Visualizzazione post con etichetta protogermanico. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta protogermanico. Mostra tutti i post

martedì 22 novembre 2022

ETIMOLOGIA DI MANIBERGA E PEDIBERGA 'PARTI DELL'ARMATURA'

Ricordo ancora quando al liceo appresi qualcosa sulla biografia di Dante Alighieri. Uno dei particolari che più mi è rimasto impresso è sicuramente l'inglorioso esordio del Poeta sul campo di battaglia. Egli fu un feditore a cavallo dell'esercito guelfo nella battaglia di Campaldino (11 giugno 1289). Il suo compito era quello di provocare i nemici con beffe e insulti, sostenendo il loro primo urto. In questo caso, lo schieramento ostile era ghibellino e composto in massima parte da aretini. L'Alighieri, che all'epoca era ventiquatrenne, si fece prendere dal panico. Così commentò l'accaduto finita la battaglia: "Ebbi temenza molta". Per motivi politici, molti insorgerebbero se affermassi che egli fu codardo e si diede alla fuga. Dato che sostengo a spada tratta i Ghibellini, come minimo sarei accusato di essere fazioso. Volendo evitare sterili polemiche, rimando ad altra sede la discussione su Campaldino. 
 
La prima volta che lessi la parola "feditore", ebbi una distorsione percettiva, al punto che i miei occhi videro nitidamente "feritore". Lessi anche così, ma l'insegnante mi corresse. Una spiegazione però non la diede: la scuola è monolitica e priva di ogni tentativo di indagine sul passato, vuole presentare ogni cosa come un mistero, come una nozione pietrificata da inculcare nel cervello senza comprensione delle sue ragioni ultime. Poi venni a sapere che in effetti "feditore" deriva dal verbo arcaico "fedire", che è proprio una variante di "ferire". Dapprima si è avuta dissimilazione della rotica -r- della radice a causa di quella della desinenza dell'infinito -ire. Poi l'occlusiva dentale -d- si è estesa a tutta la coniugazione e ai derivati.

L'equipaggiamento del feditore era composto da un'armatura che egli si doveva comprare a sue spese. Tra le parti di questa armatura, oltre all'elmo, alla cotta di maglia (protezione del corpo, in maglia metallica) e al camaglio (protezione della testa, in maglia metallica), se ne menzionano altre due di particolare importanza: 

maniberga "protezione della mano"   
definizione tecnica: "cilindro di maglia con annesso guanto a moffola, atto alla protezione della mano e del braccio"

pediberga "protezione del piede" 
definizione tecnica: "calza di maglia aperta e allacciata sul retro, atte alla protezione dalla coscia alla caviglia"

Come si può ben comprendere, il corredo di ogni feditore comprendeva due maniberghe e due pediberghe. 

Questa è la definizioni della prima delle due voci, data dall'Enciclopedia delle armi, a cura di Edoardo Mori: 

Maniberga
Term. mil.del medio evo. Armadura della mano, e forse pur del braccio: Manica di maglia che copriva la mano e talvolta anche il braccio. 

La definizione della seconda voce, relativa alla protezione del piede, non è invece inclusa nell'opera menzionata. 


Alcune note etimologiche 

Si capisce all'istante che maniberga e pediberga sono due composti formati a partire rispettivamente dalle parole mano e piede. Invece l'elemento -berga è un tipico germanismo. Stupiscono queste formazioni di carattere ibrido, che sono state trascurate dagli studiosi, nonostante la loro natura mirabile.

Etimologia dell'elemento -berga:

Protogermanico: *bergō "protezione" 
Genere: femminile 
   Antico alto tedesco: -bërga, -përga "protezione" 
   Longobardo: -perga / -berga "protezione"  
N.B. 
Ricorre come secondo elemento in composti, in particolare in antroponimi femminili. 


Possiamo ricostruire agevolmente i composti germanici originali: 

Protogermanico: *χandubergō "protezione della mano" 
     (< *χandu- "mano") 
Protogermanico: *fōtubergō "protezione del piede" 
     (< *fōtu- "piede") 

Esiti antico alto tedeschi: 

AAT: *hantpërga "protezione della mano"
AAT: *fuozpërga "protezione del piede" 

Esiti longobardi: 

Longobardo: *andeperga "protezione della mano"
Longobardo: *fozeperga "protezione del piede" 

Traduzione del primo elemento del composto: 
   ande- (1) => mani- 
   *foze- => pedi- 
Causa della traduzione: formazione di un gergo romanzo-longobardo in epoca tarda. 

(1) Attestato in andegauuerc "manufatti" (Rotari). 

Esiste nell'italiano letterario anche un altro vocabolo militare formato in modo simile, anche se di diverso genere grammaticale: usbergo "armatura, corazza" (varianti desuete: asbergo, osbergo), dall'antico provenzale ausberc "cotta di maglia" (varianti: ausberg, asberg, etc.), a sua volta dal francone *halsberg "protezione del collo". Esistono svariate forme mediolatine derivate dalla stessa fonte germanica, come alsbergum, halsbergium, etc. Come si può vedere, in questo caso la trafila è differente da quella di maniberga, pediberga

Conclusioni 

È un vero peccato che simili gioielli lessicali non siano considerati e studiati a dovere, per colpa dell'ottusità dei romanisti, che li trattano come inutili scorie. Questo accade perché in loro l'intelletto è paralizzato dall'ideologia, mentre ad essere ipertrofico è l'ego. 

domenica 20 novembre 2022

UN IMPORTANTE RELITTO LONGOBARDO: MARCOLFA 'PIETRA APOTROPAICA'

Le marcolfe, dette anche margolfe, sono pietre apotropaiche a forma di volto, collocate sulle architravi delle porte, sulle pareti delle case o sulle fontane. In molti casi questi volti hanno un'espressione minacciosa, con occhi dilatati e denti che sporgono, mentre in altri invece sono impassibili o contorti in ghigni grotteschi. Il loro scopo, nel sentire popolare, era quello di custodire i luoghi, tenendo alla larga streghe, spiriti maligni e nemici. Le marcolfe sono particolarmente diffuse nelle zone appenniniche tra Toscana, Emilia Romagna e Liguria, ma se ne trovano anche altrove. 

