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giovedì 28 ottobre 2021

 
L'ULTIMO DEI MOHICANI 
 
Titolo originale: The Last of the Mohicans
Paese di produzione: Stati Uniti d'America
Anno: 1992 
Lingua: Inglese, Francese, Cherokee, Mokawk, Lakota, Inupik 
Durata: 112 min
Genere: Azione, storico, drammatico
Regia: Michael Mann
Soggetto: James Fenimore Cooper (romanzo), Philip Dunne, 
   John L. Balderston, Paul Perez, Daniel Moore
   (sceneggiatura film 1936)
Sceneggiatura: Christopher Crowe, Michael Mann
Produttore: Michael Mann, Hunt Lowry
Produttore esecutivo: James G. Robinson
Casa di produzione:
Morgan Creek Productions
Distribuzione in italiano: Penta Film
Fotografia: Dante Spinotti
Montaggio: Dov Hoenig, Arthur Schmidt
Effetti speciali: Thomas L. Fisher, Jim Rygiel
Musiche: Trevor Jones, Randy Edelman
Scenografia: Wolf Kroeger, Robert Guerra, Richard Holland,
     Jim Erickson, James V. Kent
Costumi: Elsa Zamparelli
Trucco: Peter Robb-King, Vincent J. Guastini
Interpreti e personaggi: 
    Daniel Day-Lewis: Nathaniel "Occhio di Falco"
    Madeleine Stowe: Cora Munro
    Russell Means: Chingachgook
    Eric Schweig: Uncas
    Jodhi May: Alice Munro
    Steven Waddington: Maggiore Duncan Heyward
    Wes Studi: Magua
    Maurice Roëves: Colonnello Edmund Munro
    Patrice Chéreau: Generale Louis-Joseph de Montcalm
    Edward Blatchford: Jack Winthrop
    Terry Kinney: John Cameron
    Tracey Ellis: Alexandra Cameron
    Justin M. Rice: James Cameron
    Dennis Banks: Ongewasgone, Capo geli Irochesi
    Pete Postlethwaite: Capitano Beams
    Sebastian Roché: Martin 
    Colm Meaney: Maggiore Ambrose 
    Mac Andrews: Generale Webb 
    Malcolm Storry: Phelps 
    David Schofield: Sergente Major 
    Mike Philips: Il Sachem degli Uroni 
    Dylan Baker*: Capitano De Bouganville 
    Tim Hopper: Ian 
    Gregory Zaragoza: Capo degli Abenaki 
    Scott Means: Guerriero Abenaki 
    William J. Bozic Jr.: Ufficiale d'artiglieria francese 
    Patrick Fitzgerald: Aiutante del Generale Webb 
    Mark Joy: Henri 
    Steve Keator: Rappresentante coloniale
    *Accreditato come Mark Edrys
Doppiatori italiani:
    Massimo Corvo: Nathaniel "Occhio di Falco"
    Cinzia De Carolis: Cora Munro
    Gianni Musy: Chingachgook
    Oreste Baldini: Uncas
    Laura Lenghi: Alice Munro
    Angelo Maggi: Maggiore Duncan Heyward
    Paolo Buglioni: Magua
    Michele Kalamera: Colonnello Edmund Munro
    Carlo Valli: Jack Winthrop 
 
Trama: 
Anno del Signore 1757. Una famiglia un po' anomala viaggia nottetempo per i boschi del Nordamerica, cacciando cervi e cercando di fuggire alla guerra che oppone i Francesi agli Inglesi. Il bizzarro gruppetto è composto da Chingachgook, da suo figlio Uncas e da Nathan "Occhio di Falco", un inglese adottato da bambino dopo essere rimasto orfano dei suoi genitori. Questi superstiti sono tutto ciò che resta della tribù morente dei Mohicani. La loro destinazione è un luogo quasi mitologico dove pensano di trovare la pace: le Pianure Occidentali. Nel corso del tragitto, i tre si imbattono in un reclutatore (non c'era piaga peggiore nell'Impero Britannico), il cui lavoro consiste nell'arruolare "volontari" tra i nativi. Naturalmente non si trattava davvero di volontari, bensì di soggetti a una vera e propria coercizione: l'alternativa era tra l'entrata nei ranghi e l'essere impiccati. Chingachgook e i suoi, che rifiutano con fermezza la leva, riescono a fuggire col favore delle tenebre e ad andare avanti imperterriti. A un certo punto salvano una compagnia inglese da un'imboscata degli Uroni guidati dal fierissimo Magua, animato da propositi di vendetta. Lo scopo della compagnia, guidata dal perfido Maggiore Duncan Heyward, era fare da scorta alle figlie del Colonnello Edmund Munro, Cora e Alice. Proprio Edmund "Capello Grigio" Munro e la sua prole sono l'oggetto dell'odio eterno di Magua, i cui figli sono stati uccisi per opera sua. Gli aggressori finiscono sterminati, tranne Magua che riesce a fuggire. Così Chingachgook e i suoi scortano le figlie del Colonnello fino al forte, che trovano assediato dai Francesi e dagli Uroni loro alleati, riuscendo comunque a intrufolarsi. Cora, che ha rifiutato la proposta di matrimonio dell'odioso Maggiore Heyward, si invaghisce di Nathan, mentre Alice è attratta da Uncas. Questo attira sul figlio adottivo di Chingachgook l'odio del militare respinto. Il Colonnello Munro è sorpreso di vedere le sue figlie: aveva infatti inviato una lettera avvertendole di stare alla larga. La missiva non le ha mai raggiunte. Viene tentata una sortita notturna: un miliziano parte per raggiungere il Generale Webb a Fort Edward e chiedergli rinforzi. Chingachgook e i suoi, appostati sul forte, gli forniscono il fuoco di copertura. Il problema è che Munro vieta l'applicazione di un accordo fatto da Webb, che permetteva ai miliziani di raggiungere le loro fattorie per difenderle in caso di attacco. Per reazione, Nathan aiuta la fuga di alcuni di loro, finendo così arrestato per sedizione e condannato all'impiccagione. Presto il Colonnello Munro apprende che il Generale Webb non gli invierà alcun rinforzo: l'unica alternativa è la resa ai Francesi. Il Generale Louis-Joseph de Montcalm, che concede a Munro e ai suoi uomini di lasciare il forte indossando con onore le armi. Il fierissimo Magua, sentendosi tradito, guida un attacco ai soldati inglesi e ai civili che stanno lasciando il forte, facendone grande strage. Munro viene catturato e  ferito a morte: Magua gli giura che ucciderà le sue figlie con il proprio coltello, quindi gli strappa il cuore dal petto e lo divora! Nathan, Chingachgook e Uncas riescono a fuggire con le canoe portando con sé Cora, Alice e Heyward. Trovando riparo in una grotta dietro una cascata, ma Magua piomba loro addosso. Il gruppo si divide. Nathan dice a Cora e Alice di sottomettersi agli Uroni, quindi si getta nella cascata assieme ai due Mohicani, dopo aver promesso che arriverà a liberarle. Il rancido Heyward resta con le figlie di Munro e accusa Nathan di codardia. Magua porta le sue prede in un grande insediamento degli Uroni. Mentre sono tutti al cospetto del Sachem, arriva Nathan disarmato per implorare la vita dei prigionieri. L'anziano Sachem degli Uroni è colui che decide chi deve vivere e chi deve morire. Stabilisce così che il malevolo Heyward debba essere restituito agli Inglesi. Condanna le due donne a una sorte ben più crudele: Alice deve essere data a Magua come risarcimento, mentre Cora deve essere bruciata viva. Nathan viene lasciato libero, ma in preda alla disperazione si offre di essere arso aposto della sua amata Cora. Il Sachem capisce soltanto la lingua degli Uroni e il francese, quindi Heyward fa da interprete. Sbaglia però a tradurre un pronome personale e finisce lui sul rogo al posto del suo rivale. Il figlio adottivo di Chingachgook lascia il villaggio con Cora e spara a Heyward per risparmiargli un'atroce agonia tra le fiamme: ricambia la perfidia con la misericordia. Nella fuga disordinata che segue, Uncas tenta disperatamente di salvare Alice e attacca battaglia con gli Uroni, ma viene ucciso da Magua e precipita da un dirupo. Annientata dal dolore, Alice rifiuta di consegnarsi a Magua e si suicida gettandosi dallo stesso dirupo. Si scatena una battaglia, in cui Chingachgook riesce a uccidere Magua colpendolo con un Tomahawk a forma di fucile e a vendicare la morte del figlio. Rimasto solo con Nathan, Chingachgook prega il Grande Spirito di ricevere Uncas, proclamandosi "l'ultimo dei Mohicani".  

 
Recensione: 
Se devo essere franco, mi stomaca tutto il romanticume che tanto è piaciuto agli spettatori. Nathan "Occhio di Falco", Chingachgook e Uncas sono personaggi deboli, anodini, privi di carattere, quasi evanescenti. La loro inconsistenza trova una parvenza di riscatto soltanto quando Chingachgook, rimasto l'ultimo del suo popolo, pronuncia parole poetiche per il funerale del figlio Uncas. Sono queste:
 
"Grande Spirito, e Creatore della Vita, un guerriero va a te, veloce e dritto come una freccia lanciata nel sole. Da' lui benvenuto, e lascia lui prendere posto in Gran Consiglio di mio popolo. È Uncas, mio figlio. Dì lui di essere paziente, e da' a me una rapida morte, perché loro sono tutti là, meno uno, io, Chingachgook, l'Ultimo dei Mohicani." 
 
Si deve però notare che egli non riconosce Nathan "Occhio di Falco" come genuino prosecutore della stirpe dei Mohicani, proprio perché vale il Principio del Sangue. Soltanto il Sangue conta. Nathan non è nato dal seme dei Mohicani, bensì da quello degli Inglesi, quindi è e resterà sempre un inglese. Tutto il resto non ha alcun valore. Non esiste nessuno ius soli. Vale unicamente lo ius sanguinis, come è fin dai più remoti tempi della preistoria, anche se questo non piacerebbe ai fautori del politically correct woke autorazzista. 
 
La realtà è questa: l'unico personaggio autentico e possente è Magua. Lui è il fulcro dell'intera narrazione. Senza la sua figura crollerebbe tutto in un istante. Cosa ce ne faremmo di quegli stupidissimi amori di cui è piena la pellicola? Non servono a nulla: sono sdolcinati, privi di qualunque senso, messi lì apposta per compiacere il gusto degenere dei moderni e dei postmoderni. C'è più significato nel crudo atto di cannibalismo compiuto da Magua che in tutto il resto! Quando scrissi su Facebook che ammiravo Magua in modo sviscerato, qualcuno mi accusò: "Perché stai dalla parte del malvagio". Così replicai: "Sto dalla parte di chi è stato stritolato dalla vita!" So bene come decidere chi è il perdente. Lo capisco a pelle, fin da subito. Il perdente odia l'esistenza, che lo ha devastato. Il mio giudizio poi viene puntualmente confermato facendo un bilancio di tutte le vicissitudini del personaggio, dalla sua comparsa nel film fino al triste epilogo. Questo è ciò che ha detto l'Eroe degli Uroni al Marchese Joseph-Louis de Montcalm:
 
"Il villaggio di Magua è stato bruciato e i figli di Magua sono stati uccisi dall'Inglese. Magua è stato fatto schiavo dai Mohawk che combattevano per Capello Grigio. La moglie di Magua, credendo lui morto, è diventata la moglie di un altro. Capello Grigio era il padre di tutto questo. Col tempo, Magua è diventato fratello di sangue dei Mohawk, per tornare libero, ma sempre in suo cuore lui è Urone. E il suo cuore tornerà a volare il giorno che Capello Grigio e suo seme muore." 

