbo "sacerdotessa voodoo", ossia "colei che parla con i morti". Ora si deve indagare l'origine di questo termine religioso, chiaramente importato dall'Africa con il traffico degli schiavi.

1) L'ipotesi più accreditata è che il vocabolo haitiano derivi dallo Yoruba mambo "parlare". La lingua Yoruba, parlata principalmente nella Nigeria sud-occidentale e in parti del Benin e del Togo, appartiene al gruppo delle lingue Volta-Niger, parte della famiglia delle lingue Niger-Kordofaniane. 
2) C'è anche la possibilità che derivi dal Fon nanbo "madre degli spiriti". Questa parola può avere la stessa origine di quella Yoruba sopra riportata, con il significato originario di "colei che parla (agli spiriti)". Coma lo Yoruba, anche il Fon appartiene al gruppo delle lingue Volta-Niger. 
3) Una terza teoria vuole che derivi invece da una lingua della famiglia Bantu, il Kikongo, in cui màmbu "conversazione, negoziazione rituale" è il plurale di diàmbu "parola". Le lingue Bantu, anche dette lingue Niger-Congo B, funzionano tipicamente tramite un complesso sistema di prefissi. 

Come si può ben capire, il problema non ammette una facile soluzione. Servirebbe una competenza specifica nelle lingue africane in questione, che sono tra loro molto diverse. Sono incline a preferire l'etimologia 1) dallo Yoruba, vista l'enorme importanza di questa lingua nella formazione di diverse religioni afroamericane: il Voodoo (Voudou, Voudoun) e la Santería nella regione caraibica e il Candomblé in Brasile. 

La lingua Lucumí 

La lingua Lucumí consiste in un lessico di parole e brevi frasi derivate dalla lingua Yoruba e utilizzate per scopi rituali a Cuba, nella Repubblica Dominicana, a Porto Rico e nelle diaspore che ne hanno avuto origine. Lo Yoruba è una lingua tonale. Questo significa che il tono delle sillabe è una caratteristica distintiva essenziale e "non negoziabile".  Nel Lucumí non si trova traccia di aspetti tonali. La fonetica è stata influenzata da quella dello spagnolo. Il lessico presenta tracce di influenze di lingue Bantu e Fongbe, parlate da altri africani ridotti in schiavitù, che vivevano in prossimità di parlanti Yoruba nelle Americhe

Riporto un breve glossario Lucumí: 

abadú "grano" 
abako "cucchiaio"
afefé "vento" 
agua "lingua" 
ako "barca" 
ala "sogno"
ala "vestito bianco" 
alabusa, alubosa "cipolla"
alaguedé "fabbro" 
aná "strada" 
ara, ará, airá "tuono" 
ará "corpo" 
ará "gente" 
arun, aroano "malattia" 
arún, marún "cinque" (5)
asho "vestito"
awá "mano"
awó "segreto" 
ayá "cane" 
ayanmó "destino" 
ayapá "tartaruga" 
ayé "mondo" 
babá "padre" 
batá "scarpe" 
bobo, gbogbo "tutto"; "molti", "numerosi" 
boná, oboná "caldo" 
dide "sorgere" 
dudú "nero", "scuro" 
ebbó "sacrificio prescritto" 
efá, mefá "sei" (6) 
egué "erbe"; "foglie" 
eran "carne" 
eñe "dente" 
eñí "uovo" 
eri, eyi "dente" 
erín, merín "quattro" (4) 
esán "nove" (9)
eta, meta "tre" (3) 
euré, auré "capra" 
ewá, mewá, mékwa "dieci" (10) 
eyá "pesce" 
eyé "sette" (7)
eyelé "piccione"
eyí, eye "sangue" 
eyí, méyi "due" (2)
eyó "otto" (8) 
gua "venire" 
gunu "lungo"
ibeyí "gemello", "gemelli" 
ida, ide "spada"
ikú "morte" 
ilé "casa"; "terra", "paese" 
ilé ikú "cimitero" 
ilú "tamburo" 
imo "bocca" 
imu, onó "naso" 
iñá "fuoco" 
iraguo "stella"
iré "buono" 
iró "capelli" 
irón "sentiero" 
isé "piede"
iyá "madre" 
kekeré, kukurú "piccolo"
kuinu "dieci" (10) 
malú "vacca"
moguá "io rompo" 
mochinche "io lavoro" 
modukue "io ringrazio" 
moforibale "saluto con inchino"
    (davanti agli Anziani o agli Dei) 
mojuba "insieme di preghiere"
    (durante le cerimonie per venerare gli Anziani e gli Dei)
ochúpa "luna" 
obá "re"
obini "donna"
ofú "dare" 
ogún "venti" (20)
okán "fegato"
okán "uno" (1) 
olo "proprietario" 
ologbo "gatto"
oma "bambini"
omi "acqua" 
omi tuto "acqua fresca"
onú "collo"
onukú "ginocchio" 
oñi, oyín "miele"
opá "uccidere" 
Orisha "entità spirituale" 
orú, orún, onó "sole" 
osorbo, osobbo "sfortuna", "cattiva fortuna" 
otá "pietra" 
otá "nemico" 
oyó "occhio"
panchaga "prostituta" 
pupua "rosso"
tito "nuovo" 
urú "coda" 
yeun "mangiare"

Obanla e, obanla dide! "O grande Re, grande Re, sorgi!"
un lo "sta andando via" 




Mambo number 5 

Qui in Italia tutta la conoscenza della parola mambo è limitata a un motivetto che nel 1999 è stato una specie di tormentone. Il brano è Mambo no. 5 (A Little Bit Of...), di Lou Bega. Questo è il ritornello:

A little bit of Monica in my life
A little bit of Erica by my side
A little bit of Rita's all I need
A little bit of Tina's what I see
A little bit of Sandra in the sun
A little bit of Mary all night long
A little bit of Jessica, here I am
A little bit of you makes me your man (ah)

Mambo Number Five (ah) 

Sentendo queste note così sensuali, nessuno ha pensato per un solo attimo a rituali tenebrosi di evocazione degli spiriti dei morti, a parte me! 

domenica 6 novembre 2022

ETIMOLOGIA DI MILONGA

La parola milonga fa parte del lessico del tango. Ricordo che L., un'affascinante tanguera dalle chiome corvine, ai tempi di Splinder amava farsi chiamare Dark Lady della Milonga. Era una delle pupe che mi ispiravano in modo particolare. Milonga. Già all'epoca mi interrogai sulle origini di quel bizzarro vocabolo. Sono passati molti anni e mi sto avviando al declino, ma la passione per i miei studi sui misteri delle lingue non mi abbandona mai. Sono deciso a far luce su questo mistero. Per fortuna non è un caso troppo difficile ed è mia intenzione approfondirlo.    

