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sabato 20 agosto 2022


LA MALA ORDINA 

Titolo originale: La mala ordina 
Titolo in inglese: The Italian Connection 
AKA: Manhunt in the City; Manhunt in Milan 
Lingua originale: Inglese
Paese di produzione: Italia, Germania
Anno: 1972
Durata: 97 min
Rapporto: 1,66:1
Genere: Noir, thriller, gangster
Regia: Fernando Di Leo
Soggetto: Fernando Di Leo
Sceneggiatura: Fernando Di Leo, Augusto Finocchi,
     Ingo Hermes
Produttore: Armando Novelli, Ermanno Curti
Casa di produzione: Cineproduzioni Daunia 70, Dear Film
     Produzione, Hermes Synchron
Fotografia: Franco Villa
Montaggio: Amedeo Giomini
Musiche: Armando Trovajoli
Scenografia: Francesco Cuppini
Costumi: Francesco Cuppini 
Trucco: Antonio Mura 
Supervisore alla produzione: Luciano Appignani, 
    Vincenzo Salviani 
Direttore di produzione: Lanfranco Ceccarelli 
Reparto artistico: Tino Avelli, C. Sormani 
Reparto sonoro: Goffredo Salvatori 
Effetti speciali: Basilio Patrizi  
Guardaroba: Alain Reynaud 
Reparto editoriale: Ornella Chistolini  
Continuità: Vivalda Vigorelli 
Interpreti e personaggi: 
    Mario Adorf: Luca Canali
    Henry Silva: David Catania
    Woody Strode: Frank Webster
    Adolfo Celi: Don Vito Tressoldi
    Luciana Paluzzi: Eva Lalli
    Cyril Cusack: Corso
    Franco Fabrizi: Enrico
    Sylva Koscina: Lucia Canali 
    Laura Wendel: Rita Canali
    Francesca Romana Coluzzi: Trini
    Femi Benussi: Anna*
    Peter Berling: Damiano
    Giuseppe Castellano: Piero Panunzio
    Giuliano Petrelli: Francesco
    Domenico Cianfriglia: Gustavino
    Pasquale Fasciano: Dog
    Giovanni Cianfriglia: Peppiniello
    Gianni Macchia: Nicola
    Jessica Dublin: Miss Kenneth
    Empedocle Buzzanca: Vice di Don Vito
    Omero Capanna: Scagnozzo di Don Vito
    Ulli Lommel: Guardiaspalle in corridoio 
    Renato Zero: Hippy con la bombetta
    Franca Sciutto: Ballerina
    Sergio Ammirata: Carlo, il cameriere sodomita 
    Ettore Geri: Barista della discoteca  
    Andrea Scotti: Garo 
    Vittorio Fanfoni 
    Franca Sciutto 
    Pietro Ceccarelli: Scagnozzo di Don Vito 
    Alberto Fogliani: Scagnozzo di Don Vito in garage 
    Enrico Chiappafreddo: Scagnozzo di Don Vito con Nicola  
    Sergio Ammirata: Carlo 
    Lanfranco Ceccarelli: Insegnante di scuola 
    Liliana Chiari: Prostituta 
    Guerrino Crivelli: Barista 
    Fernando Di Leo: Passante 
    Lina Franchi: Prostituta 
    Claudio Morabito: Delinquente 
    Martina Orlop: Ballerina bionda in topless 
    Virgilio Ponti: Pappone 
    Giuliana Ruffini: Prostituta 
    Clemente Ukmar: Barone 
    Mira Vidotto: Prostituta 
    *Nella versione in inglese è Nana, ma nel film in italiano
    si sente in modo nitidissimo Anna
Doppiatori originali:
    Stefano Satta Flores: Luca Canali
    Sandro Iovino: David Catania
    Bruno Alessandro: Frank Webster
    Antonio Guidi: Don Vito Tressoldi
    Noemi Gifuni: Eva Lalli
    Gabriella Genta: Lucia Canali
    Ludovica Modugno: Trini
    Gino Donato: Damiano
    Giorgio Piazza: Corso 
Titolo provvisorio: Ordini dall'altro mondo 
Titoli in altre lingue: 
   Tedesco: Der Mafia-Boss - Sie töten wie Schakale 
   Francese: L'Empire du crime 
   Spagnolo (Spagna): Nuestro hombre en Milán 
   Lituano: Žmogaus medžioklė 
   Russo: Охота на человека 
   Serbo: Po naređenju podzemlja 
   Turco: Gangsterler çarpışıyor 
   Giapponese: 皆殺しハンター (Mina-goroshi Hanta) 

Trama: 
Primi anni '70. Milano brutale e corrotta, ma illuminata da un pallido sole primaverile. Due sicari, l'inespressivo Dave Catania e il colossale mandingo Frank Webster, vengono inviati da New York a Milano dal loro boss Corso, con la missione di trovare e uccidere Luca Canali, un piccolo magnaccia accusato di aver sottratto un carico di eroina della mafia. Il locale boss mafioso Don Vito Tressoldi è sconvolta dall'intrusione degli americani nel suo territorio, ma è costretto a stare al gioco dando ordine di consegnare loro Canali. Schiera così una rete di spie e informatori in tutta la città per trovarlo, ma questi riesce a eludere tutti per un pelo. Per il pappone ha inizio una precipitosa fuga, anche se i suoi stessi amici si rivoltano contro di lui. Tra questi, uno strano sodomita biondiccio, che cerca di consegnarlo ai picciotti.  
Si scopre che il carico di droga è stato effettivamente rubato da Don Vito, che ha provveduto a incastrare Canali, scegliendolo perché è un "pesce piccolo", dotato di bassa "statura criminale". A un certo punto il boss maligno ricorre all'uccisione della moglie e della figlia di Canali per attirarlo allo scoperto. Infuriato, Canali scatena una violenta vendetta contro la mafia, facendo fuori i membri della gang e infine uccidendo lo stesso Don Vito con una revolverata nel cuore, nel suo stesso ufficio. Si tratta di una vera e propria esecuzione: il boss ammette di essersi gravemente sbagliato sulla "statura criminale" di Canali e sulle sue capacità. Così, capendo di aver perduto il suo "onore", chiede di essere soppresso.  
Canali conduce Catania e il mandingo gigantesco, Webster, a uno scontro finale in uno squallidissimo cantiere di demolizione di automobili, dove riesce a ucciderli entrambi, pur rimanendo gravemente ferito nella lotta. Esausto, Canali crolla sul posto di guida di un mezzo d'opera dotato di artigli meccanici, lasciando il finale ambiguo, senza che lo spettatore possa capire se riuscirà a sopravvivere o se le sue ferite sono mortali. 


Recensione: 
Questo film è il secondo capitolo della cosiddetta Trilogia del milieu del regista Di Leo, dopo Milano calibro 9 (1972) e seguito da Il boss (1973), quest'ultimo ambientato in una Palermo anomala, perennemente notturna.   
Il soggetto de La mala ordina è stato tratto dalla raccolta di racconti noir Milano calibro 9 dello scrittore e giornalista di origine ucraina Giorgio Scerbanenco. In particolare, si riconosce facilmente la trama del racconto Milan by Calibro 9
"David e Frank Drewer, killer americani, si recano a Milano per uccidere Giordano, un malavitoso locale. Guidati per i locali della città da una ragazza di nome Francesca, i due killer portano a termine il loro incarico."
(Fonte: Wikipedia) 
Potente, adrenalinico, pervaso in ogni fibra dal profondissimo nichilismo antropologico che costituisce una caratteristica fondante dell'opera di Fernando Di Leo. Il mondo è come una massa di cibo attaccato e corrotto dai bruchi delle tarme: non si trova nemmeno una sua particella che non sia contaminata dall'oscena masticazione dei parassiti e dai loro escrementi! 
Superlativo il grandissimo Mario Adorf! In lui agisce la Forza della Sopravvivenza, che è qualcosa di inenarrabile nella sua coercizione. Egli, colpito da fati avversi, vorrebbe porre fine al tormento degli eventi, ma non gli è concesso di fermarsi neppure per un attimo, pena la morte! Così, tesissimo come un cavo di fibre d'acciaio, diventa una spaventosa macchina di guerra e di morte. L'eroismo entra nelle sue membra e gli permette di aver ragione dei suoi nemici, seppur a carissimo prezzo!  
Ottimo anche Adolfo Celi nel ruolo del Padrino, con quel faccione sardonico e quegli occhi cerulei da cui irradia l'Abisso del Male! Mefistofele ha presieduto alla nascita del personaggio, assieme a tutti i Demoni del Gran Consiglio dell'Inferno!  
Henry Silva è un corpo senz'anima, una specie di golem. Non si scorge alcuna luce nei suoi occhi incapaci di qualsiasi minimo movimento! Agisce spinto da una volontà demoniaca, eseguendo con membra zombesche i comandi che giungono dall'Oltre. 
Il mandingo Woody Strove è reso ancora più odioso dal suo salutismo fanatico, che lo spinge a rifiutare anche una singola goccia di alcol. Parafrasando il Sommo Lovecraft, le sue braccia sono vere e proprie zampe anteriori! Le sue mani sono macine in grado di stritolare. 
Sylva Koscina, è splendida e ha un portamento nobilissimo, anche se mi sembra un po' afflittiva, forse per via del suo ruolo di ex moglie. Terribile la scena in cui viene investita e uccisa assieme alla figlia - una scena che dovrebbe far riflettere chi si culla nell'illusione di una mafia che non uccide donne e bambini. 
Eva Paluzzi è una bellissima fulva, ma trovo il suo personaggio troppo passivo, troppo remissivo. Purtroppo fa una brutta fine, come un agnello sacrificale condotto allo scannatoio. 
Francesca Romana Coluzzi interpreta la contestatrice pasionaria, oltre che zoccolona, che fa la sua bella figura con la parrucca azzurra. A un certo punto dice: "Il negro mi piaceva, mi era venuto di farmelo, ma il bianco proprio no, non mi piaceva". Già solo per via di un mandingo chiamato "negro", sarebbero capaci di censurare il film!
Femi Benussi è molto convincente nel ruolo della fallofora  esuberante e aggressiva, dalla marcata cantilena napoletana.
Compaiono i soliti intensi flussi di pubblicità occulta (in realtà molto esplicita), tanto che vari produttori di liquori, come il whisky J&B e il vermut Punt e Mes, andrebbero accreditati nei dati tecnici assieme ad Armando Novelli e a Ermanno Curti. 