Come non commuoversi davanti a queste vibranti parole? I vincenti, i "buoni e giusti", sono tutte persone ipocrite che hanno successo sessuale e procreativo, la cui progenie riesce a prevalere; in aggiunta a ciò, appestano il mondo con le loro boiate idealistiche. L'odio feroce che anima i perdenti non ha invece sfogo alcuno nell'architettura narrativa, per colpa del moralismo schifoso degli autori. Il fuoco degli sconfitti, che dovrebbe ardere il mondo, resta un mero spauracchio. Proprio come i sogni di Magua, che vede un futuro di immensa gloria per il suo popolo: immagina l'ascesa degli Uroni tra le nazioni del mondo, fino a farli diventare "non meno dei Bianchi, e forti come i Bianchi" ("pas moins que les Blancs, et forts comme les Blancs"). Poi finisce tutto nel Nulla. Una cosa senza senso, giusto per garantire la tranquillità allo spettatore conformista. 
 
 
Inconsistenza delle figure femminili 
 
Cora ed Alice non significano nulla. Sono soltanto ombre. Magua le vuole uccidere per annientare ogni traccia della vita del loro padre, che per lui è stato tanto calamitoso. La stupida morale del regista garantisce che il potere dell'Odio non può e non potrà mai prevalere sull'Amore. Mann e Crowe non sono tuttavia riusciti a dar vita a una sceneggiatura decente per personaggi futili come le figlie di "Capello Grigio" Munro. Hanno messo queste sensuali e vuote creature nel film soltanto perché per avere successo ci deve essere un po' di figa! Avendo un animo sanguigno, vendicativo e affine a quello di Magua, non mi lascio certo commuovere dalle infinite stronzate propinate da registi e sceneggiatori melensi!  

 
Un fulvo stranamente odioso 

Ho sempre avuto una grande simpatia per le persone con i capelli rossi, che mi paiono un attributo divino. Ebbene, Michael Mann è riuscito a portare in scena un uomo con i capelli rossi, che tuttavia non ha riscosso il mio favore. Un caso più unico che raro. Il Maggiore Duncan Heyward mi ha ispirato fin da subito un'antipatia vivissima, al punto che ho biasimato Nathan "Occhio di Falco" per avergli concesso l'eutanasia: ho pensato che avrebbe fatto meglio a negargli una rapida morte con un colpo di fucile mentre ardeva orrendamente sul rogo. In fondo, lo stesso Heyward non avrebbe concepito pietà alcuna, non avrebbe esitato per un solo istante a fare impiccare Nathan, se ne avesse avuto la possibilità! 
 
La confusione di due popoli 
 
Lo scrittore James Fenimore Cooper ha confuso due popolazioni diverse, entrambe di lingua algonchina, a causa dell'assonanza dei loro rispettivi nomi. I Mohicani (in origine Mahican), stanziati nel territorio che è attualmente parte dello Stato di New York, erano infatti ben distinti dai Mohegan stanziati nel Connecticut. Il romanzo di Fenimore Cooper ha contribuito in modo determinante a diffondere tra il grande pubblico questa confusione, che ritroviamo ovviamente tal quale nel film di Michael Mann. Il nome Mohegan deriva da Monahiganeuk, che nella lingua algonchina Narragansett significa "Popolo del Lupo": proto-algonchino *mahi·nkana "lupo". La prima attestazione risale al 1614 (Fonte: Dizionario Merriam-Webster). Il nome Mahican significa invece "Popolo dell'Estuario": proto-algonchino *menahanwi "isola". Si vede che la somiglianza con Mohegan è puramente esteriore. Il passaggio da Mahican (con -a-) a Mohican (con -o-) è stato causato proprio dall'influenza di Fenimore Cooper. Come conseguenza di questo marasma cognitivo, la forma Mohican è stata usata anche al posto di Mohegan

 
Etimologia di Chingachgook 
 
L'antroponimo Chingachgook significa "Grande Serpente". Nella lingua dei Lenape, strettamente imparentata a quella dei Mohicani, xinkw- significa "grande" e xkuk significa "serpente": ne deriva così xinkwixkuk "grande serpente". Il suono /x/ in Lenape è la fricativa velare che troviamo nel tedesco Bach /bax/ "ruscello". La sua trascrizione con il digramma ch ha portato alla pronuncia ortografica di Chingachgook con l'affricata postalveolare /tʃ/ che troviamo nell'inglese church /tʃə:(ɹ)tʃ/ "chiesa". Simili fraintendimenti non sono rari nella trascrizione delle lingue della famiglia Algonchina. Il problema è che le pronunce ortografiche, per quanto fuorvianti, hanno la bruttissima tendenza a consolidarsi, fino a diventare induscutibili. Questo è uno dei modi più insidiosi di distorsione della realtà. 
 
 
Etimologia di Uncas 
 
L'antroponimo Uncas significa "Volpe" e deriva dalla lingua dei Mohegan: nella lingua algonchina di quel popolo la volpe è chiamata wonkus /'wɔŋkəs/. In Narragansett è wonkis. Uncas era per l'appunto il nome di un capo storico dei Mohegan stanziati nel territorio del Connecticut, dei Pequot e dei Narragansett - non dei Mohicani stanziati nel territorio dell'attuale Stato di New York. Visse qualche decennio prima degli eventi narrati nel film di Mann e nel libro di Fenimore Cooper. Non ci sono dubbi sul fatto che la figura storica di questo Uncas abbia contribuito in modo sostanziale al mito dell'Ultimo dei Mohicani. 
 
 
Etimologia di Magua 
 
Qui cominciano i problemi. Non è stato agevole trovare l'etimologia dell'antroponimo Magua e nemmeno capirne il significato. Magua è anche conosciuto come Volpe Astuta (in francese Renard Subtil), ma ci sono serie ragioni di dubitare che questa sia la traduzione esatta del suo nome Urone. Nella lingua degli Uroni, che appartiene alla famiglia Irochese, il suono /m/ è molto raro e nella maggior parte dei casi è un semplice allofono dell'approssimante labiale /w/; inoltre /m/ non sembra trovarsi in posizione iniziale di parola. Questa carenza della nasale labiale /m/ è tipica delle lingue irochesi. Un aiuto ci viene dall'etnonimo dei Mohawk /ˈmoʊhɔːk/, che sono un nobile e valoroso popolo del ceppo Irochese. Ebbene, i Mohawk non si chiamano tra loro con questo nome, che non è irochese, bensì algonchino. Si tratta di un esoetnico, che deriva dalla lingua algonchina dei Narragansett: mauquàuog, mohowaúgsuck, che significa "essi mangiano esseri viventi", chiaro eufemismo per "cannibali". Ecco finalmente spiegato il glorioso antroponimo Magua: significa "Cannibale". I Mohawk, nella cui lingua manca del tutto il suono /m/, chiamano se stessi Kanienʼkehá:ka’. Per quale ragione un guerriero degli Uroni dovrebbe darsi un nome in una lingua algonchina? Probabilmente il suo nome serviva a terrorizzare i nemici, che avevano un fortissimo tabù per il cannibalismo. 
 
Etimologia di Uroni  

Il nome con cui tutti conoscono il glorioso popolo degli Uroni in realtà potrebbe essere di origine francese. Certamente si tratta di un esoetnico, ossia di un nome attribuito a una comunità da altri. L'endoetnico è invece Wyandot (Wendat): è così che gli Uroni chiamavano se stessi. Secondo l'opinione accademica più accreditata, l'esoetnico Huron deriva dal francese hure, che significa "testa di animale selvatico", specialmente "testa di cinghiale". La glossa data dal dizionario del Centre Nationale de Resources Textuelles et Lexicales (CNRTL) è "tête d'une sanglier, du porc, p.ext. de certaines bêtes fauves et de poissons à tête allongée" (ossia "testa di un cinghiale, del porco, per est. di certe bestie selvatiche e di pesci dalla testa allungata"), Esempi: une hure d'un sanglier "una testa di cinghiale"; la hure d'un lion "la testa di un leone"; la hure d'un loup "la testa di un lupo"; la hure d'un esturgeon "la testa di uno storione". Il riferimento sarebbe all'acconciatura dei guerrieri Wyandot o al loro aspetto particolarmente belluino. L'etimologia di hure è a sua volta incerta; in genere viene considerato un vocabolo di origine germanica, anche se non ho potuto reperire dati in grado di dimostrarlo. Esite però anche la possibilità che l'esoetnico Huron derivi da una parola contenente la radice Irochese ronon "nazione", presente anche nella lingua Wendat. A riprova di questa genuina derivazione amerindiana, si riporta che le Quattro Nazioni Wyandot derivavano dai resti dei Tionontati, degli Attignawantan e dei Wenrohronon (History - Wyandotte Nation). Ebbene, l'etnonimo Wenrohronon, attestato anche come Wenro, ha tutta l'aria di essere la vera origine di Huron.  
 
 
Etimologia di Sachem "Grande Capo" 

La parola sachem (inglese /'seɪtʃəm/, /'sætʃəm/; francese /sa'ʃɛm/), che indica un capotribù, è di origine Algonchina. Più precisamente, deriva dal Narragansett sâchim, la cui pronuncia è /'sa:tʃem/. In altre parole, non si ritrova l'errore della pronuncia ortografica già vista in Chingachgook, dove il suono /x/ simile a quello del tedesco Achtung è stato realizzato come il suono /tʃ/ dell'inglese much. In ogni caso, l'affricata /tʃ/ si è sviluppata da una più antica occlusiva /k/. L'origine ultima della parola è la radice proto-algonchina *sa·kima·wa "capo (maschio)". Questi sono i suoi discendenti: 
 
Algonchino Orientale: *sākimāw 
Mi'kmaq: saqamaw 
Malecite-Passamaquoddy: sakom 
Abenaki: sôgmô, sôgemô
Penobscot: sagəma, sagama, sagemo, sangemo
Wangunk: sequin
Narragansett: sâchim
Mohegan-Pequot: sôcum
Lenape: sakima

Algonchino Centrale: *okimāwa
Cree: okimahkân
  Cree delle Pianure: okimâw
  Cree Sudorientale: uchimaa
Fox: okimâwa
Ojibwe: ogimaa
  Ottawa: gimaa
Potawatomi: wgema
Miami: akimaawa, akima
 
Dalla lingua Penobscot (non dal Mi'kmaq come qualcuno sostiene) è derivato in inglese il termine sagamore (/'sæɡəmɔː/, /'sæɡəˌmɔɹ/), usato come sinonimo di sachem. In altre parole, sachem e sagamore costituiscono un fenomeno allotropo. 

