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giovedì 15 settembre 2022

UN RELITTO CELTICO IN ROMANCIO: CARMUN 'DONNOLA'

In romancio esiste la parola carmun "donnola". L'origine è chiaramente celtica. 

Proto-celtico: *karmū*karmon- "donnola; ermellino" 
   Gallico: CARMO (attestato come antroponimo maschile) 
   Celtiberico: CARMO (nome di città, oggi Carmona
 
   Gallese: carlwm "ermellino" 
   Bretone: kaerel "donnola" (*)  

(*) Si noti l'irregolarità fonetica, forse dovuta ad analogia con kaer "forte".

Esiste qualche parallelo in altre lingue indoeuropee: 

1) Proto-germanico: *χarmǣn "donnola; ermellino" 
(ricostruzioni alternative: *xarmēn, *harmǭ, etc.)
  Antico inglese: hearma "ermellino; toporagno; ghiro" 
     (gen./dat./acc. hearman; nom./acc. pl. hearman;
      gen. pl. hearmena
dat. pl. hearmum
  Frisone occidentale: harmel "ermellino" 
  Antico sassone: harmo "ermellino" 
     Medio basso tedesco: harm "ermellino" 
  Antico olandese: *harmo, *hermilo "ermellino" 
    Medio olandese: hermel "ermellino"
    Olandese: herm "ermellino" (obsoleto); hermelijn
        "ermellino" 
  Antico francone: *harmo "ermellino; furetto"; 
        *hermilo, *hermilîn "ermellino" (**)
  Antico alto tedesco: harmo "ermellino; furetto";
        harmiloharmilîn "ermellino"  
     Medio alto tedesco: harme "ermellino"; hermelîn
        "ermellino"  
     Tedesco moderno: Harm "ermellino" (obsoleto);
        Hermelin "ermellino"  

(**) L'antico francese ha ereditato ermine (ermin, hermin, hermine) "ermellino" dalla lingua dei Franchi. La parola francese è poi passata in medio inglese ermyne (armyn, armyne, ermin, ermine, ermyn, hermyn), dando infine l'inglese moderno ermine


2) Proto-baltico: *čarm-ō̃, *čarm-ul-ia- (/ -e-"ermellino"
  Lituano: šarmuõ "ermellino; gatto selvatico", 
       šermuonėlis "ermellino" 
  Lettone: sarmulissermulis "ermellino" 

A partire da queste forme è stato possibile ricostruire un possibile antenato: 

Proto-indoeuropeo: *k'ormōn, *k'ormen- "ermellino" 
  (Starostin ricostruisce *k'er
əm-)

La parola è con ogni probabilità un resto di un più antico sostrato, assorbito nel tardo indoeuropeo occidentale. Allo stato attuale delle conoscenze non si riesce a specificare di più sull'origine ultima della radice e sulle sue dinamiche di diffusione.   

Il caso del topo dell'Armenia 

I romanisti, come ben noto, ritengono un libro chiuso tutto ciò che va oltre le conoscenze di latino del liceo. Così hanno escogitato una grossolana pseudoetimologia. Partendo dalla forma latina medievale (XIII sec.) armeninus "ermellino", chiaramente derivata dall'antico alto tedesco harmilîn con assimilazione, hanno ricostruito un inesistente (mūs) armenīnus "topo d'Armenia", facendolo derivare da armēnus "armeno".  

giovedì 18 agosto 2022


IL POLIZIOTTO È MARCIO 

Titolo originale: Il poliziotto è marcio 
Titolo in inglese: Shoot First, Die Later 
Lingua originale
: Italiano
Paese di produzione: Italia, Francia
Anno: 1974
Durata: 91 min
Rapporto: 1,85:1
Genere: Poliziesco, drammatico, noir 
Sottogenere: Poliziottesco, gangsterologico 
Regia: Fernando Di Leo
Soggetto: Sergio Donati
Sceneggiatura: Fernando Di Leo
Produttore: Galliano Juso, Alberto Marras,
    Ettore Rospoch 
Casa di produzione: Cinemaster, Mount Street Films,
    Mara Film
Distribuzione in italiano: Titanus
Fotografia: Franco Villa
Montaggio: Amedeo Giovini
Effetti speciali: Rémy Julienne (sequenze acrobatiche)
Musiche: Luis Bacalov
Scenografia: Francesco Cuppini
Costumi: Giorgio Gamma
Trucco: Antonio Mura 
Parrucchiera: Vittoria Silvi 
Segretario alla produzione: Gino Soldatelli 
Reparto artistico: Sandro Bellomia, Cristiano Tessari 
Reparto sonoro: Goffredo Salvatori, Massimo Turci 
Assistente alla telecamera: Enrico Biribicchi 
Fotografo: Ermanno Consolazione 
Cameraman: Gaetano Valle 
Continuità: Renata Franceschi 
Interpreti e personaggi: 
    Luc Merenda: Commissario Domenico Malacarne
    Richard Conte: Corrado Mazzari*
    Delia Boccardo: Sandra Rizzo
    Raymond Pellegrin: Pascal Dupont
    Gianni Santuccio: Questore
    Vittorio Caprioli: Serafino Esposito
    Salvo Randone: Maresciallo Antonio Malacarne
    Rosario Borelli: Pietro Garrito
    Monica Monet: La cronista Barbara
    Elio Zamuto: Rio il Portoghese
    Massimo Sarchielli: Rabal il Portoghese   
    Loris Bazzocchi: Sgherro di Pascal
    Sergio Ammirata: Vicecommissario Mario Curcetti
    Gino Milli: Il travestito Gianmaria
    Salvatore Billa: Agente Rizzo   
    Marcello Di Falco: Sgherro di Pascal
    Attilio Duse: Sgherro di Pascal**  
    Marisa Traversi: Contessa Nevio 
    Giampiero Arba: Sgherro di Pascal 
    Mario Garriba 
    Luigi Antonio Guerra: Giovane agente 
    Non accreditati: 
    Bruno Alias: Uomo nella galleria d'arte 
    Calogero Azzaretto: Passante 
    Lucia Baldi: Giornalista 
    Bruno Bertocci: Poliziotto 
    Adriana Bruno: Donna nella galleria d'arte 
    Empedocle Buzzanca: Sgherro nella pista da bowling 
    Dolores Calò: Donna alla stazione di polizia 
    Omero Capanna: Rapinatore in auto 
    Angelo Casadei: Poliziotto 
    Carlo Cattaneo: Uomo nella galleria d'arte 
    Lella Cattaneo: Donna nella galleria d'arte 
    Enrico Cesaretti: Uomo nella galleria d'arte 
    Enrico Chiappafreddo: Sgherro sleale di Pascal 
    Massimo Ciprari: Uomo nella galleria d'arte 
    Luca Damiano: Fotografo di Barbara 
    Domenico Demitri: Poliziotto 
    Ciro Di Mola: Poliziotto alla conferenza
    Gianni Di Segni: Ufficiale al funerale 
    Gilberto Galimberti: Rapinatore col giornale 
    Decio Gambini: Uomo nella galleria d'arte 
    Alfonso Giganti: Ufficiale dei Carabinieri 
    Augusto Innocenzi: Uomo nella galleria d'arte
    Giuseppe Marrocco: Uomo nella galleria d'arte 
    Quinto Marziale: Fotografo nella galleria d'arte 
    Giulio Massimini: Poliziotto alla conferenza 
    Carlo Micolano: Giornalista 
    Attilio Pelegatti: Gioielliere 
    Anna Maria Perego: Donna nella galleria d'arte 
    Virgilio Ponti: Sgherro sleale di Pascal
    Franco Ricci: Poliziotto 
    Mimmo Rizzo: Sgherro di Mazzari 
    Nando Sarlo: Poliziotto 
    Riccardo Satta: Prete 
    Oscar Sciamanna: Giornalista 
    Attilio Severini: Sgherro sleale di Pascal 
    Alvaro Tei: Uomo nella galleria d'arte 
    Sergio Testori: Agente alla stazione di polizia 
    Clemente Ukmar: Sgherro slerale di Pascal 
    Aldo Valletti: Poliziotto alla conferenza 
    Isabella Zanussi: Donna nella galleria d'arte 
    Lidia Zanussi: Donna nella galleria d'arte 
     *Molti riportano Mazzanti. I siti in inglese chiamano
     il personaggio Dr. Nazzari o addirittura Dr. Mazzoni.
     **Secondo Wikipedia in italiano è l'agente Aniello.
Doppiatori originali: 
    Sergio Graziani: Commissario Domenico Malacarne
    Giorgio Piazza: Corrado Mazzari
    Pino Locchi: Pascal
    Arturo Dominici: Maresciallo Antonio Malacarne
    Vittoria Febbi: Cronista Barbara
    Luciano De Ambrosis: Pietro Garrito
    Massimo Turci: Il travestito Gianmaria
    Renato Mori: Sgherro di Pascal 
Titoli in altre lingue: 
    Francese: Salut les pourris 
    Spagnolo: Corrupción policial 
    Portoghese (Brasile): Atire Primeiro, Morre Depois 
    Russo: Продажные полицейские 
    Greco (traslitterato): O ektos nomou ekdikitis 
    Turco: İt sürüsü 