Produzione

Dato che nel cast c'erano almeno tre nazionalità diverse (italiana, tedesca, americana), i dialoghi sul set per la maggior parte delle riprese erano in inglese. Questo è ovvio se si guarda il doppiaggio in lingua inglese; i dialoghi si sincronizzano con le labbra degli attori nella maggior parte delle scene, mentre non lo fanno nelle versioni italiana e tedesca. Per avere un'idea delle parti non in inglese, si rimanda nel seguito all'espressività della prostituta crespa Anna! 

Strane comparse 

In mezzo alla fauna notturna si nota di sfuggita, vestito da Figlio dei Fiori con la bombetta in testa, il famoso Renato Zero. In tutto, questo personaggio controverso è comparso in nove film, dal 1967 al 1979.  

Ulli Lommel, l'attore e regista tedesco noto per le sue collaborazioni con Rainer Werner Fassbinder, appare come comparsa. È un individuo bizzarro con una fisionomia dura e patibolare, che non sfigurerebbe nel mondo dei gorilla e dei gangster. Tra le altre cose, ha diretto La tenerezza del lupo (Die Zärtlichkeit der Wölfe, 1973), incentrato sul serial killer pederasta e cannibale Fritz Haarmann, sorpannominato "Il macellario di Hannover", clinicamente affetto da vampirismo (sindrome di Renfield): ha ucciso alcune vittime recidendo loro la carotide con un morso! 

Un caratteristico insulto napoletano 

Una delle puttane gestite da Luca Canali, delusa, gli urla: "Vaffambocca!" In pratica si augura che il grosso magnaccia sia irrumato da un fallo. L'esclamazione "vaffambocca" (ossia "vai a fare in bocca") è in tutto e per tutto parallela al più noto "vaffanculo" (ossia "vai a fare in culo"). L'origine è dal napoletano 'afammocc, usato molto di frequente in frasi brutali come "'afammocc a chi t'è mmuort, 'afangul a chi t'è strammuort".
Trovo strano che questo insulto non sembri essere molto diffuso al di fuori della Campania. Tutte le sue (rarissime) attestazioni in cui mi sono imbattuto nel mondo della Settima Arte, sono riconducibili a personaggi napoletani. In un film con l'eroico Tomas Milian, non ricordo bene quale, un brigadiere partenopeo apostrofava così un agente veneto biondiccio: "Vaffambocca, Ballarin, tu e l'anima r'o ricchione ca sì". Non è facile ricostruire i dettagli: avvengono distorsioni nei miei banchi di memoria stagnante, ma la sostanza è proprio quella da me riportata! Ai nostri giorni, simili sequenze non potrebbero più essere girate: il politically correct lo impedirebbe sul nascere!  
Mi stupisce enormemente che non si sia diffusa dovunque in Italia l'usanza di dire "vaffambocca" e che la sua applicazione sembri essere riferita soltanto a persone di sesso maschile - quando sappiamo bene che sarebbe più idonea riferita alle zoccole. La crespa prostituta Anna, si guadagnava il pane proprio facendo in bocca, poi apostrofava il suo pappa, che tutto sommato era incredibilmente civile e gentile: nella Milano degli inizi XXI secolo sarebbe stata massacrata a zampate! 


Di Leo e Tarantino 

Anche a costo di finire linciato dal pubblico, dirò senza esitazione che detesto vivamente Quentin Tarantino e le sue opere. A pelle mi dà l'impressione di un personaggio untuoso e turpe. Spiace avere in comune con lui la passione per le pellicole di Fernando Di Leo! È appurato che i due gangster Catania e Webster hanno dato l'ispirazione per i protagonisti del tarantinesco Pulp Fiction (1994), interpretati da John Travolta e da Samuel L. Jackson. 

Tecnicamente non poliziesco

Una cosa salta subito all'occhio. In tutto il film sembra che non esistano Forze dell'Ordine. Ci sono sparatorie, inseguimenti, investimenti, scontri, violenze di ogni genere, eppure nessuno interviene. Si ha una sola menzione dell'esistenza di qualche autorità non appartenente al mondo criminale, quando un giovane freak trova il nerboruto lenone alla porta ed esclama: "C'è uno con la faccia da poliziotto!" Stando così le cose, non si potrebbe ascrivere quest'opera di Di Leo al genere poliziesco o poliziottesco. Eppure, nonostante questi dati di fatto di per sé innegabili, Tarantino ha definito La mala ordina "capolavoro assoluto del genere poliziesco". 

Un universo interconnesso 

Nel film scerbanenchiano Liberi, armati e pericolosi, diretto da Romolo Guerrieri (1976), si ha un esplicito riferimento a La mala ordina. Il titolo della pellicola di Di Leo viene pronunziato a voce alta da uno dei tre protagonisti criminali e borghesi, mentre gli altri due uccidono i gangster in un'autodemolizione. 


Origine e diffusione del cognome Canali 

Dal modo di parlare, si capisce all'istante che Luca Canali è siciliano doc: tipica cantilena, forme pronominali come a mmia, a ttia, ordine SOV della frase e via discorrendo. Eppure al Sud il cognome Canali è rarissimo. È particolarmente diffuso in Lombardia, in Emilia-Romagna e nel Lazio. Certo, il simpatico pappone potrebbe aver preso il cognome dalla madre, che sarà stata del Nord. In fondo anche l'attore, Mario Adorf, che ha padre calabrese e madre tedesca, si trova in una situazione abbastanza simile. Oppure sarà stato proprio il padre a trasmettere a Luca Canali un cognome raro nella sua terra d'origine?   
Per quanto riguarda l'etimologia del cognome, il sito Cognomix riporta quanto segue:
"Dovrebbe derivare, direttamente o tramite una modificazione dialettale, da toponimi quali Canale (TR) - (CN) - (AV) - (BL) - (GE) - (RM) - (TN) - (BO), o dal fatto che la famiglia abitava in prossimità o sulle rive di un canale." 
Questa è la mappa di diffusione per regione: 


Alcune note sul cognome Catania

Mentre il ben noto toponimo siciliano è pronunciato Catània, con l'accento sulla seconda sillaba, il cognome che ne è derivato è pronunciato Catanìa, con l'accento sulla -i-. A prima vista non è facile trovare una chiara spiegazione del curioso fenomeno, anche se non è un caso unico. Ad esempio il cognome siciliano Troja è pronunciato Troìa, anche qui con l'accento sulla -i-. Con ogni probabilità questa inconsueta posizione dell'accanto si deve ad influenza greca. Così il toponimo Kατάνη (Katánē), di origine sicula (dovrebbe significare "grattugia") e pronunciato in epoca bizantina /ka'tani:/, che ha dato direttamente il cognome Catani, è stato adattato in romanzo come Catània, quindi è tornato in greco per effetto boomerang, dando Catanìa, da cui l'omonimo cognome. In latino il toponimo era Catĭna, con la -i- breve e l'accento sulla prima sillaba: /'katina/. Non può aver dato i cognomi di cui ci stiamo occupando. Nemmeno l'arabo è una sorgente plausibile: la città era chiamata Qutāna, ma sono attestate le denominazioni Madīnat-al-fīl "Città dell'elefante" e Balad-al-fīl "Territorio dell'elefante".  


Critica

Mi sono divertito ad assemblare un ricco cut-up raccolto dal sito Il Davinotti. Ne raccomando la lettura.
"Scattante, iperviolento, con una sceneggiatura stringente e un cast di facce da duri, su cui giganteggia un ottimo Adorf, prima piccolo malavitoso smarrito in un gioco più grande di lui, poi implacabile nella sua vendetta"
"Ottima la prova del cast (specie del bravo Mario Adorf), così come la colonna sonora" 
"Musiche di Trovatoli (sic) che si fondono efficacemente con le immagini"
"Adorfiano ed alterno"
"L'inizio è lento ma il film ingrana poco a poco, regalando una seconda parte davvero adrenalinica e mozzafiato"
"Altro potente capitolo del noir italiano, che rispetto a MC9 appare meno cupo e tragico e più essenziale, lineare ed immediato"
"Inferiore al bellissimo Milano calibro 9, anche se ne segue lo stile" 
"Tra i migliori esempi di film di genere italiano, ed ottimo esempio di noir, è anche una delle opere migliori di Fernando Di Leo"
"Bel noir di Di Leo, non all'altezza degli immortali Milano calibro 9 o Il boss, ma comunque buono" 
"Inizio con luci e ombre, parte centrale bella carica per merito di Adorf, finale abbastanza banale" 
"Molto convincente Mario Adorf, nel ruolo di un pappone milanese un po' sbruffone, che viene incastrato dal boss locale" 
"Noir criminale nel quale i pesci grossi vengono sconfitti dalla voglia di vivere di uno rimasto incastrato" 
"Straordinario quadro al contempo pop e verista, ritratto d'ambiente e saggio sulla violenza cinematografica"
"Bravo il protagonista a costruire il personaggio, che da omuncolo dalla lingua lunga si trasforma in vendicatore, quando viene attaccato negli affetti più cari. Nessuna morale. Il boss difenderà nome e credibilità a tutti i costi" 
"Pietra miliare dileiana, liberamente tratta dalla vena noir di Scerbanenco, qui con un "uomo di casino" braccato come nelle più sadiche delle cacce all'uomo"
"Finale memorabile" 
"Morti a non finire in questo boss-movie che dagli Usa muove i suoi tentacoli a Milano alla ricerca di un malandrino da poco"
"Scabro e prototipico"
"il film ancora spaura e avvince per la sua intrinseca natura di fumetto metafisico che trascende tutti i suoi singoli elementi (alcuni dei quali evidentemente dissonanti o persin pressapochisti - leggasi i dialoghi minimali) in un ensemble iconografico che rende sacro il profano e viceversa" 
"A tratti sembra anche meglio di Mc9, ma nel complesso è meno secco" 
"Grezzo, trucido, spietato ma simpatico" 
"Secondo capitolo della cosiddetta trilogia del milieu. È il più debole dei tre ma raggiunge comunque vette di potenza notevoli per il genere criminale all'italiana"
"Di Leo, autore anche del soggetto, è bravo nel descrivere con cura la disperata deriva di un uomo finito in un ingranaggio più grosso di lui"
"Luca Canali è fisiognomicamente animalesco" 
"Un noir... zoomorfo!"
"Al di là del surplus di spot poco occulti (ma questo sappiamo che accadeva a tantissimi film italiani dell'epoca) e di alcuni dialoghi un po' ambigui nonchè di alcune scazzottate che nulla han da invidiare ai film di Bud Spencer, sono anche tante le cose notevoli" 
"Tenuto in piedi da un Adorf come sempre grande e sottovalutato" 
"Le musiche e i continui effetti sonori, dovuti agli scontri tra gli scagnozzi, sono inseriti sempre al punto giusto e non sfociano mai nel banale" 
"Alla cieca furia vendicatrice del protagonista, spesso mostrata con una spietatezza unica, si affianca il lato "debole" della persona con i suoi affetti familiari" 
"Livido, violento, spietato, degno di autori di fama mondiale come Don Siegel e Melville. Sceneggiatura tesa e vibrante" 
"ritmo che decolla lentamente ma che poi vola fino a quota diecimila" 
"A rivederlo oggi ci si accorge quanto sia invecchiato ben poco e di come rimanga piacevolissima la visione: merito di una trama molto semplice, efficace anche per questo"
"Di Leo non si differenzia di molto dagli altri registi del genere di quel periodo. Violenza allo stato puro. Personaggi intelligenti ed originali, ma forse cade un po' nella storia" 
"Erculeo e sanguigno Adorf" 
"Viscerale, crudo, violento" 
"Dopo la superba interpretazione del Rocco Musco di Milano calibro 9 Di Leo promuove Adorf come protagonista assoluto e gli cuce addosso un ruolo perfetto" 
"Raoul Montalbani, Ugo Piazza, Luca Canali, ecc.. ecc... Tutti nomi rimasti nel mito del cinema di genere gangsteristico italiano anni '70; nomi che, anche oggi, i ragazzi delle nuove generazioni ricordano"
"Da vedere e rivedere!" 