 
Occhio di Falco 
 
Il soprannome o nome indiano di Nathan nella versione italiana è "Occhio di Falco". Nell'originale inglese è Hawkeye. Nel libro di Fenimore Cooper è Hawk-eye, con il trattino. Trovo interessante questo composto. Si noti l'assenza del genitivo sassone: non è Hawk's Eye. Il vero antroponimo del personaggio è in realtà Nathaniel Bumppo. I soprannomi sono numerosi: Natty, Hawk-eye, Œil de Faucon (traduzione di Hawk-eye in francese), La Longue Carabine (Long Rifle), Leatherstocking ("Calze di Cuoio"). Compare anche in altre opere dello stesso autore: ad esempio è soprannominato Pathfinder ("Esploratore") in The Pathfinder, or the Inland Sea (1840). Il cognome Bumppo mi pare impenetrabile e misteriosissimo. Nel vasto Web non sono stato finora in grado di trovare alcunché di utile a rischiararne l'etimologia.  
 
 
"Capello Grigio" Munro  
 
Il Tenente Colonnello George Monro (talvolta scritto Munro) è il personaggio storico a cui è ispirato il Colonnello Edmund Munro. Mi è sconosciuta la ragione di questo cambiamento del nome di battesimo, da George a Edmund. Era nato a Clonfin, nella Contea di Longford (Contae an Longfoirt), in Irlanda, da una famiglia militare scozzese. Apparteneva alla Libera Muratoria. Nella realtà egli non si accompagnava a donne e non aveva alcuna figlia, ma Fenimore Cooper gli ha attribuito un'indole libidinosa: in gioventù l'ufficiale avrebbe posseduto carnalmente una prosperosa mulatta, procreando Cora. A quanto ho potuto appurare, nel romanzo Munro non è mai menzionato col suo nome di battesimo. Ne deduco che Edmund debba essere un'invenzione del regista. Non capirò mai la tendenza irresistibile degli anglosassoni a cambiare i nomi delle persone. Se i suoi genitori lo hanno chiamato George, perché diamine dovrebbe diventare Edmund?
 
L'enigmatico Ongewasgone 
 
L'antroponimo Ongewasgone, menzionato di sfuggita nel corso del film, ha dato origine a una serie di grottesche distorsioni percettive, essendo stato inteso male dagli spettatori, come "Uncle Wiscone" /ʌŋkḷ wɪ'skoʊn/ o addirittura come "How Go Ascone" /hɑʊ goʊ æ'skoʊn/. Ecco il link alla pagina in cui ho trovato i thread buffoneschi: 
 
 
Questo dimostra che gli stessi parlanti anglosassoni hanno gravissimi problemi acustici, proprio come me, al punto che non sono in grado di intendere in modo corretto qualsiasi nome, di qualsiasi origine. Di fronte a qualcosa di non familiare, reagiscono cercando di ricondurlo a ciò che è loro noto.
In un sito web è stato commesso un grave errore: è stato attribuito il nome Ongewasgone al Capo degli Uroni. Mi sono accorto di questa incongruenza cercando in Google l'etimologia dell'antroponimo irochese - che non è stata trovata.  

L'importanza della Guerra dei Sette Anni 

La Guerra dei Sette Anni (1756 - 1763), di cui la Guerra Franco-Indiana è stata la manifestazione principale in Nordamerica, ha coinvolto tutte le principali potenze dell'epoca. Winston Churchill la considerò la vera Prima Guerra Mondiale, dato che aveva anticipato le caratteristiche di quella che nel XX secolo sarà definita "guerra totale". Gli schieramenti comprendevano da un lato il Regno di Gran Bretagna, il Regno di Prussia, l'Elettorato di Hannover, altri Stati minori della Germania Nordoccidentale e il Regno del Portogallo (dal 1762); dall'altro lato, la coalizione composta da Regno di Francia, Monarchia Asburgica, Sacro Romano Impero (in particolare l'Elettorato di Sassonia), Impero Russo, Svezia e Spagna (dal 1762). Non fu combattuta soltanto in Europa: Francesi e Britannici utilizzarono ampiamente come alleati popolazioni native dell'America settentrionale e dell'India.  
 

Le atrocità dell'assedio di Fort William Henry 
 
Ricordo di aver visto un documentario in cui si parlava del fatto storico su cui si basa il romanzo di Fenimore Cooper: l'assedio di Fort William Henry (provincia di New York), avvenuto nel 1757. Quando gli Uroni assaltarono gli Inglesi che stavano lasciando il forte, si abbandonarono a violenze inimmaginabili. Nel loro furore arrivarono al punto di esumare i cadaveri sepolti nel cimitero, scotennandoli e facendone scempio. Ne nacque una terribile epidemia di vaiolo, che portò sterminio tra gli Uroni. Dai resti ritrovati in loco, si è potuto appurare che le condizioni di salute dei coloni britannici erano tremende. Soffrivano di malformazioni della spina dorsale, di ernie vertebrali e di rachitismo, conseguenze di malnutrizione cronica. Mai avere nostalgia per epoche in cui non si è vissuti!  
 
Curiosità
 
Le riprese del film hanno coinvolto ben 900 nativi amerindiani, in gran parte dei casi appartenenti al popolo Cherokee. Wes Studi, che ha interpretato l'eroico Magua, è per l'appunto un Cherokee. In un'occasione ha dichiarato che quando doveva essere girata una scena in cui avveniva una conversazione tra Indiani, ogni attore parlava la propria lingua, senza badare alla sua comprensibilità da parte degli altri. Così Wes Studi parlava in Cherokee, mentre Mike Philips, che interpretava il Sachem degli Uroni, era un Mohawk e non capiva niente. Allo stesso modo, il supposto dialogo nella lingua dei Mohicani tra Chigachgook e Uncas era incoerente: Russel Means parlava in Lakota e non poteva essere capito da Eric Schweig, che parlava invece in una lingua degli Inuit del Canada occidentale. 
 
I dialoghi in francese sembrano di buona qualità. Tuttavia sono riuscito a individuare un grossolano errore commesso da Wes Studi (o più probabilmente dal suo doppiatore): a un certo punto usa la parola poison "veleno" pronunciandola /poi'zɔ̃/ anziché /pwa'zɔ̃/ o il più arcaico /pwɛ'zɔ̃/: praticamente utilizza il dittongo dell'omografa parola inglese. Potrebbero esserci altre inconsistenze di questo genere, che però mi sono sfuggite. Splendida e risonante la frase "Je n'ai pas peur de les Français!", incarna l'essenza stessa dell'eroismo! Sarebbe bello se Micron trovasse simili avversari. 

sabato 20 giugno 2020

 
INVINCIBILE

Titolo originale: Invincible
Titolo in tedesco: Unbesiegbar

Lingua originale: Inglese
Paese di produzione: Regno Unito, Irlanda, Stati Uniti
     d'America, Germania

Anno: 2001
Durata: 133 min
Rapporto: Widescreen
Genere: Drammatico, storico
Regia: Werner Herzog
Soggetto: Werner Herzog
Sceneggiatura: Werner Herzog
Produttore: Gary Bart, Werner Herzog
Distribuzione in italiano: Ripley's Film
Fotografia: Peter Zeitlinger
Montaggio: Joe Bini
Effetti speciali: Mike Kelt, Alan Marques
Musiche: Klaus Badelt, Hans Zimmer
Scenografia: Ulrich Bergfelder, Markus Wollersheim
Costumi: Jany Temime
Trucco: Katharina Gütter, Bruny Ruland
Interpreti e personaggi:
    Tim Roth: Erik Jan Hanussen (nato Hermann Chaim 
          Steinschneider)

    Jouko Ahola: Zishe Breitbart
    Anna Gourari: Marta Farra
    Max Raabe: Presentatore effeminato
    Jacob Wein: Benjamin Breitbart
  
  Renate Krößner: Signora Breitbart
 
  Gary Bart: Yitzak Breitbart

    Gustav-Peter Wöhler: Alfred Landwehr
    Udo Kier: Conte Wolf-Heinrich von Helldorf
    Herbert Golder: Rabbino Edelmann
    Gary Bart: Yitzak Breitbart
    Alexander Duda: Heinrich Himmler
    Klaus Händl (Haindl): Joseph Goebbels
    Joachim Paul Assböck: Squadrista d'assalto
    Hark Bohm: Giudice
    André Hennicke: Investigatore
    Milena Gulbe: Infermiera
    James Mitchell: Dottore
    Juris Strenga: Insegnante
    Grigorij Kravec: Taglialegna
    Valerijs Iskevic: Giovane uomo
    Silvia Zeitlinger Vas: Signora Holm
    Hans-Jürgen Schmiebusch: Signor Peters
    Les Bubb: Rothschild (guitto che interpreta il ladro dei
        proventi della Grande Guerra)
    Tina Bordihn: Hedda Christiansen
    Rudolph Herzog: Mago
    Adrianne Richards: Ragazza del coro
    Amanda Lawford: Ragazza del coro 
    Beatrix Reiterer: Ragazza del coro
    Francesca Marino: Ragazza del coro
    Karin Kern: Ragazza del coro 
    Kristy Wone: Ragazza del coro
    Natalie Holtom: Ragazza del coro
    Sabine Schreitmiller: Ragazza del coro
    Ieva Alexandrova-Eklone: Dalila
    James Reeves: Colosso di Rodi
    Klaus Stiglmeier: Direttore del circo
    Jurgis Krasons (Karsons): Rowdy
    Rebecca Wein: Rebecca
    Raphael Wein: Raphael
    Daniel Wein: Daniel
    Chana Wein: Chana
    Guntis Pilsums: Taverniere
    Torsten Hammann: Capobanda
    Ben-Shion Hershberg: Gershon
 
