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mercoledì 20 ottobre 2021

ETIMOLOGIA DI AZERBAIGIAN E RETROFORMAZIONE DELL'ETNONIMO AZERI

Il nome dell'Azerbaigian (adattamento italiano di Azerbaijan) è di origine persiana e deriva da quello di un'antica provincia della Persia, che era chiamata Atropatene. Ai nostri giorni è sia il nome di una nazione indipendente, la cui capitale è Baku, che di una provincia dell'Iran, chiamata Azerbaigian iraniano o Azerbaigian persiano. Quando si formò il toponimo, la lingua parlata nella regione era iranica, non turca come nell'epoca attuale. Il nome degli Azeri è stato retroformato proprio dal toponimo Azerbaijan (azero Azərbaycan, persiano آذربایجان). L'accento è sulla seconda sillaba: Azéri /a'zeri/. La consonante -z- è una fricativa sibilante sonora. La pronuncia comunemente usata in Italia, Àzeri /'adzeri/, è da considerarsi erronea per l'accento; la consonante affricata è di origine ortografica. Come esattamente sia avvenuta questa strana retroformazione è ancora un mistero. Forse si è interpretata la seconda parte del toponimo, -baijan, come un suffisso, anche se non sembra avere alcuna funzione e alcun significato concreto, scorporando in questo modo Azeri. Questo processo, che ha dato origine all'etnonimo nella forma in cui lo conosciamo, era avvenuto già nell'antica lingua iranica della regione. In persiano si ha آذری Āzarīs. Comunque sia, non esiste nulla di simile nella lingua turca degli Azeri, che chiamano se stessi Azərbaycan türkləri, ossia "Turchi dell'Azerbaigian", oppure Azərbaycanlılar (-lar è il tipico suffisso plurale). In persiano esiste anche un altro termine per dire "azero": تُرْکی torki, ossia "turco". Dall'etnonimo retroformato si è poi avuta un'ulteriore derivazione tramite il suffisso aggettivale -i: Azerbaijani

Questa è la documentazione:
 
1) In greco il toponimo Ἀτροπατηνή (Atropatēné) è la sostantivazione del femminile dell'aggettivo Ἀτροπατηνός (Atropatēnós), a sua volta derivato dall'antroponimo persiano Ἀτροπάτης (Atropátēs). L'originale forma persiana di tale antroponimo doveva essere *Ātṛpāta, in cui significato è "Protetto dal Fuoco". Questo nome fu portato da un generale dei Medi che combattè nella battaglia di Gaugamela e che fu il primo satrapo della Media Atropatena nel 328 a.C. L'antroponimo è attestato in epoca medievale come Āturpāt
2) Sinonimo di Ἀτροπατηνή: Ἀτροπατία (Atropatía). 
3) Denominazione partica dell'Atropatene: Āturpātākān.
4) Denominazione medio persiana dell'Atropatene in epoca medievale preislamica: Ādurbādagān.
5) Attestazione in armeno: Atrpatakan.
6) Attestazione in georgiano: Adarbadagan.
 
La storia medievale dell'Atropatene è complessa e tristissima. Conquistata dagli Arabi, tale provincia persiana fu sottoposta a una terribile tirannia il cui fine era l'imposizione forzata dell'Islam e l'annientamento dell'autoctona religione di Zoroastro. Fu imposta la cosiddetta "tassa dell'anima", chiamata جزية jizya in arabo. La cosa funzionava così: chi proprio non voleva convertirsi, doveva pagare una somma consistente dei suoi introiti; se non ci riusciva e perseverava nel rifiuto di passare alla nuova fede, gli veniva confiscato ogni avere e si trovava ridotto in schiavitù. In tempi recenti, tale pratica è stata applicata nello Stato Islamico. Ricordo ancora che un giornalista chiedeva agli uomini del Califfo come calcolassero l'ammontare della jizya e questi glissavano, facevano finta di non aver sentito. A motivo dei metodi brutali con cui questo regime religioso aveva ottenuto il successo, le genti dell'Azerbaigian furono infine conosciute come "musulmani di spada": la loro resistenza secolare era stata annientata col ferro e soffocata nel sangue. Nel XI secolo i Turchi Selgiuchidi, di etnia Oghuz meridionale, giunsero nell'area che già professavano l'Islam, quando il processo di conversione della maggior parte della popolazione locale si era già completato. Iniziò quindi una profonda turchizzazione linguistica. Il più significativo elemento del sostrato iranico presente nella lingua azera è a mio avviso l'assenza dell'armonia vocalica, così tipica delle lingue altaiche. I popoli Turchi in genere portano nomi antichissimi e originali. Nel caso degli Azeri, il nome è invece proveniente dalla popolazione non turca e assimilata. 

La trafila fonetica dal partico Āturpātākān ad Azerbaijan è degna di nota per i suoi fenomeni di assibilazione e di palatalizzazione. Queste sono le radici avestiche:
 
Avestico: ātarš "fuoco", genitivo āθrō "del fuoco".
Avestico: pā-, pāiti- "proteggere":
   -pāta
"protetto";
    pātā, pātar- "protettore".
   La radice è la stessa di paitiš "signore", "marito" (deriva dalla radice indoeuropea ha dato anche il latino potis "potente", "capace", etc.).
 
Tutto ciò deve far meditare sul cambiamento linguistico, una forza ineluttabile di cui le genti del mondo non si rendono conto. Si tratta di qualcosa di lento: nessuno si accorge che la generazione presente pronuncia le parole in modo lievemente diversa dalla generazione precedente. Tramite piccolissimi cambiamenti che si accumulano nel corso dei secoli, alla fine si manifestano grandi differenze. Questa evoluzione delle lingue è irreversibile come la cottura di un uovo: una volta che albume e tuorlo si sono rassodati, nemmeno una divinità può ripristinare l'originario stato liquido. Nessuna istituzione scolastica o politica è in grado di frenare il mutamento, né tantomeno di impedirlo.   
 
Grottesche memorie universitarie
 
Un fisico azero venne in visita all'Università degli Studi di Milano. Tenne la sua lezione in uno pseudoinglese tremendo, che definire osceno sarebbe ancor poco. Era assolutamente ridicolo. Un clown ubriaco avrebbe saputo fare di meglio! Queste sono alcune "perle", giunte ai nostri esausti nervi acustici: 

i) cucucucù: si sentiva spesso questa parola onomatopeica, ma non abbiamo mai compreso cosa volesse significare. 
ii) nitrina : senza dubbio significa "neutrini" ed è un termine preso a prestito dal russo scientifico.
iii) pancini pancioni: si suppone che questo balbettamento stesse per il nome del fisico Pacini
iv) La congiunzione and suonava nitidamente ènta
v) Un compagno di sventura ha giurato di aver sentito ripetere più volte qualcosa che suonava come Abdullah
vi) zanzara: si è sentita questa parola, intercalata spesso e senza alcun significato comprensibile. Si è notato che alcuni ascoltatori sentivano Abdullah e altri zanzara, mai le due cose assieme. Sono ancora in attesa di elaborare una spiegazione plausibile di questo fenomeno acustico.

Non si riesce a spiegare l'origine della maggior parte di queste distorsioni percettive: soltanto un paio sono chiare. Questo è il rumore di fondo, potenza sempre all'opera nell'Universo. È quel disturbo permanente che alla fine non ci farà comprendere i colori, i suoni e le forme dell'esistenza. 

venerdì 20 agosto 2021

IL MISTERO DEL VINO DI SICOMORO

Il sicomoro (Ficus sycomorus) era molto considerato nell'antico Egitto, essendo l'albero sacro alla Dea Hathor, patrona della fecondità. Era anche chiamato "albero dell'Eternità" e "albero dei Faraoni": col suo legno venivano fabbricati i sarcofagi. I frutti del sicomoro, simili a fichi di colore chiaro e rossiccio, erano un cibo molto apprezzato. Provenendo da un albero sacro, erano associati all'immortalità e spesso venivano posti nelle tombe come offerta per i defunti. Oltre a questo, con tali fichi veniva prodotta una bevanda inebriante, che è da tempo scomparsa. A quanto pare era forte, al punto che bruciava la gola ed era paragonato alla fiamma (vedi The Fig in Ancient Egypt su Reddit). Diversi anni fa mi sono imbattuto in contributi di navigatori che si chiedevano perché il vino di sicomoro non fosse più stato prodotto. Non ho più trovato tracce dei loro interventi, ma cercherò di dare una risposta a questo importante interrogativo. 
 