Trama: 
Primi anni '70. Milano incubica. Domenico Malacarne è un commissario di polizia che ha un certo successo nello scoprire piccoli traffici di droga e arrestare criminali di poco conto. Tuttavia ha un suo oscuro segreto: è corrotto, al soldo della gang del boss marsigliese Pascal e del suo perfido consigliori, Mazzari. Viene pagato dai criminali per fornire informazioni utili e per offrire copertura a un traffico di sigarette e caffè di contrabbando. L'ingranaggio funziona alla perfezione, anche se c'è qualche attrito: il Commissario Malacarne, con la complicità dell'agente Pietro Garrito, riesce a mettere da parte ben 60 milioni di lire, ad abitare in un appartamento di lusso e a godere di una bellissima amante, la fulva Sandra. Qualcosa però a un certo punto inizia ad andare storto. Pascal fa pressione per ottenere copertura a un traffico di armi e droga, cosa che desta problemi di coscienza del funzionario corrotto. Come a dire: finché si tratta di sigarette e di caffè, va tutto bene, quando si passa a roba davvero pesante, allora non va bene più. Malacarne si mette in mente di ostacolare i corruttori che gli fanno intascare le mazzette. C'è di più: un napoletano trapiantato a Milano, certo Serafino Esposito, sporge denuncia per una macchina che gli ha bloccato l'ingresso di casa. Ricordando il numero di targa del veicolo e avendolo comunicato nel corso denuncia, l'informazione è verbalizzata e si trova nell'esposto. La macchina apparteneva a un uomo di Pascal. Il boss mafioso pressa il commissario affinché metta le mani sul documento, lo sottragga e glielo consegni. Le cose si complicano in modo insostenibile: il padre di Malacarne è un onesto maresciallo dei Carabinieri, in comando proprio nella caserma in cui il napoletano ha sporto denuncia. Di fronte alle insistenze del figlio, che vorrebbe a tutti i costi portarsi via il verbale, il Maresciallo Malacarne comincia ad insospettirsi. Quando Serafino Esposito viene trovato morto, soffocato da un sacchetto di plastica (persino il suo gatto è stato soppresso nello stesso modo), i sospetti si fanno sempre più incalzanti, fino a culminare in una scenata, in cui il commissario ammette platealmente la propria corruzione. Tutto va in merda. Il Maresciallo Malacarne, ferito nel più profondo dei sentimenti, si decide ad agire: consegna l'esposto problematico al figlio, nonostante disapprovi fortemente la sua corruzione. Subito dopo, mentre si trova in riva a un fontanile, viene aggredito e soffocato da un travestito. È Gianmaria, l'amante passivo di Pascal, femmineo ma letale. Si scatena un vortice di inaudita violenza omicida. Il Commissario Malacarne si vendica, massacrando di botte il sodomita e spezzandogli il collo. Il mafioso marsigliese a sua volta fa brutalizzare e uccidere in modo atroce la bellissima Sandra. Alla fine, il funzionario marcio riesce a ottenere la sua vendetta, sparando un colpo nel cranio a Pascal, ma viene a sua volta abbattuto allo stesso modo dall'agente Garrito, che non vedeva l'ora di prendere il suo posto! 


Recensione: 
Innovativo e anticonvenzionale, questo poliziottesco nichilista è a dir poco eccellente. Uno dei massimi capolavori della Settima Arte in Italia. È il primo film italiano di questo genere a trattare in modo esplicito lo scomodo tema della corruzione, avendo come protagonista un funzionario spietato e marcio fin nel midollo delle ossa. Tramite le sue sequenze cupissime ci si immerge in un mondo in cui è morta ogni traccia anche vaga di illusione, per non parlare di redenzione. Pessimismo estremo, apocalittico. Anche per questo mi piace così tanto. La regia è perfetta, il cast è ricchissimo e straordinariamente complesso. Memorabili le scene con gli inseguimenti.  
Ingovernabile e irruento, Luc Merenda è a mio avviso particolarmente azzeccato nel suo ruolo così strano e inedito, innervato di ambiguità. Ha capelli di un indefinibile colore castano-biondiccio tagliati a caschetto e occhi che sembrano carboni ardenti come quelli di Caronte. Il suo corpo è un fascio di muscoli sempre contratti, come quello di una lucertola che guizza perennemente al minimo stimolo dell'ambiente esterno.  
Richard Conte è perfetto nel suo personaggio intriso di perfidia. La sua fisionomia untuosa lo rende particolarmente ripugnante, con quello sguardo diabolico che irradia dai piccoli occhi neri da faina, con quelle orecchie dal lobo allungato, con ciuffi di peli scuri che escono dal condotto uditivo! Sembra in tutto e per tutto un vampiro appena uscito dalla tomba!  
Splendida e sensualissima la fulva Delia Boccardo nella parte di Sandra, una ragazza con velleità artistiche, sempre pronta ad accettare il suo uomo senza porsi troppe domande sui suoi aspetti più controversi: pagherà per questo un prezzo spropositato.  
Raymond Pellegrin ottimo interprete del ruolo del boss viscido e brutale, capace di incredibili efferatezze. Ogni dettaglio della sua odiosa fisionomia sottolinea la natura infernale del personaggio. Calvo, con occhi minuscoli e scuri come pozzi dell'Inferno, pelle lucida come quella di una zecca rigonfia di sangue, corrisponde a certe descrizioni dei vampiri che si dice imperversassero in Ungheria, provocando episodi di panico di massa!
Salvo Randone si distingue per la sua espressione umanissima quanto sofferente. Sembra la personificazione del pathos. È crocifisso in ogni singolo istante della sua esistenza e lo lascia trasparire con tutti i suoi sguardi, con tutte le sillabe che pronuncia.   
Vittorio Caprioli gode di un vasto plauso nel Web, tutti ne dicono mirabilia, eppure lo trovo poco comico nel suo ruolo di attempato napoletano sradicato dalla sua città e diventato acido, insofferente verso tutto e tutti, chiuso nel culto del suo gatto. Eccessivamente querulo, finisce con l'essere molesto quasi come una blatta caduta nel caffè della colazione. Ok, va bene, non esageriamo. Non dico che sia insopportabile, ma poco ci manca. 
Rosario Borelli indimenticabile con la sua espressione truce e la sua postura fiera. Mefistofelico fino all'ultimo istante!   
Gianni Santuccio interpreta bene il ruolo del Questore furibondo. Capelli grigiastri, occhi accesi, carattere bilioso, nutre un particolare odio verso i cosiddetti "capelloni", considerandoli il capro espiatorio di ogni malefatta compiuta dal genere umano nel corso dei millenni. 
Cronologicamente, Il poliziotto è marcio si colloca dopo la celeberrima Trilogia del milieu. È stato commissionato da Galliano Juso, che poco dopo ha prodotto anche La città sconvolta: caccia spietata ai rapitori, sempre diretto da Fernando Di Leo (1975). Tra le altre cose, Juso è stato anche lo sceneggiatore di Chicken Park (Jerry Calà, 1994)! 


Nomen omen

A quanto ho potuto constatare, è opinione comune tra i commentatori e i critici nel Web che il cognome "Malacarne" sia un nomen omen, essendo il suo ovvio significato quello di "cattiva carne". La carne cattiva, ossia guasta, si corrompe e si riempie di vermi. Quindi simboleggia la corruzione morale. Questa accezione si applica innanzitutto al funzionario corrotto, per ovvie ragioni, eppure in qualche modo persino suo padre non viene risparmiato. Si suppone che l'indole marcia sia passata al figlio per ereditarietà, come un carattere mendeliano qualsiasi. Infatti a un certo punto il Commissario Malacarne si rivolge così al genitore, gettando su di lui ombre con l'intenzione di sporcarne l'onestà: 

“Ma chi sei tu per farmi la morale? Io ti ho visto leccare le scarpe per tutta la vita. Quante volte hai massacrato di botte dei poveracci con la benedizione dei superiori? Quante prove hai fabbricato per trovare dei colpevoli qualsiasi? Quanti soprusi, quanti inghippi... per un panettoncino a Natale! Pure questa è corruzione, ma corruzione da fessi!”  

In ogni caso non mi sembra giusto che le cose siano descritte in questi termini. I due Malacarne non possono in alcun modo essere ridotti a un denominatore comune. Il padre del Commissario può essere biasimato per avere usato mezzi un po' troppo violenti, ma in fin dei conti ha semplicemente eseguito gli ordini. In una struttura militare, gerarchica e apicale, è difficile pensare che avrebbe avuto molto margine per agire in modo diverso. Non ha alcun senso l'insinuazione che abbia agito così allo scopo di guadagnarsi un panettone: è una pura e semplice malignità. Invece il Commissario è andato ben oltre i propri limiti, diventando a tutti gli effetti un criminale egli stesso. 


Origine e diffusione del cognome Malacarne 

A quanto ho potuto notare, tra i recensori del Web, è data per scontata l'origine meridionale e napoletana del cognome "Malacarne". Si tratta di un clamoroso errore, nato da superficialità.
Consultando il sito Gens Labo, che permette di ottenere mappe sulla presenza dei cognomi nei comuni italiani, si deduce che "Malacarne" è particolarmente diffuso nelle regioni del Nord e in Toscana. A settentrione si riscontra una grande densità in Lombardia, Veneto, Trentino ed Emilia-Romagna; è poco presente in Piemonte, in Valle d'Aosta e in Friuli Venezia Giulia. Si trovano alcuni Malacarne anche in diversi comuni del Sud Italia, ma in modo sporadico: se ne hanno tracce in Lazio, Campania, Basilicata e Puglia; a quanto pare sono invece assenti in Sicilia, in Calabria e in Sardegna. 

La pagina di Facebook Origine dei cognomi italiani, riporta alcune interessanti note sull'origine del cognome "Malacarne":  

"Dovrebbe derivare da un soprannome originale riferito ad un macellaio che vendeva carne di cattiva qualità; potrebbe essere riferito anche a persona di cattivi sentimenti."