Partiamo dai dati relativi alla lingua spagnola dell'Argentina:  

milonga 
forma plurale: milongas 
significato: 
 1) una forma di musica originaria dell'Argentina, Uruguay e Brasile meridionale 
 2) un ballo che accompagna questa musica 
 3) una sala da ballo in Argentina, che ha preceduto il tango nei primi anni del XX secolo 
 4) chiacchierio (*)

(*) Questo significato è considerato come "popolare".

termini derivati:
milonguero (per i non ispanofoni, gu- suona come la g- di gatto

La stessa voce milonga (plurale milongas) si ritrova in portoghese, con i significati 1), 2) e 3) della corrispondente voce spagnola; manca invece il significato 4) "chiacchierio". Il derivato è milongueiro


Molti si contenteranno di dire che è una parola spagnola e che tutto finisce lì, ma dovrebbe essere a tutti evidente che non è germogliata nella penisola iberica! Infatti è di origine africana, come molte parole che comprendono i gruppi consonantici -ng--mb-

Si può facilmente comprendere che il significato più antico è proprio "chiacchierio". 

La Wikipedia in inglese, più approfondita della versione in italiano, riporta quanto segue (i grassetti sono miei):
 
Borrowed from Spanish milonga, in turn from Brazilian Portuguese milonga (“chant”). Theories connect the word to the nineteenth century slave trade between South America and Africa. The ultimate source is unknown, but may relate to Kimbundu mulonga (“word”), or Kongo nlonga or Punu mulonga (“line, row”) in reference to dancers.  

Traduzione: 

Preso a prestito dallo spagnolo milonga, a sua volta dal portoghese brasiliano milonga "canto". Alcune teorie connettono la parola al commercio degli schiavi del diciannovesimo secolo tra il Sudamerica e l'Africa. La fonte ultima è sconosciuta, ma può essere connessa al Kimbundu mulonga "parola", al Kongo nlonga o al Punu mulonga "linea, riga", con riferimento ai danzatori. 

Il Kimbundu è una lingua Bantu parlata in Angola nelle regioni di Luanda, Bengo e Malanje dalle popolazioni Mbundu. Attualmente ha circa 2 milioni di locutori. Il popolo Mbundu si divide in 11 sottogruppi, ciascuno con il proprio dialetto: Ngola, Dembo, Jinga, Bondo, Bângala, Songo, Ibaco, Luanda, Kibala, Libolo e Kissama. La deportazione di schiavi di tali regioni ha fatto sì che la lingua Kimbundu si radicasse in Brasile, dando origine a prestiti lessicali nel portoghese locale (uno dei più noti è samba). A seguito di una ricerca sull'argomento, ho potuto appurare che la parola mulonga, di cui milonga è la forma plurale, non ha semplicemente il significato di "parola" (come parte del discorso, etc.). Indica nello specifico una parola dotata di potere o di forza magica. Le traduzioni possibili sono, a seconda del contesto di utilizzo, molto varie, includendo "argomento", "ragioni", "causa legale", "processo", "maledizione", "calunnia", "offesa", "voce, pettegolezzo" e persino "colpa". Può anche tradursi con "parola magica", "incantesimo". In inglese, più che con "word", si dovrebbe glossare mulonga con "spell", "course". 
Esisteva un autentico terrore superstizioso della mulonga, che potevano legare le persone e privarle di qualsiasi barlume di volontà, riducendole in pratica a zombie.  
Ecco quanto riporta nel suo rapporto Fernão de Sousa, Capitano Generale del Regno di Angola dal 1624 al 1630 (i grassetti sono miei): 

[Njinga] prese a temporeggiare con messaggi che lei mi mandò, e i suoi macunzes, sulla loro via del ritorno, in questa città come nelle terre dei sobas lungo cui essi passarono, persuasero i nostri schiavi e i nostri soldati neri, che essi chiamano quimbares, che sarebbero dovuti andare da lei, e che lei avrebbe dato loro terra da lavorare e per viverci perché era meglio per loro essere signori nativi che nostri schiavi; e con questi messaggi, che essi chiamano milongas, lei ha una tale influenza su di loro che interi senzalas [villaggi] accorrono a lei.

E ancora: 

"Vestirsi" è una moda che è stata introdotta per chiedere ai sobas per pezzi [schiavi] nel seguente modo: i governatori mandavano un macunze, che è un ambasciatore, con una quantità di abiti di seta, empondas [abiti] e farregoulos, che è il vestito dei negri, e questo macunze diceva ad ogni soba che egli era il macunze del governatore e che egli veniva a cercare il loanda [tributo], e siccome i macunzes erano sempre persone ben istruite per questo affare, essi spogliavano ciascun soba del meglio che potevano, obbligandoli con pratiche che chiamavano milongas per dare al governatore, al macunze, all'interprete e ai loro compagni, il [numero di] schiavi che non potevano [realmente permettersi] di dare.

Come si può ben vedere, il termine Kimbundu mulonga può benissimo essere tradotto con "ricatto", "estorsione", "convincimento magico", "pressione", "minaccia". Se volessimo tradurre in Kimbundu concetti mafiosi come "pizzo", "omertà", "proposta che non si può rifiutare", "racket" e simili, dovremmo usare la parola proprio la parola mulonga

Il Punu è una lingua Bantu parlata nella Repubblica del Gabon e nella Repubblica del Congo; nel 2007 aveva 166.000 locutori. In Punu esiste la parola mulonga, che significa "linea, riga". Come conciliare questo significato con quello che ha in Kimbundu? Potrebbero essere parole di etimologia differente, simili soltanto per omofonia fortuita. Tuttavia non lo credo. Non si tratta di un riferimento ai danzatori messi in fila, bensì alla parola di comando che mette gli uomini in riga. 