Trama: 
Zishe Breitbart è un giovane e robusto fabbro che vive con la famiglia in uno shtetl della Polonia orientale, nella profonda terra ashkenazita. Il ragazzo lavora con suo padre, un uomo molto pio e osservante, un charedì. A un certo punto giunge nello shtetl un impresario teatrale tedesco, cinico e grassoccio, con i capelli radi e rossicci, che nota le grandi doti di Zishe e gli propone quindi di seguirlo per lavorare con lui a Berlino. Data la struttura della famiglia ashkenazita, molto oppressiva e soffocante, il padre del ragazzo non vorrebbe farlo partire. Tuttavia è anche vero che l'impresario mette l'anziano in una posizione insostenibile. Il patriarca non può ammettere di comandare a bacchetta il suo figlio maschio, così è costretto a lasciargli la libertà di scelta, anche perché l'impresario è uno che maneggia i soldi e promette una grande fama. Riflettendo sulla propria vita, alla fine Zishe decide di seguire l'uomo giunto dalla Germania. Il suo ragionamento è semplice e cristallino: "Dio mi ha dato molta più forza di quanta ne serve a un fabbro". Così il giovane vigoroso prepara i bagagli e parte. Viaggia verso Berlino a piedi, macinando miglia senza prendere un mezzo, se si eccettua un passaggio su un carro. Un'impresa assai degna di nota. Alla fine riesce ad arrivare dal suo nuovo datore di lavoro, l'eccentrico Erik Jan Hanussen, che ha fama di medium e di chiaroveggente: il locale di cabaret da lui gestito, denominato "Palazzo dell'Occulto" (Palast des Okkulten), è molto frequentato dagli squadristi d'assalto e dalla dirigenza del Partito Nazionalsocialista. È proprio in questo contesto che Zishe viene per la prima volta a conoscenza dell'esistenza di un violento antisemitismo in Germania. Hanussen, che è un personaggio molto ambiguo e sinistro, per convenienza sostiene Adolf Hitler, da cui sogna di essere nominato Ministro dell'Occulto. Dà al giovane ashkenazita vesti sceniche e un elmo cornuto, in modo tale che sembri un antico teutone. Quindi lo presenta col nome di Siegfried, facendolo esibire in numeri di forza particolarmente apprezzati dalle Camicie Brune - che ignorano quali siano le sue vere origini. Lo acclamano e lo identificano con il concetto di superiorità razziale ariana. Tra uno spettacolo e l'altro, Zishe si innamora della bella pianista, Marta Farra, che ha un'umiliante relazione con Hanussen. Un giorno, all'improvviso, non reggendo più l'impostura, sentendo in sé fierezza in seguito a una visita della madre e del fratellino, il ragazzo rivela in pubblico di essere ebreo, di essere un Sansone e non un Sigfrido. Alle SA la cosa non fa certo piacere (intonano all'istante Deutschland erwache!), ma Hanussen non si scompone affatto: da quella sera si moltiplicano gli spettatori della Comunità Ebraica, che vedono in Zishe un eroe. I guadagni così sono moltiplicati. Non potendo comunque permettersi di perdere i clienti con l'Armband, il mago decide di screditare Zishe tramite un grottesco numero in cui tramite il mesmerismo pretende di dare a Marta Farra una forza immensa, ma la macchinazione non ha l'effetto sperato. Il forzuto ragazzo denuncia Hanussen per truffa e la cosa finisce in tribunale. Durante il processo, si scopre che il cognome del medium è tipicamente ebraico: Steinschneider. Per lui è l'inizio della catastrofe. Gli squadristi lo prelevano e lo fanno sparire. Il corpo maciullato viene trovato di lì a poco e proprio Zishe è chiamato dalla polizia ad effettuare il riconoscimento - cosa che avviene. Non avendo altro da fare in Germania, il nerboruto giovane decide di tornare in Polonia, nel suo borgo natio. Si convince di avere una missione. Ha ricevuto da Hanussen i suoi poteri di chiaroveggenza: vede la tremenda persecuzione che si scatenerà a breve e si convince di essere stato scelto da Dio per difendere il suo popolo, come un novello Sansone. Mentre cerca di convincere i suoi compaesani, molto scettici, si ferisce a una coscia con un chiodo ed è colpito dalla setticemia. Morirà tra atroci tormenti, in un ospedale israelitico, dopo ben unidici vane operazioni. Il suo trapasso avverrà proprio due giorni prima dell'ascesa di Hitler al potere, il 28 gennaio 1933.

Alcune scene memorabili: 
1) Herr Hanussen palpa avidamente le natiche della sua infelice amante, Fräulein Farra, esclamando alla faccia dell'allibito Zishe: "Guarda, ragazzo mio, il sedere più rotondo di tutta la terra di Dio! Ed è mio! Tutto mio!"  
2) Gli incubi di Zishe, in cui innumerevoli e voraci granchi rossi invadono la terra, salendo dal mare. Non ci sono dubbi: sono portenti sinistri e spaventosi, che annunciano l'annientamento degli Israeliti europei.  
 

Recensione: 
Un capolavoro immenso e toccante, che non mi stancherei mai di rivedere. Al centro della narrazione c'è un uomo solo e disadattato che lotta contro l'insensatezza di un mondo a lui estraneo. Giunge fino all'estremo limite, con fatica e strazio, ma ecco che a quel punto interviene l'Angelo della Morte, distruggendo le sue speranze illusorie. Come in altre occasioni, Herzog mescola inestricabilmente la storia all'invenzione. Ci sono dettagli della vita dei personaggi che sono stati molto cambiati rispetto alla realtà, cosa che ha attirato numerose critiche al regista. Potremmo parlare di contrapposizione tra vero poetico e vero storico. Altri, poco clementi, parlano di falsificazione storica - accusa che mi pare davvero ingenerosa. All'eroico Zishe Breitbart sono stati attribuiti ben 7 anni di vita in più (morì il 12 ottobre 1925 e non il 28 gennaio 1933, come riportato dalla scritta che compare alla fine del film). Non penso che si tratti di una svista da parte del regista, come pure è stato ipotizzato. Con ogni probabilità è una licenza poetica intenzionale. Quando si guarda il film, è consigliabile prenderlo per quello che è, per il significato che ha, sospendendo la critica. La ricostruzione dello shtetl e della sua gente è talmente realistica che sembra di aver viaggiato con una macchina del tempo. L'attore che ha interpretato Zishe Breitbart, il finlandese Jouko Ahola, è realmente un forzuto che ha compiuto i sollevamenti e gli altri numeri visti nella pellicola herzoghiana. Direi che nel ruolo è eccellente, anche considerando che non è un attore professionista. Ottima e molto efficace è l'interpretazione di Tim Roth nel ruolo dell'inquietante Erik Jan Hanussen: certamente l'attore si è calato nel personaggio, tanto da trasmettere allo spettatore l'impressione di avere davanti l'emissario di un universo di tenebra assoluta, densissima, annichilente. 
 
 
Il vero Zishe Breitbart

Siegmund "Zishe" Breitbart (1883 - 1925) nacque a Łódź, in Polonia, da una famiglia ebraica che da generazioni tramandava di padre in figlio la professione del fabbro. I suoi genitori scoprirono presto che possedeva una forza a dir poco straordinaria: quando aveva solo tre anni riuscì a sollevare con facilità una grossa sbarra di ferro che gli era caduta addosso. A quattro anni iniziò a lavorare alla forgia. Durante la Grande Guerra fu reclutato dall'esercito russo e fu preso prigioniero dai tedeschi. Finito il conflitto rimase in Germania, dove visse esibendosi in mercati e fiere con numeri straordinari in cui piegava sbarre di ferro, tranciava catene coi denti, spezzava ferri di cavallo con le mani, sorreggeva enormi pesi che gli gravavano sul torace. Fu soprannominato Eisenkönig, ossia "Re di Ferro". Non sembravano esserci limiti alla sua forza erculea: arrivò a trainare servendosi solo dei denti un grande carro con sopra 40 persone. La morte lo colse prematuramente a 42 anni. Mentre si trovava a Berlino, si stava esibendo in un suo numero classico: piantava chiodi a mani nude in una spessa tavola di legno. Uno di questi chiodi, trapassato il legno, gli perforò una coscia, proprio come si vede nel film di Herzog - anche se il contesto era diverso. I medici non furono in grado di arrestare l'infezione. Breitbart morì dopo otto giorni di agonia, avendo subìto l'amputazione di entrambe le gambe. In realtà non era ingenuo come il personaggio herzoghiano. Aveva inventato e pubblicizzato un apparecchio per aumentare la forza fisica, il "Breitbart Apparatus", fatto di manubri e piastre di metallo, che vendeva assieme a un corso per corrispondenza. Viaggiò a lungo in Europa e in America con il Circo Busch. Divenne addirittura cittadino americano nel 1923. Non ci sono dubbi sul fatto che per un certo periodo divenne un simbolo della resistenza degli Isreaeliti all'antisemitismo rampante.
 
 
Il vero Erik Jan Hanussen 
 
Erik Jan Hanussen (Vienna, 3 giugno 1889 - Berlino, 25 marzo 1933) si presentava come nobile danese, ma in realtà si chiamava Hermann Chaim Steinschneider. Il primo nome è riportato anche come Herschmann o Herschel. Il secondo nome, Chaim, significa "Vita" ed è comune tra gli Ashkenaziti; a dispetto dell'assonanza, non è connesso con Caino, che ha una diversa etimologia. Suo padre era l'attore ebreo moravo Siegfried Steinschneider, secondo alcuni "girovago e nullatenente", secondo altri "curatore di una sinagoga". Sua madre era la cantante viennese Antonie Julie Kohn, anch'essa ebrea. È riportato che la famiglia Kohn, molto osservante, non accettava la sua relazione con un attore e costrinse la ragazza a partorire segretamente in una cella di un commissariato di Vienna. Per poco il travaglio non si risolse in un aborto: se questo fosse successo, Hanussen non sarebbe mai esistito e Adolf Hitler non sarebbe mai andato al potere. Hermann ebbe un'infanzia molto movimentata e travagliata. Dopo la Grande Guerra iniziò la sua carriera di ipnotista e mentalista a Berlino, che gli permise di raggiungere in breve tempo un'immensa fama. Ebbe grande familiarità con i Nazisti, nonostante le sue origini ebraiche. Herzog ha tratteggiato molto bene il carattere del paragnosta, tuttavia fa credere allo spettatore che Adolf Hitler e i suoi uomini non fossero al corrente della sua ascendenza. In realtà il Führer e i dirigenti della NSDAP sapevano tutto nei minimi dettagli, fin dall'inizio. Hitler volle incontrare Hanussen ugualmente, ne ascoltò con estrema attenzione le profezie che gli predicevano l'ascesa al potere. Non soltanto: apprese da lui le tecniche della mimica e dell'oratoria che gli permisero di accrescere a dismisura la propria popolarità, ottenendo così il trionfo. La morte di Hanussen non è certo stata causata dalla stizza dei Bruni per essere stati ingannati da un astuto israelita. Siamo di fronte a uno dei più grandi misteri del XX secolo. Le ipotesi fatte per portare qualche lume in questo buio sono tutte abbastanza insoddisfacenti. L'opinione corrente è che l'omicidio del mago sia stato ordinato dai gerarchi che lo odiavano perché gelosi della predilezione che Hitler gli aveva accordato. Tuttavia è molto difficile credere che qualcuno nel Partito potesse prendere la decisione autonoma di far sopprimere una persona gradita al Führer.  

