Visualizzazione post con etichetta lingua araba. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta lingua araba. Mostra tutti i post

sabato 12 agosto 2023

ITALIANIZZAZIONE DI UNA PAROLA ARABA

Un mio lontano cugino, M., una volta narrò uno strano episodio della sua vita. Da giovane aveva lavorato come cuoco su una nave da crociera che attraversava il Mediterraneo. Si era imbattuto in alcuni sauditi molto benestanti, forse sceicchi, loro famigliari o qualcosa del genere, così disse. Questi gli parlarono a lungo del loro Paese, dicendogli che la loro religione non permetteva di mangiare carne di porco. Per riferirsi all'impuro animale, utilizzavano un vocabolo davvero strano: GONZILLO. Così dicevano senza sosta a chi preparava il cibo: "Niente gonzillo", "Non possiamo mangiare il gonzillo" e via discorrendo. Una nenia continua, estenuante. Tanto che mio cugino M. si irritò e diede loro da mangiare proprio le braciole di carne di porco. Gli arabi divorarono la carne con un'avidità disumana, la ingurgitarono fino all'ultimo boccone, fino all'ultima fibra. Poi affrontarono il cuoco e gli dissero: "Ci hai dato il gonzillo?" Lui rispose di sì. Loro scoppiarono a ridere. Così mi disse mio cugino M.: "Dicono che non possono, ma come ne hanno occasione lo mangiano volentieri!" Era rimasto colpito dalla loro ingordigia. Aggiunse anche che tracannavano quantità impressionanti di alcol, in teoria proibito dalla loro fede islamica. 

Lì per lì non feci molto caso a quella strana parola ripetuta di continuo nella narrazione, GONZILLO. Poi, anni dopo, compresi di cosa si trattava. Era un semplice adattamento dell'arabo خِنْزِير  KHINZĪR "maiale". Pur esistendo la rotica /r/ nell'inventario fonologico di M. come in quello dei ricchi sauditi, la parte finale della parola, -ĪR, è stata assimilata a un suffissoide -ILLO. Ancor più strano è il passaggio dalla consonante fricativa uvulare sorda KH- /χ/ a un'occlusiva sonora /g/. Sono convinto che sia di estrema utilità per gli studiosi la trasmissione di questo aneddoto, che insegna come avvengono i prestiti da una lingua all'altra, come i fonemi possono modificarsi a causa delle diverse abitudini di pronuncia. Tutto ciò è di un estremo interesse! Resta un problema insoluto: l'adattamento in italiano della parola araba è stato compiuto dai sauditi oppure da chi ha servito loro la carne suina? 

Link:

giovedì 10 agosto 2023

ETIMOLOGIA DI RATAFIÀ

Il ratafià (varianti desuete: ratàfia, ratàffia) è un liquore ottenuto macerando in acquavite o alcol il succo parzialmente fermentato di frutti come le ciliegie. In Italia è attualmente prodotto in Valle d'Aosta, Piemonte, Lazio, Abruzzo, Molise. Un tempo era bevuto persino in Russia! La parola viene dal francese ratafia, termine creolo originatosi nelle Antille (ratafia, tafia). Sono convinto che sia molto utile indagare su come questa formazione sia avvenuta.  


Un'etimologia popolare: 
Moltissimi credono che la parola derivi dalla locuzione latina (ut) rata fiat "che sia confermato (l'accordo)"; si trova anche (ut) rata fiant "che siano confermati (gli accordi)", col verbo al plurale, quando rata è inteso come neutro plurale. Per capire se il verbo debba essere al singolare o al plurale, bisogna capire il sostantivo sottinteso: pax rata fiat "sia confermata la pace" (dove rata è riferito a pax); pacta rata fiant "siano confermati gli accordi", etc. Esistono numerose varianti della formula, ad esempio et sic rata fiant e via discorrendo. 

L'aggettivo ratus (femminle rata, neutro ratum) "valido", "confermato", "fissato", "stabilito", "esaudito", è il participio passato del verbo deponente reor "io penso", "io stabilisco", "io giudico" (presente II pers. reris; perfetto ratus sum; infinito reri). 
La vocale -a- di ratus è breve. La -e- di reris e di reri è lunga: rēris, .