Il Kikongo è una lingua Bantu parlata dalle popolazioni Bakongo che vivono in Repubblica Democratica del Congo, Repubblica del Congo, Angola e Gabon. Nel 2021 contava 6 milioni di locutori.  
Questi sono alcuni dati della lingua Kikongo, che penso siano di grande interesse: 
longa "avvisare" 
    (glossa portoghese: advertir) 
longa, longela "consigliare"
    (glossa portoghese: aconselhar) 
longa, longoka "addestrare, insegnare"
    (glossa portoghese: adestrar) 
longa "castigare" 
    (glossa portoghese: castigar) 
lóngakana "incline all'istruzione"
    (glossa inglese: prone to instruction) 
longi "avvertimento" 
    (glossa portoghese: advertência) 
n'longa "coda (di persone)", "fila" 
    (glossa portoghese: bicha, fila) 
muna n'longa "carriera"
   (glossa portoghese: carreira) 
tinin'longa "paragrafo" 
   (glossa portoghese: alínea) 
n'longi "insegnante", "predicatore"
    (glossa inglese: teacher, preacher;
     glossa portoghese: adestrador)
n'longoki "accolito"
    (glossa portoghese: acólito) 
nwika n'longo, vana n'longo "amministrare" 
    (glossa portoghese: administrar) 

Penso che tutto ciò sia sufficiente a dimostrare che ho ragione a supporre che la parola Kimbundu mulonga, la parola Punu mulonga e la parola Kikongo n'longa derivino da una protoforma comune.

Il Lingala è una lingua Bantu parlata nel nordest della Repubblica Democratica del Congo e nel nord della Repubblica del Congo. Nel 2021 aveva circa 20 milioni di locutori. In Lingala esiste la parola malongá "corretto, esatto". Ecco il bandolo della matassa!  
Possiamo così tracciare la catena degli antichi slittamenti semantici: 

corretto, esatto => 
cosa corretta, cosa esatta => 
   parola corretta => insegnamento, consiglio, avvertimento,
      etc.  
   parola corretta => parola magica, etc.   
   correggere => mettere in riga => riga, fila

Riporto una curiosità sull'opera di Robert E. Howard (1906 - 1936). Lo stregone amico del puritano Solomon Kane si chiama N'longa e si può comprendere che il suo nome non è stato inventato dal nulla, visto che ha un significato pertinente al personaggio. Egli è "Colui che Insegna". Si dovrebbe smettere di assorbire passivamente i libri senza mai domandarsi quale sia l'origine dei nomi! 

Sviluppi nel Nuovo Mondo: 

Importato in Brasile e in Argentina, il vocabolo Kimbundu ha avuto un indebolimento semantico: la forma plurale milonga è passata a significare "parole (comuni)", quindi "chiacchierio". 

Una pseudo-etimologia fuorviante: 

Addirittura il prestigioso Vocabolario Treccani attribuisce l'origine della parola milonga a una lingua indigena del Brasile, senza specificare quale sarebbe (!). Riporta soltanto questo: 

[da una voce indigena del Brasile nord-orient.] 


Non ci volevo credere, eppure è così. La superficialità in un contenuto tanto folle in una fonte autorevole mi fa restare di ghiaccio, come le scorregge del Boccaccio. 

Conclusioni: 

Questo è un raro caso in cui si riesce a risolvere un problema etimologico. 

venerdì 4 novembre 2022

ETIMOLOGIA DI TANGO

Un caso particolarmente arduo da trattare è quello dell'etimologia del nome del famosissimo ballo argentino, il tango. Le proposte sono innumerevoli, contraddittorie e poco convincenti. 

Ricordo un grossolano tentativo di spiegare la parola, che fu enunciato da un partecipante alla prima edizione del Grande Fratello, Pietro Taricone - nel frattempo deceduto. All'epoca il "gieffino" esibiva qualche rudimento di latino, vantandosi di essere un maestro di etimologie: tra le sue "perle" si riportano snob spiegato come "sine nobilitate" (ossia "senza nobiltà") e il toponimo belga Spa interpretato come "salus per aquas" (ossia "salute per mezzo delle acque"). Allo stesso modo riconduceva tango, nome del ballo argentino, al verbo latino tangere "toccare", ritenendolo una pura e semplice forma coniugata (prima persona singolare del presente indicativo, tango "io tocco"). Il suo ragionamento era questo:  quando si balla il tango si tocca la donna, la si palpa sensualmente, così la danza stessa deve per forza di cose prendere il nome da questa attività sessuale pubblica. Non a caso, il tango fu condannato dalla Chiesa Romana, in tempi in cui il tuonare di un Pontefice aveva ancora qualche importanza e poteva incutere timore in vasti strati della popolazione, un po' come il Mago di Oz. 

Passiamo ora in rassegna quanto ho potuto reperire. 