 
Gli insondabili enigmi di Hanussen 

Descritto come illusionista e ciarlatano, in realtà Hanussen ha dato prova di possedere capacità inspiegabili. Anche se ha fatto ampio uso di capacità mentalistiche e di trucchi, restano pur sempre dati di fatto che non si riescono facilmente ad analizzare. Ha risolto numerosi casi di furti e omicidi, considerati estremamente difficili dalla polizia tesesca, austriaca e ceca. Ha predetto la morte di numerose persone e le sue previsioni si sono puntualmente verificate, sia nel tempo che nei modi. Non soltanto ha previsto l'instaurazione del III Reich: ha previsto anche la fine del regime tra bombardamenti e fiamme, dopo un periodo di 12 anni. Ha previsto la morte di Stalin nel 1953, sbagliando solo di pochi mesi. Ha previsto la propria morte in tempi non sospetti. Herzog dipinge i dirigenti della NSDAP come incapaci di trattenere un piano segreto, pronti a rivelare ogni cosa alle attrici e alle prostitute. Vediamo Himmler, in stato di ebbrezza, farfugliare del progetto di incendiare il Reichstag. In realtà il mago aveva predetto ripetutamente l'incendio del Reichstag pochi giorni prima che accadesse realmente. Questa profezia accadde la sera del 24 febbraio 1933 e ancora il 26 febbraio. Il Palazzo andò in fiamme il giorno 27. Diversi storici tedeschi hanno anche suggerito che Hanussen fosse proprio l'ideatore di tale piano (Gordon, 2004). La cosa non mi sorprenderebbe affatto. Il punto è che l'accaduto andava troppo oltre. Era di assoluta importanza per il Partito mettere a tacere ogni sospetto. Il medium si rese irreperibile, cambiando di continuo identità e residenza, ma fu raggiunto dalle SA, portato alla sede della Gestapo, torturato atrocemente e ucciso con tre colpi di pistola sparati a bruciapelo nel cranio. Nel giro di poco tempo, ogni traccia dello scomodo rapporto con Hanussen fu rimossa - il che non ha impedito che le evidenze siano giunte fino a noi, come un cadavere emerso dalle sabbie mobili. 

 
Heinrich Himmler e le sue bizzarrie  

Hanussen era famoso per i suoi festini, a cui erano regolarmente invitati gli esponenti della NSDAP. Nel film di Herzog assistiamo a un'orgia sfrenata, in cui Heinrich Himmler, riconoscibile all'istante dalla sua peculiare fisionomia nipponica, si prostra in adorazione dei sensuali piedi di un'attrice, versando champagne in una scarpetta e bevendo avidamente, con voluttà infinita. Non ci sono dubbi, egli è un personaggio universalmente esecrato in quanto criminale genocidario. Resta però il fatto che ha avuto una morte fulminea e senza pena, degna di grande invidia. Soprattutto invidio una morte così perché sono costretto a vivere in una nazione che rende quasi impossibile la rapida e indolore liberazione dal carcere corporale, in nome della tirannia di un abominevole culto neolitico della "sacralità della vita". Vorrei poter disporre della fatidica capsula, in caso di bisogno, con buona pace delle convulsionarie che chiamano "opportunità" l'orrore dell'Esistenza. Detto questo, ci sono molte cose che mi incuriosiscono nella figura del Reichsführer delle Schutzstaffel. Come si possono spiegare la sue caratteristiche fisiche? Avrebbe potuto benissimo essere un giapponese. Aveva la plica mongolica. All'inizio pensavo ad atavismi risalenti agli Unni, ma la cosa non mi convinceva del tutto: come poteva essersi conservato per tanto tempo un fenotipo così marcato? A un certo punto sono giunto a ipotizzare che il suo vero padre fosse un diplomatico del Sol Levante, ma ho dovuto desistere di fronte a un fatto inoppugnabile. Quando ho visto una foto del padre di Heinrich Himmler, Joseph Gebhard, mi sono reso conto all'istante che gli somigliava quasi come se ne fosse stato un clone! Resto a brancolare nel buio, senza spiegazioni attendibili.  
 

La natura del Tempo -
Conversazione tra Hanussen e Himmler 
 
Riporto in questa sede un dialogo che reputo di estremo interesse. 
 
Himmler: "Posso farvi una domanda da parte del nostro Führer, signore?"
Hanussen: "Ne sono onorato."
Himmler: "Il Führer, che apprezza le vostre predizioni per il futuro, e che riguardo alla vostra previsione storica è totalmente d'accordo con voi, signor Hanussen, l'altro giorno ha chiesto in un ristretto circolo come la chiaroveggenza possa essere in accordo con il principio di causa e di effetto, che è una legge della Natura." 
Hanussen: "Alla Natura non importa cosa pensiamo di essa, né delle leggi che le attribuiamo. Nella realtà non esiste veramente la chiaroveggenza, perché per me non c'è il futuro."
Himmler: "Cosa intendete?"
Hanussen: "Non esiste il futuro. Solo uno stato di cose e di eventi. Non si può immaginare il Cosmo come qualcosa che è stato o che sta per essere. Gli eventi sono punti fermi. Solo l'uomo corre in avanti. Immaginate il tempo come un dado e le sezioni del tempo come le facce del dado. L'essere umano comune vede solo una faccia, la faccia che ha di fronte, e che è il presente. Il chiaroveggente invece, nello stato di trance, percorre tutte le facce del dado e lo vede anche da dietro, e quella è la faccia del futuro, che con il tempo diventerà il presente. Signor Himmler, per favore dite al Führer che io ho visto il suo avvento, e che gli do il benvenuto come il redentore del popolo tedesco."
 
Hitler e Himmler sono legati alla concezione newtoniana del tempo come dimensione indipendente o contenitore delle cose e degli eventi. Quella che Hanussen illustra è invece un'ontologia temporale B-eternista, non tensionale, che non riconosce alcuna intrinseca differenza tra passato, presente e futuro. In essa la sensazione di scorrimento è illusoria e la natura del tempo è indistinguibile da quella dello spazio: gli eventi sono soltanto punti immobili in una specie di Iperuranio. 
 

La sfida tra Hanussen e Breitbart 

Un pronipote di Zishe Breitbart, Gary Bart (produttore del film assieme a Herzog), ha rilasciato un'intervista in inglese d'America spiegando come sono andate realmente le cose. Nel lontano 1924 Hanussen volle sfidare Breitbart per umiliarlo. Il suo piano era a dir poco contorto: il celebre illusionista sosteneva di essere in grado di servirsi del mesmerismo per trasmettere una forza immensa alla sua collaboratrice Martha Kohn, nota come Marta Farra (ne aveva altre due che usavano quello pseudonimo). La sfida si svolse in un ristorante. Accadde però che un ingegnere presente tra il pubblico riuscì a smascherare un sofisticato trucco, una specie di pistone idraulico nascosto, dimostrando così che Hanussen stava barando. Ne nacque una causa legale. Herzog ha preso spunto da questo episodio, ma presentandolo in un contesto del tutto diverso. La Farra ipnotizzata, a detta del paragnosta, aveva ricevuto una forza tale da permetterle di sollevare un elefante (in realtà non era debole e passiva come nel film: aveva comunque una certa forza fisica). In particolare, nel 1924 è sommamente improbabile la presenza di SA e di dirigenti del Partito Nazionalsocialista: ricordiamoci che nell'inverno del 1923 si è svolto il fallimentare Putsch della Birreria e che Hitler ai tempi della sfida tra Hanussen e Breitbart si trovava in carcere a scrivere il Mein Kampf
 
Per maggiori dettagli rimando al sito dello Yiddish Book Center
 


I 36 Giusti Sconosciuti 
 
Il Rabbino Edelmann descrive a Zishe Breitbart una singolare dottrina. Riporto in questa sede il dialogo: 
 
Zishe Breitbart: "All'improvviso mi ha colpito come una grande luce, e tutto mi si è chiarito. È stato come... come se Dio Onnipotente mi parlasse."
Rabbino Edelmann: "Hai trovato la tua fede, hai trovato Dio. Mi è stato chiaro dal primo giorno in cui ti ho conosciuto, che Lui ti aveva trovato tanto tenpo fa."
Zishe Breitbart: "E come posso diro, il mio Fato, il mio Destino, finalmente mi è stato rivelato."
Rabbino Edelmann: "E qual è, amico mio?"
Zishe Breitbart: "Vedo arrivare qualcosa di terribile. Così terribile che non trovo parole per descriverlo. Un pericolo, un terribile pericolo per noi Ebrei."
Rabbino Edelmann: "Come posso capire quello che stai dicendo?" 
Zishe Breitbart: "Non lo capisco neanch'io. È come... è come se io adesso fossi diventato Hanussen, il chiaroveggente. Voglio dire, vedo tutto qui davanti a me."
Rabbino Edelmann: "Che vuoi dire? Che intenzioni hai?"  
Zishe Breitbart: "Ho una missione, sono stato chiamato. Devo essere il nuovo Sansone per il mio popolo."
Rabbino Edelmann: "Sai, Zishe, parlo come se fossi uno dei Giusti Sconosciuti."
Zishe Breitbart: "Come sarebbe? Chi sono?"
Rabbino Edelmann: "Ecco, vedi, Zishe, In ogni generazione nascono fra gli Ebrei 36 uomini che Dio ha scelto per portare il fardello della sofferenza del mondo, e ai quali ha concesso il privilegio del Martirio. Il mondo si appoggia su 36 comuni mortali, totalmente indistinguibili da noi. Spesso non si riconoscono neppure fra loro. I più commiserevoli sono gli uomini giusti che rimangono ignoti anche a se stessi. Quando un giusto sconosciuto sale in cielo, è così congelato che Dio deve riscaldarlo per mille anni fra le sue dita, prima che la sua anima si possa aprire al Paradiso. Ed è noto che alcuni rimangono per sempre inconsolabili alle pene degli uomini, tanto che neanche Dio stesso riesce a scaldarli. E quindi, di tanto in tanto, il Creatore, benedetto sia il Suo Nome, mette l'orologio del Giudizio Universale avanti di un minuto."
 
Proprio quando Zishe Breitbart crede di aver trovato il senso profondo dell'Esistenza, viene abbattuto. Le parole con cui cerca di descrivere il futuro agli abitanti dello shtetl richiamano quelle del Colonnello Kurtz. "Ascoltate! Ascoltatemi! Io lo vedo! Lo vedo!", avverte. "Che cosa?", chiede un giovane irridente. "L'Orrore... L'Orrore...", risponde Zishe. Gli astanti se ne vanno infastiditi, considerandolo un pazzo. Quando gli viene chiesto di dare una prova di quello che dice, accade l'irreparabile. Proprio quando egli in qualche modo chiama Dio a testimone della sua missione, si produce un evento infausto. Inizia a piantare alcuni chiodi in una tavola di legno, servendosi delle nude mani come se fossero martelli. A un certo punto pianta un chiodo con troppa forza. La punta acuminata e arrugginita trapassa la tavola di legno e si conficca in coscia. Uno dei presenti propone di usare della vodka per disinfettare la ferita, ma Zishe prende la cosa alla leggera, dicendo che è meglio bere il distillato anziché sprecarlo. Ormai è troppo tardi. L'Assurdo ha fatto irruzione nella sua vita, annientandola. Ma forse il Rabbino Edelmann direbbe che al povero Zishe è stato accordato proprio il privilegio del Martirio.  