mercoledì 6 aprile 2022


I TEMPLARI, IL BAPHOMET E LA SINDONE 

Un articolo sui Templari è apparso recentemente sui quotidiani, recando un sunto degli studi di una studiosa vaticana che ha libero accesso agli archivi segreti della Chiesa di Roma: Barbara Frale. L'idea portante - da lei presentata come una sconvolgente scoperta - è l'adorazione tributata dai Cavalieri del Tempio a un manufatto di incerta origine, già tacciato di falso dalle autorità ecclesiastiche non appena la sua esistenza è stata resa manifesta: la Sindone

Secondo questa ipotesi, il famoso idolo barbuto denominato Baphomet e presumibilmente oggetto di culto da parte dei Templari altro non sarebbe che il dubbio sudario custodito oggi a Torino (dagli anglofoni noto appunto come Shroud of Turin). Eppure la stessa Frale non può nascondere che l'identificazione con la Sindone era già stata fatta nei tardi anni settanta del novecento, da parte di uno studioso di nome Oxford Ian Wilson. Aggiungo che tale ipotesi è stata subito bollata come pseudoscienza, così come al reame della fantasia sono state assimilate molte altre proposte. Q
uindi la storica del Vaticano non ha inventato proprio nulla: ha solo attinto a materiale preesistente datato di almeno un ventennio, e per giunta neppure di buona qualità. 

L'immagine più diffusa del Baphomet è quella che lo identifica con il Capro di Mendes, una divinità egizia connessa con la fertilità. Non c'è alcun fondamento storico per questa iconografia: si tratta del frutto della fantasia del massone Eliphas Lévi in pieno XIX secolo. Fu nel suo Dogma e rituale dell'alta magia, edito nel 1845, che questo autore produsse un'immagine di questa divinità ermafrodita cornuta dal vello nero. I suoi attributi sono densi di significati esoterici, basti pensare alle ali, alla torcia fallica sulla fronte, alla posizione delle mani. Non c'è nulla di tutto questo che abbia la benché minima connessione con i Templari; tra l'altro le fonti dell'epoca non alludono mai a corna, ma solo al fatto che si trattava di una testa barbuta. 

Le etimologie proposte per il nome Baphomet sono tante, una più assurda dell'altra. Ne citerò soltanto alcune. Friedrich Nicolai, un libraio tedesco, ha collegato il nome al verbo greco che significa 'immergere' e che è anche l'origine della parola 'battesimo'. In questo caso resterebbe in ogni caso un residuo suffisso -met, inanalizzabile. Invece Elipas Lévi sostenne un anagramma da un fantomatico TEM.O.H.P.AB, che starebbe per Templi omnium hominum pacis abbas (ossia 'Abate del Tempio della Pace di tutti gli uomini'). Alesteir Crowley, che in preda all'esaltazione orgiastica aveva assunto Baphomet come epiteto, arrivò a proporne l'origine da una frase bizzarra da lui inventata e tradotta come 'Padre Mitra'. 

Qualcuno afferma che Baphomet derivò dalla pronuncia popolare del nome Maometto, di cui si registrano molte varianti, dal veneziano Malcometto fino all'inglese Mahound, ora usato soltanto in Scozia. Esiste però una difficoltà. Com'è risaputo, l'Islam è una religione che rifiuta il culto delle immagini, al punto che rappresentare Maometto è assolutamente vietato ai suoi fedeli. Tra i musulmani non c'è mai stato un culto dell'immagine di Maometto, né dipinta né scolpita. I fautori di questa origine del Baphomet affermano che Filippo IV di Francia considerava del tutto irrilevante questo fatto: a lui importava solo inculcare l'idea che i Templari avessero tradito la Cristianità per servire segretamente l'Islam, insozzando così la loro integrità morale. 
 

Se inseguire un manufatto a forma di testa non ci porta da nessuna parte, le cose non vanno meglio con l'immagine impressa su telo. Stando sempre al racconto della Frale, "I Templari si procurarono la
sindone per scongiurare il rischio che il loro ordine subisse la stessa contaminazione ereticale che stava affliggendo gran parte della società cristiana al loro tempo: era il miglior antidoto contro tutte le eresie"

Inizierei col mettere i puntini sulle i, precisando che soltanto il Catarismo nega la corporeità di Cristo. Le altre forme di dissidenza religiosa note all'epoca, come il Valdismo, affermano la natura carnale del corpo di Cristo esattamente come fa la Chiesa Romana.
L'idea della Sindone come 'antidoto' all'eterodossia non regge affatto, anche perché per un cataro un idolo è soltanto il Nulla. Nessun docetista si convertirebbe all'idolatria vedendo l'immagine di un uomo barbuto stampata su un telo, e nessun cattolico di una certa levatura avrebbe bisogno di un idolo per dimostrare la sua teologia. Siamo ai livelli degli strani racconti sulla mummia di Cristo che si trovano nella Rete. 

Se i Templari avessero avuto tutto questo terrore dell'eresia, difficilmente avrebbero mantenuto una posizione di neutralità nei confronti dei Catari, ma anzi avrebbero partecipato attivamente alla crociata di Montfort. 

Non contenta, la Frale insiste. Aggiunge che "L'umanità di Cristo che i catari dicevano immaginaria, si poteva invece vedere, toccare, baciare. Questo è qualcosa che per l'uomo del medioevo non aveva prezzo". 

Incredibile. Forse nessuno ha detto all'autrice che anche i Catari dei secoli XIII-XIV erano uomini del Medioevo?  

Inoltre vale la pena di riportare che nel 1353 la Sindone fu esibita a Lirey, in Francia, da Goffredo di Charny. Il vescovo di quella regione ne fu scandalizzato e ordinò subito un'indagine. Risultato: fu stabilito che il telo era un falso ed è anche riportato che il vescovo riuscì a contattare il suo autore! Non dimentichiamoci che i Sudari di Cristo proliferavano, tanto che ci sono notizie di una quarantina di reliquie di questo tipo. Come distinguere un vero dai tanti falsi? Impossibile. Tant'è che calmatesi le acque, Goffredo di Charny rimise in mostra l'idolo, provocando una nuova inchiesta, con lo stesso esito. Gli ecclesiastici dell'epoca avevano le idee più chiare di quelli odierni? Si direbbe di sì. D'altronde spopolavano anche i prepuzi rinsecchiti detti reliquie della Circoncisione di Gesù. Bisogna credere che simili contraffazioni costituissero un antidoto al Catarismo? Lascio al lettore le conclusioni. 

In contrasto stridente con l'idolatria della Sindone è il rituale eminentemente docetico del calpestamento del crocifisso. Difficile negare l'esistenza di questa strana pratica richiesta alle reclute dei Templari. La
Frale propone un'interpretazione goliardica del rituale, assimilandolo persino a un atto di nonnismo malinterpretato e ingigantito. La cosa è tanto assurda che non vale nemmeno la pena di sforzarsi a deriderla: la verità è su queste basi la studiosa non può dare una spiegazione consistente con le sue premesse.   

D'altro canto, si può smentire con certezza l'appartenenza dei Templari al Catarismo. Se ci fosse anche stata l'ombra di un sospetto, i nemici dell'Ordine avrebbero sicuramente colto l'occasione. L'inquisitore Bernardo Gui, che studiò approfonditamente la distruzione del Tempio, non menziona mai una sola traccia del Catarismo - e se avesse avuto anche solo una mezza idea della presenza di Catarismo tra i Templari l'avrebbe certamente menzionato nella sua opera (non dimentichiamoci che i Domenicani sono molto precisi). 
Si deduce quindi che il calpestamento del crocifisso, pur di essenza docetica, doveva avere un'origine diversa. Ritorneremo su questo affascinante argomento.  

In buona sostanza, concordo con la Frale soltanto su una cosa, che il 99% di ciò che si dice sul Tempio è spazzatura. Comprese molte cose che lei afferma.
Non so ancora dire quasi nulla in positivo a proposito della strana vicenda dei Templari, mentre non riesce difficile confutare assurdità dette da altri. 

Meditando su tutto ciò si arriva a una conclusione desolante: il destino più orribile dei Poveri Cavalieri di Cristo non furono le torture e i roghi, ma la caduta del loro nome nell'abisso della Disinformazione. Che il Dio dei Buoni Spiriti protegga la Conoscenza del Bene e la Chiesa dei Buoni Uomini da un simile fato. 