Non mi stupisce troppo l'incapacità di trovare qualsiasi traccia di uno specifico termine egiziano per indicare una bevanda prodotta dai fichi del sicomoro. Col passaggio al Cristianesimo, caddero in disuso e furono obliate molte parole che appartenevano alla sfera semantica degli antichi culti. Altre furono invece conservate in copto, perché non suscettibili di ricevere un'interpretazione positiva in senso cristiano. A scomparire furono proprio quelle parole che non poterono subire l'esaugurazione, perché i concetti che esprimevano erano incompatibili con la nuova religione, che non fu esente da manifestazioni di fanatismo e di furore iconoclastico. Qualcosa di simile come accadde anche in latino, dove parole come templum e altāre si conservarono, mentre i sinonimi fānum e āra furono colpite da interdetto e scomparvero dalla lingua popolare. 
 
Si potrebbe dedurre che il vino di sicomoro era bevuto unicamente in occasione di rituali funebri, motivo per cui finì con l'essere abolito. La sua memoria si sarebbe quindi persa rapidamente. Non sono però chiari i dettagli di questo processo di scomparsa di un'antica eredità. 
Sbagliano coloro che hanno ipotizzato che la causa della scomparsa di questa bevanda sia stato l'Islam. Evidentemente non era già più conosciuta quando gli Arabi hanno conquistato l'Egitto. Per quanto la Shari'a proibisca l'alcol, non è sempre stata applicata con lo stesso rigore e non si può pensare che abbia causato la completa scomparsa di ciò che considera haram. Fautori dell'uso smodato del vino non sono mancati dalla Turchia alla Spagna moresca, così come i pederasti! Dovremmo pensare che il fanatismo cristiano in Egitto sia stato molto più efficace, eliminando tutto ciò che era intrinsecamente connesso con i riti pagani. Il problema non era il potere ubriacante della bevanda, bensì il fatto che fosse offerta alle divinità antiche e che non avesse alcun uso profano.  
Forse un simile tabù era già da tempo presente presso gli Ebrei. Sarebbe assurdo poter disporre di una risorsa abbondante come i frutti di sicomoro e non sfruttarla per la produzione di bevande alcoliche, quando basterebbe poco per farlo. Esisteva persino la professione di raccoglitore di fichi di sicomoro. La raccolta non veniva eseguita manualmente, bensì servendosi di strumenti affini a rastrelli, dato che i frutti crescono anche sul tronco degli alberi. Non sappiamo se questi fichi entrassero a far parte della produzione della sicera, assieme ad altri ingredienti, anche se non come unica componente. Non dispendo di sufficienti dati per definire la questione, ho pensato che fosse interessante chiedere a un rabbino molto esperto un'opinione per chiarire meglio questi dubbi, se nelle consuetudini israelitiche esista qualche interdizione a questo proposito. Ho quindi trovato un'inattesa pista sul Web, che mi ha permesso di giungere a una conclusione ragionevole.  

La soluzione del mistero 

Una neopagana che si fa chiamare Hearth Moon Rising riporta nel suo sito un'importante informazione. La pagina è la seguente:  


Questo è il testo tradotto: 
 
"Non sono stata capace di scoprire tramite i miei libri o una ricerca in Internet se il fico del sicomoro sia mai stato fermentato per i riti di Hathor. Ho scoperto che questo fico è talvolta davvero fermentato in vino, ma che ha un gusto di aceto che lo rende più adatto come medicina che come divertimento."
 
Il vino di sicomoro conteneva alcol acetico, ossia etanolo con tendenza a generare acido aceto, che conferiva un tipico sapore acido e irritante. Ecco perché si diceva che "bruciava la gola". Era bevuto soltanto per finalità religiose perché non era buono. Ho avuto esperienza di vino e di idromele in incipiente stato di inacetimento. Nel primo caso era un vino vecchio e imbottigliato male. Nel secondo caso era un idromele prodotto da amici a partire da una decozione conservata in condizioni non ottimali. La sensazione di entrambe le bevande era la stessa. Erano ancora commestibili, ma berle dava un certo fastidio e infiammavano le vie urinarie. La bevanda sacra alla Dea Hathor doveva essere simile. Una divinità egizia poteva imporre ai suoi devoti le cose più stravaganti, anche baciare il culo dei babbuini! Figuriamoci se era un problema bere una pozione un po' acida. Il punto è che quando la gente è diventata cristiana, nessuno glielo faceva più fare di ingurgitare qualcosa di poco gradevole. Allo stesso modo, il popolo di Israele non aveva motivo alcuno di usare quei fichi asprigni per la produzione di alcolici, quando disponeva di buona uva, frutta adatta, cereali e miele. Con questo, il mistero è risolto. 
 
Note etimologiche

Questa è l'evoluzione del nome del sicomoro nella lingua degli Egizi dalle origini al suo periodo finale: 

 
Egiziano (Antico Regno)
nht "sicomoro" (pronuncia /'na:hat/
 
Egiziano (Medio Regno)
nht "sicomoro" (pronuncia /'na:ha/
 
Egiziano (Nuovo Regno) 
nht "sicomoro" (pronuncia /'nɔ:hə/, /'no:hə/)
 
Copto
ⲛⲟⲩϩⲉ (pronuncia /'nu:hə/
 
Da questo fitonimo deriva il nome di persona maschile Sinuhe, che significa "Figlio del Sicomoro". Nell'Egiziano del Medio Regno doveva pronunciarsi /siˀ'na:ha/. Si deve notare che il nome, di genere maschile, contiene un elemento che è morfologicamente femminile.
 
Questo è il nome del sicomoro in alcune importanti lingue semitiche:  

Ebraico 
שִׁקְמָה  šiqmā "sicomoro" (pronuncia biblica /ʃiq'ma:/
        altre trascrizioni: shikma, shikmah
     singolare costrutto: שִׁקְמַת־  šiqmat "sicomoro di"
     plurale: שִׁקְמִים  šiqmīm "sicomori" 
     plurale costrutto: שִׁקְמֵי־‎‎  šiqmē "sicomori di"
Note: 
Il singolare è di genere femminile, il plurale è invece di genere maschile. Indica l'albero e il suo frutto. 

Aramaico 
šeqmā "sicomoro" (albero e frutto) 
      (prestito dall'ebraico) 
   altri significati: "fico selvatico", "fico acerbo" 
   variante: šqem, šiqmā, šaqmā "sicomoro" 
   plurale: šiqmīn "fichi di sicomoro"
   plurali alternativi: šeqmātā, šeqmē 
tittā "sicomoro" (frutto) 
   varianti ortografiche: titā, tettā 
Note: 
Il vocabolo tittā, attestato come designazione del fico del sicomoro, è affine all'accadico tittu, tētu "fico" e all'ebraico תְּאֵנָה  te'ēnā "fico". In aramaico esiste anche tā "mora di gelso; emorroide", affine all'accadico tuttu "mora di gelso" e all'ebraico תוּת t "mora di gelso".

Accadico 
messikanu "sicomoro" (varianti: musukanu, musukannu,
    mesukannu, etc.);
sukannu "sicomoro" 
Note: 
Si tratta di prestiti dal sumerico (vedi sotto). Alcuni ritengono che in ebraico si trovi parola isolata mesukkān "sicomoro" in Isaia 40, 20, ma non sono sicuro che sia vero: sembra invece che sia un fraintendimento di הַֽמְסֻכָּ֣ן hamsukkān "impoverito, danneggiato". La questione sembra non essere risolta a tutt'oggi, ci sono studiosi che insistono col dire che mesukkān è un albero, anche se la traduzione "sicomoro" non è accettata da tutti. Secondo Haupt (1917), l'albero sarebbe invece da identificarsi con l'Acacia nilotica. Se questo vocabolo esistesse, sarebbe evidentemente un prestito dal sumerico tramite l'accadico.  
 
Arabo  
جُمَّيْز  jummayz "sicomoro" 
سَوْقَم  sawqam "sicomoro" (Yemen, obsoleto)
سَقُوم  saqūm "sicomoro" (Algeria) 
Note: 
Il primo di questi nomi del sicomoro, jummayz, ha una corrispondenza nell'ebraico mishnaico: גמזיות "sicomori", con ogni probabilità da vocalizzarsi come gummazyōt. I due nomi sawqam e saqūm sono chiari prestiti dall'aramaico.

Questo è il nome del sicomoro nella lingua di Sumer: 

Sumerico 
1) šam "sicomoro" (glosse accadiche: "sukannu",
    "musukanu", fonte: Uruanna, II.509); 
2) giš mes maganna "sicomoro", alla lettera "albero
     di Magan" (giš è un determinativo e non si pronuncia). 
Note: 
Magan era un paese mitico la cui identificazione finora non è stata determinata con sicurezza. Alla luce di questa evidenza, finora negletta, può essere identificato con l'Oman: l'unica delle terre proposte ove cresce il sicomoro. Resta però il fatto che questo vocabolo avrebbe potuto indicare anche alberi diversi. Sarebbero necessari studi più approfonditi.  
Chiaramente l'accadico messikanu (e varianti) è derivato proprio da giš mes maganna.