I granchi rossi dell'Isola di Natale 

Esiste a sud di Giava e Sumatra una piccola isola, conosciuta col nome di Isola di Natale (Christmas Island). Appartiene all'Australia ed è il luogo di origine di una peculiare specie di crostaceo: il granchio rosso (Gecarcoidea natali). Da ottobre a dicembre, durante la stagione umida, avvengono imponenti migrazioni di questi amabili animaletti dalla parte interna e selvosa dell'isola verso le spiagge, che sono il luogo favorito per l'accoppiamento. Le uova, scaricate in mare, si schiudono a contatto con l'acqua. Le larve che non vengono trasformate in sterco dai predatori, si sviluppano fino a diventare simili a minuscoli gamberetti, il cui nome scientifico è megalope. Diventano poi piccoli granchi che emergono dai flutti, simili a creature lovecraftiane. La popolazione è decimata dall'introduzione accidentale di un insetto alloctono, la formica pazza gialla (Anoplolepis gracilipes), chiamata così per i movimenti convulsi ed erratici che compie quando viene disturbata. Questo imenottero si insinua nelle pieghe tra le placche della corazza del granchio rosso, penetrando nelle carni succulente e dilaniandole! So che il crostaceo è una specie protetta. Tuttavia quello che mi sono chiesto è perché i nativi non l'abbiano da lungo tempo estinta facendone colossali fritture e ingurgitando a quattro palmenti la polpa. Ebbene, a questa angosciante interrogativo c'è una risposta deprimente: i granchi rossi non sono commestibili, perché contengono una tossina molto velenosa che resiste alla cottura! Quanta biomassa sprecata!

Curiosità 

Invincibile è stato per Herzog il primo film dotato di trama dopo quasi un decennio di documentari. Spesso nei siti di critica cinematografica si parla di questo evento, etichettandolo come "ritorno alla fiction".
 
Pur essendo stato presentato al Festival del cinema di Venezia il 3 settembre 2001, nelle sale italiane è uscito soltanto il 26 luglio 2008, con ben 7 anni di ritardo. La scarsa considerazione che quest'opera ha ricevuto ha dell'incredibile.  

Udo Kier, l'attore che interpreta il Conte Wolf-Heinrich von Helldorf, è realmente un nobile tedesco. Grande è la somiglianza di Kier con un amico: quando l'ho visto, per un attimo ho quasi pensato che fosse lui - anche se dubito molto che sarebbe contento di un simile ruolo.

Alcune delle scene con i granchi rossi dell'Isola di Natale compaiono anche in un altro film di Herzog, il documentario Echi da un regno oscuro (Echos aus einem düsteren Reich, 1990), incentrato sulla controversa figura di Jean-Bedel Bokassa. 

Le canzoni d'epoca sono cantate realmente da Max Raabe, fondatore e bandleader del gruppo Palast Orchester: nel film interpreta l'antipatico presentatore degli spettacoli del Palazzo dell'Occulto. Ho subito notato il suo strano e ambiguo portamento. 
 
Il tavolo usato da Hanussen per le sedute spiritiche è identico a quello visto nel film Il dottor Mabuse, di Fritz Lang (1922).
 
Citazioni 

"In un paese lontano, non so bene quale, comunque una terra lontana, un principe impazzì e si convinse di essere un gallo. Si nascondeva sotto il tavolo, stava nudo e mangiava solo grano. Il Re suo padre chiamò per guarirlo dottori e stregoni, ma invano. Un giorno arrivò a corte un saggio che nessuno conosceva; si spogliò e andò sotto il tavolo con il principe, dicendo che era anche lui un gallo; e alla fine lo convinse a vestirsi e a sedersi a tavola con gli altri. "Ma non crediate - disse il saggio - che solo perché mangia seduto a tavola con gli altri un gallo smetta di essere tale." Qualunque cosa tu faccia con gli uomini, o per gli uomini, rimani sempre il gallo che eri prima."
(storiella raccontata da Zishe al fratellino, Benjamin)

venerdì 12 giugno 2020

 
COBRA VERDE

Titolo originale: Cobra Verde
Paese di produzione: Germania Ovest
Anno: 1987
Lingua: Tedesco, Ewe   
Durata: 111 min
Genere: Avventura
Regia: Werner Herzog
Soggetto: Bruce Chatwin (dal romanzo Il viceré di Ouidah)
Sceneggiatura: Werner Herzog
Produttore: Lucki Stipetić
Produttore esecutivo: Walter Saxer, Salvatore Basile
Fotografia: Viktor Růžička
Montaggio: Maximiliane Mainka
Musiche: Popol Vuh
Scenografia: Ulrich Bergfelder
Costumi: Gisela Storch
Interpreti e personaggi:
    Klaus Kinski: Francisco Manoel da Silva/Cobra Verde
    King Ampaw: Taparica
    José Lewgoy: Dom Octavio Coutinho
    Salvatore Basile: Capitano Fraternidade
    Peter Berling: Bernabé
    Guillermo Coronel: Euclides, il taverniere nano
    Nana Agyefi Kwame II: Re Bossa Ahadee
    Nana Fedu Abodo: Yovogan
    Kofi Yerenkyi: Bakoko
    Kwesi Fase: Kankpé
    Benito Stefanelli: Capitano Pedro Vicente
    Kofi Bryan: Messaggero del Re Bossa
    Carlos Mayolo: Governatore di Bahia 
    Marcela Ampudia: Bonita
    Maria Elvira Chavez Mejia: Wanderleide
    Luz Marina Rodriguez Molina: Valkyria
    Awudu Adama
    Ho Ziavi' Zigi Cultural Troupe: Coro di ragazze danzanti
Doppiatori italiani:
    Dario Penne: Francisco Manoel da Silva/Cobra Verde
Location:
    Colombia (Villa de Leyva, Valle del Cauca), Brasile, Ghana
Colonna sonora:
   Cobra Verde è il sedicesimo album dei Popol Vuh (1987).
   Contenuto:
   1. Der Tod des Cobra Verde (4:35)
   2. Nachts: Schnee (1:51)
   3. Der Marktplatz (2:30)
   4. Eine andere Welt (5:07)
   5. Grab der Mutter (4:30)
   6. Die singenden Mädchen von Ho, Ziavi" (Zigi Cultural
       Troupe Ho, Ziavi) (6:52)
   7. Sieh nicht überm Meer ist's (1:26)
   8. Hab Mut, bis daß die Nacht mit Ruh' und Stille kommt
      (9:32)
   2006 bonus track
      OM Mani Padme Hum 4" (Piano Version) (5:28)
   Compositore: Florian Fricke (tranne il coro danzante)
 
Trama: 
Una siccità spaventosa colpisce il Sertão, una desolata regione del Brasile, uccidendo il bestiame del fattore Francisco Manoel da Silva. L'uomo biondo e segaligno si trova costretto a lavorare come garimpeiro in una fangosa miniera d'oro, una specie di girone infernale a cielo aperto. Quando il padrone lo priva della paga, Da Silva insorge e lo uccide. Si rifugia quindi nella foresta, dove assume il nome di Cobra Verde (ossia "Serpente Verde") e diventa un temutissimo bandito che semina il terrore nel Sertão. Durante una visita in una città, assiste alla fustigazione di un mandingo. Un compagno dello schiavo legato al palo cerca di fuggire, ma incontra lo sguardo truce e gelido del Cobra Verde, che con la sola forza di volontà lo convince a ritornare al luogo della punizione e a sottoporsi alle frustate. Dom Octávio Coutinho, un proprietario terriero, è testimone dell'accaduto e ne resta profondamente colpito: dice quindi al bandito biondo che gli servono uomini come lui e gli propone di fare il guardiano degli schiavi che lavorano nelle sue piantagioni di canna da zucchero. Cobra Verde accetta l'incarico, pensando bene di nascondere la propria problematica identità di fuorilegge. Per un po' tutto sembra filare liscio. I guai iniziano per via di un fatto oltremodo singolare: l'uomo manifesta una strana reazione alla vista dei corpi femminili, caratterizzata da inturgidimento dei corpi cavernosi e da sommovimento dei dotti seminali, accompagnata da impellente necessità di eiettare lo sperma a contatto con l'oggetto del desiderio. Accade così che Cobra Verde, già noto per essere un infaticabile montatore, particolarmente arrapato dalle donne di colore, si lascia sedurre dalle figlie mulatte di Dom Coutinho, possedendole carnalmente e ingravidandole tutte. "Tanto non ho niente da perdere", dice tra sé e sé prima di iniziare a penetrare quel ben di Dio. Secondo le costumanze barbariche di quel contesto, Dom Coutinho avrebbe potuto far uccidere all'istante il seduttore delle sue figlie - che ormai gli ha rivelato la propria identità banditesca. Invece gli propone un affare lucroso ma pericolosissimo, sperando di provocarne così la morte. Francisco Manoel da Silva Verde è incaricato di recarsi in Africa, nel Regno di Dahomey, allo scopo di riaprire la rotta atlantica del commercio degli schiavi, forzando il blocco navale imposto dagli Inglesi. Gli concedono l'apposita patente di mercante di esseri umani e gli aprono un conto in banca, in cui saranno depositati i proventi del suo lavoro. Arrivato in Dahomey, il Re Bossa Ahadee lo riceve e si lascia da lui convincere a riprendere le forniture di schiavi; gli concede anche di prendere possesso della roccaforte portoghese di Elmina, abbandonata da tempo, facendone la propria residenza. Tra quelle mura il brasiliano trova Tarapica, un robusto Yoruba libero, unico superstite della precedente spedizione. I due diventano subito soci e riescono con successo a restaurare la rotta atlantica, inviando carichi di schiavi in Brasile. La loro fortuna dura poco: il Re Bossa, che è mentalmente instabile, accusa Da Silva di un gran numero di crimini fantomatici, tra cui l'avvelenamento del levriero reale. La condanna è la pena di morte per decapitazione. Accade l'insperato: il nipote del sovrano fa rapire nottetempo Da Silva e Tarapica, pensando di utilizzarli in un complotto. Il suo intento è infatti quello di rovesciare Re Bossa e di salire al trono. L'impresa ha qualcosa di eroico. L'uomo venuto dal Brasile addestra un esercito di donne gerriere, riuscendo col duro impegno nel suo intento di portate a compimento la Rivoluzione. Le cose però non vanno come si attendeva. Non appena il tiranno è stato abbattuto, il nuovo Re abbandona chi gli ha permesso di ottenere la vittoria. La vita di Da Silva è sconvolta da una ferale notizia: la schiavitù è stata abolita dal Brasile. Il suo conto in banca è stato confiscato. Non gli rimane più alternativa. Non può ritornare nella sua terra d'origine, dove lo aspetta la forca. Ammesso e non concesso che riesca ad arrivarci, visto che l'Inghilterra ha messo una taglia sulla sua testa. I suoi sogni sono annientati: le sue ultime forze le impiega nel vano tentativo di mettere in mare una grossa barca senza remi e senza vela. 
 