E ancora: 

"Questo cognome, tipicamente settentrionale, è praticamente presente in tutte le province del Nord Italia ed in modo particolare in quelle di Belluno, Ferrara, Milano e Mantova. In Trentino ne troviamo un  centinaio (sempre con riferimento agli  utenti del telefono), principalmente a  Riva del Garda e nel comune di Bleggio Inferiore." 

Il luogo d'origine della stirpe era con ogni probabilità nelle Valli Giudicarie, in Trentino Occidentale. A parer mio è probabile che l'antenato comune dei Malacarne fosse così chiamato per motivi religiosi, perché si diceva che avesse una cattiva tunica di carne. In altre parole, era particolarmente predisposto alle opere della carne e della corruzione. Forse il regista aveva fatto qualche studio.   

Questo è riportato sul sito Cognomix.it (il corsivo è mio): 


"Tracce di questa cognominizzazione si trovano nel trentino almeno dalla prima metà del 1400 e così pure a Spoleto in un testo del 1414 dove si legge: "...Li caporali de Re eranu Sforza da cotogniola, Paulu Ursinu, lu Conte da Carrara, Malatesta da Cesena, messer Malacarne et Tartaglia...:". Vi è inoltre a Riva del Garda un registro comunale relativo all'anno 1619: "...Laurentius filius domini Ioseph Orlandi alias de Malacarnis...".
Il cognome Malacarne ha ceppi nel trentino, nel bellunese, nel pisano ed in Lombardia." 

Variante rara: Malacarni


Questa è la distribuzione, assoluta e percentuale, delle 930 famiglie Malacarne nelle singole regioni: 

Lombardia: 291 (31,3%) 
Toscana: 161 (17,3%)
Veneto: 154 (16,6%) 
Emilia-Romagna: 106 (11,4%)
Trentino Alto Adige: 100 (10,8%) 
Piemonte: 40 (4,3%) 
Lazio: 20 (2,2%)
Liguria: 19 (2,0%) 
Campania: 10 (1,1%)
Basilicata: 10 (1,1%)
Valle d'Aosta: 8 (0,9%)
Puglia: 5 (0,5%)
Friuli Venezia Giulia: 3 (0,3%)
Umbria: 1 (0,1%)
Sicilia: 1 (0,1%)
Abruzzo: 1 (0,1%) 

Quanto esposto mette in evidenza quanto sia facile incorrere in errori grossolani. Quando ci si atteggia a recensori ruggenti, si corre e si danno sempre troppe cose per scontate. È necessario indagare su ogni singolo dettaglio, anche se l'impresa è di una difficoltà erculea e le insidie sono molteplici. Ho imparato in numerose occasioni quanto sia facile distorcere i fatti. 
P.S. 
Nell'adattamento in lituano, il protagonista si chiama Domenikas Malakarnis. In quella lingua è inconcepibile usare cognomi indeclinabili: vengono sempre assegnati a una declinazione e trattati di conseguenza. 


Incertezze nell'onomastica 

Wikipedia riporta il nome del boss interpretato da Richard Conte come Corrado Mazzanti. A quanto ricordo, è nominato nel corso del film poche volte, mai per nome di battesimo e in modo confuso: ho trovato una sequenza in cui a nominarlo era Pascal e mi è parso di sentire "Mazzani", con una consonante -n- molto debole e senza traccia alcuna di -t-. Non sembra che la forma originale fosse "Mazzanti". Quale grado di affidabilità ha Wikipedia in casi simili? Comunque sia, si è creata tutta una serie di equivoci. Visto che molti trascrivono "Mazzari" e usano questa forma in modo sistematico, ho riguardando il film con attenzione, potendo constatare che il cognome è proprio "Mazzari". Questa sembra la variante più diffusa nel Web, anche se "Mazzanti" è ben attestato. Passando all'inglese, il cognome è diventato "Nazzari" o addirittura "Mazzoni". Il sito cinematografico IMDb.com ha proprio "Nazzari". Nell'adattamento in lituano, il cognome del boss è invece "Mazonis": è stata lituanizzata proprio la forma "Mazzoni". Questa spaventosa confusione è dovuta al fatto che il copione non era chiaro già all'origine. Dovendo dipendere tutto da una singola menzione bisbigliata, il cognome cambiava da un passaggio all'altro. Il mio sospetto è che sia tutta colpa dei doppiatori raffreddati! 


Gusti pesanti 

Pascal spara il suo sperma nell'intestino retto dell'effeminato Gianmaria. Gli buca le chiappe, gli schiaccia la prostata col glande rigonfio, lo possiede carnalmente. La cosa sembra essere in qualche modo tollerata, anche se con riluttanza, ma non ci si deve lasciar ingannare. Infatti, a un certo punto il sulfureo Mazzari (alias Mazzoni, Mazzanti, Nazzari) fa un'allusione inattesa: "I suoi gusti, Pascal, sono piuttosto pesanti". Un'allusione che è anche un monito
Una legge ferrea e non scritta del crimine organizzato vieta l'omosessualità, attiva o passiva che sia. Chi la infrange, presto o tardi paga con la vita. Ci si può chiedere perché Pascal, che si crede "intoccabile", a un certo punto venga lasciato in balìa della volontà vindice del Commissario Malacarne. La risposta è semplice, addirittura lapalissiana: ciò accade per il solo motivo che Pascal è omosessuale e per questo, terminata la sua utilità, deve essere soppresso. Un misto di pragmatismo e di rigore puritano. 
P.S. 
Nell'adattamento in lituano, Pascal diventa Paskalis

Alcune divertenti ingenuità 

Se si prendesse per oro colato quanto visto nel corso di questa pellicola e di altre dello stesso genere, la mafia avrebbe sede in uffici di fantomatiche agenzie import-export in palazzoni fatiscenti, all'interno di immensi cantieri inattivi (le famose "cattedrali nel deserto"). Se uno avesse l'ardire di recarsi in quei luoghi abbandonati e polverosi, pieni di calcinacci, troverebbe proprio i boss in persona, seduti in una stanza dall'arredamento spartano e circondati dai gorilla, enormi gangster dal ceffo patibolare. Appena fuori dall'ingresso, sulla parete sarebbe sempre in bella mostra un'insegna pubblicitaria dell'aperitivo Punt e Mes

Alcune bizzarrie

Nel corso della conferenza compare di sfuggita il sulfureo Aldo Valletti, proprio lui, il fainesco interprete di Salò o le 12o giornate di Sodoma (Pier Paolo Pasolini, 1975). Si fa molta fatica a notarlo. Il meglio di sé lo ha dato come adoratore dell'ano e delle feci della Signora Maggi!  

Il titolo in turco, İt sürüsü, significa "Branco di cani" (it "cane"; sürüsü "branco", "gregge").  


I due portugnoli 

Per alleggerire un po' la carica drammatica della pellicola, sono stati inseriti due personaggi insensati, comici. Sono i due portoghesi incredibilmente grotteschi che parlano una specie di spagnolo (ad esempio dicono "hasta la vista"). La questione è comunque interessante. Pochi sanno che esistono i Portugnoli. Sono genti di confine, che abitano in zone dove le lingue sovrappongono e si confondono, subiscono osmosi. Ad esempio il Portogallo al confine con la Spagna, il Brasile al confine con l'Uruguay, il Brasile al confine con il Perù e via discorrendo. I nativi di queste aree si esprimono quindi in un idioma indefinito, nebuloso, il portugnolo (Portunhol, Portuñol). Il nome è una parola macedonia: 

Portoghese: Português + Espanhol => Portunhol 
Spagnolo: Portugués + Español => Portuñol 
Italiano: Portoghese + Spagnolo => Portugnolo 

Chiaramente i due corrieri che si vedono nel film hanno nazionalità portoghese, come viene più volte ripetuto, ma in realtà sono portugnoli a tutti gli effetti. Dopo aver mostrato un campionario di espressioni facciali distorte, abatantuonesche, dopo aver fatto mille lazzi altisonanti, finiscono freddati in Piazza del Duomo, in mezzo ai piccioni, su una lettiera di stronzi. In genere i due portugnoli non sono affatto apprezzati dai commentatori del Web: sono ritenuti elementi incongrui, insensati, di cui si farebbe volentieri a meno. 


Feroce odio antisodomitico

Oggi questo film non potrebbe più essere girato. Sarebbe accusato di diffondere contenuti omofobici. Quando il Commissario Malacarne entra nell'ufficio di Pascal, subito esprime la sua avversione per il travestito Gianmaria, pronunciando parole violente. Ecco il dialogo: 

Gianmaria: "Ooh! Ciao, bell'uomo!"
Commissario: "Ecco Gianmaria con la vestaglia cinese! Gianni davanti e Maria di dietro!" 
Gianmaria: "Che lato vuoi provare per primo?" 
Commissario (davanti alla gang riunita): "Quanta bella gente! Date un ricevimento? E le donne dove sono? O ci pensa Gianmaria per tutti?" 
Mazzari: "Il Commissario è di buon umore. Il Commissario è un uomo di successo." 
Pascal: "Dobbiamo parlare."
Commissario: "Con tutti questi presenti? Allora non è così importante." 
Pascal (rivolto a Mazzari): "Dagli il suo!" 
Mazzari: "Ecco, per questo mese, Commissario. C'è quell'aumento che abbiamo concordato. Conti!"
Gianmaria: "Te li conto io!"
(Il Commissario lo spinge via)  
Gianmaria: "Ehi, bell'uomo, calma!" 
Commissario: "Allora, gente! Se Gianmaria vi diverte, è bene per voi! A me fa schifo, è chiaro?! Non deve chiamarmi più in Questura, né lui né chiunque altro, è chiaro?"