(Il Volto Oscuro della Storia, 13 aprile 2009) 

mercoledì 20 ottobre 2021

ETIMOLOGIA DI AZERBAIGIAN E RETROFORMAZIONE DELL'ETNONIMO AZERI

Il nome dell'Azerbaigian (adattamento italiano di Azerbaijan) è di origine persiana e deriva da quello di un'antica provincia della Persia, che era chiamata Atropatene. Ai nostri giorni è sia il nome di una nazione indipendente, la cui capitale è Baku, che di una provincia dell'Iran, chiamata Azerbaigian iraniano o Azerbaigian persiano. Quando si formò il toponimo, la lingua parlata nella regione era iranica, non turca come nell'epoca attuale. Il nome degli Azeri è stato retroformato proprio dal toponimo Azerbaijan (azero Azərbaycan, persiano آذربایجان). L'accento è sulla seconda sillaba: Azéri /a'zeri/. La consonante -z- è una fricativa sibilante sonora. La pronuncia comunemente usata in Italia, Àzeri /'adzeri/, è da considerarsi erronea per l'accento; la consonante affricata è di origine ortografica. Come esattamente sia avvenuta questa strana retroformazione è ancora un mistero. Forse si è interpretata la seconda parte del toponimo, -baijan, come un suffisso, anche se non sembra avere alcuna funzione e alcun significato concreto, scorporando in questo modo Azeri. Questo processo, che ha dato origine all'etnonimo nella forma in cui lo conosciamo, era avvenuto già nell'antica lingua iranica della regione. In persiano si ha آذری Āzarīs. Comunque sia, non esiste nulla di simile nella lingua turca degli Azeri, che chiamano se stessi Azərbaycan türkləri, ossia "Turchi dell'Azerbaigian", oppure Azərbaycanlılar (-lar è il tipico suffisso plurale). In persiano esiste anche un altro termine per dire "azero": تُرْکی torki, ossia "turco". Dall'etnonimo retroformato si è poi avuta un'ulteriore derivazione tramite il suffisso aggettivale -i: Azerbaijani

Questa è la documentazione:
 
1) In greco il toponimo Ἀτροπατηνή (Atropatēné) è la sostantivazione del femminile dell'aggettivo Ἀτροπατηνός (Atropatēnós), a sua volta derivato dall'antroponimo persiano Ἀτροπάτης (Atropátēs). L'originale forma persiana di tale antroponimo doveva essere *Ātṛpāta, in cui significato è "Protetto dal Fuoco". Questo nome fu portato da un generale dei Medi che combattè nella battaglia di Gaugamela e che fu il primo satrapo della Media Atropatena nel 328 a.C. L'antroponimo è attestato in epoca medievale come Āturpāt
2) Sinonimo di Ἀτροπατηνή: Ἀτροπατία (Atropatía). 
3) Denominazione partica dell'Atropatene: Āturpātākān.
4) Denominazione medio persiana dell'Atropatene in epoca medievale preislamica: Ādurbādagān.
5) Attestazione in armeno: Atrpatakan.
6) Attestazione in georgiano: Adarbadagan.
 
La storia medievale dell'Atropatene è complessa e tristissima. Conquistata dagli Arabi, tale provincia persiana fu sottoposta a una terribile tirannia il cui fine era l'imposizione forzata dell'Islam e l'annientamento dell'autoctona religione di Zoroastro. Fu imposta la cosiddetta "tassa dell'anima", chiamata جزية jizya in arabo. La cosa funzionava così: chi proprio non voleva convertirsi, doveva pagare una somma consistente dei suoi introiti; se non ci riusciva e perseverava nel rifiuto di passare alla nuova fede, gli veniva confiscato ogni avere e si trovava ridotto in schiavitù. In tempi recenti, tale pratica è stata applicata nello Stato Islamico. Ricordo ancora che un giornalista chiedeva agli uomini del Califfo come calcolassero l'ammontare della jizya e questi glissavano, facevano finta di non aver sentito. A motivo dei metodi brutali con cui questo regime religioso aveva ottenuto il successo, le genti dell'Azerbaigian furono infine conosciute come "musulmani di spada": la loro resistenza secolare era stata annientata col ferro e soffocata nel sangue. Nel XI secolo i Turchi Selgiuchidi, di etnia Oghuz meridionale, giunsero nell'area che già professavano l'Islam, quando il processo di conversione della maggior parte della popolazione locale si era già completato. Iniziò quindi una profonda turchizzazione linguistica. Il più significativo elemento del sostrato iranico presente nella lingua azera è a mio avviso l'assenza dell'armonia vocalica, così tipica delle lingue altaiche. I popoli Turchi in genere portano nomi antichissimi e originali. Nel caso degli Azeri, il nome è invece proveniente dalla popolazione non turca e assimilata. 

La trafila fonetica dal partico Āturpātākān ad Azerbaijan è degna di nota per i suoi fenomeni di assibilazione e di palatalizzazione. Queste sono le radici avestiche:
 
Avestico: ātarš "fuoco", genitivo āθrō "del fuoco".
Avestico: pā-, pāiti- "proteggere":
   -pāta
"protetto";
    pātā, pātar- "protettore".
   La radice è la stessa di paitiš "signore", "marito" (deriva dalla radice indoeuropea ha dato anche il latino potis "potente", "capace", etc.).
 
Tutto ciò deve far meditare sul cambiamento linguistico, una forza ineluttabile di cui le genti del mondo non si rendono conto. Si tratta di qualcosa di lento: nessuno si accorge che la generazione presente pronuncia le parole in modo lievemente diversa dalla generazione precedente. Tramite piccolissimi cambiamenti che si accumulano nel corso dei secoli, alla fine si manifestano grandi differenze. Questa evoluzione delle lingue è irreversibile come la cottura di un uovo: una volta che albume e tuorlo si sono rassodati, nemmeno una divinità può ripristinare l'originario stato liquido. Nessuna istituzione scolastica o politica è in grado di frenare il mutamento, né tantomeno di impedirlo.   
 
Grottesche memorie universitarie
 
Un fisico azero venne in visita all'Università degli Studi di Milano. Tenne la sua lezione in uno pseudoinglese tremendo, che definire osceno sarebbe ancor poco. Era assolutamente ridicolo. Un clown ubriaco avrebbe saputo fare di meglio! Queste sono alcune "perle", giunte ai nostri esausti nervi acustici: 

i) cucucucù: si sentiva spesso questa parola onomatopeica, ma non abbiamo mai compreso cosa volesse significare. 
ii) nitrina : senza dubbio significa "neutrini" ed è un termine preso a prestito dal russo scientifico.
iii) pancini pancioni: si suppone che questo balbettamento stesse per il nome del fisico Pacini
iv) La congiunzione and suonava nitidamente ènta
v) Un compagno di sventura ha giurato di aver sentito ripetere più volte qualcosa che suonava come Abdullah
vi) zanzara: si è sentita questa parola, intercalata spesso e senza alcun significato comprensibile. Si è notato che alcuni ascoltatori sentivano Abdullah e altri zanzara, mai le due cose assieme. Sono ancora in attesa di elaborare una spiegazione plausibile di questo fenomeno acustico.

Non si riesce a spiegare l'origine della maggior parte di queste distorsioni percettive: soltanto un paio sono chiare. Questo è il rumore di fondo, potenza sempre all'opera nell'Universo. È quel disturbo permanente che alla fine non ci farà comprendere i colori, i suoni e le forme dell'esistenza. 

venerdì 20 agosto 2021

IL MISTERO DEL VINO DI SICOMORO

Il sicomoro (Ficus sycomorus) era molto considerato nell'antico Egitto, essendo l'albero sacro alla Dea Hathor, patrona della fecondità. Era anche chiamato "albero dell'Eternità" e "albero dei Faraoni": col suo legno venivano fabbricati i sarcofagi. I frutti del sicomoro, simili a fichi di colore chiaro e rossiccio, erano un cibo molto apprezzato. Provenendo da un albero sacro, erano associati all'immortalità e spesso venivano posti nelle tombe come offerta per i defunti. Oltre a questo, con tali fichi veniva prodotta una bevanda inebriante, che è da tempo scomparsa. A quanto pare era forte, al punto che bruciava la gola ed era paragonato alla fiamma (vedi The Fig in Ancient Egypt su Reddit). Diversi anni fa mi sono imbattuto in contributi di navigatori che si chiedevano perché il vino di sicomoro non fosse più stato prodotto. Non ho più trovato tracce dei loro interventi, ma cercherò di dare una risposta a questo importante interrogativo. 
 

Non mi stupisce troppo l'incapacità di trovare qualsiasi traccia di uno specifico termine egiziano per indicare una bevanda prodotta dai fichi del sicomoro. Col passaggio al Cristianesimo, caddero in disuso e furono obliate molte parole che appartenevano alla sfera semantica degli antichi culti. Altre furono invece conservate in copto, perché non suscettibili di ricevere un'interpretazione positiva in senso cristiano. A scomparire furono proprio quelle parole che non poterono subire l'esaugurazione, perché i concetti che esprimevano erano incompatibili con la nuova religione, che non fu esente da manifestazioni di fanatismo e di furore iconoclastico. Qualcosa di simile come accadde anche in latino, dove parole come templum e altāre si conservarono, mentre i sinonimi fānum e āra furono colpite da interdetto e scomparvero dalla lingua popolare. 
 
Si potrebbe dedurre che il vino di sicomoro era bevuto unicamente in occasione di rituali funebri, motivo per cui finì con l'essere abolito. La sua memoria si sarebbe quindi persa rapidamente. Non sono però chiari i dettagli di questo processo di scomparsa di un'antica eredità. 
Sbagliano coloro che hanno ipotizzato che la causa della scomparsa di questa bevanda sia stato l'Islam. Evidentemente non era già più conosciuta quando gli Arabi hanno conquistato l'Egitto. Per quanto la Shari'a proibisca l'alcol, non è sempre stata applicata con lo stesso rigore e non si può pensare che abbia causato la completa scomparsa di ciò che considera haram. Fautori dell'uso smodato del vino non sono mancati dalla Turchia alla Spagna moresca, così come i pederasti! Dovremmo pensare che il fanatismo cristiano in Egitto sia stato molto più efficace, eliminando tutto ciò che era intrinsecamente connesso con i riti pagani. Il problema non era il potere ubriacante della bevanda, bensì il fatto che fosse offerta alle divinità antiche e che non avesse alcun uso profano.  
Forse un simile tabù era già da tempo presente presso gli Ebrei. Sarebbe assurdo poter disporre di una risorsa abbondante come i frutti di sicomoro e non sfruttarla per la produzione di bevande alcoliche, quando basterebbe poco per farlo. Esisteva persino la professione di raccoglitore di fichi di sicomoro. La raccolta non veniva eseguita manualmente, bensì servendosi di strumenti affini a rastrelli, dato che i frutti crescono anche sul tronco degli alberi. Non sappiamo se questi fichi entrassero a far parte della produzione della sicera, assieme ad altri ingredienti, anche se non come unica componente. Non dispendo di sufficienti dati per definire la questione, ho pensato che fosse interessante chiedere a un rabbino molto esperto un'opinione per chiarire meglio questi dubbi, se nelle consuetudini israelitiche esista qualche interdizione a questo proposito. Ho quindi trovato un'inattesa pista sul Web, che mi ha permesso di giungere a una conclusione ragionevole.  