Anche se l'uso di scolpire questi bizzarri manufatti è certamente antichissimo e precristiano, con ogni probabilità risalente ai Celti (basti pensare al culto dei crani), il loro nome è di chiara origine longobarda. Molte marcolfe risalgono al Basso Medioevo, per lo più dal XIII al XV secolo, ma se ne trovano anche di più recenti, dato che la tradizione non si è mai del tutto interrotta. Si segnala l'opera di Gionata Orsini, un moderno scultore di Fanano, nel Frignano, molto impegnato nel dare forma a queste teste petrigne. A quanto ho potuto apprendere nel corso dei miei studi, le marcolfe sono anche chiamate "mummie", anche se non mi è chiaro il motivo di questa denominazione. 



Etimologia: 

Protogermanico: *markō "confine", "regione", "area"
Protogermanico: *wulfaz "lupo" 



Composto: 

Protogermanico: *markōwulfaz 
Significato: lupo dei confini, i.e. custode dei confini 

Esiti longobardi: *marchulf, *marcholf 
    Forme plurali: *marchulfos, *marcholfas 
    Esiti romanzi: marcolfa, margolfa 
N.B. 
Si è avuta una reinterpretazione, del tutto naturale, delle forme plurali longobarde intese come forma singolare femminile, in origine di significato collettivo. 

La terribile Marcolfa

Notiamo subito che la designazione delle pietre antropomorfe descritte richiama un nome di persona femminile ormai rarissimo e ignoto ai più. Marcolfa è un personaggio immaginario, moglie di Bertoldo, madre di Bertoldino e nonna di Cacasenno. Donna molto rude ma di grande saggezza, è protagonista di due racconti di Giulio Cesare Croce (San Giovanni in Persiceto, 1550 - Bologna, 1609): 

1) Le sottilissime astuzie di Bertoldo
2) Le piacevoli et ridicolose simplicità di Bertoldino

Questi racconti sono stati raccolti nel 1620 nel volume Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno, con l'aggiunta dell'ulteriore seguito, Novella di Cacasenno, figliuolo del semplice Bertoldino, scritto da Adriano Banchieri. Le vicende ebbero poi diverse trasposizioni cinematografiche; nella più celebre, Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno, diretta da Mario Monicelli nel 1984, i panni di Marcolfa erano vestiti da Annabella Schiavone. È quel film con un Ugo Tognazzi particolarmente grottesco eppur massiccio, per non parlare del figlio di Maurizio Nichetti che fa appena in tempo a nascere e già smerda tutti, a partire dal Re: ricordo ancora le scariche di diarrea in faccia dell'esterrefatto Lello Arena! 

Origini dei nomi Marcolfo, Marcolfa 

Ora presento il problema. Giulio Cesare Croce, vissuto in epoca prescientifica, ignorava tutto sulla lingua dei Longobardi. Si cullava nell'illusione che Alboino (circa 530 - 572) parlasse italiano - basti pensare all'epitaffio di Bertoldo - oppure una lingua galloitalica non diversa da quelle di uso corrente nell'Italia Settentrionale nel XVI secolo. Ignorava del tutto l'esistenza di una lingua germanica che era stata portata da Nord e che continuava nel suo sacrosanto uso. Sarebbe andato vicino al vero se avesse affermato che Alboino parlava todesco. Quello che lo scrittore non poteva immaginare è che non esiste un formante antroponimico femminile -olfa derivato dal maschile -ulf, -olf, che invece è ben documentato da innumerevoli esempi e significa "lupo" (dal protogermanico *wulfaz). Eppure la forma femminile di Marcolfo esisteva già prima di Croce e in particolare era presente in area alto tedesca. Come spiegare la cosa? Possiamo soltanto dedurre che l'antroponimo femminile Marcolfa è stato derivato a partire da quello maschile come forma secondaria. 

Attestazioni in antico alto tedesco: 

Markulf
Marculf (*),
Marculph (*), 
Markolf
Marcolf (*),
Marcholf (*), 
Markholf (**)

(*) 
Förstemann, 1856.
(**) Arcivescovo di Magonza (1141 - 1142). 

Significato:
Lupo dei Confini, i.e. Colui che custodisce i confini 

Forme latinizzate: 

Marculphus,
Marcolfus 

Forma femminile: 

Marculpha 
(derivata dal maschile Marculph)
N.B.
Il significato non è "Lupa dei Confini" o "Colei che custodisce i confini", bensì "(Che è come) Marcolfo", "(Simile a) Marcolfo".

Natura dell'antroponimo:
apotropaica 

Per far comprendere meglio il menzionato problema del femminile, basti menzionare che il nome germanico della lupa è molto diverso e non è usato come formante antroponimico. 

Protogermanico: *wulbī / *wulgī 
Significato: lupa 


Brevi note agiografiche 

San Marculfo (circa 500 - 588) era un abate franco, festeggiato il 1° maggio. Monaco ed eremita, fu quindi abate di Nantus e di Cotentin. Le sue reliquie furono traslate a Corbeny, in Normandia, e in seguito usate per l'incoronazione dei re di Francia. 

Marcolfo: origini del personaggio grottesco

Il Dialogus Salomonis et Marcolphi (Dialogo di Salomone e Marcolfo) è una novella medievale satirica, derivata dal ciclo salomonico e di antica tradizione: nel Decretum Gelasianum (VI secolo) era già presente nella lista dei testi apocrifi e proibiti un'opera di argomento simile, menzionata come Scriptura quae appellatur Salomonis Interdictio. Il testo in latino della novella risale al XII secolo ed è scritto nel pungente e scurrile stile dei clerici vagantes. Questo è l'incipit:  
 
«Cum staret rex Salomon super solium David patris sui,
plenus sapiencia et divicijs,
vidit quendam hominem Marcolfum nomine
a parte orientis venientem,
valde turpissimum et deformem, sed eloquentissimum.
Uxorque eius erat cum eo,
que eciam nimis erat terribilis et rustica.» 

«Il re Salomone, sedendo sul trono di Davide suo padre,
colmo di sapienza e di ricchezze,
vide un tale individuo di nome Marcolfo
che giungeva da oriente,
davvero orribile e deforme, ma tanto loquace.
E la moglie di questi era con lui,
ed anch'essa era davvero terribile e rozza.» 


Le testimonianze sono tuttavia più antiche e risalgono al X secolo. Il dottissimo abate Notkero III Labeone di San Gallo (circa 950 - 1022) fa menzione del grossolano ma furbissimo Marcolfo: 

«Vuaz ist ioh anderes daz man Marcholfum saget sih éllenon uuider prouerbiis Salomonis?
An diên allen sint uuort scôniû, âne uuârheit.» 