Trema, ricolmo d'ira funesta, è talmente alterato che sembra quasi dica: "... è pene per voi"! 
L'occlusiva labiale perde la sua sonorità. Si potrebbe parlare di "desonorizzazione isterica". In tale stato, un soggetto sarà incapace di distinguere "bene" da "pene". Così si azzerano le differenze tra "buffo" e "puffo", tra "baffuto" e "paffuto", tra "bollo" e "pollo", etc. Non si tratta di naturali mutamenti fonetici: è il cervello ad andare in tilt. In genere questo marasma si accompagna ad allucinazioni tattili, ossia sensazioni di pressione sull'ano. Esistevano davvero queste reazioni folli, esagerate, patologiche, anche se si direbbero scomparse dal sapere comune. 
Qualcuno si chiederà perché io insorga di continuo contro il politically correct dei nostri tempi. Si deve tener conto del fatto che negli anni '70 non regnava certo la libertà di parola. In particolare non si poteva parlare di argomenti come l'omosessualità - eppure ci sono stati registi che lo hanno fatto. Ci si dovrebbe piuttosto chiedere se quella che c'è oggi sia davvero "libertà", o se non sia piuttosto una subdola forma di indottrinamento a un contorto sistema di distorsioni mentali. 
In sintesi, le cose stanno così: 
1) Secondo la mentalità perbenista, menzionare l'omosessualità equivaleva a farne l'apologia. 
2) Secondo la mentalità neo-perbenista, menzionare l'omosessualità in modo diverso da come impongono i dettami del politically correct equivale ad essere etichettati come "omofobi"

Il mito melvilliano  

Ho trovato menzione di una singolare leggenda. A parlarne è un navigatore il cui nick è Dandy, sul sito Mymovies.it. Sembra che all'inizio Di Leo avesse in mente di dirigere il film assieme a Jean-Pierre Melville, che però morì proprio quando il progetto stava per concretizzarsi. A quanto pare, avrebbero dovuto esserci attori del calibro di Anthony Quinn e di Lino Ventura. Non sono riuscito ad appurare la veridicità o meno di questo racconto. Tuttavia è certo che Di Leo è spesso soprannominato "Il Melville italiano", avendo sempre considerato suo maestro il regista francese. 
 
Censura 

Quello di cui si parlerà sempre troppo poco sono le persecuzioni che il regista ha dovuto affrontare per aver osato affrontare lo scomodissimo tema della corruzione nelle Forze dell'Ordine. In pratica questo film in Italia non lo abbiamo potuto visionare per ben 30 anni. Non è cosa di poco conto, mi pare. Soltanto nel 2012 è stato pubblicato su DVD dalla casa di produzione e distribuzione indipendente RaroVideo. A partire dal maggio 2022 è disponibile in versione integrale su YouTube. Questo è il link:  


Queste sono le parole di Fernando di Leo a proposito delle sue gravi vicissitudini: 

"Credo di essere stato l'unico ad avere girato un film che parlasse della corruzione delle forze dell'ordine ne Il poliziotto è marcio. Il solo titolo e i manifesti irritarono il Viminale a tal punto che ricevetti telefonate minatorie da voci che a quel ministero facevano riferimento. Va da sé che forse le telefonate le fecero quelle bestie stupide e feroci conosciute come benpensanti".
(Fonte: Nocturno Dossier n. 14, Calibro 9 - Il cinema di Fernando Di Leo, a cura di Davide Pulici e Manlio Gomarasca)

E ancora: 

"Per Il poliziotto è marcio, il solo titolo fu trovato insultante. Il fatto che ci fossero i manifesti con il titolo 'Il poliziotto è marcio', sdegnò talmente i celerini, e naturalmente il Viminale, che io ebbi varie telefonate, con un tono minatorio tipo: 'Lei non si deve permettere...', a cui io rispendevo con parolacce, quali che fosse l'interlocutore, che doveva essere anche di alto grado. Mi attaccarono pure quando feci Brucia ragazzo, brucia (...) Dopo che il film  fu assolto, feci mettere una pubblicità sui giornali: 'Finalmente la giustizia ha detto sì al sano erotismo.' Che era uno sfottò per tutti quelli che si erano incazzati, perché il film era stato assolto a Rimini da un pubblico ministero che fece la più bella critica che io abbia mai avuto su Brucia ragazzo, brucia."
(Fonte: "La seconda mano del gioco", extra a cura di Nocturno cinema contenuto nel DVD RaroVideo)

Dal verbale allegato al n.o. n. 64039 (25 febbraio 1974):

"Poiché l'interessato dichiara di non poter aderire alla proposta dei tagli, la Commissione esprime parere favorevole alla concessione del n.o. di proiezione in pubblico, con il divieto di visione ai minori degli anni 18. Tale divieto è in relazione, innanzitutto, alla tematica del film, che ha come protagonista un commissario di P.S. ed un suo dipendente che si lasciano corrompere da una banda di delinquenti al solo fine di appagare desideri di vita agiata e lussuosa; né alla conclusione del film si ha uno spiraglio di luce, poiché al capo della banda ed al commissario uccisi subentrano altri da una parte e dall'altra decisi a perseverare nella losca ed illegale attività. A ciò si deve aggiungere che il film consiste in una serie ininterrotta di scene di violenze, alcune delle quali presentano carattere di particolare ferocia ed efferatezza."

Metri di pellicola dichiarata: 2595 (circa 94'40" su pellicola in 35 mm, uguale a 90'-91' su DVD o nei passaggi televisivi codificati PAL).

Una seconda commissione, datata 14 novembre 2012 (v.c. n. 106749), ha espresso parere favorevole al rilascio del nulla osta per la proiezione in pubblico, senza più limitazioni per i minori. 


Il cartello finale 

Nel tentativo, risultato poi vano, di mitigare il furore dei censori, il regista decise di inserire uno scritto esplicativo subito dopo l'uccisione del commissario corrotto. L'ho visto con i miei occhi, era in lingua inglese: 

"You have just witnessed a true story: four months later detective Pietro Garrito was arrested, tried and convicted on six separate charges of graft and conspiring to obstruct Justice... crime does not pay." 

Traduzione: 

"Avete appena assistito a una storia vera: quattro mesi dopo, l'agente Pietro Garrito è stato arrestato, processato e condannato con sei distinte accuse di corruzione e cospirazione per ostacolare la Giustizia... il crimine non paga."

Ho anche visionato una versione del tutto simile, ma senza il cartello, in cui tutto si concludeva con la parola "Fine". Non ho mai visto con i miei occhi il cartello in lingua italiana. 

Una lezione morale 

La diffusione di questo film era molto temuta. La paura era che potesse minare nei cittadini la fiducia nelle Forze dell'Ordine e più in generale in ogni istituzione. Menzionare un problema  grave come la corruzione era considerato equivalente al fare apologia del crimine. Negli anni '70 erano ancora molto comuni le persone incapaci di distinguere la realtà dalla finzione cinematografica. Si sentivano molto spesso, specie dagli anziani, frasi come: "È vero, l'ho visto al cinema", "È vero, l'ho visto alla televisione". Moltissimi erano convinti che i film fornissero resoconti attendibili degli eventi storici. Credevano che Maciste e Ursus fossero personaggi realmente esistiti, solo per fare alcuni esempi. "È Storia", commentavano ogni volta che vedevano un film peplum. Il pericolo era che qualcuno potesse dire: "I poliziotti sono tutti marci, sono tutti corrotti, l'ho visto al cinema, l'ho visto alla televisione." Possibile che nessuno abbia invece tratto una lezione morale dal film di Di Leo? Assistendo a quelle sequenze, si dovrebbe dire: "Vedete dove si arriva se la corruzione prevale?", "Vedete cosa succede se si lascia spazio ai corrotti?" 


Critica 

Riporto un cut-up di opinioni, frasi smozzicate tratte dalla pagina dell'ottimo sito Il Davinotti e ricucite insieme senza una logica apparente. Come di costume, riporto i refusi dei testi originali, quindi si impicchino i pedanti che dovessero fare "gnè-gnè-gnè" per qualche parola scritta male. 