La tradizione vuole che gli accordi si siglassero, dopo la stretta di mano, bevendo un bicchiere di questo liquore. In realtà non sono affatto sicuro che esista alcuna concreta attestazione di tale usanza: sembra una storiella costruita ad hoc per spiegare la parola. La persona che ha dato origine a questa spiegazione non doveva essere analfabeta, essendo presupposta qualche conoscenza del latino. Tuttavia rientra nell'ambito delle paretimologie o etimologie popolari. Questo è uno dei pochissimi casi in cui un'etimologia popolare è elegante e seducente: in genere si tratta di vere e proprie brutture. 

Un'etimologia implausibile: 
Nel sito www.etimo.it, molto antiquato, mi sono imbattuto in una pronuncia anomala, ratafía, con l'accento su /i/, con annesso il tentativo di ricondurre l'origine della parola alle Indie Orientali (anziché alle Indie Occidentali!). Così la sillaba iniziale ra- è ricondotta al malese ARACH o RAK "acquavite", a sua volta dall'arabo 'ARAQ "umore", "latte", mentre -tafia è analizzato come TÂFÎA "acquavite di canna" (che sarà un prestito giunto in Oriente dalle Indie Occidentali). Il dizionario online obsoleto si contraddice da sé: alla voce tafia si specifica che è il nome "col quale i selvaggi e i negri (sic) chiamano ciò che gli inglesi dicono 
« rhum », cioè la parte spiritosa che si estrae dalla schiuma e dai residui della canna da zucchero".
Link:
Un'etimologia plausibile:
Si presuppone una pronuncia creola e alterata del francese rectifié "rettificato", participio passato di rectifier "rettificare". In effetti il ratafià è proprio questo: una bevanda rettificata, ossia addizionata ad alcol allo scopo di renderla più forte. In buona sostanza, è proprio l'etimologia proposta dal Vocabolario Treccani
Link: 

lunedì 12 giugno 2023

LA PROBLEMATICA ETIMOLOGIA DI SANDOKAN

Tutti sanno chi è Sandokan, soprannominato Tigre della Malesia o Tigre di Mompracem, il pirata protagonista di diversi romanzi dello scrittore veronese Emilio Salgari (1862 - 1911, morto gloriosamente facendo seppuku). Quanti si sono chiesti perché il sanguigno personaggio del ciclo indo-malese è stato chiamato proprio in questo modo? In questo Paese letargico non è costume molto diffuso porsi domande sulle origini di ogni cosa, quindi mi tocca supplire a questa carenza impegnandomi in continue indagini. 


Quando mi sono messo a cercare informazioni credibili sull'etimologia del nome Sandokan, mi sono imbattuto in un racconto che lì per lì mi è parso poco verosimile. Il celeberrimo pirata avrebbe tratto il suo nome da una città, in modo analogo a quanto è avvenuto a coloro che in Italia portano un cognome locativo. In effetti, nel Borneo nord-orientale, nello Stato di Sabah, esiste una città portuale il cui nome è Sandakan. Il significato tradizionalmente attribuito a questo toponimo è "pegno scaduto". Una traduzione migliore dalla lingua Suluk (Tausūg) sarebbe "luogo che è stato dato in pegno". Ecco un'analisi più approfondita, capace di metterne in luce la radice e gli aspetti morfologici: 

Tausūg: 
sandaɁ "pegno", "deposito"  
  -kan, suffisso locativo o agentivo, aggiunto a nomi e a verbi. 

La stessa radice è diffusa anche in altre lingue strettamente imparentate: 


Mapun: sandaɁ "cosa data in pegno" 
Manobo: sandaɁ "impegnare qualcosa",
     "prestare qualcosa lasciando un deposito"
Maranao: sandaɁ "mutuo", "deposito", "pegno"; 
     sandaɁi "prestatore di pegni", "banco dei pegni" 
Tboli: sandaɁ "impegnare qualcosa" 
Yakan: sandaɁ "cosa impegnata", "pegno"
Tiruray: sanda "impegnare qualcosa per denaro"
Minangkabau: sanda "pegno"
Antico giavanese: sanda "pegno", "deposito"  
Balinese: sanda "pegno";
     sandahang "essere indotto a impegnare" 

Un tempo anche in malese esisteva il vocabolo sanda "pegno", ma è caduto in disuso ed è stato sostituito con gadai "pegno".