Sicomoro e sicamino 

In greco σῡκόμορος (sykómoros) è etimologizzato come "fico-gelso", da σῦκον (sŷkon) "fico", μόρον (móron) "mora di gelso". Si tratta di un'etimologia popolare. In realtà la parola sembra un adattamento dell'ebraico šiqmā (vedi sopra). Si tratta però di un ragionamento circolare, in quanto il nome ebraico del sicomoro è a sua volta derivato dalla stessa radice mediterranea da cui hanno avuto origine anche il greco σῦκον e il latino fīcus (verosimile prestito dall'etrusco). Esiste poi in greco un altro fitonimo collegato a questo: συκάμινος, variante συκάμνος "gelso bianco", "gelso nero", che nel greco d'Egitto è usato anche col significato di "sicomoro". Questa parola è derivata direttamente dal plurale aramaico šiqmīn "fichi di sicomoro" ed è passata in latino come sȳcamīnus
 
Ancora su un equivoco
 
Il vino di sicomoro è menzionato nell'opera di Paolo Mantegazza, Quadri della natura umana. Feste ed ebbrezze (1871). Il fisiologo monzese ha riportato in un elenco un gran numero di bevande fermentate, con una breve nota sulla sua produzione e spesso anche sul paese in cui sono usate. Molte informazioni sono preziose, altre sono invece abbastanza discutibili. Così egli scrive:
 
Vino di sicomoro, succo dell'albero. Inghilterra 
 
A questo punto mi viene un sospetto. Mantegazza deve aver commesso lo stesso errore in cui è incappato Michel Houellebecq, definendo "sicomoro" l'acero montano. La causa è senza dubbio derivata dall'uso volgare di chiamare "sicomoro" svariate specie di aceri e persino il platano (sycomore o sycamore in inglese, sycomore in francese). Questa abitudine deprecabile è contraria all'etimologia della parola e di certo è derivata dall'ignoranza di qualche autore moderno: ancora nel XIV secolo il francese sicamour indicava correttamente la pianta africana e mediorientale di biblica memoria.    

lunedì 26 luglio 2021

IL MISTERO DELLA LINGUA BRAHUI

La lingua Brahui (براہوئی /bra:hu:i/, scritto anche Brahoi, Brahvi) appartiene alla famiglia delle lingue dravidiche ed è parlata da una parte dell'omonimo gruppo etnico di pastori. I Brahui abitano in prevalenza una ristretta area del Pakistan centrale (Provincia del Belucistan), che comprende Quetta a nord, proprio dove è stato abbattuto Osama bin Laden, spingendosi a sud fino a Las Bela. Se ne trovano comunità sparse anche in Afghanistan, in Iran e in Turkmenitan (intorno alla città di Merv). Si stima che in totale i parlanti siano circa 2.864.000, di cui 2.640.000 in Pakistan, in massima parte bilingui: i Brahui del Pakistan utilizzano anche il Beluci (بلۏچی Balochi, Baluchi), una lingua iranica nordoccidentale. Va notato che per molti gruppi tribali il Brahui è ormai una seconda lingua, mentre altri hanno perso completamente la sua conoscenza.  
 
Se si dà anche solo un'occhiata alla mappa che mostra la diffusione delle lingue dravidiche, si vede subito che la lingua Brahui è un outlier, assai distante dalle aree in cui le lingue della stessa famiglia sono parlate (più di 1.500 km, corrispondenti a 930 miglia). Come spiegare una simile anomalia?

Fonte: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Dravidian_subgroups.png 
Mappa originale di User:BishkekRocks, ricolorata da User:Kanguole
 
Il problema, non di poco conto, riguarda l'origine storica della lingua Brahui, su cui non c'è in ultima analisi alcun consenso. Queste sono in estrema sintesi le opinioni sull'argomento: 
 
1) Il Brahui è un residuo di una situazione anteriore alla diffusione delle lingue indoarie, in cui erano parlate lingue dravidiche anche nel nord dell'India; 
2) Il Brahui è l'esito di una migrazione recente dal subcontinente indiano, in genere fatta risalire all'XI secolo e secondo alcuni ancor più tarda (vedi sotto). 
 
Purtroppo nel corso degli anni la spinosa questione si è intrecciata senza sosta all'ideologia e alla politica, come c'era da aspettarsi, ingarbugliandosi sempre più. Va comunque detto che l'idea dell'origine antica del Brahui è prevalente nel mondo accademico, anche se non mancano polemiche. Un punto ancor più controverso è la possibilità o meno di una connessione di quest'isola linguistica dravidica con la misteriosa civiltà della Valle dell'Indo, che andò in crisi nel 1800 a.C. e scomparve. Brancoliamo nel buio e sono costretto a proseguire il discorso in altra sede. Tornando alla nostra discussione sulla lingua Brahui, questi sono i punti di vista di alcuni autorevoli studiosi:
 
    i) Josef Elfenbein (1989) ha sostenuto la teoria dell'origine antica, ritenendo che i parlanti della lingua Brahui fossero parte della migrazione dravidica verso l'India settentrionale, avvenuta nel III millennio a.C.; essi sarebbero rimasti nelle regioni attualmente chiamate Sarawan e Jahlawan, non seguendo il movimento demico dei loro parenti diretti nel sud e nell'ovest del subcontinente. 
   ii) Paul Sergent (2007) è invece un convinto sostenitore dell'origine recente e della provenienza dall'India centrale, addirittura nel XIII o nel XIV secolo. Ha scritto quanto segue: 

"Les bases factuelles de cette opinion ont été ruinées dès 1987... En fait le brahoui a quitté tardivement, durant notre Moyen Âge, le nord-Ouest du Deccan pour s'installer au Baloutchistan, il ne peut donc plus constituer ni une preuve, ni un indice du caractère dravidophone des hommes qui vivaient au bord de l'Indus plus de 3 000 ans avant."
 
Traduzione: 

"Le basi fattuali di questa opinione sono andate in rovina già nel 1987... Infatti, il Brahui ha lasciato il nord-ovest del Deccan in epoca tarda, durante il nostro Medioevo, per stabilirsi in Belucistan, quindi non può più costituire né una prova, né un'indicazione di il carattere dravidofono degli uomini vissuti sulle rive dell'Indo più di 3.000 anni prima." 

Si nota subito che tale teoria si scontra con svariate evidenze, non soltanto linguitiche. Non credo che sia possibile identificare la lingua parlata da un individuo ormai mummificato partendo dall'analisi del genoma e dal reperimento di alcuni aplogruppi; tuttavia ci si aspetterebbe che i Brahui, se fossero davvero migrati in epoca tanto recente dal subcontinente indiano, manterrebbero una somiglianza genetica con i Dravida. Non è stato riscontrato nulla di simile: i Brahui non hanno alcuna differenza genetica evidente rispetto ai loro vicini iranici e indoarii.
    iii) David McAlpin (1975), ossessionato dall'idea di una stretta parentela tra il proto-dravidico e l'elamico, ha ritenuto il Brahui come una prova delle sue argomentazioni. A conti fatti, mi sembra che non sia possa ricostruire una protolingua elamo-dravidica. In altre parole, l'antica lingua di Elam non mostra speciali affinità con le lingue dravidiche: le presunte somiglianze nella morfologia, elencate da McAlpin, sembrano tutto fuorché convincenti. Un'origine comune dell'elamico e del protodravidico sarebbe in ogni caso remota.  

I Brahui non hanno alcuna memoria tradizionale di una migrazione dall'India centrale o meridionale. Hanno invece l'idea stravagante di una remota provenienza dalla Siria.
 
La sopravvivenza di una lingua di origine dravidica parlata da comunità senza alcun contatto con i Dravida dell'India è potuta avvenire soltanto a prezzo di una penetrazione profonda di elementi lessicali indoeuropei e arabi, questi ultimi importati per influsso dell'Islam. I Balochi, con cui i Brahui hanno avuto intensissimi contatti linguistici, si sono stanziati nell'area soltanto a partire dall'XI secolo. Ho sentito dire dai sostenitori delle idee di Sergent che mancherebbero in Brahui prestiti dall'avestico e dal persiano antico. Benissimo, ribatto con una domanda: dove diamine sono i prestiti dal sanscrito?     
 
Ecco la composizione del lessico Brahui: 
 
Origine dravidica: 15% 
Altra origine iranica (Balochi, Farsi e altro): 20% 
Altra origine indoiranica (Sindhi e altro): 20% 
Arabo (tramite il Farsi): 35%  
Origine ignota (sostrato ignoto): 10% 

Per via della natura estremamente composita del suo lessico e per l'incertezza di molte etimologie, la lingua Brahui è stata definita un "incubo etimologico". 
Le informazioni da me riportate si possono trovare facilmente nel Web. A me piace però fornire la ciccia. Elenco così una lista di parole di origine dravidica nel Brahui, tratta dai lavori di George Starostin, figlio del compianto Sergei (zikhrono livrakha), che sono consultabili nell'immenso database online The Tower of Babel. Ho selezionato i lessemi con estrema attenzione; non escludo però che ce ne siano altri.  