"Luci e ombre per un poliziottesco che nonostante sia ben lontano dalla perfezione, è comunque superiore alla media di genere" 
"Di Leo prosegue la sua personalissima strada del noir poliziesco, stavolta affrontando il tema della corruzione di un commissario (il bravo Merenda)"
"Interessante noir di Di Leo, che si fa perdonare le cadute solite"
"Belle le ambientazioni milanesi, anche se qua e la è fin troppo chiaro che in realtà si è a Roma"
"Non siamo ai livelli di altri classici del regista, comunque buono"
"Buoni i dialoghi, serrato il montaggio" 
"Lontanissimo dai commissari di ferro del poliziesco, il corrotto Domenico Malacarne è parente stretto degli antieroi del noir, con cui condivide un destino nichilista e tragico"
"Il regista, pur non rinunciando ad alcune scene d'azione ben fatte, preferisce però indagare la psicologia del personaggio e mette in scena un dramma duro e spietato, senza speranza nemmeno nel crudo finale" 
"De Leo disarticola scientemente il poliziottesco, innervandolo con elementi di solidità strutturale originali per il genere e ribaltando il cliché del commissario incorruttbile (un Merenda di cui viene sfruttata l’ambiguita del phisique e visage, du role)"
"Nomi significativi (Malacarne quello del poliziotto protagonista); ambientazioni metropolitane (una caotica Milano)"
"Da annotare l'ambiguità di un Luc Merenda commissario eroe-antieroe e soprattutto l'ambiguità di farlo apparire migliore dei suoi superiori, non marci, ma fortemente prevenuti e attenti più all'apparenza che alla sostanza" 
"Migliora col tempo, seppur non raggiunge le altezze della grande trilogia"
"Perfetto Conte"
"Purissimo cinema di regia"
"C'è poi un velato (ma non troppo) confronto tra polizia e carabinieri" 
"Di questo stupendo film girano copie immonde in vhs dalla qualità più marcia del poliziotto in questione"
"Un mistero come questo film non abbia avuto la stessa risonanza mediatica de La piovra"
"Qui il poliziotto è marcio già dal titolo"
"Il marciume del titolo alla fine copre quasi tutti i personaggi del film, in un un pot-pourri di tradimenti, parole mancate e colpi alle spalle"
"Noir teso, cupo e violento, in pieno stile Di Leo"
"Abbiamo degli autentici mostri sacri del poliziesco all'italiana: Pellegrin nei parti di un criminale bastardissimo, Conte nei panni del solito intrallazzatore e Merenda che naviga tra corruzione e sensi di colpa, che alla fine tenterà di fare giustizia"
"Sui canoni del poliziesco all’italiana, fusi con le atmosfere noir di cui era maestro, Di Leo innesta la figura ambigua di un poliziotto corrotto ma non privo di coscienza, più complesso dei ferrei tutori dell’ordine tipici del genere"
"Spietato e marcio (come da titolo) questo noir mette in mostra un "anticommissario" che è la reincarnazione del concetto di corruzione"
"Noir e amaro"
"Trattasi di un prodotto di notevole livello"
"Appena sotto la mitica trilogia, ma da vedere assolutamente"
"Il titolo fa tremare i muri per le inconfutabili verità che purtroppo rivela"
"molto probabilmente il film più riuscito di Di Leo dopo Milano calibro 9
"In negativo gli inserti "umoristici", con alcune macchiette inutili (su tutti i due portoghesi "italo-spagnoli")" 
"Ottimo poliziesco non conforme al cliché dell'epoca"
"In tempi di fiction-promozione per le forze dell'ordine, un titolo del genere oggi è impensabile ed improponibile"
"Ci voleva Di Leo per avere un commissario che esce dagli stereotipi del senso del dovere e del sacrificio"
"Prodotto originale nel mostrare un poliziotto che scende allo stesso livello dei delinquenti che persegue. E che sono brutti ceffi da far paura, capaci di ammazzare uomini e gatti coi sacchetti di plastica"
"Poco incisiva la caratterizzazione di Caprioli (altrove ben più piacevole) mentre Randone regala il suo sguardo severo e malinconico al padre del protagonista corrotto" 

domenica 21 novembre 2021

 
PROSPECT 
 
Titolo originale: Prospect 
Paese: Stati Uniti d'America 
Anno: 2018 
Lingua originale: Inglese 
Durata: 100 min 
Genere: Fantascienza
Regia: Zeek Earl, Chris Caldwell 
Sceneggiatura: Zeek Earl, Chris Caldwell 
Soggetto: Zeek Eark, Chris Caldwell
Fonte di ispirazione (non accreditata): Andrea Fanton,
    Sergio Asteriti
Produttori: Andrew Miano, Chris Weitz,
    Scott Glassgold, Dan Balgoyen, Garrick Dion,
    Matthias Mellinghaus 
Musica: Daniel L.K. Caldwell 
Interpreti e personaggi:
    Sophie Thatcher: Cee
    Jay Duplass: Damon
    Pedro Pascal: Ezra
    Luke Pitzrick: Numero Due, compagno di Ezra
    Arthur Deranleau: Fahr
    Andre Royo: Oruf
    Alex McCauley: Bahr
    Doug Dawson: Heshir
    Krista Johnson: Gali
    Brian Gunter: Mesur
    Sheila Vand: Inumon
    Anwan Glover: Mikken
    Trick Danneker: Jack
    Christopher Morson: Zed
    Ben Little: Prigioniero
    Shepheard Earl: Guida  
Budget: Meno di 4 milioni di dollari US
Box office: 22.777 dollari US
 
Trama: 
La giovane Cee e suo padre Damon scendono con una piccolissima astronave da trasporto sulla superficie boscosa di una luna di un gigante gassoso. Vogliono estrarre gemme. Durante la discesa, un guasto tecnico paralizza il lander, costringendoli ad atterrare a una certa distanza dal sito di prospezione previsto. Trovano uno scavo abbandonato dove estraggono un baccello carnoso dalla terra, al cui interno c'è una gemma preziosa. Cee esorta suo padre a tornare sul lander con la gemma, ma Damon insiste per proseguire verso il sito originale. Mentre la ragazza si è appartata per defecare, l'uomo incontra due cercatori rivali, il baffuto Ezra, che somiglia un po' a Lemmy dei Motörhead, con il suo partner, silenzioso e passivo. Inizialmente i ribaldi pianificavano di derubare Damon, ma riconsiderano la situazione quando lui si offre di unire le forze e rivela che è stato contattato dai mercenari - che a quanto pare avrebbero scoperto il leggendario "covo della regina", un sito di scavo molto redditizio. Ezra accetta l'alleanza, ma Cee, che era rimasta nascosta, tende loro un'imboscata con un fucile. Ciò consente a Damon di disarmare i cercatori rivali e di prenderli in ostaggio. A un certo punto il partner silenzioso e passivo di Ezra si ribella, attacca e provoca una sparatoria in cui rimane ucciso. Damon, ferito a morte, viene giustiziato da Ezra, furioso per aver perso il suo slave. Cee fugge e si ritira sul suo lander malfunzionante e incapace di avviarsi. Ezra la ritrova ore dopo e cerca di entrare: il suo intento è quello di vendicarsi brutalizzandola. Cee reagisce, gli spara al braccio e lo prende prigioniero. Ezra propone, come da piano iniziale di Damon, di unirsi ai mercenari. Lei accetta con riluttanza, così procedono verso il "covo della regina". Il braccio di Ezra intanto è stato infettato dalle spore velenose che abbondano nell'atmosfera di quel mondo. I due sono costretti a cercare aiuto medico presso un accampamento. Il problema è che le genti del campo propongono invece di scambiare le gemme con Cee: evidentemente vogliono conoscerla secondo il costume delle genti di Sodoma. Mentre Ezra chiede informazioni sull'accordo, Cee riesce a fuggire. Dopo aver vagato da sola, incontra di nuovo Ezra, la cui ferita è gravemente peggiorata. Lo aiuta ad amputargli il braccio, poi si dirigono all'accampamento dei mercenari vicino al "covo della regina". Dopo essersi assicurati un passaggio sulla microscopica nave dei mercenari, armeggiano per estrarre le gemme, ma sono incapaci e i loro tentativi vanno in merda. Quando il loro sorvegliante vuole denunciare questo fallimento, Ezra lo uccide, innescando uno scontro con i predoni rimasti. Molti vengono uccisi e anche Ezra riporta gravi ferite. Cee si prende cura dell'uomo e insieme fuggono in orbita a bordo della nave dei mercenari. C'est l'amour... 

 
Recensione: 
Una pellicola insensata, oltre che estremamente noiosa e inconcludente. L'attrice protagonista, Sophie Bathsheba Thatcher, è stata considerata la rivelazione dell'anno. Nata nel 2000 da famiglia mormone, ha dichiarato di non seguire più la religione in cui è stata cresciuta. Una giovane dotata di senso critico, non c'è che dire. Qui la vediamo al suo esordio nella Settima Arte. Le sue doti non bastano tuttavia a risollevare le sorti del film di Earl-Caldwell, che è costato molto e ha reso ben poco. Il risultato ottenuto dai registi non è comunque di poco conto, visto che sono riuscito a visionare la loro opera senza addormentarmi in poltrona, come spesso mi accade. Con mio grande stupore, mi sono reso conto che anche Prospect ha i suoi fan, pronti a giurare e a spergiurare che sia un'opera eccelsa, addirittura commovente. Inutile discutere con loro: si rischia di finire linciati! Nel secolo scorso in Occidente c'era il fanatismo politico, prima ancora c'era il fanatismo religioso. Adesso invece ci sono forme di fanatismo che non hanno nemmeno l'ombra di un costrutto e che non si riescono a capire. La gente si scannerebbe per cose come un film... o per la ricetta di un piatto di carbonara. 
 

La fonte di ispirazione 
 
Potete anche non crederci, ma la verità è questa: Prospect deriva direttamente dalla storia disneyana Topolino e la Galassia delle Sfere Essenziali, sceneggiata da Andra Fanton e disegnata da Sergio Asteriti (Topolino n. 923, 1973). Riporto qui la trama del fumetto, che in moltissimi abbiamo letto quando eravamo mocciosi.  
 