A quanto si sa, nel XIX secolo il Sultano di Sulu, il cui regno si trovava nelle Filippine meridionali ed estendeva la sua influenza su parte del Borneo settentrionale, si è venuto a trovare in un groviglio internazionale. Uno di quei casini che difficilmente si possono spiegare bene a parole, anche perché c'erano diverse potenze europee che interagivano in quella parte del mondo. Cercando protezione dalla Germania contro le mire della Spagna, il Sultano Jamalul Azam ha venduto nel 1878 la città di Sandakan a un console dell'Impero Austroungarico, il Barone Gustav von Overbeck. Il punto è che Overbeck in seguito ha a sua volta ceduto la proprietà a un mercante coloniale inglese, Alfred Dent. La città ebbe grande prosperità e divenne la capitale del Borneo settentrionale, rimpiazzando Kudat. Dato che si registrava una continua presenza tedesca nell'area, cosa che irritava gli Inglesi, si giunse a un accordo denominato Protocollo di Madrid (1885): la Spagna avrebbe esercitato la sua influenza sull'Arcipelago di Sulu ma non sul Borneo settentrionale. Domanda: Sandakan aveva questo nome già prima della sua cessione? In tal caso si avrebbe ragione di dubitare del valore etimologico della narrazione. Ebbene, sembra proprio che il nome Sandakan sia stato attribuito da un certo William Clarke Cowie, che era un contrabbandiere scozzese di armi da fuoco. Non c'è ragione di credere che i garbugli internazionali siano stati collegati ad hoc a un toponimo più antico per spiegarne l'origine. Sappiamo che la città di Sandakan era anche chiamata Elopura, nome glossato con "Bella Città" e talvolta "Bel Porto": fu lo stesso William Clarke Cowie a coniarlo e ad attribuirlo. Era un autentico poeta scozzese! Come si chiamava Sandakan prima degli anni '7o dell'Ottocento? Non sono stato in grado di appurarlo. Attualmente il toponimo gode di una certa importanza, persino nell'ambito dell'organizzazione territoriale della Chiesa Romana: 

"La diocesi di Sandakan (in latino: Dioecesis Sandakanensis) è una sede della Chiesa cattolica in Malaysia suffraganea dell'arcidiocesi di Kota Kinabalu."
(Fonte: Wikipedia) 


Realtà storica del personaggio 

A quanto è stato appurato, è esistito un comandante navale particolarmente bellicoso, il cui nome era Sandokong. Assieme al sodale Syarif Osman, combatté contro James Brooke, il Rajah Bianco di Sarawak, proprio negli anni in cui sono ambientati i romanzi salgariani. Usava lo stesso vessillo rosso con la testa di tigre. Il luogo che gli ha dato i natali è Marudu (varianti: Maludu, Malludu, Malluda). Syarif Osman, un principe spodestato, avrebbe in qualche modo ispirato la figura di Yanez de Gomera - pur non essendo portoghese. Una appassionata tedesca del ciclo dei pirati della Malesia, Bianca Maria Gerlich, si è recata in Borneo per raccogliere informazioni, riuscendo ad ottenere le prove dell'esistenza storica di questo Sandokong (varianti documentate: SandukongSandokang, Sandukur, Sindukung). Ha inoltre incontrato i suoi discendenti, che sono oggi particolarmente benestanti. A quanto pare, il loro illustre progenitore aveva investito in alcune grotte ricchissime di guano, difendendole con particolare tenacia. Invito tutti a imparare qualcosa di sorprendente leggendo gli articoli contenuti nel sito della studiosa, iniziando da questo:


Dagli interessantissimi dati reperiti, risulta evidente la derivazione dell'antroponimo della Tigre della Malesia dal vocabolo malese sendok "cucchiaio", "mestolo" - come riconosciuto dalla stessa Gerlich. 

Proto-maleo-polinesiano: *sanduk 
    Ricostruzioni alternative: *sinduk 
Significato: cucchiaio, mestolo 
Nota:
In origine lo strumento era fatto con un guscio di noce di cocco, con un manico di bambù.  
Esiti documentati: 
   Tagalog: sandok "cucchiaio", "mestolo" 
      Varianti: sanrok
   Malese: sendok, senduk "cucchiaio", "mestolo" 
      Varianti: sandok 
   Sundanese: séndok, sinduk "cucchiaio", "mestolo" 
Quindi Sandokan doveva significare qualcosa come "che usa il cucchiaio", dato che in malese -an è un suffisso tipico che serve a marcare azioni e che può anche avere funzione di strumentale o di agentivo. Questi sono alcuni esempi, sempre dal malese: 

timbang "pesare" => timbangan "bilancia" 
makan "mangiare" => makanan "cibo" 
pimpin "giudare" => pimpinan "guida", "leader" 
bangun "costruire" => bangunan "costruzione" 
didik "educare" => didikan "educazione" 