Note sull'ortografia adottata per trascrivere le parole Brahui: 

c è un'affricata palato-alveolare /tʃ/ (come ch in inglese) 
lh è una laterale sorda aspirata /ɬ/ (come ll in gallese) 
sh è palatale /ʃ/ (come sh in inglese) 
x è una fricativa velare sorda /x/ (come ch in tedesco) 
gh è una fricativa velare sonora
, , , sono suoni retroflessi (cacuminali) 
j è un'affricata palato-alveolare /dʒ/ (come j in inglese) 
Le protoforme dravidiche seguono un'ortografia in parte diversa, in cui j è un'approssimante palatale (come y in inglese) o una coda di dittongo. 

Parole di origine dravidica:

aḍ "riparato; riparo, protezione"
   proto-dravidico *áḍḍa-, *aḍái- "ostacolare"

ainō, annō "oggi"
   proto-dravidico *i-ned- "oggi"

all-, prefisso verbale negativo
   proto-dravidico *al-, morfema negativo

alla "commozione"
   proto-dravidico *alá- "soffrire"

allī "schema di ricamo"
   proto-dravidico *al- "tessere, intrecciare"

ammā "madre; nonna; termine onorifico per riferirsi a una donna" 
   proto-dravidico *áma- "madre" (onorifico)

anning "essere" (temi: an-, ar-, as-, a-)
   proto-dravidico *ā- / *an-

appā "cibo per bambini"
   proto-dravidico *ápa- "torta di farina di riso"

arē "uomo, individuo di sesso maschile; persona; marito", 
pl. arisk "uomini"
   proto-dravidico r-, d-
"maschio"

asiṭ "uno" (un'entità) 
asi "uno" (forma aggettivale) 
   proto-dravidico *or- "uno" (derivazione dubbia)

avalēnging "diventare confuso, sentirsi in imbarazzo"
   proto-dravidico *aval- "turbamento; confusione"

āvāning "sbadigliare"
   proto-dravidico *āv- "sbadigliare"

balun "grande, grosso, anziano, adulto"
   proto-dravidico *val- "grande; molto"
 
banning "venire" (temi: bar-, ba-)
   proto-dravidico *vā-[r]- "venire"

"bocca, apertura; filo di un coltello"
   proto-dravidico *vāj- "bocca; filo (di una lama)"

bārring, bārringing "seccarsi; allenarsi per una gara; maturare 
     (di mais), inaridirsi, appassire, irrigidirsi",
bārifing "essiccare",
bārun "secco"
   proto-dravidico *vad- / *vat- "seccarsi, appassire"

bāsing, bāsinging "diventare caldo"
   proto-dravidico *v
ē- "essere caldo"

bei "erba adatta al pascolo; qualsiasi arbusto adatto al pascolo"
   proto-dravidico *vaj- "paglia di riso"

"su, sopra"
   proto-dravidico *mē-[l-] "su; altezza; bello, buono"

bēnifing, bērifing "coprire di paglia"
   proto-dravidico *ve[ń]s- "coprire di paglia"

bil "arco"
  proto-dravidico *vil1 "arco"

bining "udire, sentire"
   proto-dravidico *ven- "udire, sentire"

birr "selvaggio, indomito; timido"
   proto-dravidico *ver- "matto"

birring "separare, selezionare, distinguere"
   proto-dravidico *vēt- / *vēd- "separare"

bising, bisinging "essere cotto, essere maturo"
   proto-dravidico *vis- "cuocere, scaldare al sole"

biṭ "mucchio, collinetta"
   proto-dravidico *veṭ- "montagna; costa"

biṭing "gettare, buttare giù, scaricare, lasciar cadere, vagliare, buttare via, gettare; scendere, scendere, stabilirsi, (la neve) cade, stendersi"
   proto-dravidico *viḍ[i]- "lasciare"

bīra "semplicemente, soltanto"
   proto-dravidico *vejr- "vuoto; solo"

calēnging "incrinarsi, spaccarsi"
   proto-dravidico *sel-, *cel- "spaccare"

cāing "comprendere, conoscere, realizzare, considerare"
   proto-dravidico *tēr- "essere chiaro, evidente"

cōṭ "storto, a zigzag; di carattere storto"
   proto-dravidico *coṭ- "zoppo"  

cugh "nuca"
   proto-dravidico *Cu[g]- "spalla; nuca"

cunak "piccolo"
   proto-dravidico *čin- "piccolo"

curring "fluire, zampillare"
   proto-dravidico *cor- "fluire"

cuṭ "goccia"
   proto-dravidico *Coṭ- "gocciolare, goccia"

cūping "succhiare"
   proto-dravidico *cu[b]- succhiare

darō "ieri"
   proto-dravidico *nēr- "ieri"

daṛing "scendere, andar giù, smontare"
   proto-dravidico *tā- "cadere in basso; abbassare"

"questo"
   proto-dravidico *a- / *ā- "quello"

"sole, luce del sole; giorno, tempo"
   proto-dravidico *nē-r- "tempo; sole"

dē(r) "chi" (base interrogativa, sing. o pl.)
   proto-dravidico *jā-, *ja-, base interrogativa

ditar "sangue"
   proto-dravidico *nej-tor "sangue"

dīr "acqua; succo"
   proto-dravidico *ńīr- "acqua"

durrēnging "osare, avventurarsi"
   proto-dravidico *toḍ- "cominciare; essere pronto"

gaṭ "morso"
   proto-dravidico *k̂aṬ- "mordere"

ghuḍḍū, guḍḍū "piccolo; monello"
   proto-dravidico *guḍ- "piccolo"

ghurring "grugnire"
   proto-dravidico *gur- "ruggire; russare"

hal "ratto"
   proto-dravidico *èl- "ratto"

halling "afferrare; comprare; prendere assieme"
   proto-dravidico *aḷ-a- "mescolare; raggiungere, avvicinarsi"

hamping "caricare, caricare e andare; iniziare; partire; essere cancellato"
   proto-dravidico *an-p- "caricare; mandare via"

hanēn "dolce"
   proto-dravidico *in- "dolce"

haninging "copulare" (detto di esseri umani)
   proto-dravidico *aṇái- / *anḍ- "congiungere, unire"

harrifing "indagare, chiedere"
   proto-dravidico *jed-, *jer- "conoscere"

harring "rompere, frantumare"
   proto-dravidico *ar- (*ad-) "tagliare"

(h)aṛsing "girare qualcosa indietro o girare, cambiare, tornare indietro; riprendersi; attaccare di nuovo (detto di malattia)"
   proto-dravidico *eḍ- "essere distante, separato"
   (attribuzione dubbia)

hēl "conoscenza, saggezza"
   proto-dravidico *ēḷ- "saggezza"

hēling "stendere (tappeti, panni da asciugare, tovaglie)
   proto-dravidico l- "ricevere; conferire"

hēṭ "capra femmina"
   proto-dravidico *jōḍ- "capra"

hining "andare, partire, sparire; avere la diarrea"
   proto-dravidico *ej- "arrivare"

hīning "dare alla luce" (detto di pecora, capra, vacca, etc.)
   proto-dravidico *īn- "partorire giovane"

lh "mosca"
   proto-dravidico *īp- "ape; mosca" 
   (attribuzione dubbia)

hōr "dito (della mano)"
   proto-dravidico *ògir "artiglio, unghia"

hunning "guardare, cercare, aspettare, considerare"
   proto-dravidico *un- "pensare"

hushing "dare fuoco, bruciare, bruciare, rendere febbricitante, bruciare di rabbia"
   proto-dravidico *kos- "bruciare"
   (attribuzione dubbia)

(h)ūling, hūlāiing "ululare"
   proto-dravidico *ūḷ- "ululare"

hūring "scoppiare (di foruncoli), germogliare (di raccolti)"
   proto-dravidico *ur-, *ūr- (-d-) "trapelare, trasudare"

(h)ūringing, (h)ūrēnging "gonfiarsi, rompersi (detto di bolle, etc.); germogliare"
   proto-dravidico *ur-, *ūr- "traboccare, gonfiarsi"

iragh "pane, cibo"
   proto-dravidico *ir- "cibo"

iraṭ "due" (due entità), 
irā "due" (forma aggettivale)
   proto-dravidico *ir- "due"

iris "pettine"
   proto-dravidico *ir-Vc- "grattare (il terreno); pettinare"

ī "io" (obl. kan-)
   proto-dravidico *njān "io"

ī-, base declinata per caso, a cui si aggiungono i pronomi suffissi
      enclitici
   proto-dravidico *i- "questo"