La soluzione del mistero 

Una neopagana che si fa chiamare Hearth Moon Rising riporta nel suo sito un'importante informazione. La pagina è la seguente:  


Questo è il testo tradotto: 
 
"Non sono stata capace di scoprire tramite i miei libri o una ricerca in Internet se il fico del sicomoro sia mai stato fermentato per i riti di Hathor. Ho scoperto che questo fico è talvolta davvero fermentato in vino, ma che ha un gusto di aceto che lo rende più adatto come medicina che come divertimento."
 
Il vino di sicomoro conteneva alcol acetico, ossia etanolo con tendenza a generare acido aceto, che conferiva un tipico sapore acido e irritante. Ecco perché si diceva che "bruciava la gola". Era bevuto soltanto per finalità religiose perché non era buono. Ho avuto esperienza di vino e di idromele in incipiente stato di inacetimento. Nel primo caso era un vino vecchio e imbottigliato male. Nel secondo caso era un idromele prodotto da amici a partire da una decozione conservata in condizioni non ottimali. La sensazione di entrambe le bevande era la stessa. Erano ancora commestibili, ma berle dava un certo fastidio e infiammavano le vie urinarie. La bevanda sacra alla Dea Hathor doveva essere simile. Una divinità egizia poteva imporre ai suoi devoti le cose più stravaganti, anche baciare il culo dei babbuini! Figuriamoci se era un problema bere una pozione un po' acida. Il punto è che quando la gente è diventata cristiana, nessuno glielo faceva più fare di ingurgitare qualcosa di poco gradevole. Allo stesso modo, il popolo di Israele non aveva motivo alcuno di usare quei fichi asprigni per la produzione di alcolici, quando disponeva di buona uva, frutta adatta, cereali e miele. Con questo, il mistero è risolto. 
 
Note etimologiche

Questa è l'evoluzione del nome del sicomoro nella lingua degli Egizi dalle origini al suo periodo finale: 

 
Egiziano (Antico Regno)
nht "sicomoro" (pronuncia /'na:hat/
 
Egiziano (Medio Regno)
nht "sicomoro" (pronuncia /'na:ha/
 
Egiziano (Nuovo Regno) 
nht "sicomoro" (pronuncia /'nɔ:hə/, /'no:hə/)
 
Copto
ⲛⲟⲩϩⲉ (pronuncia /'nu:hə/
 
Da questo fitonimo deriva il nome di persona maschile Sinuhe, che significa "Figlio del Sicomoro". Nell'Egiziano del Medio Regno doveva pronunciarsi /siˀ'na:ha/. Si deve notare che il nome, di genere maschile, contiene un elemento che è morfologicamente femminile.
 
Questo è il nome del sicomoro in alcune importanti lingue semitiche:  

Ebraico 
שִׁקְמָה  šiqmā "sicomoro" (pronuncia biblica /ʃiq'ma:/
        altre trascrizioni: shikma, shikmah
     singolare costrutto: שִׁקְמַת־  šiqmat "sicomoro di"
     plurale: שִׁקְמִים  šiqmīm "sicomori" 
     plurale costrutto: שִׁקְמֵי־‎‎  šiqmē "sicomori di"
Note: 
Il singolare è di genere femminile, il plurale è invece di genere maschile. Indica l'albero e il suo frutto. 

Aramaico 
šeqmā "sicomoro" (albero e frutto) 
      (prestito dall'ebraico) 
   altri significati: "fico selvatico", "fico acerbo" 
   variante: šqem, šiqmā, šaqmā "sicomoro" 
   plurale: šiqmīn "fichi di sicomoro"
   plurali alternativi: šeqmātā, šeqmē 
tittā "sicomoro" (frutto) 
   varianti ortografiche: titā, tettā 
Note: 
Il vocabolo tittā, attestato come designazione del fico del sicomoro, è affine all'accadico tittu, tētu "fico" e all'ebraico תְּאֵנָה  te'ēnā "fico". In aramaico esiste anche tā "mora di gelso; emorroide", affine all'accadico tuttu "mora di gelso" e all'ebraico תוּת t "mora di gelso".

Accadico 
messikanu "sicomoro" (varianti: musukanu, musukannu,
    mesukannu, etc.);
sukannu "sicomoro" 
Note: 
Si tratta di prestiti dal sumerico (vedi sotto). Alcuni ritengono che in ebraico si trovi parola isolata mesukkān "sicomoro" in Isaia 40, 20, ma non sono sicuro che sia vero: sembra invece che sia un fraintendimento di הַֽמְסֻכָּ֣ן hamsukkān "impoverito, danneggiato". La questione sembra non essere risolta a tutt'oggi, ci sono studiosi che insistono col dire che mesukkān è un albero, anche se la traduzione "sicomoro" non è accettata da tutti. Secondo Haupt (1917), l'albero sarebbe invece da identificarsi con l'Acacia nilotica. Se questo vocabolo esistesse, sarebbe evidentemente un prestito dal sumerico tramite l'accadico.  
 
Arabo  
جُمَّيْز  jummayz "sicomoro" 
سَوْقَم  sawqam "sicomoro" (Yemen, obsoleto)
سَقُوم  saqūm "sicomoro" (Algeria) 
Note: 
Il primo di questi nomi del sicomoro, jummayz, ha una corrispondenza nell'ebraico mishnaico: גמזיות "sicomori", con ogni probabilità da vocalizzarsi come gummazyōt. I due nomi sawqam e saqūm sono chiari prestiti dall'aramaico.

Questo è il nome del sicomoro nella lingua di Sumer: 

Sumerico 
1) šam "sicomoro" (glosse accadiche: "sukannu",
    "musukanu", fonte: Uruanna, II.509); 
2) giš mes maganna "sicomoro", alla lettera "albero
     di Magan" (giš è un determinativo e non si pronuncia). 
Note: 
Magan era un paese mitico la cui identificazione finora non è stata determinata con sicurezza. Alla luce di questa evidenza, finora negletta, può essere identificato con l'Oman: l'unica delle terre proposte ove cresce il sicomoro. Resta però il fatto che questo vocabolo avrebbe potuto indicare anche alberi diversi. Sarebbero necessari studi più approfonditi.  
Chiaramente l'accadico messikanu (e varianti) è derivato proprio da giš mes maganna.

Sicomoro e sicamino 

In greco σῡκόμορος (sykómoros) è etimologizzato come "fico-gelso", da σῦκον (sŷkon) "fico", μόρον (móron) "mora di gelso". Si tratta di un'etimologia popolare. In realtà la parola sembra un adattamento dell'ebraico šiqmā (vedi sopra). Si tratta però di un ragionamento circolare, in quanto il nome ebraico del sicomoro è a sua volta derivato dalla stessa radice mediterranea da cui hanno avuto origine anche il greco σῦκον e il latino fīcus (verosimile prestito dall'etrusco). Esiste poi in greco un altro fitonimo collegato a questo: συκάμινος, variante συκάμνος "gelso bianco", "gelso nero", che nel greco d'Egitto è usato anche col significato di "sicomoro". Questa parola è derivata direttamente dal plurale aramaico šiqmīn "fichi di sicomoro" ed è passata in latino come sȳcamīnus
 
Ancora su un equivoco
 
Il vino di sicomoro è menzionato nell'opera di Paolo Mantegazza, Quadri della natura umana. Feste ed ebbrezze (1871). Il fisiologo monzese ha riportato in un elenco un gran numero di bevande fermentate, con una breve nota sulla sua produzione e spesso anche sul paese in cui sono usate. Molte informazioni sono preziose, altre sono invece abbastanza discutibili. Così egli scrive:
 
Vino di sicomoro, succo dell'albero. Inghilterra 
 
A questo punto mi viene un sospetto. Mantegazza deve aver commesso lo stesso errore in cui è incappato Michel Houellebecq, definendo "sicomoro" l'acero montano. La causa è senza dubbio derivata dall'uso volgare di chiamare "sicomoro" svariate specie di aceri e persino il platano (sycomore o sycamore in inglese, sycomore in francese). Questa abitudine deprecabile è contraria all'etimologia della parola e di certo è derivata dall'ignoranza di qualche autore moderno: ancora nel XIV secolo il francese sicamour indicava correttamente la pianta africana e mediorientale di biblica memoria.    

lunedì 26 luglio 2021

IL MISTERO DELLA LINGUA BRAHUI

La lingua Brahui (براہوئی /bra:hu:i/, scritto anche Brahoi, Brahvi) appartiene alla famiglia delle lingue dravidiche ed è parlata da una parte dell'omonimo gruppo etnico di pastori. I Brahui abitano in prevalenza una ristretta area del Pakistan centrale (Provincia del Belucistan), che comprende Quetta a nord, proprio dove è stato abbattuto Osama bin Laden, spingendosi a sud fino a Las Bela. Se ne trovano comunità sparse anche in Afghanistan, in Iran e in Turkmenitan (intorno alla città di Merv). Si stima che in totale i parlanti siano circa 2.864.000, di cui 2.640.000 in Pakistan, in massima parte bilingui: i Brahui del Pakistan utilizzano anche il Beluci (بلۏچی Balochi, Baluchi), una lingua iranica nordoccidentale. Va notato che per molti gruppi tribali il Brahui è ormai una seconda lingua, mentre altri hanno perso completamente la sua conoscenza.  
 
Se si dà anche solo un'occhiata alla mappa che mostra la diffusione delle lingue dravidiche, si vede subito che la lingua Brahui è un outlier, assai distante dalle aree in cui le lingue della stessa famiglia sono parlate (più di 1.500 km, corrispondenti a 930 miglia). Come spiegare una simile anomalia?

Fonte: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Dravidian_subgroups.png 
Mappa originale di User:BishkekRocks, ricolorata da User:Kanguole
 
Il problema, non di poco conto, riguarda l'origine storica della lingua Brahui, su cui non c'è in ultima analisi alcun consenso. Queste sono in estrema sintesi le opinioni sull'argomento: 
 
1) Il Brahui è un residuo di una situazione anteriore alla diffusione delle lingue indoarie, in cui erano parlate lingue dravidiche anche nel nord dell'India; 
2) Il Brahui è l'esito di una migrazione recente dal subcontinente indiano, in genere fatta risalire all'XI secolo e secondo alcuni ancor più tarda (vedi sotto). 
 