«Cos'è mai ciò che Marcolfo argomenta contro i proverbi di Salomone?
Null'altro che belle parole senza verità alcuna.» 
N.B.
I nomi propri maschili avevano spesso terminazioni latine anche in testi in antico alto tedesco della Germania, proprio come nelle attestazioni longobarde!   

Risulta evidente che questo Marcolfo altri non è che il prototipo del Bertoldo di Giulio Cesare Croce (e di Monicelli). L'opera medievale era però ben più interessante: parlava di eruttazioni dal culo! 

Salomon: Benefac iusto, et invenies retribucionem magnam ; et si non ab ipso, certe a domino.
Marcolfus: Benefac ventri, et invenies eructacionem magnam ; et si non ab ore, certe a culo.

Come si può vedere, il Signore finiva con l'essere contrapposto al deretano! 
Il Croce, piuttosto pudibondo e forse temendo processi per eresia, si è dato da fare per "ripulire" ogni traccia di escrementi e di volgarità dal testo mediolatino. Inoltre ha cambiato la sua ambientazione, sostituendo Salomone con il grande Re dei Longobardi, Alboino. Dei due cambiamenti appena citati, gradisco poco il primo, mentre sono entusiasta del secondo. 
Ne discende in italiano letterario la voce marcolfo "persona rozza e ignorante". 


Un paio di strani esiti 

Troviamo, in area tedesca, anche due varianti molto problematiche di Markulf, prive di ogni traccia di consonante occlusiva velare: Marolf, Morolf. Un poemetto tedesco databile al 1190 circa si intitola Salman und Morolf. Con ogni probabilità è un altro antroponimo, Marwolf, il cui primo elemento è l'antico alto tedesco mâri "famoso". La confusione con Markulf potrebbe essere dovuta a ragioni superstiziose. Mi propongo di indagare meglio la cosa in successivi approfondimenti. 

Curiosità 

Dario Fu, pardon, Dario Fo, nel 1958 scrisse La Marcolfa, commedia in unico atto. Narra la storia di una donna brutta e povera, che di colpo viene chiesta in sposa da un gran numero di signorotti, convinti che lei sia in possesso di un biglietto vincente della lotteria. 

Conclusioni 

Il nome delle marcolfe, pietre apotropaiche, in ultima analisi ha la stessa etimologia degli antroponimi Marcolfo e Marcolfa, derivando dallo stesso composto protogermanico, tuttavia tramite diverse trafile che ne spiegano le peculiarità morfologiche.

mercoledì 16 novembre 2022

ETIMOLOGIA DELL'INGLESE AUSTRALIANO DINKUM 'VERO', 'GENUINO'

Molti anni fa mi è capitato di imbattermi in una strana parola gergale dell'inglese australiano, il cui suono mi ha subito colpito per il suo aspetto fonetico a dir poco inconsueto: dinkum, che significa "vero", "genuino". Mi sono domandato quale ne potesse essere l'origine, poi ho dovuto occuparmi d'altro e la questione per un po' è sprofondata nei mie banchi di memoria stagnante. Ora ne è riemersa. 

Partiamo dai dati disponibili: 

dinkum
Pronuncia: /'dɪŋk
əm/
Uso: aggettivo 
Comparativo: more dinkum 
Superlativo: most dinkum 
Significato: 
1) vero 
2) genuino  
3) onesto 
Prima attestazione nota: 1879 
Nazione: Australia  
Attestazioni in dialetti inglesi: Derbyshire, Lincolnshire (fine XIX secolo) 
Area di uso attuale: Australia, Nuova Zelanda 
Condizioni: slang in fase di obsolescenza 

dinkum
Pronuncia: /'dɪŋk
əm/
Uso: sostantivo 
Origine: derivazione aggettivale
Significato: 
1) duro lavoro 
2) verità 
Prima attestazione nota: 1882, nel significato 1) 
Area di uso attuale: Australia, Nuova Zelanda 
Condizioni: slang in fase di obsolescenza 

Derivati: 

dinkum oil "la verità" 
fair dinkum "genuino", "onesto" 
straight dinkum "genuino", "onesto" 
dinky-die "genuino", "vero", "onesto" 



Esempi: 

1) aggettivo  

Hon. Sir Ross McLarty: We were always dinkum.
Mr. MAY: The ultimate result showed how dinkum the hon. member was.
(Parlamento dell'Australia Occidentale, dibattiti parlamentari, 1956)

The dinkum Aussie everyone talks about, almost always with a certain unreal sentimentality, is clearly a worker.
(Craig McGregor, Profile of Australia‎, 1966)

Larry's jeep was behind mine, and as I went past an intersection, I saw a lot of their chaps around a dinkum super Mark VI tank — p'raps a Mark VII or VIII. I didn't have a chance for a proper dinkum look-see, what?
(A. J. Liebling, Direction: Paris: Mollie and Other War Pieces, 2004) 

He explained that he was due to have a game of hazards that night with a couple of Italian prospectors and that he was doctoring the dice so that they would do just what he wanted them to do.
‘Tim, is this game dinkum?’ asked Ted.
Highly indignant that such a suspicion should arise, he replied angrily:
‘Of course it's dinkum. They'll have loaded dice too!’
(Ron Fitch, Australian Railwayman: From Cadet Engineer to Railways Commissioner, 2006) 

2) sostantivo 

You look real jockey — thats' the dinkum.
(Ralph Albert Parlette, The Lyceum magazine, 1917)

Etimologia: 

L'etimologia di dinkum è considerata sconosciuta. L'unico raffronto che ha una parvenza di verosimiglianza è con il verbo to ding "colpire", "infliggere un piccolo danno", che nel dialetto del Gloucestershire significa "lavorare duramente". 

to ding
Pronuncia: /tə 'dɪŋ/
Uso: verbo
III persona sing. indicativo presente: dings 
Participio presente: dinging
Passato semplice: dinged, dang *
Participio passato: dinged, dung *
Significato: 
1) colpire (glossa: hit or strike)
2) gettare violentemente 
3) infliggere un danno minore, specialmente colpendo 
4) licenziare 
5) penalizzare, sottrarre punti (alla patente, etc.) 
6) fallire un colpo (di palla da golf) 

*Le forme della coniugazione forte (irregolare) sono ormai obsolete. 