īlum "fratello", 
īṛ "sorella"
   proto-dravidico *
īḷ-[aj-] "giovane"  

jaxxing "imbattersi; trafiggere"
   proto-dravidico *ǯak- "forare"

kahing "morire; spegnersi (detto del fuoco)", 
kasfing, kasifing "uccidere" 
   proto-dravidico *k̂āi- "morire"

kalūṛ "ceneri"
   proto-dravidico *kāḷ- "bruciare" (attribuzione dubbia)

kanning "fare; fingere se stesso; essere capace"
   (temi: kar-, ka-, kē-
   proto-dravidico *kej- "fare"

karrak "banco, riva, orlo, bordo, bordo, vicino"
   proto-dravidico *kar- "banco; ponte; bordo"

kā- "andare; partire"
   proto-dravidico *k̂ā- "andare"

ki-, kī-, kē- "sotto, giù"
   proto-dravidico *kīẓ- "inferiore; in basso"

kirēng "abuso",  
kirk "rancore"
   proto-dravidico *kir- "rabbia; arrabbiato, dispiaciuto"

kishking "strappare, staccare"
   proto-dravidico *kic- "pizzicare"

kīsh "pus; muco"
   proto-dravidico *k̂ī- "pus; marcire"

kubēn "pesante"
   proto-dravidico *k̂um- "portare sulla testa"

kuning "mangiare; bere; mordere; soffrire; sopportare"
   proto-dravidico *uṇ- "bere; mangiare"
   (attribuzione dubbia)

kūring "arrotolare, fare piazza pulita"
   proto-dravidico *k̂ūr-[Vḷ-] "girare, torcere"

malēnṭ "pecora o capra che ha smesso di produrre latte"
   proto-dravidico *mal- "sterile"

maling "aprire; disfare; slegare"
   proto-dravidico *mal- "aprire" (es. un fiore)

manning "divenire; essere"
   proto-dravidico *man- "essere"

margh "corno"
   proto-dravidico *mar-[g-] "corno"

mash "collina, montagna"
   proto-dravidico *màl- "montagna" (attribuzione dubbia)

mashāx "sfregiato"; "privo di corna (detto di animali)"
   proto-dravidico *mac- "macchia, chiazza"

maṭ "denso, spesso" (detto di capelli, giungla, tessuto o fior di latte)
   proto-dravidico *manḍ- "chiuso,
serrato; affollato"

maun "nero, scuro (detto di notte)"
   proto-dravidico *mā- "nero; scuro"

māmā "zio materno"
   proto-dravidico *mām- "fratello della madre"

mār "figlio, ragazzo"
   proto-dravidico *màd- "figlio"

miring "stuccare, intonacare"
   proto-dravidico *meẓV- "ungere"

lh "fumo"
   proto-dravidico *mōl- "fumo" (ricostruzione dubbia)

mōn "davanti"
   proto-dravidico *mun- "davanti"

mōṭ "scemo, stupido"
   proto-dravidico *mōṭ "scemo"

mukking "balbettare"
   proto-dravidico *muk- "fare uno sforzo; grugnire"

murū "lepre"
   proto-dravidico *mundjal "lepre" (ricostruzione dubbia)

musiṭ "tre" (tre entità), 
musi "tre" (forma aggettivale), 
musīka "tre volte"
   proto-dravidico *mū- "tre"

must "chiuso"
   proto-dravidico *muj-S- "coprire"

mutkun "vecchio; cosa vecchia"
   proto-dravidico *mūt- "vecchio"

muṭṭux "nodo, fascio; annodato"
   proto-dravidico *muṬ- "nodo (di capelli); annodare i capelli"

mux "cintola, fianchi"
   proto-dravidico *mòl- "grembo; cintola"

nan "noi"
   proto-dravidico *njām "noi" (esclusivo)

nan "notte"
   proto-dravidico *ńaḷ- "notte"

narring "fuggire, scappar via"   
   proto-dravidico *ńar- / *ar- "aver paura"

"tu"
   proto-dravidico *njīn "tu"

num "voi" (obl. num-)
   proto-dravidico *njīm "voi"

nusing "macinare"
   proto-dravidico *nūd- "macinare"

pacx "guscio, corteccia"
   proto-dravidico *pač- "pelle, corteccia" 
   (ricostruzione incerta)

paddām "gonfiore, distensione"
   proto-dravidico *padd- "umidità, disteso, gonfiato"

lh "latte; succo lattiginoso delle piante"
   proto-dravidico *pāl "latte"

pāning "dire, parlare, raccontare, parlare di qualcosa, chiamare una cosa, dire a se stessi"
   proto-dravidico *paṇ- "comandare, parlare; mandare"

pic "muco degli occhi"
   proto-dravidico *pic- "muco degli occhi"

piḍ "ventre, stomaco"
   proto-dravidico *piẓig- "viscere, interiora"

pillōta "povero bambino, bambino piccolo, orfano, miserabile"
   proto-dravidico *piḷ- "giovane ragazza"

pilhing "schizzare, far schizzare, massaggiare, spremere"
   proto-dravidico *piẓ- / *pinḍ- "far schizzare; mungere"

pin "nome"
   proto-dravidico *pendj-[ar] "nome"

pinning "essere intrecciato"
   proto-dravidico *piṇ- / *pīnḍ- "intrecciare, torcere"

pir "pioggia"
   proto-dravidico *pid- "pioggia"

pirghing "intrecciare (una corda, etc.)"
   proto-dravidico *pir- "torcere, girare"

pirghing "rompere, trasgredire, risolvere (un indovinello)"
   proto-dravidico *pir-i- "spaccare, aprire"

piring "gonfiarsi"
   proto-dravidico *Per- "grande"

"merda, escrementi" (di umani o di uccelli)
   proto-dravidico *pī- "escremento"

gh "carbonella"
   proto-dravidico *bog- / *posaŋ- "carbonella"
   (ricostruzione dubbia)

pōling "macchia; macchia sul proprio carattere"
   proto-dravidico *pol- "cattivo, meschino; sporco, inquinamento"

pōrring "covare uova"
   proto-dravidico *pōr- "covare uova"

pōs "vagina"
   proto-dravidico *poč- "vulva"

pudēn "freddo, fresco, non infiammato; stantio (detto di pane)"
   proto-dravidico *podr- "inzupparsi, inumidirsi, gonfiarsi

putunk "fascio, nodo, corda annodata"
   proto-dravidico *pot- "seppellire; coprire; bosco"

puṭ "capelli"
   proto-dravidico *buẓC- "piuma; capelli" 

"verme, cagnotto, bruco" 
   proto-dravidico *puẓ- "verme; insetto"

pūskun "nuovo, fresco; recentemente"
   proto-dravidico *pucn- "nuovo"

pūshkun "giallo"
   proto-dravidico *pūc- "verde; giallo"

pūt "ombelico; cordone ombelicale"
   proto-dravidico *boḍ- "ombelico"

pūtuṛō "vescica"
   proto-dravidico *poṭ- "vescica"

saling, salīng "stare in piedi, alzarsi in piedi; restare con; sopravvivere;  fermarsi, cessare da"
   proto-dravidico *sal- "stare in piedi" (ricostruzione dubbia)

sil "pelle, pelle di serpente, buccia di frutta, scorza"
   proto-dravidico *Sil- "staccarsi"

"carne"
   proto-dravidico *Sav- "carne" (ricostruzione dubbia)

taḍ "potere di resistere"
   proto-dravidico: *tanḍ- "ostruire, ostruzione"

tafing "legare; stregare; costruire (un terrapieno); diventare congelato, raccogliere (di nuvole)"
   proto-dravidico *taḷ- "legare, incatenare"

tahō "vento"
   proto-dravidico *tāk- "vento" (ricostruzione dubbia)

lh "scorpione"
   proto-dravidico *tēḷ- "scorpione"

tēn "sé, me stesso, te stesso, se stesso, noi stessi, ecc."
   proto-dravidico *tān "egli, se stesso"

tining "dare"
   proto-dravidico *ta- "portare; dare (a I/II pers.)"

tīn "caldo torrido, calura"
   proto-dravidico *tjī- "bruciare"