Etimologie neolatine di tango 

A dire il vero, l'origine da esiti romanzi del latino tangere "toccare" è stata più volte proposta, tuttavia non nel senso di "toccare una donna", bensì in quello di "toccare uno strumento (a corda)", ossia "suonare uno strumento", oppure in altri modi più complessi e implausibili. 
Ecco un elenco di proposte: 
1) Spagnolo tañer "suonare uno strumento". 
"Altri ritengono che il termine derivi dallo spagnolo tañer (a sua volta dal latino tangĕre), cioè suonare uno strumento." 
(estratto da: Una parola al giorno)
2) Portoghese tanger "suonare uno strumento" (corrisponde allo spagnolo tañer). 
3) Portoghese tangomão "trafficante di schiavi in Africa", "portoghese africanizzato". William W. Megenney (2003) suppone che si tratti di un composto di tanger e di mão "mano", quasi un "toccamano", attribuendo la sua prima attestazione al creolo portoghese di São Tomé descritto da Alonso de Sandoval (XVII secolo). Lo stesso Megenney la somiglianza alla parola espressiva portoghese tanglomanglo, tanglomang, tangolomango "specie di magia, stregoneria", che ne potrebbe essere una deformazione. Sono tuttavia dell'idea che tangomão sia piuttosto un adattamento dell'arabo ترجمان tarjumān "interprete"
4) Antico francese (dialetto di Normandia) tangue "tipo di ballo". La parola, attestata in epoca medievale, appartiene di certo alla descritta categoria semantica. È verosimile che fosse un ballo con accompagnamento di strumenti a corda, da cui il nome. Ovviamente non ha nulla a che fare con l'omofono tangue, tanque "concime di alghe", che è dal norreno þang "alghe".  
5) Francese tanguer "beccheggiare", "oscillare", tangage "beccheggio, movimento oscillatorio". Sono parole tipiche del gergo marinaresco, derivate dall'antico francese tengre "oscillare". Anche se ci sono dubbi, la radice dovrebbe essere dal latino tangere "toccare", con questo slittamento semantico:
"toccare" => "toccare ritmicamente" => "far oscillare" => "beccheggiare", "oscillare". Si noti però che esiste in antico frisone il verbo tangeln "oscillare", che suggerisce piuttosto un'origine germanica.
6) Spagnolo tángano "gioco che consiste nel cercare di abbattere un cilindro lanciandogli contro pezzetti di pietra, ossicini o dischi". Il gioco è anche chiamato tanga, mentre il cilindro da colpire è chiamato tango. Queste parole, tángano, tanga e tango, sono fatte derivare dal latino tangere "toccare". È il solito genio dei romanisti. Da qui è nato il mito secondo cui il tango avrebbe tratto il suo nome da un ossicino! Non si capisce secondo quale logica. 

Etimologie Romaní di tango 

1) Secondo quanto riportato da William Sayers (2013), la parola tango sarebbe di origine Romaní e deriverebbe da un precedente *tanzkó, dove -kó è un tipico suffisso agentivo. La radice della parola sarebbe un prestito dal tedesco Tanz "danza, ballo". Questa parola *tanzkó dovrebbe essere giunta  nella regione rioplatense dal Kalderash (lingua di un importante sottogruppo Rom della Romania), non dal Caló (lingua para-Romaní iberica). 
Si vede che questa derivazione è abbastanza implausibile per motivi fonetici. Non si dovrebbe avere la scomparsa di -z- nel gruppo consonantico -nzk-. In spagnolo, una simile parola avrebbe poi dato *tazco, non tango
2) Un'altra possibilità, sempre riportata in Sayers (2013), è che tango derivi dalla parola Romaní tang "stretto, compresso; costretto, forzato" (variante tango). La semantica sarebbe abbastanza ragionevole: l'uso di questo aggettivo deriverebbe dal fatto che l'uomo e la donna ballano appiccicati, avvinghiati, stretti l'uno all'altra. Anche se per altra via, senza passare attraverso il latino scolastico, si arriverebbe ancora all'idea espressa a suo tempo da Taricone. In ogni caso, sembra che questo aggettivo tang, tango non sia applicato al ballo. Ci vorrebbe il parere di uno ziganologo, anche se tutto questo convince poco. 

Etimologie arabe di tango 

1) Nell'Andalusia è in uso la parola tanguillo, che indica un tipo di danza, il flamenco. L'origine è dall'arabo taḥanjul, parola rara e difficilmente traducibile, connessa con il verbo biyitḥanjil "egli fa qualche passo di corsa seguito un gran salto". La consonante affricata araba -j- (suona come la g- di getto) sarebbe diventata un'occlusiva velare -gu- in andaluso (suona come la g- di gatto) - cosa di per sé abbastanza strana. L'ipotesi è che da questo tanguillo sia poi stato retroformato tango, essendo l'elemento -illo interpretato erroneamente come un suffisso diminutivo.
2) La parola araba طنبور ṭunbūr "strumento musicale a corde", confusa in parte con طبول ṭabūl "tamburi" (plurale di طبل ṭabl "tamburo"), ha dato l'italiano tamburo e lo spagnolo tambór. L'ipotesi diffusa è che tambór, pronunciato tambó dagli schiavi africani deportati in America Latina, sia poi diventato chissà come tangó. Quindi, per retrocessione dell'accento, questo tangó sarebbe diventato infine tango. Non mi risultano casi di sviluppo di -mb- in -ng- e sono incline a rigettare questa teoria già soltanto per la sua implausibilità a livello fonetico. La semantica è essa stessa poco soddisfacente. Si immagina che si sia avuto il passaggio da "tamburo" a "ballo al suono dei tamburi", da cui "tipo di ballo". Troviamo attestazioni di tango con significati come "spazio chiuso per feste comuni", "società di neri liberi e liberti", "luogo di riunione di dette società", che però non è affatto un derivato di tambó(r): sembra essere invece una voce di origine africana (vedi nel seguito). Si sarebbe quindi avuta la coalescenza di due parole del tutto diverse.   

Etimologie africane di tango 

Cercare in Africa possibili parole in grado di spiegare le origini del tango, si rivela un'impresa molto difficile. Ci si imbatte in problemi come la scarsa disponibilità di dati, la facilità che le informazioni siano distorte, la mancanza di ricostruzioni complete e affidabili delle protolingue. Megenney (2003) riporta alcuni dati, da me integrati con altre fonti disponibili nel Web, inclusi vocabolario on line.  

1) Lingue Bantu  
- parole col significato di "riunione" 
Ai tempi della tratta degli schiavi era usata la parola tango "punto di raccolta degli schiavi", in Africa; "punto di vendita degli schiavi", nelle Americhe (José Gobello, Ricardo Rodríguez Molla). Questo vocabolo deve aver avuto origine in una lingua Bantu al momento non identificata. 
Kikongo: tango "tipo di suono di tamburo, danza e canto del Congo" (Díaz Fabelo, 1998) 
Kikongo: tanga "festa, banchetto", plurale matanga "feste, banchetti" 
- parole col significato di "sole", da cui "ora" e quindi "spazio", "tempo"
Kikongo: ntangu "sole" (sinonimo: mwini "sole") 
Kikongo (dialetto Luango): ntango "sole" (Diaz Fabelo, 1998)
Kituba: ntangu "momento", "tempo", "era" 
Lingala: ntango "tempo"
- parole indicanti una caratteristica legata al movimento 
Kikongo: tánngu "versatilità" (Megenney, 2003)  
2) Lingue non Bantu  
- Ibibio: tamgu "danzare" (Etymonline.com). 