Incipit: 

"La madre di Francisco Manoel sospira,
Francisco, sento tanto dolore, ho paura.
La madre di Francisco Manoel sta gridando.  
La siccità è durata per quasi dodici anni,
Son malate le pietre, il mondo sta finendo,
E se soffri t'inganni.
Io ora morirò. Fa' piano, questa panca per tristezza si spezza.
Non muoverti, sta' fermo.
L'alba, la terra, l'acqua stan diventando nere.
Dio perplesso fa finta che sia il suo volere.
Francisco nel suo viaggio legge un verso del cielo,
Non fissare lo sguardo al sabbioso orizzonte, alla spiaggia salata,
Non chiedere ragioni, non indagare il torto: inutili questioni.  
Il Fato ti riserva questo regalo antico,
Ti manderà un'amante, ti manderà un amico."

Recensione: 
Le febbrili vicende narrate dalla pellicola hanno come epilogo l'annichilimento del protagonista, che in ogni istante della sua esistenza terrena ha lottato invano contro quell'orrida e plumbea cosa chiamata "realtà". Un uomo deformato dalla poliomielite procede sulla battigia, con andatura quadrupede. La sua figura distorta e sofferente sembra il sigillo geroglifico dell'avventura fallimentare di Cobra Verde, quasi il sardonico e beffardo commento delle spaventose forze che muovono il Destino. Nelle originali intenzioni del regista, Francisco Manoel da Silva sarebbe dovuto morire affogato mentre cercava di far scivolare tra le onde la pesantissima imbarcazione. La morte sarebbe stata per lui la fine dei tormenti della vita, ma non avrebbe aggiunto nulla alla narrazione. Egli appartiene a quella specie di uomini che non si sentono a loro agio da nessuna parte. 
 
"Come descrivere questa mia stupida esistenza? Come dire quanto sia triste e solitaria, senza famiglia, senza amici? Il solo uomo bianco in questo paese, forse nell'intero continente. Intanto sono diventato padre di 62 bambini, ma questo non mi procura alcuna soddisfazione. Può darsi che l'anno prossimo io possa tornare, e sposarmi. Vorrei vivere nella terra del ghiaccio e della neve. Ovunque, purché sia lontano da qui. Il caldo è crudele e non dà tregua, ti scorre dentro il corpo come una febbre. Eppure, nonostante ciò, il mio cuore si fa ogni giorno più freddo." 
 
Quando si è in Brasile, l'Africa è una terra utopica. Quando si arriva in Africa, il Brasile è il Giardino dell'Eden.  
 
 
Visioni apocalittiche 
 
Fortissimo è il tema herzoghiano della decadenza cosmica, che pochi sembrano aver notato. Il bandito Cobra Verde giunge in una città, suscitando il terrore della popolazione, Si scatena un fuggi fuggi generale, tutti corrono a nascondersi, urlando in preda alla disperazione. Un bambino cerca di trasportare un barile facendolo rotolare, poi vi rinuncia. Nella piazza, piena di sporcizia, una scrofa brunastra grufola oscenamente mentre viene montata con fatica da un magro verro grigio chiazzato di bianco. La prima volta che ho visto il film ho avuto una distorsione percettiva: ai miei occhi quel verro è sembrato un cane! Solo guardando con attenzione ho potuto capire che quello non era un atto di bestialità tra specie diverse. C'è un altro dettaglio degno di nota, non facile a stamparsi nella memoria perché l'azione accade in pochi secondi: è in corso un funerale e qualcuno ordina a gran voce di riportare la bara indietro nella chiesa. Il prete, colto dal marasma e oppresso dai paramenti sgargianti, si affretta a salire le scale da cui era appena sceso, inseguendo il feretro. I partecipanti lo imitano prontamente, accalcandosi e incespicando, come se si fossero defecati nelle brache!  

La Venere Nera 

Spicca una scena surreale di altissimo valore simbolico. Cobra Verde raggiunge una regione selvosa in cui sorge lo scheletro di una grande chiesa in rovina. A un certo punto passa un convoglio di schiavi e di asini, con molti bagagli. In due reggono una portantina velata di bianco. Il bandito spara e mette tutti in fuga. Poi urla: "Il danaro o la vita!" Dalla portantina esce una Venere Nera, coperta di un lungo velo bianco. La donna prosperosa risponde con voce sensuale: "La vita!" Avanza con movenze languide, mimando una danza erotica, quindi si getta tra le braccia dell'uomo. I due si conoscono e sono amanti. L'uomo percorre molte miglia a piedi ogni giorno per potere incontrare la Venere Nera. È scalzo e afferma di non potersi fidare delle scarpe. Non si fida nemmeno di un cavallo, proprio come non si fida della gente. "La sola cosa che voglio è andare via di qui verso un altro mondo", aggiunge. Non ha la benché minima idea delle delusioni che lo attendono.   

 
La poesia del Taverniere Nano 

In questo film trova spazio una delle più bizzarre ossessioni di Herzog: la tematica nanesca! Già il bambino che spinge il barile desta qualche sospetto, in quanto non ci si riesce a togliere dalla mente l'idea che sia in realtà un nano. Poi, quando Cobra Verde entra nella locanda, vediamo che il suo gerente è un autentico nano. Per la precisione, è affetto da nanismo ipofisario (infatti è abbastanza ben proporzionato nelle membra). Il taverniere si presenta: il suo nome completo è Euclides Alves da Silva Pernambucano Wandereley. Il bandito nota subito il cognome Da Silva. Non è improbabile che i due siano lontani parenti. Euclides ha un'innata vena poetica e lo dimostra subito: "Soltanto la mia schiena e il mio torace sono deformi. La notte sogno di trasportare un'intera catena di montagne sulle mie spalle." Cobra Verde ne è subito ammirato. "Hai più fegato tu di tutta questa città", commenta. Euclides gli porta da mangiare, con ogni probabilità riso e fagioli. Il fuorilegge resta fino a notte fonda a farsi una bella bevuta di acquavite di canna, e nel frattempo ascolta con grande interesse. Riporto il dialogo:      

Cobra Verde: "Come fai a sapere tante cose?"
Euclides: "Le so dal nostro prete, e lui le ha imparate dal nostro vescovo." 
Cobra Verde: "E da dove viene la neve?" 
Euclides: "Aah! Puoi vederla tu stesso, viene giù dalla luna. C'è tanta neve sulla luna. È per questo che la vedi così bianca. Bianca e fredda. Se guardi con attenzione la vedi." 
Cobra Verde: "Come succede?" 
Euclides: "Beh, ecco, la luna tira su l'acqua che le serve dall'oceano e poi, quando arriva la notte, le cime delle montagne attraggono i fiocchi di neve. Dentro la neve c'è del sale, ma solo tanto quanto ce n'è nelle nostre lacrime." 
Cobra Verde: "E dove si trova?"
Euclides: "Oh, molto, molto lontano. Devi andare verso ovest. Ci vogliono quattro anni a dorso di cavallo e dieci a piedi. E alla fine del viaggio troverai delle grandi, grandi montagne, che si innalzano sempre più alte, fino a raggiungere le nuvole, e quando avrai raggiunto le nuvole, allora là troverai la neve. La neve cade solo durante la notte, e viene giù leggera come le piume, ed è la luna a mandarcela e ce la manda giù attraverso le nuvole. E quando arriva, è come se l'intero mondo diventasse leggero, come il cotone. Soffice e leggero. E allora anche i leoni diventano bianchi, e anche le aquile reali. Tutto si avvolge in un candido mantello e non capisci più dov'è l'inizio e dov'è la fine. E quando cammini in mezzo alla neve, i tuoi piedi non pesano assolutamente niente. E i fiocchi ti girano intorno, ti accarezzano, ti sfiorano leggeri, come piume di uccelli."
Euclides (dopo una pausa): "Fra un anno o due venderò questa locanda, andrò ad ovest e mi arrampicherò in cima a quella montagne!"  
Cobra Verde: "Io andrò verso il mare. Il Sertão inaridisce i cuori e uccide il bestiame." 
Euclides: "Quando arrivi al mare fai molta attenzione. Perché è da lì che nascono gli uragani, e anche i fiocchi di neve. Almeno così ti ci eleveranno padre!" 
Cobra Verde (stringendo la mano ad Euclides): "Non ho mai avuto un amico in tutta la mia vita. Addio amico!"  

Tutto questo è puro genio! È struggente! Una visione utopica della neve e del gelo.   
 
Zucchero insanguinato  
 
La lavorazione della canna da zucchero è lunga e complessa. Richiede grande cura ed esperienza, oltre alla dura fatica. Dom Coutinho ne illustra per sommi capi le varie fasi. A un certo punto Cobra Verde è testimone di un fatto orribile. Uno schiavo mandingo rimane con un braccio intrappolato in un ingranaggio. Un suo compagno è costretto a recidere l'arto servendosi di un machete. Il fatto è ritenuto pura e semplice quotidianità. È ritenuto normale. Quindi irrilevante. Eppure all'improvviso siamo messi di fronte a una tremenda verità: in questo mondo tutto è insanguinato, persino lo zucchero!  

 
Il concetto di razza in Brasile 

Nel Profondo Sud degli States, nella Confederazione, bastava una goccia di sangue africano per fare di una persona un "negro". Anche se il suo aspetto era in tutto e per tutto quello di un bianco. Ricordo vagamente un film in cui una divina attrice, credo che fosse Ava Gardner, si trovava ad essere considerata una "negra" perché nelle sue vene scorreva un ottavo o un sedicesimo di sangue nero. In Brasile è in vigore un concetto completamente diverso, fondato sul fenotipo anziché sull'interezza del corredo genetico. In altre parole, una persona è classificata come preto "nero", pardo "mulatto" (alla lettera "marrone, bruno") o branco "bianco", non tanto per via dei suoi ascendenti, bensì del suo mero aspetto fisico, della sua apparenza. Quindi una persona con un ottavo o con un sedicesimo di sangue nero è considerata bianca a tutti gli effetti. Le interazioni tra queste parti della popolazione seguono dinamiche complesse e difficilmente comprensibili. Solo per fare un esempio, di solito gli uomini pardos cercano di sposare una moglie bianca o comunque dalla pelle più chiara della propria. Il personaggio di Manoel Francisco da Silva ci mostra uno schema di comportamento molto diverso: egli è un uomo dai caratteri somatici nordici, che potrebbe essere un discendente dei Goti, ed ama possedere carnalmente un gran numero di donne nere o mulatte - tanto che ci si potrebbe anche chiedere se in vita sua abbia mai conosciuto una bianca. In Brasile è una pratica comune e radicata viaggiare in lungo e in largo, intrattenere relazioni occasionali con donne sconosciute e ingravidarle, senza che la cosa comporti biasimo sociale. Le realtà di quella terra sono incredibili e varie. Pochi sanno che la Confederazione continua a vivere nel comune di Americana (Stato di San Paolo), dove la Bandiera Ribelle è tuttora molto venerata dai discendenti degli esuli giunti dopo la fine della Guerra di Secessione. Ebbene, non di rado si vedono persone di colore portare con orgoglio il vessillo dei Confederati! 