Topolino e la Galassia delle Sfere Essenziali
 
Topolino e Pippo accompagnano il Professor Moster, un simpatico ed esuberante vecchietto, nel suo viaggio tra le stelle, su un'astronave rudimentale che è poco più di un guscio ovoidale di fragile metallo. Nel frattempo uno scienziato malvagio e banditesco, Marnet, compie un viaggio simile su un veicolo meglio equipaggiato, assieme al suo fido assistente Clik. Marnet è segaligno e collerico. Leggendo tra le righe si capisce una verità scomoda: Marnet è un sodomita violento che sfoga la sua frustrazione rompendo il deretano del povero Clik! La meta di entrambe le spedizioni, quella di Moster e quella di Marnet, è un pianeta boscoso e privo di fauna, che si trova nella Galassia delle Sfere Essenziali. Raggiunto quel mondo pieno di conifere balsamiche, Marnet mette subito in atto le sue intenzioni predatorie: prima abbatte l'astronave rivale, poi paralizza Moster, Topolino e Pippo. Privo di altri fastidi, raccoglie un gran numero di gemme (che sarebbero di "uranio"), estraendole con le pinze dai tronchi degli alberi, scavati con immenso sadismo servendosi di un trapano! Gli alberi, privi delle gemme, si seccano. A un certo punto, il fido Clik estrae qualcosa di imprevisto dall'ennesimo albero: un folletto dagli abiti sgargianti, che parla e rivela di essere Gubareo, il custode della civiltà scomparsa dei Gubarei. Gubareo fa subito sfoggio dei suoi poteri magici, neutralizzando Marnet e a Clik, a cui riprende il maltolto. Dopo aver liberato Moster e i suoi compagni dalla paralisi, fa qualche futile discorso New Age e rimette le gemme negli alberi, facendoli rinverdire. Quindi convoca l'Astronave Fantasma, un immenso veicolo spaziale robotico, su cui mette Moster, Topolino e Pippo, dando istruzioni al meccanismo di riportarli a casa; costringe invece Marnet e il suo bottom a ripartire con il loro rottame, vagando tra le galassie finché non avrà capito che gli alberi sono creature viventi e non cose. Diavolo d'un Marnet!
 
La splendida storia è consultabile su Facebook in questa pagina:  
 

Come potete vedere, esistono significativi elementi in comune, che mi portano a ritenere che le due storie, quella di Prospect e quella topolinesca di Fanton-Asteriti, molto difficilmente potranno avere origini tra loro indipendenti. Il film dovrà quindi derivare, anche per ovvie ragioni cronologiche, dall'impianto del fumetto. Si ha l'impressione che la fantascienza cinematografica sia ormai tanto esaurita, snervata, sfibrata, da dover scandagliare qualsiasi fonte, anche Topolino, per poter avere qualche chance di sopravvivenza. 
 
 
Il mito del pianeta rigoglioso senza fauna  

Mi vengono in mente alcuni casi di pianeti con vita vegetale, soprattutto arborea, ma senza animali, presenti in opere di fantascienza prima di Prospect. Senza dubbio me ne sono sfuggiti diversi e di questo chiedo venia. Ecco l'esiguo elenco:

1) Spazio 1999 (serie tv) - episodio: Luton (The Rules of Luton, 1976); 
2) Capitan Harlock (serie anime diretta da Rintarō, trasmessa in Giappone su TV Asahi nel 1978-1979);
3) L'isola del tesoro (miniserie televisiva diretta da Antonio Margheriti, 1987); 
4) Alien: Covenant (Ridley Scott, 2017). 
 
In tutti questi casi si tratta di pianeti in cui la vita animale un tempo esisteva, ma è stata spazzata via da una catastrofe. Nell'episodio di Spazio 1999, i vegetali avevano sviluppato una forma di intelligenza e si erano ribellati contro gli animali, annientandoli. Allo stesso modo nella serie anime Capitan Harlock si diceva che la favorita del capitano pirata, Meeme (detta anche Meet), veniva da un pianeta chiamato Jura, la cui popolazione era stata distrutta in una rivolta di vegetali, che si erano trasformati in gigantesche piante carnivore. Nella costosissima miniserie L'isola del tesoro, una spedizione guidata dal Capitano Smollet giunge su un pianeta in cui le uniche tracce di animali sono colossali scheletri di torosauri preistorici, in pratica una specie di triceratopi extra size. Si ha l'impressione che questa scelta fosse legata più che altro a ragioni economiche: i produttori non erano disposti a far levitare ulteriormente il budget simulando animali. Nella sorgente prima di Prospect, la storia di Fanton-Asteriti di cui abbiamo parlato, la scomparsa di vita animale era dovuta a una scelta idiota dei Gubarei, che avevano pensato bene di rendere immortali gli alberi - meno male che si consideravano consapevoli dei cicli della Natura, l'ano di Clik era più intelligente di loro! Soltanto in Prospect sembra che l'assenza di vita animale sia connaturata alla luna boscosa, anche se la tossicità delle spore aerodisperse potrebbe far pensare a uno strano meccanismo di difesa.

Musica della Lettonia
 
Tra i mercenari si trova una donna proveniente da una colonia fondata da genti migrate dalla Lettonia. Questa predatrice utilizza una canzone in lingua lettone come arma, facendola suonare a volume altissimo. Il brano in questione si intitola Dūdieviņš. Un'altra canzone lettone, Pasaulīte, si sente nel corso del film, sempre nel campo dei mercenari. Riporto i testi che ho reperito nel Web.

Primo brano: 
 
Dūdieviņš 
 
Dūdieviņ, Dūdieviņ, ūdeņu dūdiniek
Sadūdo lietu!
Gulgainā sudraba dūmakā plūdini
Dūmaļo rietu!
Šalcošām šļakatām pārskalo liedagu
Pārsijā kāpas!
Pāržūžo dūksnāju, donī zem zieda guļ
Mana melna sāpe.
Dūdieviņ, Dūdieviņ, dod dūnas gaišumu
Vakara bēdām!
Visu manu rūgtumu dūkodams aizšūpo
Spārngalu vēdās!
Kā tavā atspulgā pārplaiksna ūdeņus,
Vilnājā zūdot,
Dūdiniek, pelēkais tārtiņ, mans Dūdieviņ,
Pagaisīs grūtums. 
Dūdieviņ, Dūdieviņ, ūdeņu dūdiniek
Sadūdo lietu!
Gulgainā sudraba dūmakā plūdini
Dūmaļo rietu!
Šalcošām šļakatām pārskalo liedagu
Pārsijā kāpas!
Pāržūžo dūksnāju, donī zem zieda guļ
Mana melna sāpe.
Dūdieviņ, Dūdieviņ, dod dūnas gaišumu
Vakara bēdām!
Visu manu rūgtumu dūkodams aizšūpo
Spārngalu vēdās!
Kā tavā atspulgā pārplaiksna ūdeņus,
Vilnājā zūdot,
Dūdiniek, pelēkais tārtiņ, mans Dūdieviņ,
Pagaisīs grūtums. 
 
Traduzione: 

Piviere, piviere, piccolo filatore d'acqua,
Tu fai cadere la pioggia!
Scorrendo nel fumo argentato,
Serata nebbiosa!
Lavando i campi con onde scroscianti,
Traboccando i banchi!
Oscillando l'erba piuma e sdraiandosi sotto il fiore,
Il mio dolore nero.
Piviere, piviere, dona luminosità alle dune
Con i venti della sera!
Portando via tutta la mia amarezza,
Nelle ali dei gabbiani!
Come il tuo riflesso che scintilla sulle acque,
Scomparendo tra le onde,
Piviere, piccolo grigio, mio ​​piccolo filatore d'acqua,
Si scrollerà di dosso le difficoltà.
Piviere, piviere, piccolo filatore d'acqua,
Tu fai cadere la pioggia!
Scorrendo nel fumo argentato,
Serata nebbiosa!
Lavando i campi con onde scroscianti,
Traboccando i banchi!
Oscillando l'erba piuma e sdraiandosi sotto il fiore,
Il mio dolore nero.
Piviere, piviere, dona luminosità alle dune
Con i venti della sera!
Portando via tutta la mia amarezza,
Nelle ali dei gabbiani!
Come il tuo riflesso che scintilla sulle acque,
Scomparendo tra le onde,
Piviere, piccolo grigio, mio ​​piccolo filatore d'acqua,
Si scrollerà di dosso le difficoltà.

 
Note: 
È una canzone che parla di un mito dell'antica religione pagana della Lettonia: un uccello, il piviere, che si credeva facesse piovere e che era adorato come una divinità. Nel testo sono presenti parole arcaiche, così usare il traduttore di Google non è una buona idea, dato che non riesce a riconoscerle. L'autore è il compositore popolare Imants Kalniņš (nato nel 1941). Musicista, autore di sette sinfonie e politico, fu uno dei primi a comporre un'opera rock in Unione Sovietica. Il brano fu cantato da Ilona Balina (1970). 

Secondo brano:
 
Pasaulīte

Pasaulīt’, kur tu kā sadegusi
Pasaulīt’, tik viena skrēji, pasaulīt’, pasaulīt’?
Pasaulīt’, tevi laikā nepagūsi
Pasaulīt’, teic kur tu eji, pasaulīt’, pasaulīt’

Kā lai tev, pasaulīt’, tieku es līdz, pasaulīt’, pasaulīte?
Kā lai tev, pasaulīt’, tieku es līdz, pasaulīt’, pasaulīte?
Kā lai tev, pasaulīt’, tieku es līdz, pasaulīt’, pasaulīte?
Kā lai tev, pasaulīt’, tieku es līdz, pasaulīt’, pasaulīte?

Pasaulīte, pasaulīte, kā lai es tev tieku līdzi?
Kā lai es tev tieku līdzi, pasaulīte?
Pasaulīte, pasaulīte, kā lai es tev tieku līdzi?
Kā lai es tev tieku līdzi, pasaulīt’?

Pasaulīt’, ko tu ar mani dari?
Pasaulīt’, jel bīsties grēka, pasaulīt’, pasaulīt’!
Pasaulīt’, vai tu vēl ātrāk vari?
Pasaulīt’, man nav vairs spēka, pasaulīt’, pasaulīt’!

Kā lai tev, pasaulīt’, tiеku es līdz, pasaulīt’, pasaulīte?
Kā lai tev, pasaulīt’, tiеku es līdz, pasaulīt’, pasaulīte?
Kā lai tev, pasaulīt’, tieku es līdz, pasaulīt’, pasaulīte?
Kā lai tev, pasaulīt’, tieku es līdz, pasaulīt’, pasaulīte?
 