Purtroppo nel corso degli anni la spinosa questione si è intrecciata senza sosta all'ideologia e alla politica, come c'era da aspettarsi, ingarbugliandosi sempre più. Va comunque detto che l'idea dell'origine antica del Brahui è prevalente nel mondo accademico, anche se non mancano polemiche. Un punto ancor più controverso è la possibilità o meno di una connessione di quest'isola linguistica dravidica con la misteriosa civiltà della Valle dell'Indo, che andò in crisi nel 1800 a.C. e scomparve. Brancoliamo nel buio e sono costretto a proseguire il discorso in altra sede. Tornando alla nostra discussione sulla lingua Brahui, questi sono i punti di vista di alcuni autorevoli studiosi:
 
    i) Josef Elfenbein (1989) ha sostenuto la teoria dell'origine antica, ritenendo che i parlanti della lingua Brahui fossero parte della migrazione dravidica verso l'India settentrionale, avvenuta nel III millennio a.C.; essi sarebbero rimasti nelle regioni attualmente chiamate Sarawan e Jahlawan, non seguendo il movimento demico dei loro parenti diretti nel sud e nell'ovest del subcontinente. 
   ii) Paul Sergent (2007) è invece un convinto sostenitore dell'origine recente e della provenienza dall'India centrale, addirittura nel XIII o nel XIV secolo. Ha scritto quanto segue: 

"Les bases factuelles de cette opinion ont été ruinées dès 1987... En fait le brahoui a quitté tardivement, durant notre Moyen Âge, le nord-Ouest du Deccan pour s'installer au Baloutchistan, il ne peut donc plus constituer ni une preuve, ni un indice du caractère dravidophone des hommes qui vivaient au bord de l'Indus plus de 3 000 ans avant."
 
Traduzione: 

"Le basi fattuali di questa opinione sono andate in rovina già nel 1987... Infatti, il Brahui ha lasciato il nord-ovest del Deccan in epoca tarda, durante il nostro Medioevo, per stabilirsi in Belucistan, quindi non può più costituire né una prova, né un'indicazione di il carattere dravidofono degli uomini vissuti sulle rive dell'Indo più di 3.000 anni prima." 

Si nota subito che tale teoria si scontra con svariate evidenze, non soltanto linguitiche. Non credo che sia possibile identificare la lingua parlata da un individuo ormai mummificato partendo dall'analisi del genoma e dal reperimento di alcuni aplogruppi; tuttavia ci si aspetterebbe che i Brahui, se fossero davvero migrati in epoca tanto recente dal subcontinente indiano, manterrebbero una somiglianza genetica con i Dravida. Non è stato riscontrato nulla di simile: i Brahui non hanno alcuna differenza genetica evidente rispetto ai loro vicini iranici e indoarii.
    iii) David McAlpin (1975), ossessionato dall'idea di una stretta parentela tra il proto-dravidico e l'elamico, ha ritenuto il Brahui come una prova delle sue argomentazioni. A conti fatti, mi sembra che non sia possa ricostruire una protolingua elamo-dravidica. In altre parole, l'antica lingua di Elam non mostra speciali affinità con le lingue dravidiche: le presunte somiglianze nella morfologia, elencate da McAlpin, sembrano tutto fuorché convincenti. Un'origine comune dell'elamico e del protodravidico sarebbe in ogni caso remota.  

I Brahui non hanno alcuna memoria tradizionale di una migrazione dall'India centrale o meridionale. Hanno invece l'idea stravagante di una remota provenienza dalla Siria.
 
La sopravvivenza di una lingua di origine dravidica parlata da comunità senza alcun contatto con i Dravida dell'India è potuta avvenire soltanto a prezzo di una penetrazione profonda di elementi lessicali indoeuropei e arabi, questi ultimi importati per influsso dell'Islam. I Balochi, con cui i Brahui hanno avuto intensissimi contatti linguistici, si sono stanziati nell'area soltanto a partire dall'XI secolo. Ho sentito dire dai sostenitori delle idee di Sergent che mancherebbero in Brahui prestiti dall'avestico e dal persiano antico. Benissimo, ribatto con una domanda: dove diamine sono i prestiti dal sanscrito?     
 
Ecco la composizione del lessico Brahui: 
 
Origine dravidica: 15% 
Altra origine iranica (Balochi, Farsi e altro): 20% 
Altra origine indoiranica (Sindhi e altro): 20% 
Arabo (tramite il Farsi): 35%  
Origine ignota (sostrato ignoto): 10% 

Per via della natura estremamente composita del suo lessico e per l'incertezza di molte etimologie, la lingua Brahui è stata definita un "incubo etimologico". 
Le informazioni da me riportate si possono trovare facilmente nel Web. A me piace però fornire la ciccia. Elenco così una lista di parole di origine dravidica nel Brahui, tratta dai lavori di George Starostin, figlio del compianto Sergei (zikhrono livrakha), che sono consultabili nell'immenso database online The Tower of Babel. Ho selezionato i lessemi con estrema attenzione; non escludo però che ce ne siano altri.  



Note sull'ortografia adottata per trascrivere le parole Brahui: 

c è un'affricata palato-alveolare /tʃ/ (come ch in inglese) 
lh è una laterale sorda aspirata /ɬ/ (come ll in gallese) 
sh è palatale /ʃ/ (come sh in inglese) 
x è una fricativa velare sorda /x/ (come ch in tedesco) 
gh è una fricativa velare sonora
, , , sono suoni retroflessi (cacuminali) 
j è un'affricata palato-alveolare /dʒ/ (come j in inglese) 
Le protoforme dravidiche seguono un'ortografia in parte diversa, in cui j è un'approssimante palatale (come y in inglese) o una coda di dittongo. 

Parole di origine dravidica:

aḍ "riparato; riparo, protezione"
   proto-dravidico *áḍḍa-, *aḍái- "ostacolare"

ainō, annō "oggi"
   proto-dravidico *i-ned- "oggi"

all-, prefisso verbale negativo
   proto-dravidico *al-, morfema negativo

alla "commozione"
   proto-dravidico *alá- "soffrire"

allī "schema di ricamo"
   proto-dravidico *al- "tessere, intrecciare"

ammā "madre; nonna; termine onorifico per riferirsi a una donna" 
   proto-dravidico *áma- "madre" (onorifico)

anning "essere" (temi: an-, ar-, as-, a-)
   proto-dravidico *ā- / *an-

appā "cibo per bambini"
   proto-dravidico *ápa- "torta di farina di riso"

arē "uomo, individuo di sesso maschile; persona; marito", 
pl. arisk "uomini"
   proto-dravidico r-, d-
"maschio"

asiṭ "uno" (un'entità) 
asi "uno" (forma aggettivale) 
   proto-dravidico *or- "uno" (derivazione dubbia)

avalēnging "diventare confuso, sentirsi in imbarazzo"
   proto-dravidico *aval- "turbamento; confusione"

āvāning "sbadigliare"
   proto-dravidico *āv- "sbadigliare"

balun "grande, grosso, anziano, adulto"
   proto-dravidico *val- "grande; molto"
 
banning "venire" (temi: bar-, ba-)
   proto-dravidico *vā-[r]- "venire"

"bocca, apertura; filo di un coltello"
   proto-dravidico *vāj- "bocca; filo (di una lama)"

bārring, bārringing "seccarsi; allenarsi per una gara; maturare 
     (di mais), inaridirsi, appassire, irrigidirsi",
bārifing "essiccare",
bārun "secco"
   proto-dravidico *vad- / *vat- "seccarsi, appassire"

bāsing, bāsinging "diventare caldo"
   proto-dravidico *v
ē- "essere caldo"

bei "erba adatta al pascolo; qualsiasi arbusto adatto al pascolo"
   proto-dravidico *vaj- "paglia di riso"

"su, sopra"
   proto-dravidico *mē-[l-] "su; altezza; bello, buono"

bēnifing, bērifing "coprire di paglia"
   proto-dravidico *ve[ń]s- "coprire di paglia"

bil "arco"
  proto-dravidico *vil1 "arco"

bining "udire, sentire"
   proto-dravidico *ven- "udire, sentire"

birr "selvaggio, indomito; timido"
   proto-dravidico *ver- "matto"

birring "separare, selezionare, distinguere"
   proto-dravidico *vēt- / *vēd- "separare"

bising, bisinging "essere cotto, essere maturo"
   proto-dravidico *vis- "cuocere, scaldare al sole"

biṭ "mucchio, collinetta"
   proto-dravidico *veṭ- "montagna; costa"

biṭing "gettare, buttare giù, scaricare, lasciar cadere, vagliare, buttare via, gettare; scendere, scendere, stabilirsi, (la neve) cade, stendersi"
   proto-dravidico *viḍ[i]- "lasciare"

bīra "semplicemente, soltanto"
   proto-dravidico *vejr- "vuoto; solo"

calēnging "incrinarsi, spaccarsi"
   proto-dravidico *sel-, *cel- "spaccare"

cāing "comprendere, conoscere, realizzare, considerare"
   proto-dravidico *tēr- "essere chiaro, evidente"

cōṭ "storto, a zigzag; di carattere storto"
   proto-dravidico *coṭ- "zoppo"  

cugh "nuca"
   proto-dravidico *Cu[g]- "spalla; nuca"

cunak "piccolo"
   proto-dravidico *čin- "piccolo"

curring "fluire, zampillare"
   proto-dravidico *cor- "fluire"

cuṭ "goccia"
   proto-dravidico *Coṭ- "gocciolare, goccia"

cūping "succhiare"
   proto-dravidico *cu[b]- succhiare

darō "ieri"
   proto-dravidico *nēr- "ieri"

daṛing "scendere, andar giù, smontare"
   proto-dravidico *tā- "cadere in basso; abbassare"

"questo"
   proto-dravidico *a- / *ā- "quello"