Anacronismi e altre incongruenze 

La vicenda di Cobra Verde inizia verso il 1880 e si conclude esattamente nel 1888, anno in cui avvenne la definitiva abolizione della schiavitù nell'Impero del Brasile. Il Re del Dahomey, Bossa Ahadee, è vissuto in realtà un secolo prima degli eventi narrati nel film: noto anche come Tagbesu (Tagbessou), regnò dal 1740 al 1774. Negli anni in cui è ambientata la pellicola regnava invece Glele (Glèlè), detto anche Badohou, che morì nel dicembre del 1889.   
 
Sono stato colpito dall'insegna della taverna il cui gerente è il nano Euclides: riporta la scritta "BAR RESTAURANTE". Una scritta che suona molto moderna. Sappiamo che la parola "bar" nella sua attuale accezione era già in uso nel mondo anglosassone, eppure mi sembra strano che fosse già stata importata in Brasile sul finire del XIX secolo. Probabilmente è un insidioso anacronismo di cui Herzog non si è accorto. Può anche darsi che io mi sbagli, sarebbero necessarie ricerche approfondite che esulano dallo scopo di una recensione e che richiederanno una trattazione in altra sede.
 
Nel paese africano notiamo la presenza di abbondanti fichi d'India (nome scientifico: Opuntia ficus indica), cosa un tantino singolare. Non ho approfondite conoscenze di botanica storica che mi permettano di dire se tale specie è attecchita in Africa. Sappiamo che è ben acclimatata in Sicilia, così potrebbe anche darsi che fosse presente nel Dahomey sul finire del XIX secolo. Quando ho appreso che il film è stato in parte girato in Colombia, lì per lì ho pensato che l'incongruenza potesse avere questa origine. Sembra tuttavia che le scene ambientate in Africa non siano state girate in Sudamerica, bensì in Ghana, così il problema persiste. 

Ricorre un errore geografico abbastanza marchiano. Mentre il Regno di Dahomey si trovava in quello che oggi è chiamato Benin, il forte portoghese di Elmina sorge nel territorio del Ghana, a oltre 500 chilometri dalla capitale del Re Bossa. Per raggiungerlo è necessario andare dal Dahomey verso occidente, cosa che Francisco Manoel da Silva non avrebbe potuto fare con una semplice passeggiata. 
 
Il fratacchione paraninfo 

La religione del Dahomey era il culto Voodoo (Vodun). Un pingue missionario si trova a corte da tempo, ma i suoi tentativi di ottenere conversioni alla Chiesa Romana si sono sempre dimostrati pressoché inutili. L'ecclesiastico, vagamente somigliante a un Bud Spencer semicalvo, invecchiato ed incattivito, vestito con un saio bianco, ha approfittato dell'ospitalità del Re Bossa per spargere il proprio seme in un gran numero di ventri femminili fecondi, generando così tanti figli da rendere difficile la conta. In particolare le figlie le fa prostituire senza scrupolo alcuno: in poche parole è un pappone della peggior specie. Nessuno mette in dubbio il suo fervore religioso, che però non impedisce interpretazioni a dir poco bizzarre delle dottrine eucaristiche cattoliche: quando sta distribuendo la comunione ai suoi pochi parrocchiani, non esita a dare l'ostia in bocca a una capra maculata!  
 
 
Il viceré di Ouidah  
 
Bruce Chatwin scrisse un lungo e complesso romanzo, intitolato Il viceré di Ouidah (prima edizione: 1980), pubblicato in Italia da Adelphi (1983). Werner Herzog ha comperato dallo scrittore i diritti cinematografici sull'opera, in modo tale da poterne trarre ispirazione per il suo film. La trama del romanzo in questione è per necessità molto più elaborata di quella di Cobra Verde: moltissimi dettagli e sviluppi narrativi non sono stati trasposti in pellicola. L'opera di Chatwin all'epoca fu considerata "eccessivamente violenta" e "barocca" dai soliti critici radical chic pieni di nauseante buonismo politically correct. L'ispirazione venne allo scrittore nel corso di una sua visita in Benin, in un periodo molto difficile di torbidi politici. La figura di Francisco Manoel da Silva è ispirata a quella di Francisco Félix de Sousa (scritto anche Souza), un negriero vissuto agli inizi del XIX secolo. Nato a Bahía nel 1754, morì a Ouidah nel 1849, alla venerabile età di 94 anni. Era riuscito a diventare il Viceré (chacha) del Regno di Dahomey. È stato definito "il più grande mercante di schiavi". Pochi sanno che i suoi discendenti, che portano il suo cognome, sono tuttora tra le famiglie più potenti dell'intera Africa, se non addirittura la più potente. Si trovano in Benin, Ghana, Togo e Nigeria. Una cosa sorprendente salta subito agli occhi: mentre Francisco Félix de Sousa somigliava un po' a Garibaldi ed era biondiccio, i suoi discendenti sono tutti neri. Non è così difficile comprenderne il motivo: il Viceré ebbe un harem di donne native e fu padre di un'ottantina di figli. Fu sepolto in un santuario della religione Vodun, che praticava assiduamente nonostante l'adesione di forma alla Chiesa Romana. 
 
Il Dahomey e le sue responsabilità 
 
Appare subito evidente che l'origine del concetto di regalità nelle culture dell'Africa subsahariana ha avuto origine nell'Egitto dei Faraoni. Il Re del Dahomey era considerato una divinità sulla terra. La sua vita era regolata da strani tabù. Ad esempio gli era vietato guardare il mare. Quando il Re Bossa Ahadee finisce detronizzato, viene murato vivo con le sue mogli nella sua estrema dimora-tomba. Pur votate alla morte, le donne si occupano di praticargli una specie di eutanasia. Pochi sembrano considerare una dato di fatto: i regni africani erano società guerriere che praticavano la schiavitù. Il Dahomey era in perenne guerra con gli Egba e ne traeva un gran numero di schiavi, che poi venivano venduti al Brasile e ad altre nazioni. I regni africani erano i principali fautori del mercato di esseri umani. Migliaia di prigionieri finivano incatenati in orrendi pozzi. In fondo tutto ciò è abbastanza coerente, dato che la schiavitù è stata pratica comunissima dovunque per millenni e nessuno pensava come una persona del XXI secolo. I fanatici attivisti del buonismo politically correct si rifiutano di considerare queste cose, perché il loro intento è quello di riscrivere la Storia secondo i propri desiderata ideologici. Non esiste qualcosa di simile all'uomo nero innocente da contrapporre all'uomo bianco perverso e maligno: Homo sapiens è dominato dalla schizofrenia. Come diceva l'Ispettore Derrick, umano e disumano possono convivere in ognuno di noi.

 
Il coro danzante
 
Ho incontrato non poche difficoltà per identificare la lingua del coro di ragazze danzanti che cantano alla fine del film, mentre scorrono i titoli di coda. Già in una sequenza le si era viste ed erano presentate dal corrotto fratacchione come il suo "coro di monache". Sono partito dal nome del gruppo, Ho Ziavi' Zigi Cultural Troupe, per arrivare al suo luogo di origine, che è Ziavi, nel distretto di Ho, in Ghana. Ho poi trovato nel Web materiale che mi ha permesso di risalire alla lingua delle canzioni. Si tratta della lingua Ewe, appartenente al ceppo Gbe. È parlata in Ghana e in Togo da più di 3 milioni di persone. Allo stesso ceppo appartiene anche la lingua Fon, anche detta Fon-gbe, parlata in Benin, Togo e Nigeria da circa 1,5 milioni di persone. Il Fon era proprio la lingua ufficiale del Regno di Dahomey. 
 
Curiosità 
 
Lo schiavo rimasto con un braccio intrappolato e spappolato in una macchina è stato interpretato da un attore mutilato, che portava una protesi. Girare la scena è stato quindi molto semplice: il braccio finto finito tra gli ingranaggi della pressa ha dato l'impressione di un incidente reale! 
 
Il produttore ha suggerito a Herzog di impiegare attori afroamericani per i ruoli delle persone di colore, ma lui si è rifiutato in modo categorico e ha voluto reclutare professionisti africani locali. Una scelta che approvo appieno.
 
La parte del film ambientata in Africa è stata girata per prima, in quanto è stata ritenuta più complessa e difficile. La parte ambientata in Brasile è stata girata subito dopo. La città in cui Cobra Verde sparge il terrore è ben riconoscibile: è Villa de Leyva, in Colombia. Si riconoscono subito i suoi edifici in stile coloniale. Herzog ha dimostrato la propria maestria riuscendo a rappresentare un'atmosfera di disfacimento che manca nel borgo attuale. 

Nel 1994 nacque a Cleveland (Ohio) il gruppo musicale Cobra Verde, post-punk e hard rock, tuttora attivo. La sua denominazione trae chiaramente origine dal film herzoghiano. Il primo album pubblicato ha un titolo molto suggestivo: Viva la Muerte.
 
 
L'epilogo 
 
Questo è stato il quinto e ultimo film in cui Werner Herzog ha diretto Klaus Kinski, dopo Aguirre furore di Dio (1972), Nosferatu - Il principe della notte (1979), Woyzeck (1979) e Fitzcarraldo (1982). Spesso i recensori insistono nel chiamare Kinski "attore-feticcio" di Herzog. Non so da dove questa bislacca denominazione abbia tratto la sua origine, fatto sta che il rapporto tra i due non è mai stato semplice. Sembra che all'origine della rottura ci sia stato un episodio di aggressione fisica. Il biondo e intemperante attore a quanto pare si lanciò contro il regista tentando di strangolarlo. Una foto molto diffusa nel Web ci mostra lo scatto dell'aggressore, gli occhi pieni di odio e il volto stravolto dalla possessione diabolica. Non ci sono dubbi: Kinski era un uomo con più di un aspetto, per usare un modo di dire comune tra i Vichinghi. In altre parole, egli era un genuino berserk. Guardando la foto, comprendiamo all'istante il significato della locuzione "avere il verme negli occhi", che descriveva i guerrieri invasati. Al culmine del suo dispotismo, il bizzoso attore pretese che Herzog rimuovesse il direttore della fotografia, Thomas Mauch, che aveva collaborato ai suoi film fin dal principio. Mauch fu sostituito, ma lo stesso Kinski non comparve in altri film herzoghiani. In seguito il regista descrisse il suo rapporto con lui nel film documentario Kinski, il mio più caro nemico (1999).