-tōl "uovo", in zartōl "uovo di tartaruga"
   proto-dravidico *tōl- "uovo"

tōla "sciacallo"
   proto-dravidico *tōnḍl- "lupo, sciacallo"

tōning "mantenere, trattenere, respingere, frenare"
   proto-dravidico *toṬ- "toccare 

trikkal "treppiede di tre bastoni su cui è appesa la tenda"
(tri- "tre" è indoario)
   proto-dravidico *kāl- "gamba, piede"  

trikking "germogliare; sporgere"
   proto-dravidico *ter- "grinza; piega"

tugh "sonno, sogno"
   proto-dravidico *turŋ- "appendere; oscillare; dormire"

tusing, tusēnging "svenire, perdere i sensi"
   proto-dravidico *dos- "afflizione; calamità; stanchezza"

tūling "sedere, sedersi, rimanere seduti; aspettare; abitare; fare
      qualcosa con calma; rimanere zitella"
   proto-dravidico *Cunǯ- "dormire"
   (attribuzione dubbia)

urā "casa; moglie"
   proto-dravidico *ūr- "villaggio"

ust "cuore, mente; dentro; nòcciolo"
   proto-dravidico *uS- "vita, vivere"

uṭ "essere" (pres. I pers. sing.)
   proto-dravidico *ul-[u-]/[d-] "essere"

xaf "orecchio"
   proto-dravidico *kev- "orecchio"

xal "pietra, masso"
   proto-dravidico *kal- "pietra"

xalling "abigeare
   proto-dravidico *kaḷ- "rubare"

xalling "sradicare; raccogliere (verdure, erba per foraggio)
   proto-dravidico *kaḷ- "sradicare"

xalling "colpire, uccidere, sparare (con una pistola), lanciare pietre  
   proto-dravidico *kol- "uccidere"

xan "nodo nel legno"
   proto-dravidico *gaṇ- "giuntura"

xan "occhio"
   proto-dravidico *kaṇ- "occhio"

xaning "vedere"
   proto-dravidico *qan- "vedere"

xar "arrabbiato"
   proto-dravidico *kar- "rabbia; inimicizia"

xarās "toro, torello"
   proto-dravidico *k̂aḍ- "vitello; cervo"

xarēn "amaro"
   proto-dravidico *kaḍ- "amaro; affilato; severo, crudele;
   eccessivo, grande"

xarring "germogliare",  
xarrun "verde"
   proto-dravidico *kōẓ-, *koẓ- "giovane; germoglio"

xarring "procedere a piedi; fare la propria strada"
   proto-dravidico *k̂aḍ-a- "attraversare"

xāxar "fuoco; rabbia, gelosia"
   proto-dravidico *kāj- "essere caldo; secco"

xāxō "corvo"
   proto-dravidico *kāk- "corvo"

xāxūr "damigella di Numidia" (tipo di gru)
   proto-dravidico *korŋ- "gru; airone"
   (attribuzione dubbia)

xēr "dietro" (prep., avv.)
   proto-dravidico *kēr- "lato"

xīsun "rosso; oro"
   proto-dravidico *ke- "rosso scuro"

xōl "grembo; prole; viscere; trama"
   proto-dravidico *kōl- "ventre, grembo"

xuling (xulī-) "temere"
   proto-dravidico *kul- "scuotere; temere"

xuning, xinzing, xīzzing, xuzzing "muoversi in posizione seduta o
      accovacciata"
   proto-dravidico *gunǯ- "spingere"

xurrukāv "il russare"
   proto-dravidico *kūr- "abbaiare; fare rumore"

xurrum "granaio sotterraneo"
   proto-dravidico *koẓ- "tubo, buco, fossa"

xutting "scavare; sondare"
   proto-dravidico *kut- "forare; scavare"

xwāfing "far pascolare; portare a pascolare"
   proto-dravidico *kā- "aspettare; stare attento" 
   (attribuzione dubbia) 

Alcune osservazioni su questo materiale lessicale:  

1) Ho fatto un rapido conto: sono in tutto 186 radici Brahui a cui è attribuita un'origine dravidica, mentre le protoforme dravidiche ricostruite ono 2211. Quindi soltanto l'8,4% delle protoforme dravidiche elencate da Starostin ha un esito in Brahui. Una percentuale davvero esigua.
2) La somiglianza con il dravidico settentrionale (Malto, Kurukh) è stata evidenziata; mi pare tuttavia che moltissime radici presenti in Malto e in Kurukh siano del tutto sconosciute in Brahui. Sono andate perdute o non sono mai state presenti? Ignoramus
3) Le parole Brahui per cui è possibile ricostruire una protoforma dravidica sono soltanto in pochi casi pertinenti al lessico di base (ad esempio dīr "acqua", "sole", ditar "sangue, xāxar "fuoco", etc.); in molti casi sono invece parole tecniche o particolarissime, ad esempio verbi per esprimere concetti come "dondolare", "sporgere", "far scoppiare un foruncolo", etc.). 

Parole di origine sconosciuta (non dravidiche, non indoeuropee, non semitiche): 

alēj "sacrificio (in cui il paziente assiste al massacro imbrattato di sangue)"

ant "che cosa" 
  Forme derivate:
  antei "perché"
  arā, arād "quale"
  arāfk "quali"
  aṭ "quanti"

axa "quanto"

bash "su" 

bāmus "naso"

"sale; piccantezza; spirito, gusto"

bēl "grande torrente collinare"

bēning "indossare un vestito"

bīṛing "mungere"

bilum "corda al collo, cavezza"

bīn "fame"

cirrēnging "girovagare, divagare" (significato incerto)

cīring "squarciare, affettare"

cōshing "immergere, macerare; lavare strofinando, strofinare"

danning "tagliare (detto di coltello), rovinare (es. gelare il raccolto), usurpare (una proprietà), portare via (un premio), vincere, portare via, rimuovere"

dēṛū "prestito di animali da latte"

dranzing, drãzing "gettare in aria, setacciare" 
 
"mano; braccio" 
 
dūī, duvī "lingua"

dūn "pozzo"

ē, base pronominale distale

ēlō "l'altro, il secondo"

-glūnṭ, -gulōnṭ, -klōnṭ "lucertola", in garrīglūnṭ "lucertola spinosa", tazīglūnṭ "lucertola comune"

guḍḍing "mozzare, abbattere; ammaccare"

hēfing, harfing "sollevare, sostenere, portare, tollerare, portare via"

hikking "singhiozzare"
(voce onomatopeica)

hilh "febbre" 
 
hījing, hījēnging "essere spaventato"  

hīt "discorso, conversazione; promessa; argomento" 

ghing "piangere" 

huf "soffio di vento; esplosione; discorso vano" 

(h)ullī "cavallo"

huṛing "succhiare"

hūrra "tuono"
 
hūrī "ricettacolo di fango" (giara di creta non cotta) 

kakāring "schiamazzare"

kal "luogo dove si raccolgono le acque"

kalanḍ "pentola rotta di terracotta; pentola vecchia"

kanḍ "divario, breccia apertura; passo collinare"

karghing "tosare, falciare, mietere" 
 
kasar "via, strada"
 
kāṭum "testa"

kēb "vicinanza; vicino"

kōnḍō "a quattro zampe; piegato in due"

kurāṛa "gonfiore infiammato" (specie sul collo)

kūṭī "senza corna" 
 
lix "collo"

malh "figlio"

maringing "coagularsi, cagliare"

marrām "urlo, chiamata; fama"

marrī "domestico, addomesticato"

mashing "lavarsi la testa (con un'argilla apposita)" 
 
maxing "ridere" 
 
lh "capra" (traduzione incerta)

milinj "un'erba selvatica usata come foraggio" 

milī "midollo; cervello; gheriglio di noce" 

miṛing "scacciare, allontanare" 
 
murghun "lungo", 
murīfing "estendere, allungare" 
 
murr "lontano"

ṛk "tappo" 
 
palhing "essere in ebollizione",  
palēfing "far bollire" (la carne)  

paṛēfing "istigare; provocare" 

paṭak "basso (di statura); rachitico" (traduzione incerta)

paṭṭī "femmina" 
(esistono parole simili in Sindhi e nelle lingue dravidiche, anche se sussistono difficoltà fonetiche e l'etimologia permane dubbia)
 
pīun, pīhun "bianco"

pōlō "vuoto, cavo"

prishk "scintilla" 
 
puc "vestiti, abiti" (traduzione incerta)

punḍū "fondo di un ricettacolo; natiche; ano" 
 
rūsing "tirare fuori, strappare"

sālum "genero; cognato"

sār "soddisfatto, sazio" 
 
tamming "giacere"

taṛing "tagliare, recidere, macellare"

tataring, tatarēnging "lottare in modo convulso" 
 
traḍḍing "saltare, saltellare, ballare" 
 
trujjing "soffocare prendendo un boccone troppo grande; soffocare per la confusione, soffocare per l'orgoglio"
 
trukking "strappare, spogliare" 
 
tuṛinging "disfarsi (di punti); chiaro (di nuvole); separato (di latte)"

tūbē "luna", 
"mese"

xaning "far nascere"

xaṛīnk "lacrime"

xarmā "lupo"

xēr "dietro" (prep., avv.)

"pentola per cucinare"

xōlum "frumento"

xulling "forare; pugnalare"

xumb "abbraccio" 
 
xuṛk "vicino, a portata di mano"

Sono necessari ulteriori studi per classificare questi elementi di sostrato. Da una superficiale analisi non ho potuto rilevare somiglianze con l'elamico ma mi riprometto di ritornare sull'argomento.
 