(Etimologia 1)

Questa sarebbe la catena di slittamenti semantici: 

Inglese to ding "colpire" => 
Inglese del Gloucestershire to ding "lavorare duramente" => 
Inglese australiano *ding-come "duro, indefesso" (detto di lavoro)  => "onesto" => "vero", "genuino"; 
=> dinkum "duro lavoro" => "cosa onesta" => "cosa genuina, vera" 

La ricostruzione *ding-come, che cerca di spiegare la strana terminazione della parola, svela un antico composto, il cui secondo elemento ci appare connesso al norreno kvǽmr "utile", a sua volta dal protogermanico *kwǣmiz (*kwēmiz) "utile", "adatto". 

La radice verbale che forma la prima parte del composto, è parimenti di origine protogermanica. Ecco alcuni dati utili:  

Protogermanico: *dingwanan 
Significato: battere 
Discendenti: 
    Antico inglese: dingan "colpire violentemente", 
         "attaccare"; "ottenere vittoria" 
      Medio inglese: dingen "colpire violentemente",
         "attaccare"; "ottenere vittoria" 
      Inglese: to ding "colpire"; "infliggere un piccolo danno"
    Antico svedese: diunga "battere"

Questa è la forma causativa: 

Protogermanico: *dang(w)ijanan 
Significato: battere, colpire, martellare 
Discendenti: 
   Antico inglese: denċgan, denġan "battere", "colpire"
      Inglese: to dinge "battere", "colpire" 
   Norreno: dengja "battere", "martellare" 
      Antico svedese: dængia "battere", "colpire"
   Medio alto tedesco: tengen "martellare"
      
Tedesco: tengeln, dengeln "martellare" 
Derivato nominale: 
Protogermanico: *dang(w)alaz 
Significato: martello 
Discendenti: 
    Antico alto tedesco: tangal "martello" 


Conclusioni: 

Giungo a ricostruire una parola gergale norrena *ding-kvǽmr "che batte in modo utile", "utile nel battere", in origine epiteto poetico del fabbro. Era una tipica kenning. Questo termine deve essere giunto in Inghilterra all'epoca dei Vichinghi, vivendo sotterraneamente per secoli come un fiume carsico in contesti marginali, per poi emergere in Australia e in alcune aree dell'Inghilterra sul finire del XIX secolo. 

venerdì 21 ottobre 2022

ETIMOLOGIA DI COCKNEY 'NATIVO DI LONDRA', 'DIALETTO DI LONDRA'

La prima volta che mi capitò di udire la parola "Cockney" mi trovavo a Londra durante una vacanza estiva con la scuola. Mi giunse voce che nella capitale fosse parlato un dialetto incomprensibile a chi conoscesse soltanto l'inglese standard. La cosa destò subito il mio interesse, ma non potei accedere a informazioni utili. All'inizio riuscii soltanto a sapere che i tassisti londinesi si esprimevano correntemente in questo idioma, cosa che metteva in qualche difficoltà gli stranieri.  Poi, un anno fui ospitato da una famiglia che abitava a Saltdean, nell'East Sussex, ma che era originaria di Londra. L'uomo, un robusto macellaio, era di madrelingua Cockney. Mi disse alcune parole, che trovai stravaganti e impenetrabili. 
A questo punto bisogna porsi una domanda: qual è l'origine della parola Cockney? Passiamo in rassegna i dati disponibili.  

Cockney 
uso: sostantivo 
forma plurale: Cockneys 
significato: 
1) londinese nato a portata d'orecchio delle campane di St Mary-le-Bow 
2) abitante o nativo di parti dell'East End di London 
3) londinese di classe operaia (slang) 
4) dialetto londinese

cockney 
uso: sostantivo 
forma plurale: cockneys 
significato: 
1) variante di Cockney (vedi sopra)
2) persona effeminata; bambino viziato (obsoleto) 
   - sinonimi: sissy, pansy, nancy 

Cockney 
uso: aggettivo 
significato: 
1) dell'East End di Londra
2) di Londra in generale 
3) di o relativo a persone dell'East End o al loro stile di linguaggio. 


Il sostantivo e aggettivo Cockney deriva dal medio inglese cokeney, cokenay "uovo malformato", alla lettera "uovo di gallo". In origine era detto di uomini malaticci, fragili o poco virili. La glossa inglese è infatti “a spoiled child; a milksop, an effeminate man”, ossia "bambino viziato; persona debole, uomo effeminato". Il mistero, soltanto apparente, è presto svelato. Quando si sventra un gallo o un pollo, al suo interno si trovano facilmente i suoi testicoli, che sono un'autentica prelibatezza. Nei secoli passati non era facile avere nozioni sensate di anatomia degli uccelli, così i testicoli del gallo potevano essere facilmente ritenuti uova non pienamente sviluppate - anche perché confondibili nell'aspetto con le ovaie delle galline. Ricordo che da bambino chiamavano quei testicoli "le uova del gallo" o "le uova del pollo". È del tutto naturale passare dalla designazione di un "uovo non ben sviluppato" a un "bambino non ben sviluppato" e simili, e lo era a maggior ragione in un'epoca in cui non esisteva il politically correct a bloccare ogni pensiero.  
La prima attestazione della parola Cockney come etnonimo risale al 1600 e si trova nell'opera di Samuel Rowland The Letting of Humours Blood in the Head-Vaine, dove compare nella locuzione "a Bowe-bell Cockney". Questo è un riferimento al tradizionale quanto stravagante criterio per l'identificazione di un vero Cockney: nel suo luogo di nascita si dovevano sentire le campane della chiesa di St Mary-le-Bow.  

Veniamo ora al medio inglese cokeney, cokenay, vocabolo oltremodo interessante. In medio inglese esisteva la declinazione, anche se le terminazioni si erano molto usurate rispetto a quelle dell'antico inglese (anglosassone). 
Questa è la declinazione delle parole coke "gallo", ey "uovo", che corrispondono rispettivamente all'inglese moderno cock e egg

coke "gallo" 
genitivo: coken 
dativo/accusativo: coken 

plurale: 
coken "galli" 
genitivo: coken
dativo/accusativo: 
coken 

ey "uovo" 
genitivo: eyes 
dativo: eye 
acusativo: ey 

plurale: 
eyren "uova" 
genitivo: eyren
dativo/accusativo: eyren 

Come si può ben vedere, il cosiddetto "genitivo sassone" non era ancora un universale marchio agglutinante come nella lingua moderna. 