La lingua Ibibio, parlata in Nigeria, appartiene alla famiglia Volta-Congo. Nel 2013 contava circa 4,5 milioni di locutori. La derivazione della parola tango da un verbo Ibibio sembra lineare e plausibile, tanto da essere considerata la soluzione del problema da diversi siti di grande importanza, tra cui Wiktionary. A dispetto di ciò, trovo lecito nutrire qualche dubbio e preferisco l'ipotesi della parola Bantu col significato di "riunione". 

Altre etimologie di tango 

1) Sayers (2013) riporta una proposta etimologica dal tedesco Tingel-Tangel "ballo da cabaret". Verosimilmente si tratta di una denominazione gergale di origine espressiva. 
2) Blas Matamoro (1996) propone addirittura l'origine dal vocabolo Quechua tampu che significa "luogo di riunione", "taverna" (adattato in spagnolo come tambo), menzionando quindi il tango come una danza usata nell'isola canaria di Hierro nel XIX secolo, supponendo che vi sia stata introdotta dal Sudamerica coloniale. 
3) C'è chi ha proposto che tango derivi da fandango "tipo di danza andalusa", la cui etimologia è incerta, nella migliore delle ipotesi. L'unica labile proposta a cui ho potuto accedere, è che la parola fandango abbia connessione con il portoghese fado "canzone popolare", alla lettera "fato, destino". La trovo risibile. Comunque sia, il passaggio da fandango a tango è sommamente implausibile già per motivi fonetici. 
4) Tra le più stravaganti proposte c'è quella dell'origine dal supposto nome di una città giapponese, Tango: sarebbero state le comunità nipponiche trapiantate a Cuba nel XIX secolo a inventare il ballo da cui sarebbe poi derivato il tango. Chiaramente è una ridicola storiella di etimologia popolare inventata ex post. Non ho trovato una città giapponese, bensì una provincia con tale nome. Questo riporta Wikipedia: "Tango, propriamente Tango no Kuni (丹後国), fu una provincia del Giappone, nell'area che è ora la parte settentrionale della prefettura di Kyoto, di fronte al mare del Giappone. Tango confinava con le province di Tajima, Tamba e Wakasa. In periodi diversi sia Maizuru che Miyazu furono le capitali della provincia di Tango." 

Origine onomatopeica 

Questo riporta il Vocabolario Treccani alla voce "tango":

[voce spagn., di origine sudamer. e forse di natura onomatopeica (si ritiene che abbia indicato dapprima un tipo di tamburo e poi una danza eseguita da neri al suono del tamburo)] 

Sarebbe dunque una parola fatta di aria sottile, senza alcuna reale provenienza da una qualsiasi lingua umana: soltanto il suono del tamburo reso foneticamente come "tang tang", nella regione del Río de la Plata. Come teoria mi pare abbastanza ridicola. 

Sono convinto che, con un po' di pazienza, riuscirei a raccogliere molte altre proposte etimologiche ancora più strambe! Sono convinto che non manchi chi si cimenterebbe nel costruire storielle a partire da vocaboli puramente omofoni, come lo Swahili tango "cetriolo", il Tagalog tango "cenno" e il giapponese たんご tango "parola"!

Link: 

William W. Megenney, 2003: 
https://www.jstor.org/stable/23054732

William Sayers, 2013: 
https://www.jstor.org/stable/43803264 

Conclusioni: 

Capisco bene lo scetticismo e lo sfinimento. C'è sempre chi afferma un radicale nichilismo gnoseologico imbattendosi negli infiniti e inconcludenti tentativi di trovare un'etimologia credibile al  nome del tango. Riporto addirittura il caso di un internauta che, di fronte alla teoria dell'ossicino e alla teoria dei Giapponesi, urla a gran voce: "DROGA!" Si pretendono risposte esatte, assolute, irrevocabili. Se queste non arrivano, ecco che i filologi e i linguisti si drogano! Detto questo, rimango dell'idea di un'origine Bantu e sono convinto che col tempo si potrà fare maggiore chiarezza. 

sabato 29 ottobre 2022

ETIMOLOGIA DI MEZCAL, MESCAL 'DISTILLATO DI AGAVE'

In Messico si produce attualmente una bevanda distillata a base di succo di agave, che spesso è confusa con la tequila. Si tratta del mezcal (adattamento in italiano: mescal; talvolta scritto mescal anche in inglese). A differenza della tequila, che è prodotta distillando unicamente il succo dell'agave blu (Agave tequilana), il mezcal è prodotto a partire dal succo di più di trenta specie delle circa 200 presenti naturalmente nel territorio messicano. Quasi tutta la produzione avviene nello Stato di Oaxaca. Qui in Italia, questa bevanda è nota soprattutto per lo splendido verme che si trova sul fondo della bottiglia. Secondo alcune fonti, l'aggiunta in alcune bottiglie del tipico verme (in spagnolo gusano, in Nāhuatl ocuilin) sarebbe una trovata pubblicitaria abbastanza recente (Salzstein, 2009). In realtà si tratta di un parassita temibile, che infesta l'agave e riduce notevolmente la qualità del succo estratto. Ci sono due tipi di vermi del mezcal. Il primo è la larva del lepidottero Comadia redtenbacheri (detta gusano rojo, ossia "verme rosso"), il secondo è invece la larva del coleottero Scyphophorus acupunctatus (volgarmente chiamato picudo del agave, ossia "punteruolo dell'agave"). La prima di queste larve, che tecnicamente parlando è una tarma, è considerata più pregiata della seconda. Molti sono pronti a giurare che il verme contribuisce all'aroma della bevanda, cosa che trovo difficile da credere. Ho bevuto più volte il mezcal, mangiando anche il verme, senza riscontrare un aroma attribuibile a questa singolare aggiunta. Il sapore del distillato non è a mio avviso molto diverso da quello della tequila. 