Questi sono invece alcuni esempi di prestiti indoeuropei e arabi, tutti ben riconoscibili: 

baida "uovo" (< arabo)
banda "persona, essere umano" (< Balochi)
dandān "dente" (< persiano) 
draxt "albero" (< persiano)
ḍaghār "terra" (< Balochi) 
istār "stella" (< persiano)
parra "penna, piuma" (< persiano)
pūra "pieno" (< Sindhi)

martedì 13 luglio 2021

ALCUNE CONSIDERAZIONI SUL RADDOPPIAMENTO SINTATTICO

Su Quora, social network deprecabile quanto deleterio, è comparsa tempo fa questa domanda: 
 
 
"Ho fatto" si pronuncia con un raddoppiamento fonosintattico (ho ffatto)? 

Questa è la risposta del conlanger Alessandro: 

Sì.

Ora so che tutti ti diranno il contrario. Il raddoppiamento fonosintattico non viene notato nemmeno da chi lo usa. Non esiste in molte regioni italiane. Non viene scritto e quindi quando viene notato è subito bollato come errato, anche perché come regola non è intuitiva.

Innanzitutto: il raddoppiamento fonosintattico è la regola per cui le parole tronche (e altre) fanno raddoppiare la consonante iniziale della parola successiva.

Si utilizza anche in italiano standard. Non è un difetto regionale.

E dato che “ho” è monosillabico e tonico, conta come parola tronca. Dunque la parola successiva raddoppia la propria consonante iniziale: quindi, “ho ffatto”.

 
Così ho replicato, usando il mio vero nome, Marco Moretti: 
 
Qui in Lombardia il raddoppiamento fonosintattico non si usa. Non solo: viene percepito come un difetto regionale. Rimane allo stato fossile soltanto in parole come “ovvero”, “eccome” e via discorrendo. L’italiano lombardo si è ormai separato dal toscano e nella competizione linguistica ha acquisito un maggior prestigio (es. anche Pippo Baudo lo usa e non ha mai detto “avvolte hoffatto”). Le lingue cambiano. Nuove varietà si evolvono e lottano tra loro. Alcune prevalgono, altre avvizziscono e infine muoiono. Le accademie, che venerano la lettera scritta e trascurano la lingua viva, non sono in grado di normare la fonetica, limitandosi all’ortografia, alla grammatica e al lessico. Non comprendono che le lingue si trasformano in continuazione. Quando si accorgono di qualcosa, è già troppo tardi. 
 
L'utente ha risposto così al mio intervento: 

Secondo me dovresti ascoltarti meglio: se non senti il raddoppio fonosintattico stai certamente staccando le parole [ˈɔ: ˈfatto]; a Milano [ɔˈffatto] non suona affatto innaturale, purché il raddoppio della f sia debole tanto quello della t. 

Pensava di avere a che fare con un parlante inconsapevole, incapace persino di distinguere i suoni. Così ho ribattuto: 

Negativo. So benissimo come pronuncio le parole: [ɔˈfatto] con [f] come in bifolco e non con [ff] come in affetto, e senza staccare le parole. Così se dico “porta la ciotola a Fido”, il nome Fido ha [f] come bifolco e non si confonde con affido. Come me fanno milioni di Lombardi. Chi usa il raddoppiamento fonosintattico viene riconosciuto subito ed è percepito come bizzarro. Un mio collega, ad esempio, lo usa, e si sente. Dice “porta la ciotola affido”, “avvolte hoffatto”, etc. Tutto ciò può piacere o non piacere, me ne rendo conto, ma i dati di fatto non cambiano. 
 
Aggiungo anche che il "raddoppio della t" di ho fatto non è "debole". Il raddoppio in questione è in piena regola. 
 
Questi sono alcuni altri esempi di contrasti o coppie minime nell'italiano settentrionale: 
 
ha colto è diverso da accolto
ha detto è diverso da addetto 
ha fatto è diverso da affatto 
ha posto è diverso da apposto 
a posto è diverso da apposto 
a Dio è diverso da addio  
a letto è diverso da alletto 
a mettere è diverso da ammettere 
o fendere è diverso da offendere 
 
Esiste anche un interressante doppione: 
 
O Dio! è sentito come diverso da oddio!, pur avendo lo stesso significato
 
Eppure capita che i fautori fanatici del raddoppiamento sintattico, che lo vorrebbero imporre come normativo, ignorino tutte queste evidenze tratte dalla lingua viva usata in Lombardia e altrove. Poi si manifestano navigatori che non comprendono la questione e attribuiscono il problema a una pretesa difficoltà nella pronuncia delle consonanti doppie. In genuino toscano si direbbe che sono bischeri. Bisogna però capire la pervasività del condizionamento scolastico e della tradizione popolare. Quello che voglio far presente è che non siamo di fronte a una difficoltà di pronuncia delle consonanti doppie. Come ho esposto sopra, in "ho fatto" e in "ha fatto", la consonante -tt- è regolarmente doppia anche nell'italiano lombardo, proprio come in quello toscano. Nessuno pronuncia un fantomatico *fato anziché fatto: è assurdo quanto grottesco anche solo pensare una cosa del genere. 
 
Come già ho accennato sopra in un  io intervento, in Lombardia si pronunciano correttamente con la consonante doppia moltissime parole derivate dal raddoppiamento sintattico e fossilizzate. Ne riporto pochissime a titolo di esempio: 
 
ovvero
davvero
nevvero 
neppure  
oppure 
ossia 
chicchessia
dapprima 
siccome 
siffatto 
suvvia 
evviva 
cosiddetto  
 
Interessante è la testimonianza del pugliese Antonio Natile, che riporta un fatto di grande importanza: 

Non so perché ma nel mio dialetto pugliese diciamo “ efatt, afatt, ofatt" per dire “ho fatto, hai fatto, ha fatto”, però quando parliamo italiano tutti dicono “offatto, affatto". Nel dialetto raddoppiamo solo dopo alcuni monosillabi, cioè “è, e, a, più e il che complemento oggetto” e dopo “qualche” e “ogni”; non raddoppiamo neanche dopo le parole che finiscono con la vocale accentata, tipo: perchè, libertà ecc… Eppure quando parliamo italiano imitiamo grossomodo i raddoppiamenti standard, aggiungendo però i nostri, come le b e le g ad inizio parola, oppure raddoppiando la prima consonante di parole come “merda, robe, qua, , più”. 
 
Come si vede, la situazione non è così uniforme come molti vorrebbero. Questi dettaglio sono poco studiati o non lo sono affatto. Eppure meriterebbero maggiore approfondimento. 
 
L'origine del raddoppiamento sintattico 
 
Qual è la vera origine del raddoppiamento sintattico? Un'opinione comune è che risalga al latino. Alcune parole monosillabiche (preposizioni, pronomi, numerali) che finivano in consonante, avrebbero mantenuto causato il raddoppiamento della consonante iniziale della parola seguente. L'utente Josef G. Mitterer, che ha notevoli competenze linguistiche, spiega in dettaglio questa evoluzione fonetica. A pubblica edificazione riporto in questa sede l'intervento:  
 
 
Il raddoppiamento fonosintattico (o geminazione fonosintattica) è, per così dire, "l'eco" delle consonanti finali latine che nello sviluppo verso l'italiano sono scomparse. È il caso, ad esempio, nelle parole

    AD > a
    AUT > o
    ET > e
    PLUS > più
    (EC)CU HOC > ciò
    TRES > tre
    ecc.

La scomparsa di queste consonanti finali ha causato l'allungamento della consonante successiva: AD CASA >
a [kk]asa, AUT MELIU > o [mm]eglio, TRES LIBRI > tre [ll]ibri ecc. Si tratta, dunque di un allungamento compensativo che restituisce la quantità dei suoni in questione. Che dalla scomparsa di un suono risulti l'allungamento di un suono adiacente non è certo un processo particolarmente raro, anche se, almeno nelle lingue indoeuropee, è più frequente l'allungamento compensativo delle vocali, cf., ad esempio dĭsmittere > dīmittere in latino o la cosiddetta 'i lunga' (langes i) tedesca nella cui grafia ⟨ie⟩ si rispecchia ancora il vecchio dittongo /iɛ̯/ che è passato alla vocale scempia, ma, appunto, lunga /iː/. 

La geminazione fonosintattica è simile all'assimilazione totale, il cui risultato è la sostituzione di due consonanti brevi con una consonante lunga: FACTU > fatto, DIXI (= DICSI) > dissi o anche, già in latino, *ad-capere > accipere, *sterla > stella ecc.