"sole, luce del sole; giorno, tempo"
   proto-dravidico *nē-r- "tempo; sole"

dē(r) "chi" (base interrogativa, sing. o pl.)
   proto-dravidico *jā-, *ja-, base interrogativa

ditar "sangue"
   proto-dravidico *nej-tor "sangue"

dīr "acqua; succo"
   proto-dravidico *ńīr- "acqua"

durrēnging "osare, avventurarsi"
   proto-dravidico *toḍ- "cominciare; essere pronto"

gaṭ "morso"
   proto-dravidico *k̂aṬ- "mordere"

ghuḍḍū, guḍḍū "piccolo; monello"
   proto-dravidico *guḍ- "piccolo"

ghurring "grugnire"
   proto-dravidico *gur- "ruggire; russare"

hal "ratto"
   proto-dravidico *èl- "ratto"

halling "afferrare; comprare; prendere assieme"
   proto-dravidico *aḷ-a- "mescolare; raggiungere, avvicinarsi"

hamping "caricare, caricare e andare; iniziare; partire; essere cancellato"
   proto-dravidico *an-p- "caricare; mandare via"

hanēn "dolce"
   proto-dravidico *in- "dolce"

haninging "copulare" (detto di esseri umani)
   proto-dravidico *aṇái- / *anḍ- "congiungere, unire"

harrifing "indagare, chiedere"
   proto-dravidico *jed-, *jer- "conoscere"

harring "rompere, frantumare"
   proto-dravidico *ar- (*ad-) "tagliare"

(h)aṛsing "girare qualcosa indietro o girare, cambiare, tornare indietro; riprendersi; attaccare di nuovo (detto di malattia)"
   proto-dravidico *eḍ- "essere distante, separato"
   (attribuzione dubbia)

hēl "conoscenza, saggezza"
   proto-dravidico *ēḷ- "saggezza"

hēling "stendere (tappeti, panni da asciugare, tovaglie)
   proto-dravidico l- "ricevere; conferire"

hēṭ "capra femmina"
   proto-dravidico *jōḍ- "capra"

hining "andare, partire, sparire; avere la diarrea"
   proto-dravidico *ej- "arrivare"

hīning "dare alla luce" (detto di pecora, capra, vacca, etc.)
   proto-dravidico *īn- "partorire giovane"

lh "mosca"
   proto-dravidico *īp- "ape; mosca" 
   (attribuzione dubbia)

hōr "dito (della mano)"
   proto-dravidico *ògir "artiglio, unghia"

hunning "guardare, cercare, aspettare, considerare"
   proto-dravidico *un- "pensare"

hushing "dare fuoco, bruciare, bruciare, rendere febbricitante, bruciare di rabbia"
   proto-dravidico *kos- "bruciare"
   (attribuzione dubbia)

(h)ūling, hūlāiing "ululare"
   proto-dravidico *ūḷ- "ululare"

hūring "scoppiare (di foruncoli), germogliare (di raccolti)"
   proto-dravidico *ur-, *ūr- (-d-) "trapelare, trasudare"

(h)ūringing, (h)ūrēnging "gonfiarsi, rompersi (detto di bolle, etc.); germogliare"
   proto-dravidico *ur-, *ūr- "traboccare, gonfiarsi"

iragh "pane, cibo"
   proto-dravidico *ir- "cibo"

iraṭ "due" (due entità), 
irā "due" (forma aggettivale)
   proto-dravidico *ir- "due"

iris "pettine"
   proto-dravidico *ir-Vc- "grattare (il terreno); pettinare"

ī "io" (obl. kan-)
   proto-dravidico *njān "io"

ī-, base declinata per caso, a cui si aggiungono i pronomi suffissi
      enclitici
   proto-dravidico *i- "questo"

īlum "fratello", 
īṛ "sorella"
   proto-dravidico *
īḷ-[aj-] "giovane"  

jaxxing "imbattersi; trafiggere"
   proto-dravidico *ǯak- "forare"

kahing "morire; spegnersi (detto del fuoco)", 
kasfing, kasifing "uccidere" 
   proto-dravidico *k̂āi- "morire"

kalūṛ "ceneri"
   proto-dravidico *kāḷ- "bruciare" (attribuzione dubbia)

kanning "fare; fingere se stesso; essere capace"
   (temi: kar-, ka-, kē-
   proto-dravidico *kej- "fare"

karrak "banco, riva, orlo, bordo, bordo, vicino"
   proto-dravidico *kar- "banco; ponte; bordo"

kā- "andare; partire"
   proto-dravidico *k̂ā- "andare"

ki-, kī-, kē- "sotto, giù"
   proto-dravidico *kīẓ- "inferiore; in basso"

kirēng "abuso",  
kirk "rancore"
   proto-dravidico *kir- "rabbia; arrabbiato, dispiaciuto"

kishking "strappare, staccare"
   proto-dravidico *kic- "pizzicare"

kīsh "pus; muco"
   proto-dravidico *k̂ī- "pus; marcire"

kubēn "pesante"
   proto-dravidico *k̂um- "portare sulla testa"

kuning "mangiare; bere; mordere; soffrire; sopportare"
   proto-dravidico *uṇ- "bere; mangiare"
   (attribuzione dubbia)

kūring "arrotolare, fare piazza pulita"
   proto-dravidico *k̂ūr-[Vḷ-] "girare, torcere"

malēnṭ "pecora o capra che ha smesso di produrre latte"
   proto-dravidico *mal- "sterile"

maling "aprire; disfare; slegare"
   proto-dravidico *mal- "aprire" (es. un fiore)

manning "divenire; essere"
   proto-dravidico *man- "essere"

margh "corno"
   proto-dravidico *mar-[g-] "corno"

mash "collina, montagna"
   proto-dravidico *màl- "montagna" (attribuzione dubbia)

mashāx "sfregiato"; "privo di corna (detto di animali)"
   proto-dravidico *mac- "macchia, chiazza"

maṭ "denso, spesso" (detto di capelli, giungla, tessuto o fior di latte)
   proto-dravidico *manḍ- "chiuso,
serrato; affollato"

maun "nero, scuro (detto di notte)"
   proto-dravidico *mā- "nero; scuro"

māmā "zio materno"
   proto-dravidico *mām- "fratello della madre"

mār "figlio, ragazzo"
   proto-dravidico *màd- "figlio"

miring "stuccare, intonacare"
   proto-dravidico *meẓV- "ungere"

lh "fumo"
   proto-dravidico *mōl- "fumo" (ricostruzione dubbia)

mōn "davanti"
   proto-dravidico *mun- "davanti"

mōṭ "scemo, stupido"
   proto-dravidico *mōṭ "scemo"

mukking "balbettare"
   proto-dravidico *muk- "fare uno sforzo; grugnire"

murū "lepre"
   proto-dravidico *mundjal "lepre" (ricostruzione dubbia)

musiṭ "tre" (tre entità), 
musi "tre" (forma aggettivale), 
musīka "tre volte"
   proto-dravidico *mū- "tre"

must "chiuso"
   proto-dravidico *muj-S- "coprire"

mutkun "vecchio; cosa vecchia"
   proto-dravidico *mūt- "vecchio"

muṭṭux "nodo, fascio; annodato"
   proto-dravidico *muṬ- "nodo (di capelli); annodare i capelli"

mux "cintola, fianchi"
   proto-dravidico *mòl- "grembo; cintola"

nan "noi"
   proto-dravidico *njām "noi" (esclusivo)

nan "notte"
   proto-dravidico *ńaḷ- "notte"

narring "fuggire, scappar via"   
   proto-dravidico *ńar- / *ar- "aver paura"

"tu"
   proto-dravidico *njīn "tu"

num "voi" (obl. num-)
   proto-dravidico *njīm "voi"

nusing "macinare"
   proto-dravidico *nūd- "macinare"

pacx "guscio, corteccia"
   proto-dravidico *pač- "pelle, corteccia" 
   (ricostruzione incerta)

paddām "gonfiore, distensione"
   proto-dravidico *padd- "umidità, disteso, gonfiato"

lh "latte; succo lattiginoso delle piante"
   proto-dravidico *pāl "latte"

pāning "dire, parlare, raccontare, parlare di qualcosa, chiamare una cosa, dire a se stessi"
   proto-dravidico *paṇ- "comandare, parlare; mandare"

pic "muco degli occhi"
   proto-dravidico *pic- "muco degli occhi"

piḍ "ventre, stomaco"
   proto-dravidico *piẓig- "viscere, interiora"

pillōta "povero bambino, bambino piccolo, orfano, miserabile"
   proto-dravidico *piḷ- "giovane ragazza"

pilhing "schizzare, far schizzare, massaggiare, spremere"
   proto-dravidico *piẓ- / *pinḍ- "far schizzare; mungere"

pin "nome"
   proto-dravidico *pendj-[ar] "nome"

pinning "essere intrecciato"
   proto-dravidico *piṇ- / *pīnḍ- "intrecciare, torcere"

pir "pioggia"
   proto-dravidico *pid- "pioggia"

pirghing "intrecciare (una corda, etc.)"
   proto-dravidico *pir- "torcere, girare"

pirghing "rompere, trasgredire, risolvere (un indovinello)"
   proto-dravidico *pir-i- "spaccare, aprire"

piring "gonfiarsi"
   proto-dravidico *Per- "grande"

"merda, escrementi" (di umani o di uccelli)
   proto-dravidico *pī- "escremento"

gh "carbonella"
   proto-dravidico *bog- / *posaŋ- "carbonella"
   (ricostruzione dubbia)

pōling "macchia; macchia sul proprio carattere"
   proto-dravidico *pol- "cattivo, meschino; sporco, inquinamento"

pōrring "covare uova"
   proto-dravidico *pōr- "covare uova"

pōs "vagina"
   proto-dravidico *poč- "vulva"

pudēn "freddo, fresco, non infiammato; stantio (detto di pane)"
   proto-dravidico *podr- "inzupparsi, inumidirsi, gonfiarsi

putunk "fascio, nodo, corda annodata"
   proto-dravidico *pot- "seppellire; coprire; bosco"

puṭ "capelli"
   proto-dravidico *buẓC- "piuma; capelli" 

"verme, cagnotto, bruco" 
   proto-dravidico *puẓ- "verme; insetto"

pūskun "nuovo, fresco; recentemente"
   proto-dravidico *pucn- "nuovo"

pūshkun "giallo"
   proto-dravidico *pūc- "verde; giallo"

pūt "ombelico; cordone ombelicale"
   proto-dravidico *boḍ- "ombelico"

pūtuṛō "vescica"
   proto-dravidico *poṭ- "vescica"

saling, salīng "stare in piedi, alzarsi in piedi; restare con; sopravvivere;  fermarsi, cessare da"
   proto-dravidico *sal- "stare in piedi" (ricostruzione dubbia)

sil "pelle, pelle di serpente, buccia di frutta, scorza"
   proto-dravidico *Sil- "staccarsi"