Traduzione: 
 
Mondo, come se fossi bruciato, dove
stai correndo, mondo, tutto solo, mondo, mondo?
Mondo, non possiamo prenderti.
Mondo, dimmi dove stai andando, mondo, mondo?
 
Mondo, come posso raggiungerti, mondo, mondo?
Mondo, come posso raggiungerti, mondo, mondo?
Mondo, come posso raggiungerti, mondo, mondo?
Mondo, come posso raggiungerti, mondo, mondo?
Mondo, mondo, come posso raggiungerti?
Come posso raggiungerti, mondo?
Mondo, mondo, come posso raggiungerti?
Come posso raggiungerti, mondo?
 
Mondo ! Cosa stai facendo con me?
Mondo, abbi paura di peccare così, mondo, mondo!
Mondo, puoi correre ancora più veloce?
Mondo, non ne ho più la forza, mondo, mondo!
 
Mondo, come posso raggiungerti, mondo, mondo?
Mondo, come posso raggiungerti, mondo, mondo?
Mondo, come posso raggiungerti, mondo, mondo?
Mondo, come posso raggiungerti, mondo, mondo?
Mondo, mondo, come posso raggiungerti?
Come posso raggiungerti, mondo?
Mondo, mondo, come posso raggiungerti?
Come posso raggiungerti, mondo?
 
 
Note: 
Questa canzone è stata cantata dalla band lettone Eolika, fondata nel 1966.

sabato 16 ottobre 2021

LE VERE CAUSE DELLA SCOMPARSA DELLA DECLINAZIONE LATINA

Nel pestilenziale ed afflittivo social network Quora, ci sono utenti che si domandano con insistenza come mai la lingua italiana non abbia le declinazioni, pur derivando dal latino. 


Joseph G. Mitterer ha dato questa risposta: 

"Ci sono varie spiegazioni. Generalmente si può dire che in tutte le lingue indoeuropee c'è la tendenza di "semplificare" la morfologia nominale. Sono pochissime le lingue che hanno conservato tutti gli otto casi del proto-indoeuropeo. Il processo di cui parliamo non è, dunque, un fenomeno propriamente romanzo o italiano, ma era già cominciato nel latino (in latino ne sono un documento le molte funzioni dell'ablativo e i resti ancora presenti del locativo) e si osserva anche oggi in altre lingue, come ad esempio nel tedesco il cui genitivo è in via d'estinzione."
 
E ancora: 
 
"Se però parliamo delle ragioni, un motivo fondamentale era lo sviluppo fonologico del latino. Nel latino classico le forme rosa, rosam, rosā erano pronunciate in modo diverso. Poi però le quantità vocaliche sono scomparse, appunto come la -m finale, cosicché le parole succitate si sono tutte frammischiate in un'unica forma rosa. Per ristabilire le informazioni grammaticali che erano andate perse così si è serviti di preposizioni e di una sintassi più regolata."

Una volta identificato in modo sicuro il processo di confusione delle terminazioni, si dovrebbe insistere sulle sue cause fisiche e sulla sua immensa portata. Invece Mitterer enuncia una teoria a mio avviso bizzarra, che inverte il nesso causa-effetto. Non riesco bene a comprendere se il motivo di questa interpretazione dei fatti sia di natura ideologica oppure se debba la sua formazione a un semplice fraintendimento. Così prosegue: 
 
"Tipicamente le spiegazioni finiscono qui. Conviene però aggiungere che ci sono anche altri motivi per questo sviluppo e che, forse, i mutamenti fonologici non erano la ragione ma (forse!) una conseguenza di altri sviluppi. Infatti, come ho detto inizialmente, c'è una tendenza di "semplificazione" nelle lingue indoeuropee. Questa "semplificazione" non si manifesta soltanto nella morfologia nominale, bensì in tanti altri campi della lingua. Per essere più precisi, il fenomeno di cui stiamo parlando non è veramente una "semplificazione", ma una tendenza verso strutture analitiche, cioè una tendenza di dividere parole nelle sue singole funzioni. Ecco cosa avviene se invece di dire uscire si dice andare fuori, se invece di scripsi si dice ho scritto, se invece di altior diciamo più alto ecc. Le ragioni di questo sviluppi hanno, probabilmente, a che fare con la psicologia dei parlanti e con la tendenza di voler fare trasparenti le funzioni degli elementi linguistici, e anche di esprimere tali funzioni con concetti nozionali, "concreti", invece di usare soltanto morfemi grammaticali ormai completamente opachi."

Queste sono le conclusioni a cui giunge: 
 
"Credo che questo aspetto sia ancora sottovalutato nella linguistica, e soprattutto lo sono le possibili conseguenze, come appunto la perdita di distinzioni fonematiche dovuta ai suddetti processi (e non viceversa)."
 
Sono convinto, pace Mitterer, della natura puramente fisica del fenomeno. I suoni emessi da gole umane giungono deboli alle orecchie di chi li ascolta. In particolare, giunge debole la parte finale di ogni pacchetto sonoro trasmesso al cervello dai nervi acustici. Per questo motivo, le code delle parole diventano naturalmente deboli col passar del tempo, finendo per scomparire completamente. Il processo è attestato già nella lingua dei Sumeri, in cui le consonanti finali diventavano mute e nuove consonanti finali si producevano dall'indebolimento di vocali - un po' come è successo in francese: 
 
bid "ano" è diventato bi
dili "singolo, unico" è diventato dil;
dug "parlare", "discorso" è diventato du;
gig "malattia" è diventato gi;
gud "bue", "toro" è diventato gu;
gun "terra", "regione" è diventato gu;
ḫada "secco", "bianco" è diventato ḫad;
itud "luna", "mese" è diventato itu e poi it;
lul "mentitore", "menzogna" è diventato lu;
nad "letto, giaciglio" è diventato na;
pab, pap "padre", "fratello" è diventato pa
siki "capelli" è diventato sig;
taka "toccare" è diventato tak, tag e poi ta
tila "vita" è diventato til e poi ti;
tumu "portare" è diventato tum;
tumu "vento", "punto cardinale" è diventato tum e poi tu;
 
Queste evoluzioni della pronuncia sono documentate dalla scrittura di quel popolo glorioso, senza possibilità di dubbio, nel corso dei secoli. Un simile processo ha dato origine a un gran numero di ambiguità e di equivoci: solo per fare un esempio, a un certo punto lul "mentitore", "menzogna" si pronunciava lu, proprio come lu "uomo". Sono convinto che ciò abbia posto le basi per il declino del sumerico come lingua parlata; come lingua scritta (rituale e scientifica) si è conservato molto più a lungo grazie all'ingegno degli scribi. 

I parlanti non si rendono conto di questo processo ineluttabile di degradazione dei fonemi, non lo comprendono perché credono eterno l'istante. Proiettano il presente all'infinito nel passato e nel futuro. Nella loro stoltezza presentacea, credono che le cose siano immutabili. Una simile usura fonetica delle code delle parole porta alla perdita delle capacità di contrasto tra forme diverse, che finiscono così col collassare. Cosa accade se dalla capacità di distinguere alcuni suoni finali di parola dipende la grammatica stessa della lingua? Semplice: accade che vengono a collassare declinazioni e coniugazioni. I paradigmi perdono la loro efficacia, alimentando una grande confusione. Per ovviare a questo problema, la lingua giocoforza si riorganizza, tenta di costruire nuovi schemi che siano funzionanti, in grado di permettere la comprensione tra i parlanti. Quando un paradigma grammaticale si indebolisce e muore, un altro sorge per rimpiazzarlo. 
 
Pestilenziali utenti di Facebook  

Su Facebook, in un gruppo sulle lingue locali e minoritarie dell'Italia, è esploso un flame a causa di M., una professoressa del liceo la cui cultura era autoreferenziale. Costei aveva appreso l'ABC del mondo e credeva fermamente che al di fuori di queste nozioncine non potesse esistere alcunché. Non considerava le declinazioni del latino una realtà di una lingua che secoli fa viveva ed era soggetta ai mutamenti: per lei erano invece schemi ieratici ed assoluti, incisi sulle tavole di pietra di una cabala in cui la lingua scritta doveva per decreto divino precedere quella parlata. Non capiva come i Romani avrebbero potuto esprimere la differenza tra il soggetto e il complemento oggetto se le desinenze della declinazione non avessero avuto proprio la pronuncia insegnata a scuola, che impone di distinguere -um da -u. Solo per fare un esempio, ignorava che già sussisteva nella lingua classica l'impossibilità di operare la distinzione tra il soggetto e il complemento oggetto in parole di genere neutro! Non capiva che i suoi paradigmi a un certo punto sono andati a farsi fottere, o l'italiano avrebbe le parole con fortissime -m finali! Forse non sapeva neppure che le lingue romanze derivano dal latino volgare. Possibile che ci sia ancora chi crede che in latino si pronunciassero delle -m finali possenti come muggiti di bovini?! Il concetto espresso da M. era questo: se qualcosa non rientra nel programma scolastico delle superiori, significa che non esiste. Filologia romanza? Un libro chiuso. Epigrafia latina? Un libro chiuso. Grammatici antichi? Un libro chiuso. Se si dovesse ragionare così con la fisica, Rovelli sarebbe considerato un perditempo. Non mi stancherò mai di stigmatizzare le mostruosità prodotte dal sistema scolastico italiano. Potrei parlare delle iscrizioni di Pompei, delle occorrenze di parole senza -m attestate già in epoca antica, di Augusto che diceva "da mi aqua calda". Piaccia o no, le cose stanno così. Il defunto professor C. si era spinto al punto da affermare che la -m finale i Romani non la pronunciavano. Bisognerebbe comprendere bene di quale epoca stiamo parlando. In ogni caso, sembra proprio che sia stato un suono assai debole fin dal principio e che si sia perso presto. Non sono mancati tentativi di restaurazione dotta. Dioscoride trascriveva la -m finale, avendola con ogni probabilità sentita pronunciare pienamente da qualcuno, ma doveva trattarsi della lingua aulica, molto artificiosa e distante da quella del volgo. A che servirebbe andare avanti? Facebook è una colossale perdita di tempo.