Alcune note etimologiche:

In epoca coloniale, la parola mezcal indicava il succo fermentato di agave, così il distillato che se ne ricavava  era chiamato vino de mezcal. La stessa denominazione era attribuita alla tequila. L'etimologia è dalla lingua Nāhuatl:   

   mexcalli /meʃ'kalli/
     
1) "tipo di succo fermentato d'agave";
      2) "foglie cotte di agave" 
      Si tratta di un composto derivato dai seguenti sostantivi:
      metl /met͡ɬ/ "agave" 
      ixcalli /iʃ'kalli/ "decozione" (*) 
            dal verbo ixca "cuocere al forno" 
   Derivati: 
   mexcalmetl "tipo di agave" (da cui si estrae il mexcalli

(*) Da non confondersi con l'omofono ixcalli "finestra". 

Alcune note fonetiche: 

La consonante -x- è usata per trascrivere il suono palatale scritto -sh- in inglese (è come sc- dell'italiano scia). In genere nelle parole Nāhuatl passate in spagnolo, viene adattato in una fricativa velare scritta come -j-, più raramente come -x-. Il caso dell'esito sibilante in mezcal è un'eccezione, dovuta alla presenza della consonante velare seguente. In epoca coloniale si scriveva mexcal, plurale mexcales.  

Il Mezcal nella Settima Arte:

Famosissimo in Italia è il bandito Mezcal, quello che massacrava a sganassoni i Mormoni, pretendendo che gli servissero il vino e l'arrosto anziché le odiose minestre insipide! Evidentemente aveva tratto il soprannome dalla  sua predilezione per il distillato d'agave di Oaxaca. L'attore, il robusto Remo Capitani, definiva il suo stesso personaggio "un messicano scaciato, un zozzone bono a gnente". In realtà credo che sia una figura da rivalutare. Tutti ricorderanno il film di cui sto parlando: Lo chiamavano Trinità (1970), diretto da Enzo Barboni (pseudonimo E.B. Clucher). 

Altre specie vegetali: 

Anche se non so bene spiegarmi il motivo, è invalso l'uso di chiamare mescal un vegetale che non ha nulla a che fare con l'agave e con i suoi prodotti: è il peyote (nome scientifico Lophophora williamsii; Nāhuatl peyōtl), un piccolo cactus carnoso e senza spine, notissimo per le sue proprietà psicoattive. Da questa bizzarra pianta succulenta prende il nome la mescalina (inglese mescaline, mescalinmezcalin; nome scientifico 3,4,5-trimetossi-β-fenetilammina), che è l'alcaloide psichedelico in essa contenuto. Si devono evitare le confusioni: la bevanda distillata dal succo di agave non ha proprietà allucinogene!

Esiste anche un altro omofono: è il mescal, nome di una pianta della famiglia delle Fabacee (nome scientifico Dermatophyllum secundiflorum), molto comune nel Messico e in alcuni territori degli Stati Uniti (Nuovo Messico, Texas). Si presenta come un arbusto o albero sempreverde, alto da 1 a 15 metri, con fiori azzurrognoli tendenti al violetto, profumati. Ha foglie pennate, coriacee e glabre, lunghe da 6 a 15 centimetri.  I suoi semi, arancioni e sgargianti, hanno elevato valore ornamentale. Il suo legno, rossiccio, ha scarso valore commerciale. Cresce molto lentamente e predilige i luoghi solatii. È una pianta mellifera, da cui le api bottinano nettare e producono miele; è velenosa in tutte le sue parti. Si segnala l'uso dei suoi semi come intossicanti presso le popolazioni native. Si tratta di una pratica assai rischiosa. Infatti anche il consumo di un singolo seme può essere sufficiente ad uccidere un adulto, dato che oltre al principio psicoattivo allucinogeno è contenuto un alcaloide fortemente tossico, la citosina. Proprio da questa consuetudine di intossicarsi con i semi del mescal hanno preso il loro nome gli Apache Mescaleros. Attualmente questi semi sono stati soppiantati dal peyote come "sostanza ricreativa". 
Nomi scientifici alternativi: 

  Agastianis secundiflora (Ortega) Raf. 
  Broussonetia secundiflora Ortega
  Calia erythrosperma Terán & Berland 
  Calia secundiflora (Ortega) Yakovlev
  Calia secundiflora f. xanthosperma (Rehder) Yakovlev 
  Calia secundiflora subsp. albofoliolata Yakovlev
  Cladrastis secundiflora (Ortega) Raf. 
  Dermatophyllum speciosum Scheele 
  Sophora secundiflora (Ortega) Lag. ex DC. 
  Sophora secundiflora f. xanthosperma Rehder 
  Sophora speciosa (Scheele) Benth. 
  Virgilia secundiflora (Ortega) Cav. 

ETIMOLOGIA DI TEQUILA

La parola tequila "tipo di distillato di agave" è tradizionalmente associata al toponimo Tequila, nome di una cittadina nello Stato di Jalisco. In quel luogo si processa il succo dell'agave blu (nome scientifico: Agave tequilana), producendo così la famosissima bevanda superalcolica. Il nome scientifico della pianta è ovviamente recente, essendo l'epiteto "tequilana" formato proprio a partire dal nome del distillato. 
Il toponimo Tequila viene in genere derivato dal Nāhuatl Tequitlān /te'kit͡ɬa:n/ "Luogo di (duro) lavoro", a sua volta da tequitl /'tekit͡ɬ/ "lavoro" con il tipico suffisso locativo -tlān /-t͡ɬa:n/ (che non ha esistenza come parola indipendente). Il nome dello Stato di Jalisco trae origine dal Nāhuatl Xālīxco, composto da xālli "sabbia" e da īxtli "occhio; faccia", donde "superficie". Quindi significa "Luogo di superficie sabbiosa". 