Note etimologiche: 

Per quanto riguarda l'etimologia di coke "gallo", risale all'antico inglese cocc, a sua volta prestito dal francese antico coc "gallo", con ogni probabilità di origine onomatopeica, cfr. francese moderno coq. Il norreno deve aver preso kokkr "gallo; uccello maschio" dall'antico inglese o direttamente dall'antico francese.
È stata ricostruita una protoforma germanica *kukkaz "gallo; uccello maschio", che però mi sembra aver poco fondamento. Non è certo tra le più solide. Rimando ad altra sede per una trattazione più approfondita delle origini del nome francese del gallo.  

In inglese moderno, l'uovo è chiamato egg, come tutti ben sanno. Ebbene, è un prestito dal norreno egg "uovo" (plurale egg "uova"), entrato in inglese a partire dai dialetti del Nord, quelli parlati in territori che avevano avuto la maggior influenza da parte dei Vichinghi (Danesi, Norvegesi). Questo scandinavismo, occorso ben oltre la fine dell'Epoca Vichinga, si è molto diffuso nell'Inghilterra meridionale, favorito dal fatto che ey "uovo" era diventato quasi omofono di eye "occhio" (anche se la declinazione era diversa: plurale eyen "occhi", etc.). 
La protoforma germanica ricostruibile è *ajjan "uovo". 

Altri tentativi etimologici:  

1) Medio inglese Cockaigne "Paese della Cuccagna", celeberrimo nome di una terra immaginaria di abbondanza estrema, popolarissima nei racconti di epoca medievale. Il Paese della Cuccagna è descritto tra gli altri da Boccaccio nel Decamerone: ricordo nitidamente la sua narrazione, dominata da enormi montagne di lasagne calde e di formaggio parmigiano grattugiato. Nell'immaginario dei contadini, Londra sarebbe stata la terra dell'abbondanza, una specie di Paese della Cuccagna, da cui sarebbe derivato il nome dei suoi abitanti. Resta il fatto che, in tal caso, l'aspetto morfologico di Cockney non si spiegherebbe facilmente. Forse da una metatesi gergale in cui il dittongo è migrato nella sillaba finale? Non si tiene poi conto dal fatto che in origine l'epiteto Cockney era riferito a un'area ristrettissima. 
Sia l'inglese Cockaigne (varianti: Cocagne, Cocaigne, Cockayne) che l'italiano cuccagna derivano dall'antico francese cocagne, in ultima analisi dal protogermanico *kōkōn "torta". Un'omofonia bizzarra: in inglese moderno Cockaigne suona in modo identico a cocaine "cocaina".  

2) Medio inglese cokeren "coccolare" (glossa inglese: to pamper, coddle; inglese moderno to cocker). Possibili paralleli di questo verbo sono il gallese cocru "indulgere; accarezzare" e il francese coqueliner "vezzeggiare"; "imitare il canto del gallo"; "correre dietro alle ragazze", "fare la corte". In ultima istanza, credo plausibile che dal francese antico sia derivata la forma del medio inglese, e da questa sia a sua volta derivata quella del gallese. Si deve trattare di una derivazione dell'antico francese coc "gallo" (moderno coq), ma l'aspetto morfologico di Cockney non si spiegherebbe in alcun modo.  

Conclusioni: 

Sono dell'idea che l'etimologia corretta di Cockney sia proprio quella che lo fa derivare dal medio inglese cokeney "uovo di gallo". Rende conto meglio di ogni altra dell'aspetto della parola; la trovo soddisfacente anche per quanto riguarda la semantica. Le cose dovettero andare così: in un'area ristrettissima di Londra a un certo punto ci fu grande abbondanza e ricchezza, così le famiglie viziarono i figli, volendo risparmiare loro le durezze della vita. Questi bambini coccolati, crescendo persone deboli e malaticce. I ragazzi divennero effeminati e sodomiti passivi, che andavano in giro a cercare gli stalloni. Le ragazze divennero spitinfie schifiltose e  tirosissime, crudeli puttanelle. Per il resto, non si può dire molto sul preciso contesto storico in cui prese piede questo processo di trasformazione antropologica. 

giovedì 13 ottobre 2022

ETIMOLOGIA DI HIPPIE, HIPPY E HIPSTER

Con la parola hippie, scritta anche hippy, si indicano gli appartenenti a un movimento giovanile sorto negli Stati Uniti d'America negli anni '60 dello scorso secolo. Questa controcultura era caratterizzata contestazione non violenta del capitalismo e del consumismo, dall'opposizione alla guerra e dalla predicazione di un modo di vivere comunitario fondato sull'amore libero e sull'uso di sostanze psicoattive. Detti anche figli dei fiori (in inglese flower children), gli hippies avevano un abbigliamento tipico. I maschi portavano i capelli lunghi: per questo in Italia erano spesso soprannominati "capelloni". Un'altra designazione era freak, che in slang significa "persona stravagante" (alla lettera "scherzo della Natura"). Da freak è derivata in italiano la parola fricchettone. Nell'inglese corrente, il bonobo (Pan paniscus) è chiamato hippie chimp, alla lettera "scimpanzé hippie", a causa dei suoi costumi sessuali estremamente disinibiti. A questo punto bisogna porsi una domanda: qual è l'origine della parola hippie

Passiamo in rassegna i dati. 

hippie 
variante: hippy 
uso: sostantivo 
forma plurale: hippies 
significato: 
1) "nonconformista" (pacifista, comunitario, etc.) 
2) "persona dall'aspetto trasandato" (slang moderno)
3) 
"persona fortemente interessata alle ultime tendenze o mode" (obsoleto) 
prima attestazione nota, col significato 3): 1953 (*)
prima attestazione nota, col significato 1): circa 1965 

(*) Secondo alcuni era il 1952 (Ruark, 1998).

hippie 
variante: hippy 
uso: aggettivo 
significato: 
1) "che riguarda gli hippies", "degli hippies
2) "che non si conforma agli standard accettati" (slang moderno) 


Il più antico significato con cui la parola hippie è attestata, quello connesso con mode e tendenze, rimanda a un altro vocabolo simile:  

hipster 
variante: hepster (obsoleta) 
uso: sostantivo 
forma plurale: hipsters 
significato: 
1) "persona fortemente interessata alle ultime tendenze o mode" 
     - sinonimo: trendite 
2) "persona amante del jazz" 
     - sinonimo: white negro, white nigger (**) 
3) "membro della controcultura bohemianista" 
Nota: 
Il suffisso -ster è tipico di formazioni come gangster "bandito" (da gang "banda", "cricca"), songster "cantante" (da song "canzone"), youngster "giovanotto" (da young "giovane"). L'origine di questo elemento è chiaramente indoeuropea. 
(**) 
Questa denominazione ha anche altri significati e può essere problematica. In genere, un white nigger (wigger, whigger, whigga) è una persona bianca che adotta atteggiamenti e modi di fare tipici degli afroamericani. Tuttavia l'epiteto è stato anche appioppato a immigrati italiani, irlandesi o polacchi, con intenti razzisti e discriminatori. 