In italiano la geminazione fonosintattica non è solitamente rappresentata nella grafia. Se, tuttavia, una delle parole che la causano si è fusa con un'altra parola iniziante per vocale, il fenomeno è afferrabile pure nella scrittura: AUT PURE >
oppure, PLUS TOSTU > piuttosto, (IL)LAC DE UBI > laddove ecc.

È del resto interessante che la geminazione fonosintattica è tuttora
distintiva. In italiano, l'unico esempio che mi viene in mente è la coppia minima a Roma /arroma/ vs. aroma /aroma/. Sono molto più rilevanti gli esempi in napoletano, specie nel "neutro di materia" la cui geminazione risale alla /-d/ finale nel dimostrativo neutro latino ILLUD > o, opposto a ILLU > o: ILLUD FERRU > o ffierro 'ferro (in contesto generico), ILLU FERRU > o ferro 'il ferro (concreto, presente)'.
 
I romanisti non si sono realmente occupati dei dettagli dell'evoluzione delle forme verbali dal latino volgare alle lingue romanze. Faccio un esperimento e provo a ricostruire alcuni di questi passaggi, perduti quanto negletti dagli studiosi.  
 
habes "tu hai" > *habs (1) > hai
habet "egli ha" > *hapt > ha
facis "tu fai" > *fax > fai 
facit "egli fa" > *fact > fa
potes "tu puoi" > *pos > puoi
potest "egli può" > *post (2) > può
sapis "tu sai" > *saps > sai
sapit "egli sa" > *sapt > sa 
vadis "tu vai" > *vas > vai
vadit "egli va" > *vat > va
*vols "tu vuoi" (sostituisce il classico vis) > vuoi   
*volt "egli vuole" (sostituisce il classico vult) > vuole  
 
(1) La h- del verbo habere è puramente grafica. La indichiamo soltanto per motivi storici. 
(2) La forma italiana antica puote è invece regolarmente da potest
 
Sono incline a cercare di ricostruire forme dirette e plausibili per le parole concretamente usate nella lingua italiana. Mi rendo conto di pooter essere scambiato per un costruttore di arzigogoli.   

*habnunt "hanno" > hanno 
facere "fare" > *facre > fare 
*facnunt > fanno
dicere "dire" > *dicre > dire  

Queste sono alcune brevi frasi ricostruite: 
 
*hapt dictu > ha ddetto 
*hapt factu > ha ffatto 
quid dicit? > che ddice? 
*quid fax? > che ffai? 
*quid fact? > che ffa? 
 
In alcune varietà di toscano e in napoletano avviene questo sviluppo: 
 
quid est? > chedè? 
 
Nel Web c'è gente che prova un sincero orrore per questa locuzione vernacolare, che a voler ben vedere è più autentica dell'italiano "cos'è?", risalendo in modo diretto al latino volgare - anche se in italiano standard non la si può usare altrimenti la Crusca si arrabbia. 
 
Dante Alighieri ci riporta nel De vulgari eloquentia il caso di una frase comune della parlata romana della sua epoca: 
 
Messure, quinto dici? "signore, cosa dici?" 
 
quid tu dicis? > *quittu dici? > quinto dici?   

Si tratta di una dissimilazione, in cui la consonante raddoppiata -tt-, venutasi a creare per motivi sintattici, viene mutata in -nt-. Mi pare che questo caso sia una reazione al raddoppiamento sintattico e che non sia stato studiato praticamente da nessuno.  
 
Il raddoppiamento sintattico che occorre dopo ogni potrebbe spiegarsi facilmente: 
 
Omnes Sancti > Ognissanti  

A questo punto tutto sembrerebbe filare liscio. 
 
Alcuni problemi di non poco conto
 
Esistono numerosi casi in cui il raddoppiamento sintattico non può essere giustificato dall'assimilazione di un'antica consonante finale di parola alla consonante iniziale della parola seguente. 
 
1) Forme verbali monosillabiche di prima persona singolare 
Consideriamo questi semplici casi: 
 
*habeo "io ho" > *habjo > *hajo > *hao, ao > ho
*sapio "io so" > *sabjo > *sajo > sao > so
 
La forma sao è realmente attestata in uno dei primi documenti in una lingua romanza, i Placiti Cassinesi, in cui ricorre tre volte, in due testimonianzze registrate nel marzo del 960 e in una testimonianza registrata nell'ottobre del 963. Eccole:  
 
1) Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte Sancti Benedicti.
(Capua, marzo 960)

2) Sao cco kelle terre, per kelle fini que tebe monstrai, Pergoaldi foro, que ki contene, et trenta anni le possette.
(Sessa, marzo 960)

3) Sao cco kelle terre, per kelle fini que tebe mostrai, trenta anni le possette parte sancte Marie.
(Teano, ottobre 963)

Si nota subito il raddoppiamento sintattico: sao cco "so che". Eppure non ci dovrebbe essere. Si possono avere nel mondo romanzo anche esiti diversi di habeo e di sapio, in cui la consonante labiale seguita da approssimante palatale si è evoluta in un'affricata: in napoletano abbiamo aggio "io ho" e saccio "io so". Non si ha alcuna consonante finale in nessuno di questi casi di prime persone singolari monosillabiche del presente indicativo. Eppure esse producono il raddoppiamento sintattico. Come mai? I romanisti pensano che si tratti di esiti dovuti all'analogia con la terza persona singolare. 
 
2) Il pronome  di seconda persona singolare 
Il pronome tu dà luogo a raddoppiamento sintattico, eppure non ha mai avuto una consonante finale. Per rendere conto della spiegazione dei romanisti, dovremmo ammettere che esistono due possibilità: 
i) L'analogia con altri monosillabi;
ii) Il fatto che tu nell'italiano potrebbe derivare da forme più complesse, come tumet o tupte "tu stesso": 
 
tumet > *tumt > tu
tupte > *tupt > tu
tupte facis > *tupt fax > tu ffai 
tupte sapis > *tupt saps > tu ssai  
 
Queste protoforme romanze sono talmente contorte che difficilmente le si potrà ritenere sensate.  
 
3) I prefissi intra-, contra-, sovra- / sopra- 
Esistono in italiano numerose formazioni in cui non esiste alcuna consonante latente che possa giustificare il raddoppiamento. 
 
intrattenere 
intrattenitrice 
contraddire 
contraddetto 
contraddittorio 
contrapporre 
contrapposto
contrapposizione 
contravveleno 
contravvenire 
contravvenzione 
sopraggiungere 
soprattutto
sovrannaturale / soprannaturale 
sovrapporre 
sovrapposto 
sovrapposizione  
 
4) Alcuni prestiti esotici 
La parola caffè genera raddoppiamento sintattico nel composto caffellatte. Si è arrivati al punto che in Lombardia bisogna scrivere caffellatte altrimenti la Crusca si arrabbia, anche se si pronuncia a tutti gli effetti caffelatte. Ebbene, caffè deriva dall'arabo qahwa, che non ha alcuna consonante finale. In un racconto fantasy di Fritz Leiber, La maledizione delle piccole cose e delle stelle (The Curse of the Smalls and the Stars, 1988), il caffè è chiamato kahved. Notevole la consonante finale, che però non ha alcun fondamento etimologico. In italiano si è formato un diminutivo cafferino, segno che è diffusa la credenza popolare in una derivazione di caffè da una fantomatica protoforma *caffèr. Anche il derivato caffettiera sembra essere dovuto alla credenza popolare in una derivazione di caffè da una fantomatica protoforma *caffèt. Probabilmente esistono anche altre parole entrate in italiano in epoca non troppo remota, che generano un raddoppiamento sintattico senza una valida giustificazione. 
 
Una soluzione alternativa 
 
Sono dell'idea che la teoria delle consonanti latine latenti potrebbe non essere una spiegazione completa e definitiva del raddoppiamento sintattico. Forse sarebbe più semplice una spiegazione fonologica, che riduce tutto a un fenomeno compensativo: 
 
sillaba tonica + consonante semplice seguente => 
sillaba atona + consonante raddoppiata 
 
Del resto, se i romanisti attribuiscono all'azione dell'analogia qualsiasi cosa che depone contro la loro teoria, non si può dire molto di sensato. Proviamo ad applicare il Rasoio di Occam, tanto caro ai fautori del riduzionismo! Sarebbe cancellata ogni macchinazione romanistica. All'istante. Il filosofo Karl Popper direbbe che le teorie dei romanisti non sono falsificabili, quindi nessuno ne potrebbe mai dimostrare la veridicità. Va anche detto questo: se si nomina Popper, tutti dicono che è una specie di liquido volatile venduto dai pusher, che è annusato soprattutto dai sodomiti passivi! Detto questo, parlerò sempre in italiano lombardo, come mi hanno insegnato i miei genitori (RIP), respingendo con sdegno e orgoglio il raddoppiamento sintattico! Gli accademici fautori della lingua normativa possono anche tenersi un sacchetto di merda.