Sono convinto che la realtà sia più complessa di come viene descritta. Deve essere avvenuto un incrocio tra due voci simili. Oggigiorno, gli studiosi della lingua Nāhuatl sono inclini a ritenere il toponimo Tequila come un derivato di Tequillān "Luogo delle erbe delle pietre", un regolare composto di tetl /tet͡ɬ/ "pietra", quilitl /'kilit͡ɬ/ "erba (commestibile)" e del suffisso locativo -tlān /-t͡ɬa:n/, che potremmo tradurre con "luogo di", con assimilazione di -tl- in -l- a causa della consonante liquida precedente. Si cita nel Web l'esistenza di una tribù selvaggia della regione, il cui nome sarebbe stato Tiquili. Purtroppo non sono stato in grado di trovare conferma dell'esistenza dell'etnonimo in questione. Potrebbe anche essersi avuta un'etimologia popolare, con interpretazione fallace in chiave Nāhuatl di una parola non Nāhuatl e di origine sconosciuta. 

Personalmente sono convinto che il nome del liquore debba essere stato fin dall'inizio una parola del lessico comune, di origine non toponomastica, derivante dal Nāhuatl tequitlān /te'kit͡ɬa:n/ "officina, laboratorio artigianale", a sua volta derivato da tequitl /'tekit͡ɬ/ "lavoro" con il tipico suffisso locativo -tlān /-t͡ɬa:n/. Questo è stato il naturale slittamento semantico: 

officina, laboratorio artigianale =>
liquore prodotto in un laboratorio artigianale => 
liquore artigianale => 
tequila

Purtroppo la mia personale opinione non ha potere risolutore. A complicare le cose, c'è sempre la possibilità che il toponimo Tequila sia stato in origine proprio un plurale/collettivo del sostantivo comune tequitlān "officina, laboratorio artigianale", così chiamato per le attività di produzione del distillato. Quindi non sarebbe la tequila a trarre il suo nome dal toponimo Tequila, bensì l'inverso. Per chiarire una volta per tutte quale sia la corretta etimologia Nāhuatl, sarebbe necessario cercare nei documenti coloniali, la cui consultazione non è però assolutamente facile. La confusione deve essersi imposta tra la popolazione ispanofona quando la lingua dell'Impero Azteco ha cominciato ad essere dimenticata. Sarebbe molto utile fare un'indagine linguistica sul nome della tequila nelle lingue di ceppo Nāhuatl che sono ancora parlate in Messico da oltre un milione e mezzo di persone (purtroppo una piccola parte della popolazione totale del Paese).  

Per comprendere meglio la situazione, trovo che sia necessario citare qualcosa sul contesto coloniale. 

Ai tempi dell'Impero Azteco, esistevano leggi draconiane che vietavano l'ubriachezza. Le punizioni aumentavano in modo congravescente al crescere del rango sociale. Gli schiavi e i contadini se la cavavano con una specie di gogna, essendo esposti al pubblico ludibrio col cranio rasato; i nobili erano condannati a morte e veniva organizzata una specie di pantomina: si fingeva di perdonare il reo, facendogli festa e gettandogli al collo una ghirlanda di fiori, che però nascondeva una garrota con cui lo si strangolava! 
Quando la gloriosa città di Mēxihco-Tenōchtitlan cadde nelle mani degli Spagnoli dopo un furioso assedio, ne erano rimasti quasi soltanto ruderi. I nuovi padroni la fecero ricostruire secondo i loro canoni architettonici. Nacque così e si sviluppò quella che oggi è conosciuta come Ciudad de Mexico. La massa della popolazione nativa, sottomessa alla Corona di Spagna e al Cattolicesimo Romano, continuò a parlare il Nāhuatl, che fu lingua ufficiale e amministrativa del Vicereame della Nuova Spagna. Ci fu un bizzarro sincretismo tra pratiche indigene, come la produzione di bevanda fermentata dal succo di agave (octli poliuhqui "succo d'agave troppo fermentato", da cui pulque) e la tecnologia importata della distillazione, da cui ebbe origine un liquore superalcolico, molto potente. In un simile contesto, l'alcolismo conobbe uno sviluppo prodigioso. Questa deve essere considerata un'innovazione culturale di somma importanza!  

lunedì 19 settembre 2022

ETIMOLOGIA DELLO SPAGNOLO BRUJO 'STREGONE', BRUJA 'STREGA'

Il professor Fabio Calabrese, persona di cui ho la massima stima, molto spesso si diverte a fare battute argute fondate su assonanze. In una di queste, la parola spagnola brujo "stregone" è considerata omofona dell'italiano bruco "larva di lepidottero". In realtà la pronuncia non è proprio identica. L'omofonia è molto approssimativa: in spagnolo c'è una fricativa velare /x/, mentre in italiano c'è una semplice occlusiva velare /k/. In altre parole, -j- in brujo ha un suono simile a quello di -ch- del tedesco Achtung. Mi rendo conto che per un parlante della lingua italiana non sia facile distinguere suoni a cui non è abituato. Detto questo, sorge una domanda. Qual è l'etimologia delle parole spagnole brujo "stregone" e bruja "strega"? 

L'idea dei romanisti, che sono inclini a spiegare Omero con Omero, è che il brujo sia proprio un bruco, ossia una larva di lepidottero, intesa come manifestazione demoniaca. La parola viene quindi ricondotta al greco βροῦχος (brûkhos) "tipo di locusta senza ali", passato in latino tardo come brūchus, da cui per l'appunto l'italiano bruco. La parola greca, presente in liste di vocaboli di epoca bizantina, è attestata anche la variante βροῦκος (brûkos), senza consonante aspirata; Esichio ci riporta per Creta la variante βρεῦκος (brêukos). L'origine ultima è sconosciuta, anche se si riconosce il suo aspetto non indoeuropeo. Un possibile lontano parente potrebbe essere il latino ērūca "bruco", con la variante ūrūca (potremmo ricostruire una protoforma *ewrouka). L'idea evocata è quella di una masticazione immonda, di un rosicchiare magico che indurrebbe il maleficio, provocando un danno ai viventi - esseri umani o animali che siano.  