(Significati 1, 2, 3)

L'inglesista italiano medio si fermerebbe qui. Ritengo tuttavia che sia necessario procedere, dato che il suffisso 
-ster deve pur essere aggiunto a una radice dotata di senso compiuto. Si profilano, da parte dell'ingenuo, due possibilità implausibili di identificare la radice in questione. Esistono infatti due parole tra loro omofone,
hip "anca", "fianco" e hip "frutto della rosa". Entrambe sono di origine protogermanica: per la prima cfr. tedesco Hüfte "anca", gotico hups "anca" (< *χupiz); per la seconda cfr. antico inglese hēope "frutto della rosa", tedesco Hiefe "rosa canina" (< *χeupōn). 
Penso che sia sufficiente un intelletto rudimentale per capire che nessuna di queste due parole omofone è un'opzione possibile, già soltanto per elementari motivi di semantica. 
Riportiamo alcune ulteriori voci omonime, che non devono indurre in confusione, dal momento che derivano che derivano da hip "anca, fianco": 

i) hipster "tipo di contrabbandiere di alcol illegale" (durante il Proibizionismo), per via delle fiasche piatte legate ai fianchi;
ii) hipster "tipo di mutande larghe"; 
iii) hipster "ballerino", "ballerina" (anni '30, obsoleto)
iv) hippy "che ha i fianchi larghi" 
v) hip "tossicomane" (pl. hips), per via della caratteristica tendenza degli oppiomani a coricarsi su un fianco. 

Abbiamo un'interessante voce gergale diffusa negli anni '40 e '50 dello scorso secolo, sicuramente collegata in qualche modo a hipster "fan del jazz":  

hepcat 
uso: sostantivo 
forma plurale: hepcats 
significato: 
1) "musicista jazz o swing"  
2) "persona amante della musica jazz o swing" 
Nota: 
Non sembra esistere alcuna variante *hipcat. La cosa è assai strana.  


Ecco finalmente il bandolo della matassa. In ultima analisi, le parole hippie (hippy), hipster e hepcat derivano tutte da un aggettivo molto peculiare: 

hip 
variante: hep 
uso: aggettivo 
significato: 
1) consapevole, informato, aggiornato 
2) vigile, attento 
3) trendy, alla moda 

Può anche essere usato come verbo: to hip "informare", "rendere conoscibile" (terza persona singolare del presente semplice: hips; participio presente: hipping; passato semplice e participio passato: hipped). 

(Etimologia 3)

Questo è quanto riporta il dizionario etimologico Etymonline.com:


hip
(agg.) 

"informato", 1904, evidentemente in origine in vernacolo afro-americano, probabilmente una variante di hep (1), con cui è identico nel senso, sebbene sia registrato quattro anni prima.


hep (1)
(agg.) 

"consapevole, aggiornato", registrato per la prima volta nel 1908 sul "Saturday Evening Post", ma si dice che sia slang della malavita, di origine sconosciuta. Si dice che fosse il nome di "un favoloso detective che operava a Cincinnati" [Louis E. Jackson e C.R. Hellyer, "A Vocabulary of Criminal Slang," 1914] o un custode di saloon di Chicago che "non capì mai del tutto cosa stava succedendo... (ma) pensava di averlo fatto" [American Speech, XVI, 154/1]. Preso dai musicisti jazz nel 1915. Con l'ascesa di hip (agg.) negli anni '50, l'uso di hep divenne ironicamente un indizio del fatto che chi parlava non era consapevole e non era aggiornato.

Pur avendo un aspetto germanico, questo aggettivo hip / hep ha tutt'altra provenienza. In estrema sintesi, l'opinione del mainstream accademico è questa: ORIGINE SCONOSCIUTA
Ovviamente, è inaccettabile finire una ricerca etimologica con la conclusione "origine sconosciuta". Qualcuno ha fatto un'ipotesi concreta, che reputo molto interessante. Nei tardi anni '60, uno studioso di lingue africane occidentali, David Dalby, propose di derivare hip e la sua variante hep dal vocabolo Wolof hipi "aprire gli occhi". Jesse Sheidlower, che ha scritto sull'argomento in un articolo del 2014, menziona l'etimologia Wolof riportata da Dalby e sostenuta da John Leland; cerca quindi di ridicolizzare l'idea, accusandola di essere ideologica. Poi scrive che la lingua Wolof non usa generalmente la lettera "h", essendo xippi la vera parola per dire "aprire gli occhi" (dove x indica il suono aspirato di -ch- del tedesco Achtung e -pp- indica una consonante intensa, come nell'italiano Pippo). A parte la deprecabile confusione tra lettere e fonemi, trovo ridicolo il tentativo di confutazione fatto da Sheidlower. 


Evidentemente le cose sono andate in questo modo: 

Wolof xippi =>
neo-Wolof americano *hipi =>
inglese afroamericano hip, hep 

Evidentemente, la lingua Wolof e le altre lingue africane non scomparvero di botto quando gli schiavi furono deportati in America. Dovettero tuttavia subire una serie di adattamenti alla fonologia delle varietà di lingua inglese parlate nel Paese. Non essendo il suono /x/ familiare ai parlanti dell'inglese americano, finì col diventare /h/. Così le consonanti intense (doppie) divennero semplici. Questo con buona pace della rigida mentalità scolastica gnè-gnè-gnè di Sheidlower. 
Tanto per far capire la complessità della situazione di partenza, queste sono alcune coppie minime di parole Wolof, distinte unicamente dall'opposizione tra una consonante semplice e una consonante intensa (doppia).  

bët "occhio" - bëtt "trovare" 
boy "prendere fuoco" - boyy "essere luccicante"
dag "servitore reale" - dagg "tagliare"
dëj "funerale" - dëjj "fica"
fen "mentire" - fenn "da qualche parte"  
gal "oro bianco" - gall "rigurgitare"
goŋ "babbuino" - goŋŋ, un tipo di letto
gëm "credere" - gëmm "chiudere gli occhi"
Jaw (un cognome) - jaww "cielo"
nëb "marcio" - nëbb "nascondere"
woñ "filo" - woññ "contare" 