La lingua d'oc e la lingua d'oïl 
 
Uno schema ridotto, derivato dalla II declinazione del latino, ha continuato a vivere per secoli nelle lingue romanze parlate nel territorio un tempo conosciuto come Gallia Transalpina. Eccolo: 
 
Singolare
Nominativo: -s < *-us 
Obliquo (accusativo): - < *-u(m)
 
Plurale
Nominativo: - < *-ī
Obliquo (accusativo): -s < *-ōs 
 
Riporto un esempio dalla lingua d'oc (antico provenzale).  
Questa è la declinazione di cavals "cavallo", che deriva direttamente dal latino caballus "cavallo da fatica", "cavallo da tiro" (che nella lingua volgare ha sostituito equus "cavallo").
 
Singolare 
Nominativo: lo cavals 
   < ille caballus 
Obliquo: lo caval 
   < illu(m) caballu(m)
 
Plurale  
Nominativo: li caval 
   < illī caballī 
Obliquo: los cavals 
  < illōs caballōs 

Riporto un esempio dalla lingua d'oïl (antico francese). La pronuncia non è quella del francese moderno: le sibilanti finali -s si pronunciavano. Questa è la declinazione di veisins "vicino", che deriva direttamente dal latino vīcīnus (aggettivo sostantivato). 
 
Singolare  
Nominativo: li veisins 
   < ille vīcīnus
Obliquo: le veisin 
   < illu(m) vīcīnu(m)  

Plurale
Nominativo: li veisin 
   < illī vīcīnī 
Obliquo: les veisins
   < illōs vīcīnōs

Come potete vedere, in Francia, Provenza e Linguadoca esisteva ancora in pieno Medioevo uno schema di declinazione ben funzionante, per quanto ridotto rispetto a quello del latino classico. In francese, discendente della lingua d'oïl, la declinazione ha cominciato a non funzionare più quando le sibilanti finali -s si sono indebolite e sono cadute, a partire dalla metà del XIV secolo. Nella lingua moderna, nella maggior parte dei casi è prevalsa la forma obliqua, anche se ci sono numerose eccezioni. 
 
Il caso della Dacia 
 
Il latino volgare della Dacia, ossia l'antenato del rumeno, aveva indebolito le consonanti finali di parola, fino a perdere non soltanto -m, ma anche -s, com'è avvenuto in Italia. Nonostante ciò, l'agglutinazione dell'articolo derivato da un pronome dimostrativo, ha permesso alla declinazione di conservarsi. 
 
Per analogia con il dativo singolare cūi del pronome relativo, si sono formati i dativi *ūnūi e *illūi, da cui in rumeno si sono avuti unui (articolo indeterminativo) "a un", "di un" e il suffisso -lui (articolo determinativo) "al", "del". I genitivi plurali maschili/neutri ūnōrum e illōrum hanno dato origine a unor (articolo inteterminativo) "ad alcuni", "di alcuni" e al suffisso -lor (articolo determinativo) "ai", "dei". In altre parole, si può dire che si è costruita una nuova declinazione dalla destrutturazione di quella antica. 

Singolare
om < homō 

Nominativo/accusativo: 
   indeterminato: un om "un uomo" 
   determinato: omul "l'uomo"
     < homō ille

Genitivo/dativo
  indeterminato: unui om "di un uomo"/"a un uomo"
  determinato: omului "dell'uomo"

Vocativo: omule "o uomo"

Plurale 
oameni < hominēs

Nominativo/accusativo 
  indeterminato: nişte oameni "alcuni uomini"
  determinato: oamenii "gli uomini"
     < hominēs illī

Genitivo/dativo
  indeterminato: unor oameni "di alcuni uomini"/"ad alcuni
       uomini"
  determinato: oamenilor "degli uomini" 
    < hominum illōrum 

Vocativo: oamenilor "o uomini" 
 
Come si può vedere, si è conservato qualcosa dell'antico paradigma latino, ma è altrettanto vero che molto è stato rifatto.

La decadenza del genitivo in tedesco 

Nel tedesco odierno il genitivo è in forte decadenza, essendo sempre più spesso sostituito dalla preposizione von con il dativo. Eppure, ancora nella prima metà del XX secolo, il genitivo era in uso abbastanza rigoglioso. Ecco alcune testimonianze di questo declino, che pare inarrestabile.


"Il caso genitivo è il quarto, ultimo e meno utilizzato caso tedesco. È quasi completamente sostituito dal caso dativo nel parlato e nella scrittura di tutti i giorni." 
 
"Quindi, quello che devi sapere è che non devi imparare il caso genitivo: puoi gestire benissimo le situazioni quotidiane anche senza di esso."
 
"Il caso genitivo in tedesco è uno strano fenomeno al giorno d'oggi. Attualmente è in fase di cancellazione dalla lingua... ma nel frattempo a volte viene ancora utilizzato." 
 
"Il suo strano status di moribondo significa che il genitivo è usato raramente nel tedesco comune e quotidiano; ma è ancora appeso con le unghie nel mondo accademico e in altri registri formali." 

"A meno che tu non sia a un certo punto nei tuoi studi sul tedesco, in cui non riesci a pensare a un’altra benedetta cosa su cui lavorare oltre al caso genitivo, in realtà per ora consiglierei di continuare a ignorarlo."

"A seconda dei tuoi studi o del tuo lavoro, potresti non aver mai bisogno di usare effettivamente il genitivo stesso (a parte forse alcune frasi facili da memorizzare)."

"Ma se scegli di imparare il caso genitivo, probabilmente capirai meglio le notizie, i documenti legali e la letteratura... e c'è qualcosa (di utile) in questo!"

Questo è un caso molto singolare in cui si è sviluppato un processo di autolisi grammaticale non necessaria, avente come risultato la distruzione della lingua e dell'identità. Il genitivo funzionava benissimo, non c'era alcun indebolimento fonetico delle terminazioni caratteristiche. A mio avviso le motivazioni del disastro sono innanzitutto politiche e ideologiche: tutto ciò è stato innescato dall'autorazzismo!

Latino e lituano: un rapido confronto
 
L'usura delle code delle parole non colpisce tutte le lingue con la stessa velocità. Per questo il lituano ha conservato molto bene la declinazione ereditata dall'indoeuropeo, mentre il latino volgare l'ha consumata fino alla scomparsa completa. Riportiamo alcuni esempi significativi per illustrare meglio il concetto. 
Questa è la declinazione del sostantivo výras "uomo" in lituano, derivato dalla stessa radice indoeuropea che ha dato il latino vir "uomo": 
 
Singolare 
 
nominativo: výras
genitivo: výro 
dativo: výrui 
accusativo: výrą 
strumentale: výru 
locativo: výre 
vocativo: výre 

Plurale 

nominativo: výrai 
genitivo: výrų 
dativo: výrams
accusativo: výrus
strumentale: výrais
locativo: výruose
vocativo: výrai 

Questa è la declinazione del corrispondente vocabolo nel latino classico: 

Singolare 

nominativo: vir
genitivo: virī
dativo: virō
accusativo: virum 
vocativo: vir
ablativo: virō

Plurale

nominativo: virī
genitivo: virōrum, virum
dativo: virīs 
accusativo: virōs 
vocativo: virī
ablativo: virīs 
 
Senza entrare troppo nei dettagli, si riescono ancora oggi a individuare le forme simili, derivate da un identico prototipo indoeuropeo (IE).  
 
Dat. sing. virō = Dat. sing. výrui 
   < IE: -ōi
 
Acc. sing. virum = Acc. sing. výrą 
   < IE: -om
 
Voc. sing. vir = Voc. sing. výre 
  < IE: -e
Nota: 
In latino la terminazione -e è scomparsa nei nomi in -r della II declinazione, ma è presente in quelli che conservano -us al nominativo. 

Abl. sing. virō = Strum. sing. výru 
   < IE: -ōd 
 
Nom./voc. pl. virī =  Nom./voc. pl. výrai 
   < IE: -oi  

Gen. pl. virum = Gen. pl. výrų 
  < IE: -ōm
Note: questo genitivo latino continua la forma più antica, poi sostituita da virōrum < *wirōzōm

Acc. pl. virōs = Acc. pl. výrus
   < IE: -ons 

Dat./abl. pl. virīs = Strum. pl. výrais
   < IE: -ois 
 
Come spiegare queste discrepanze? Le genti baltiche sono rimaste in una condizione di grande isolamento dal mondo esterno in cambiamento tumultuoso. Giusto per fare un esempio, hanno adottato il Cristianesimo molto tardi, soltanto verso la fine del XIV secolo. Non ne sono ancora del tutto sicuro, ma credo che i sistemi grammaticali più complessi abbiano la tendenza a trovarsi tra i popoli più isolati. La questione merita di certo ulteriori approfondimenti. Sarò lieto di trattare molti altri casi di semplificazione, scomparsa e ristrutturazione della declinazione in numerose lingue di cui ho qualche rudimento.