"carne"
   proto-dravidico *Sav- "carne" (ricostruzione dubbia)

taḍ "potere di resistere"
   proto-dravidico: *tanḍ- "ostruire, ostruzione"

tafing "legare; stregare; costruire (un terrapieno); diventare congelato, raccogliere (di nuvole)"
   proto-dravidico *taḷ- "legare, incatenare"

tahō "vento"
   proto-dravidico *tāk- "vento" (ricostruzione dubbia)

lh "scorpione"
   proto-dravidico *tēḷ- "scorpione"

tēn "sé, me stesso, te stesso, se stesso, noi stessi, ecc."
   proto-dravidico *tān "egli, se stesso"

tining "dare"
   proto-dravidico *ta- "portare; dare (a I/II pers.)"

tīn "caldo torrido, calura"
   proto-dravidico *tjī- "bruciare"

-tōl "uovo", in zartōl "uovo di tartaruga"
   proto-dravidico *tōl- "uovo"

tōla "sciacallo"
   proto-dravidico *tōnḍl- "lupo, sciacallo"

tōning "mantenere, trattenere, respingere, frenare"
   proto-dravidico *toṬ- "toccare 

trikkal "treppiede di tre bastoni su cui è appesa la tenda"
(tri- "tre" è indoario)
   proto-dravidico *kāl- "gamba, piede"  

trikking "germogliare; sporgere"
   proto-dravidico *ter- "grinza; piega"

tugh "sonno, sogno"
   proto-dravidico *turŋ- "appendere; oscillare; dormire"

tusing, tusēnging "svenire, perdere i sensi"
   proto-dravidico *dos- "afflizione; calamità; stanchezza"

tūling "sedere, sedersi, rimanere seduti; aspettare; abitare; fare
      qualcosa con calma; rimanere zitella"
   proto-dravidico *Cunǯ- "dormire"
   (attribuzione dubbia)

urā "casa; moglie"
   proto-dravidico *ūr- "villaggio"

ust "cuore, mente; dentro; nòcciolo"
   proto-dravidico *uS- "vita, vivere"

uṭ "essere" (pres. I pers. sing.)
   proto-dravidico *ul-[u-]/[d-] "essere"

xaf "orecchio"
   proto-dravidico *kev- "orecchio"

xal "pietra, masso"
   proto-dravidico *kal- "pietra"

xalling "abigeare
   proto-dravidico *kaḷ- "rubare"

xalling "sradicare; raccogliere (verdure, erba per foraggio)
   proto-dravidico *kaḷ- "sradicare"

xalling "colpire, uccidere, sparare (con una pistola), lanciare pietre  
   proto-dravidico *kol- "uccidere"

xan "nodo nel legno"
   proto-dravidico *gaṇ- "giuntura"

xan "occhio"
   proto-dravidico *kaṇ- "occhio"

xaning "vedere"
   proto-dravidico *qan- "vedere"

xar "arrabbiato"
   proto-dravidico *kar- "rabbia; inimicizia"

xarās "toro, torello"
   proto-dravidico *k̂aḍ- "vitello; cervo"

xarēn "amaro"
   proto-dravidico *kaḍ- "amaro; affilato; severo, crudele;
   eccessivo, grande"

xarring "germogliare",  
xarrun "verde"
   proto-dravidico *kōẓ-, *koẓ- "giovane; germoglio"

xarring "procedere a piedi; fare la propria strada"
   proto-dravidico *k̂aḍ-a- "attraversare"

xāxar "fuoco; rabbia, gelosia"
   proto-dravidico *kāj- "essere caldo; secco"

xāxō "corvo"
   proto-dravidico *kāk- "corvo"

xāxūr "damigella di Numidia" (tipo di gru)
   proto-dravidico *korŋ- "gru; airone"
   (attribuzione dubbia)

xēr "dietro" (prep., avv.)
   proto-dravidico *kēr- "lato"

xīsun "rosso; oro"
   proto-dravidico *ke- "rosso scuro"

xōl "grembo; prole; viscere; trama"
   proto-dravidico *kōl- "ventre, grembo"

xuling (xulī-) "temere"
   proto-dravidico *kul- "scuotere; temere"

xuning, xinzing, xīzzing, xuzzing "muoversi in posizione seduta o
      accovacciata"
   proto-dravidico *gunǯ- "spingere"

xurrukāv "il russare"
   proto-dravidico *kūr- "abbaiare; fare rumore"

xurrum "granaio sotterraneo"
   proto-dravidico *koẓ- "tubo, buco, fossa"

xutting "scavare; sondare"
   proto-dravidico *kut- "forare; scavare"

xwāfing "far pascolare; portare a pascolare"
   proto-dravidico *kā- "aspettare; stare attento" 
   (attribuzione dubbia) 

Alcune osservazioni su questo materiale lessicale:  

1) Ho fatto un rapido conto: sono in tutto 186 radici Brahui a cui è attribuita un'origine dravidica, mentre le protoforme dravidiche ricostruite ono 2211. Quindi soltanto l'8,4% delle protoforme dravidiche elencate da Starostin ha un esito in Brahui. Una percentuale davvero esigua.
2) La somiglianza con il dravidico settentrionale (Malto, Kurukh) è stata evidenziata; mi pare tuttavia che moltissime radici presenti in Malto e in Kurukh siano del tutto sconosciute in Brahui. Sono andate perdute o non sono mai state presenti? Ignoramus
3) Le parole Brahui per cui è possibile ricostruire una protoforma dravidica sono soltanto in pochi casi pertinenti al lessico di base (ad esempio dīr "acqua", "sole", ditar "sangue, xāxar "fuoco", etc.); in molti casi sono invece parole tecniche o particolarissime, ad esempio verbi per esprimere concetti come "dondolare", "sporgere", "far scoppiare un foruncolo", etc.). 

Parole di origine sconosciuta (non dravidiche, non indoeuropee, non semitiche): 

alēj "sacrificio (in cui il paziente assiste al massacro imbrattato di sangue)"

ant "che cosa" 
  Forme derivate:
  antei "perché"
  arā, arād "quale"
  arāfk "quali"
  aṭ "quanti"

axa "quanto"

bash "su" 

bāmus "naso"

"sale; piccantezza; spirito, gusto"

bēl "grande torrente collinare"

bēning "indossare un vestito"

bīṛing "mungere"

bilum "corda al collo, cavezza"

bīn "fame"

cirrēnging "girovagare, divagare" (significato incerto)

cīring "squarciare, affettare"

cōshing "immergere, macerare; lavare strofinando, strofinare"

danning "tagliare (detto di coltello), rovinare (es. gelare il raccolto), usurpare (una proprietà), portare via (un premio), vincere, portare via, rimuovere"

dēṛū "prestito di animali da latte"

dranzing, drãzing "gettare in aria, setacciare" 
 
"mano; braccio" 
 
dūī, duvī "lingua"

dūn "pozzo"

ē, base pronominale distale

ēlō "l'altro, il secondo"

-glūnṭ, -gulōnṭ, -klōnṭ "lucertola", in garrīglūnṭ "lucertola spinosa", tazīglūnṭ "lucertola comune"

guḍḍing "mozzare, abbattere; ammaccare"

hēfing, harfing "sollevare, sostenere, portare, tollerare, portare via"

hikking "singhiozzare"
(voce onomatopeica)

hilh "febbre" 
 
hījing, hījēnging "essere spaventato"  

hīt "discorso, conversazione; promessa; argomento" 

ghing "piangere" 

huf "soffio di vento; esplosione; discorso vano" 

(h)ullī "cavallo"

huṛing "succhiare"

hūrra "tuono"
 
hūrī "ricettacolo di fango" (giara di creta non cotta) 

kakāring "schiamazzare"

kal "luogo dove si raccolgono le acque"

kalanḍ "pentola rotta di terracotta; pentola vecchia"

kanḍ "divario, breccia apertura; passo collinare"

karghing "tosare, falciare, mietere" 
 
kasar "via, strada"
 
kāṭum "testa"

kēb "vicinanza; vicino"

kōnḍō "a quattro zampe; piegato in due"

kurāṛa "gonfiore infiammato" (specie sul collo)

kūṭī "senza corna" 
 
lix "collo"

malh "figlio"

maringing "coagularsi, cagliare"

marrām "urlo, chiamata; fama"

marrī "domestico, addomesticato"

mashing "lavarsi la testa (con un'argilla apposita)" 
 
maxing "ridere" 
 
lh "capra" (traduzione incerta)

milinj "un'erba selvatica usata come foraggio" 

milī "midollo; cervello; gheriglio di noce" 

miṛing "scacciare, allontanare" 
 
murghun "lungo", 
murīfing "estendere, allungare" 
 
murr "lontano"

ṛk "tappo" 
 
palhing "essere in ebollizione",  
palēfing "far bollire" (la carne)  

paṛēfing "istigare; provocare" 

paṭak "basso (di statura); rachitico" (traduzione incerta)

paṭṭī "femmina" 
(esistono parole simili in Sindhi e nelle lingue dravidiche, anche se sussistono difficoltà fonetiche e l'etimologia permane dubbia)
 
pīun, pīhun "bianco"

pōlō "vuoto, cavo"

prishk "scintilla" 
 
puc "vestiti, abiti" (traduzione incerta)

punḍū "fondo di un ricettacolo; natiche; ano" 
 
rūsing "tirare fuori, strappare"

sālum "genero; cognato"

sār "soddisfatto, sazio" 
 
tamming "giacere"

taṛing "tagliare, recidere, macellare"

tataring, tatarēnging "lottare in modo convulso" 
 
traḍḍing "saltare, saltellare, ballare" 
 
trujjing "soffocare prendendo un boccone troppo grande; soffocare per la confusione, soffocare per l'orgoglio"
 
trukking "strappare, spogliare" 
 
tuṛinging "disfarsi (di punti); chiaro (di nuvole); separato (di latte)"

tūbē "luna", 
"mese"

xaning "far nascere"

xaṛīnk "lacrime"

xarmā "lupo"

xēr "dietro" (prep., avv.)

"pentola per cucinare"

xōlum "frumento"

xulling "forare; pugnalare"

xumb "abbraccio" 
 
xuṛk "vicino, a portata di mano"

Sono necessari ulteriori studi per classificare questi elementi di sostrato. Da una superficiale analisi non ho potuto rilevare somiglianze con l'elamico ma mi riprometto di ritornare sull'argomento.
 
Questi sono invece alcuni esempi di prestiti indoeuropei e arabi, tutti ben riconoscibili: 

baida "uovo" (< arabo)
banda "persona, essere umano" (< Balochi)
dandān "dente" (< persiano) 
draxt "albero" (< persiano)
ḍaghār "terra" (< Balochi) 
istār "stella" (< persiano)
parra "penna, piuma" (< persiano)
pūra "pieno" (< Sindhi)