I romanisti in questione non tengono conto del fatto che la parola in analisi non è presente soltanto in spagnolo, ma anche in altre lingue romanze occidentali (in cui -x- ha il suono "palatale" /ʃ/, come sc- nell'italiano scia): 

Galiziano: bruxa "strega"
Portoghese: bruxa "strega"
Catalano: bruixa "strega"
Occitano: bruèissa "strega" 

Non tengono nemmeno conto del fatto che al tempo dei Conquistadores, anche j in spagnolo aveva lo stesso suono palatale /s/, del tutto dissimile dall'attuale aspirazione: bruja era pronunciato /ʃ/ e in italiano sarebbe trascritto come *bruscia. La parola non può avere nulla a che fare col bruco. Si tratta di una parola preromana sopravvissuta come elemento di sostrato. 

Ecco la protoforma ricostruibile:  

Proto-celtico: *bruχtijā "strega"  
  Celtiberico: *brūχsā "strega" 
  Note: 
Si è avuta un'assibilazione e la vocale tonica si è allungata per compenso. La forma proto-romanza evolutasi da queste premesse è *brùissa, da cui si sono originate le forme documentate nelle varie lingue della Penisola Iberica. 

Proto-celtico: *briχto-, *briχtu-, *briχtijā "magia" 
   Gallico: brictom, brixtia "magia" 
       (bnanom brictom "la magia delle donne", Piombo
       di Larzac; brixtia anderon "con la magia delle donne", 
       Piombo di Chamalières)
   Antico irlandese: bricht "incantesimo, formula magica"
        (gen. brechtobrechta
      Gaelico d'Irlanda: briocth "incantesimo"; "amuleto"
   Medio gallese: bryth-, -frith "magia"
         (brythron "bacchetta magica"; lledfrith "illusione",
         lett. "mezza magia")
      Gallese moderno: lledrith "illusione"  



L'etimologia ultima è incerta. Secondo alcuni potrebbe essere una variante di una ben nota radice di origine indoeuropea, comune al proto-germanico: 

Proto-celtico: *berχtos "splendido" 
   Antico irlandese: -bertach "splendido" 
      (Flaithbertach "Splendido Principe", antroponimo)
   Medio gallese: berth "bello"; "prospero, ricco"
      Gallese moderno: berth "bello"; "prospero, ricco" 
   Medio bretone: berz "prosperità" 
      Bretone moderno: berzh "prosperità" 


Proto-indoeuropeo: *bherg'h- "splendere", 
        *bherg'h-tó-s "splendente" 
   Proto-germanico: *berχtaz "splendente" 
      Gotico: bairhts "splendente" 
      Antico alto tedesco: beraht "splendente" 
      Norreno: bjartr "splendente" 
    etc.

La semantica non è affatto soddisfacente e sono incline a rigettare questo collegamento. L'idea più sensata è a parer mio quella di considerare il nome proto-celtico della magia un residuo preindoeuropeo oppure un resto di una forma di indoeuropeo preceltico ancora da chiarire. Siamo davanti a un percorso in salita! 

Esisterebbe un'altra possibilità, che non è priva di problemi fonologici. La semantica sarebbe connessa alla visione sfocata, all'inganno allucinatorio della magia. 
 
Proto-gallo-britannico: *briχtos "maculato, screziato" 
   Antico gallese: brith, glossa latina pictam 
     Medio gallese: brith "maculato, screziato" 
     Gallese moderno: brith "maculato, screziato"; "grigio"
         (detto di capelli)
   Medio bretone: briz "maculato, screziato" 
      Bretone moderno: brizh "maculato, screziato"
   Antico cornico: bruit "screziato, striato"
      Cornico: brith, bryth "screziato, striato"; "tartan" 
 
Il punto è che la forma proto-celtica da cui deriva ha *mr-

Proto-celtico: *mriχtos "maculato, screziato" 
   Antico irlandese: mrecht "maculato, screziato" 


Così in antico irlandese abbiamo mrecht "maculato" contro bricht "incantesimo, formula magica": due forme ben distinte tra loro e non assimilabili.

Esistono altre teorie alternative, a parer mio meno plausibili di quella sopra esposta. Le esporrò in questa sede per sommi capi. 

1) Il nome spagnolo della strega deriverebbe dal nome di un'antica divinità femmilile. Il significato sarebbe diventato negativo per via del processo di cristianizzazione. 

Proto-celtico *Brigantī "Somma Dea" 
   (gen. *Brigantijās "della Somma Dea") 
       Antico irlandese: Brigit
          Gaelico d'Irlanda: Bríd
          Gaelico di Scozia: Brìghde, Brìde
           Manx: Breeshey
Note: 
Il nome divino femminile è ben conosciuto. Ne deriva anche il nome della Brianza, ossia "(Terra) della Somma Dea". La radice è molto produttiva e ne è attestato un derivato notevole: 

Proto-celtico: *brigantīnos "capo", "sovrano"
  Antico bretone: brientin, brientinion "sovrano"
    Medio cornico: brentyn, bryntyn "sovrano"
    Medio gallese: brenhin "sovrano" 
      Gallese moderno: brenin "sovrano"
Note: 
In passato questi vocaboli sono stati erroneamente creduto l'etimologia del nome di Brenno.


Proto-indoeuropeo: *bherg'h- "elevare, ascendere"; "essere elevato"  


2) Il nome spagnolo della strega deriverebbe dal nome celtico dell'erica e della brughiera. 

Proto-celtico *wroikos "erica", "brughiera" 
Le parole attestate si sarebbero formate da un composto con un suffisso sibilante: 
maschile *wroiχsos, femminile *wroiχsā  
Significato postulato: "abitante della brughiera".
Dalla stessa radice deriva la parola italiana brughiera, oltre al desueto brugo "erica". Lo stregone, la strega, sarebbero gli abitanti della brughiera. 


Sono propenso a scartare queste etimologie per motivi fonetici. 

Conclusioni 

Spero che questo mio trattatello possa dare un'idea anche vaga di quanta ricchezza culturale è andata perduta per colpa di secolari pregiudizi portati avanti dai romanisti!