Ricordo la serie televisiva Radici (Roots, 1977), che rese popolare il personaggio del Mandingo Kunta Kinte. Tra le altre cose, si poneva la questione della lingua. La scomparsa delle lingue africane, considerata totale e improvvisa, era ricondotta sostanzialmente a tre cause: 

1) Il trauma (una ragazza urlava a Kunta: "Ho dimenticato quella lingua africana."); 
2) La superstizione (un anziano, credo si chiamasse Pompeo, diceva a Kunta: "Porta male parlare nel vecchio modo."); 
3) L'irrisione (la figlia di Kunta cercava di spiegare a un ganzo colossale il proprio africano, Kizzy, dicendogli che significava "Tu rimani". Lui la derideva.) 

Le cose non possono essere state così semplici. Consideriamo che il flusso di schiavi africani durò molto tempo, così giungevano sempre nuovi parlanti di varie lingue: Wolof, Mandinka, Yoruba, Bantu e via discorrendo. Anche se, a quanto pare, le diverse nazionalità venivano mescolate per rendere difficile la mutua comprensione, evitando così facili insurrezioni, qualche nucleo coerente di parlanti della stessa lingua dovette comunque formarsi e sussistere nel tempo. 

lunedì 19 settembre 2022

ETIMOLOGIA DELLO SPAGNOLO BRUJO 'STREGONE', BRUJA 'STREGA'

Il professor Fabio Calabrese, persona di cui ho la massima stima, molto spesso si diverte a fare battute argute fondate su assonanze. In una di queste, la parola spagnola brujo "stregone" è considerata omofona dell'italiano bruco "larva di lepidottero". In realtà la pronuncia non è proprio identica. L'omofonia è molto approssimativa: in spagnolo c'è una fricativa velare /x/, mentre in italiano c'è una semplice occlusiva velare /k/. In altre parole, -j- in brujo ha un suono simile a quello di -ch- del tedesco Achtung. Mi rendo conto che per un parlante della lingua italiana non sia facile distinguere suoni a cui non è abituato. Detto questo, sorge una domanda. Qual è l'etimologia delle parole spagnole brujo "stregone" e bruja "strega"? 

L'idea dei romanisti, che sono inclini a spiegare Omero con Omero, è che il brujo sia proprio un bruco, ossia una larva di lepidottero, intesa come manifestazione demoniaca. La parola viene quindi ricondotta al greco βροῦχος (brûkhos) "tipo di locusta senza ali", passato in latino tardo come brūchus, da cui per l'appunto l'italiano bruco. La parola greca, presente in liste di vocaboli di epoca bizantina, è attestata anche la variante βροῦκος (brûkos), senza consonante aspirata; Esichio ci riporta per Creta la variante βρεῦκος (brêukos). L'origine ultima è sconosciuta, anche se si riconosce il suo aspetto non indoeuropeo. Un possibile lontano parente potrebbe essere il latino ērūca "bruco", con la variante ūrūca (potremmo ricostruire una protoforma *ewrouka). L'idea evocata è quella di una masticazione immonda, di un rosicchiare magico che indurrebbe il maleficio, provocando un danno ai viventi - esseri umani o animali che siano.  

I romanisti in questione non tengono conto del fatto che la parola in analisi non è presente soltanto in spagnolo, ma anche in altre lingue romanze occidentali (in cui -x- ha il suono "palatale" /ʃ/, come sc- nell'italiano scia): 

Galiziano: bruxa "strega"
Portoghese: bruxa "strega"
Catalano: bruixa "strega"
Occitano: bruèissa "strega" 

Non tengono nemmeno conto del fatto che al tempo dei Conquistadores, anche j in spagnolo aveva lo stesso suono palatale /s/, del tutto dissimile dall'attuale aspirazione: bruja era pronunciato /ʃ/ e in italiano sarebbe trascritto come *bruscia. La parola non può avere nulla a che fare col bruco. Si tratta di una parola preromana sopravvissuta come elemento di sostrato. 

Ecco la protoforma ricostruibile:  

Proto-celtico: *bruχtijā "strega"  
  Celtiberico: *brūχsā "strega" 
  Note: 
Si è avuta un'assibilazione e la vocale tonica si è allungata per compenso. La forma proto-romanza evolutasi da queste premesse è *brùissa, da cui si sono originate le forme documentate nelle varie lingue della Penisola Iberica. 

Proto-celtico: *briχto-, *briχtu-, *briχtijā "magia" 
   Gallico: brictom, brixtia "magia" 
       (bnanom brictom "la magia delle donne", Piombo
       di Larzac; brixtia anderon "con la magia delle donne", 
       Piombo di Chamalières)
   Antico irlandese: bricht "incantesimo, formula magica"
        (gen. brechtobrechta
      Gaelico d'Irlanda: briocth "incantesimo"; "amuleto"
   Medio gallese: bryth-, -frith "magia"
         (brythron "bacchetta magica"; lledfrith "illusione",
         lett. "mezza magia")
      Gallese moderno: lledrith "illusione"  



L'etimologia ultima è incerta. Secondo alcuni potrebbe essere una variante di una ben nota radice di origine indoeuropea, comune al proto-germanico: 

Proto-celtico: *berχtos "splendido" 
   Antico irlandese: -bertach "splendido" 
      (Flaithbertach "Splendido Principe", antroponimo)
   Medio gallese: berth "bello"; "prospero, ricco"
      Gallese moderno: berth "bello"; "prospero, ricco" 
   Medio bretone: berz "prosperità" 
      Bretone moderno: berzh "prosperità" 


Proto-indoeuropeo: *bherg'h- "splendere", 
        *bherg'h-tó-s "splendente" 
   Proto-germanico: *berχtaz "splendente" 
      Gotico: bairhts "splendente" 
      Antico alto tedesco: beraht "splendente" 
      Norreno: bjartr "splendente" 
    etc.

La semantica non è affatto soddisfacente e sono incline a rigettare questo collegamento. L'idea più sensata è a parer mio quella di considerare il nome proto-celtico della magia un residuo preindoeuropeo oppure un resto di una forma di indoeuropeo preceltico ancora da chiarire. Siamo davanti a un percorso in salita! 

Esisterebbe un'altra possibilità, che non è priva di problemi fonologici. La semantica sarebbe connessa alla visione sfocata, all'inganno allucinatorio della magia. 
 
Proto-gallo-britannico: *briχtos "maculato, screziato" 
   Antico gallese: brith, glossa latina pictam 
     Medio gallese: brith "maculato, screziato" 
     Gallese moderno: brith "maculato, screziato"; "grigio"
         (detto di capelli)
   Medio bretone: briz "maculato, screziato" 
      Bretone moderno: brizh "maculato, screziato"
   Antico cornico: bruit "screziato, striato"
      Cornico: brith, bryth "screziato, striato"; "tartan" 
 
Il punto è che la forma proto-celtica da cui deriva ha *mr-

Proto-celtico: *mriχtos "maculato, screziato" 
   Antico irlandese: mrecht "maculato, screziato" 


Così in antico irlandese abbiamo mrecht "maculato" contro bricht "incantesimo, formula magica": due forme ben distinte tra loro e non assimilabili.

Esistono altre teorie alternative, a parer mio meno plausibili di quella sopra esposta. Le esporrò in questa sede per sommi capi. 

1) Il nome spagnolo della strega deriverebbe dal nome di un'antica divinità femmilile. Il significato sarebbe diventato negativo per via del processo di cristianizzazione. 

Proto-celtico *Brigantī "Somma Dea" 
   (gen. *Brigantijās "della Somma Dea") 
       Antico irlandese: Brigit
          Gaelico d'Irlanda: Bríd
          Gaelico di Scozia: Brìghde, Brìde
           Manx: Breeshey
Note: 
Il nome divino femminile è ben conosciuto. Ne deriva anche il nome della Brianza, ossia "(Terra) della Somma Dea". La radice è molto produttiva e ne è attestato un derivato notevole: 

Proto-celtico: *brigantīnos "capo", "sovrano"
  Antico bretone: brientin, brientinion "sovrano"
    Medio cornico: brentyn, bryntyn "sovrano"
    Medio gallese: brenhin "sovrano" 
      Gallese moderno: brenin "sovrano"
Note: 
In passato questi vocaboli sono stati erroneamente creduto l'etimologia del nome di Brenno.


Proto-indoeuropeo: *bherg'h- "elevare, ascendere"; "essere elevato"  


2) Il nome spagnolo della strega deriverebbe dal nome celtico dell'erica e della brughiera. 

Proto-celtico *wroikos "erica", "brughiera" 
Le parole attestate si sarebbero formate da un composto con un suffisso sibilante: 
maschile *wroiχsos, femminile *wroiχsā  
Significato postulato: "abitante della brughiera".
Dalla stessa radice deriva la parola italiana brughiera, oltre al desueto brugo "erica". Lo stregone, la strega, sarebbero gli abitanti della brughiera. 


Sono propenso a scartare queste etimologie per motivi fonetici. 

Conclusioni 

Spero che questo mio trattatello possa dare un'idea anche vaga di quanta ricchezza culturale è andata perduta per colpa di secolari pregiudizi portati avanti dai romanisti!

giovedì 15 settembre 2022

UN RELITTO CELTICO IN ROMANCIO: CARMUN 'DONNOLA'

In romancio esiste la parola carmun "donnola". L'origine è chiaramente celtica. 

Proto-celtico: *karmū*karmon- "donnola; ermellino" 
   Gallico: CARMO (attestato come antroponimo maschile) 
   Celtiberico: CARMO (nome di città, oggi Carmona
 
   Gallese: carlwm "ermellino" 
   Bretone: kaerel "donnola" (*)  

(*) Si noti l'irregolarità fonetica, forse dovuta ad analogia con kaer "forte".

Esiste qualche parallelo in altre lingue indoeuropee: 

1) Proto-germanico: *χarmǣn "donnola; ermellino" 
(ricostruzioni alternative: *xarmēn, *harmǭ, etc.)
  Antico inglese: hearma "ermellino; toporagno; ghiro" 
     (gen./dat./acc. hearman; nom./acc. pl. hearman;
      gen. pl. hearmena
dat. pl. hearmum
  Frisone occidentale: harmel "ermellino" 
  Antico sassone: harmo "ermellino" 
     Medio basso tedesco: harm "ermellino" 
  Antico olandese: *harmo, *hermilo "ermellino" 
    Medio olandese: hermel "ermellino"
    Olandese: herm "ermellino" (obsoleto); hermelijn
        "ermellino" 
  Antico francone: *harmo "ermellino; furetto"; 
        *hermilo, *hermilîn "ermellino" (**)
  Antico alto tedesco: harmo "ermellino; furetto";
        harmiloharmilîn "ermellino"  
     Medio alto tedesco: harme "ermellino"; hermelîn
        "ermellino"  
     Tedesco moderno: Harm "ermellino" (obsoleto);
        Hermelin "ermellino"  

(**) L'antico francese ha ereditato ermine (ermin, hermin, hermine) "ermellino" dalla lingua dei Franchi. La parola francese è poi passata in medio inglese ermyne (armyn, armyne, ermin, ermine, ermyn, hermyn), dando infine l'inglese moderno ermine


2) Proto-baltico: *čarm-ō̃, *čarm-ul-ia- (/ -e-"ermellino"
  Lituano: šarmuõ "ermellino; gatto selvatico", 
       šermuonėlis "ermellino" 
  Lettone: sarmulissermulis "ermellino" 

A partire da queste forme è stato possibile ricostruire un possibile antenato: 

Proto-indoeuropeo: *k'ormōn, *k'ormen- "ermellino" 
  (Starostin ricostruisce *k'er
əm-)

La parola è con ogni probabilità un resto di un più antico sostrato, assorbito nel tardo indoeuropeo occidentale. Allo stato attuale delle conoscenze non si riesce a specificare di più sull'origine ultima della radice e sulle sue dinamiche di diffusione.   

Il caso del topo dell'Armenia 

I romanisti, come ben noto, ritengono un libro chiuso tutto ciò che va oltre le conoscenze di latino del liceo. Così hanno escogitato una grossolana pseudoetimologia. Partendo dalla forma latina medievale (XIII sec.) armeninus "ermellino", chiaramente derivata dall'antico alto tedesco harmilîn con assimilazione, hanno ricostruito un inesistente (mūs) armenīnus "topo d'Armenia", facendolo derivare da armēnus "armeno".