Vero è che dalle forme raccolte sul campo, sembrerebbe piuttosto che il suffisso originale fosse -ang (-ong, -ung), che però non sono in grado di spiegare, anche a causa della mia scarsa conoscenza di questa famiglia linguistica. Non sembra comunque esserci molto spazio per i dubbi: si tratterà di varianti locali. 
Evidentemente chi ha dato per la prima volta il nome Sandokan / Sandokang (etc.) a una persona, intendeva indicare una grande voracità, il mangiare a quattro palmenti servendosi di un grosso cucchiaio. Potremmo quasi pensare di tradurre Sandokan con "Cucchiaione"! 

Alcune etimologie farlocche

Mi sono imbattuto in alcune pagine di cui è bene diffidare, perché hanno un altissimo livello di inquinamento memetico. Eccole:


"L'etimologia della parola "SANDOKAN" non è ben comprensibile. Alcuni studiosi sostengono che provenga dal sanscrito "sandhyā", che significa "terra" o "mondo". Altri sostengono che sia una invocazione protettiva."


"La parola "Sandokan" deriva dalla lingua persiana, "sandukān", che significa "ministro" o "capo". Questa parola venne poi adottata dall'italiano con il significato di personaggio o figura di potere." 

Le informazioni contentute in tali testi sono false, inventate di sana pianta. La parola sanscrita संध्या saṃdhyā (sandhyā) ha un significato del tutto diverso da quello indicato dal compilatore del sito di cruciverba: significa "crepuscolo", "unione di giorno e notte"; "transizione", "giuntura". È anche un nome proprio femminile. Ovviamente non ha nulla a che fare con Sandokan.  
La parola persiana صندوق sanduk, sanduq significa "scatola", "cassa", "cofano", "forziere"; è un evidente prestito dall'arabo صُنْدُوق ṣundūq "cassa", "scrigno", "cassetta", "cofano". Anche in questo caso, non c'è connessione alcuna con Sandokan
Mi sorprende che ci siano persone con tanto tempo da perdere, da impegnarsi nel diffondere a piene mani simili stronzate. Danno alle loro spiritosaggini un aspetto verosimile, per gabbare i polli! 
 
Una storiella apocrifa

Riporto ora verbatim ab origine un testo notevole e ameno, che ho raccolto tempo fa: 

"Ebbene, il nome Sandokan deriva da una bestemmia! Salgari, che era un buon veneto amante del distillato di vinacce, cercava invano un nome convincente per il protagonista delle avventure di pirateria malese che gli frullavano per la testa da giorni. Così accadde che inciampò e batté una caviglia contro uno spigolo. Urlò "SAN DIO", seguito dall'epiteto "CAN"! Ecco che la moglie dello scrittore, che era un po' sordastra, fece capolino nella stanza e chiese: "Chi è questo Sandokan?" Aveva interpretato la sonora bestemmia come un nome proprio, perché non aveva sentito la vocale -i-. Ecco il nome che Salgari cercava! Subito fu convinto che avrebbe avuto un gran successo!"  

La grande cultura di Salgari e gli studi della Gerlich mi hanno impedito di credere a una simile favoletta, che appartiene alla immenso oceano delle più grossolane etimologie popolari! Evidentemente lo scrittore conosceva bene gli accadimenti dell'Indonesia ed aveva sentito parlare di Sandokong.

Ricordi di scuola

L'influenza culturale di Sandokan è stata pervasiva in Italia, dando origine ad esiti bizzarri, anche scurrili e goliardici. Ad esempio, Tomas Milian deformava il nome in Sandokazzo, interpretandolo in romanesco come "sa 'ndo cazzo". Ai tempi in cui frequentavo le medie circolava questa canzoncina, che non ho dimenticato:

Sale e scende la marea,
Sandokan ha la diarrea,
e Marianna con piacere,
pulisce e lecca il suo sedere. 

Che altro dire? Aveva proprio ragione Sigmund Freud a definire i marmocchi "perversi polimorfi"!

sabato 10 giugno 2023

IL MITO DI ALI' AGAMET, IL MOSTRO DALLE MEMBRA PLURIME

Per pura serendipità mi sono imbattuto in un interessantissimo documento risalente al XIX secolo, che riporta strane notizie su un appariscente mostro da manuale di teratologia, Alì Agamet, scoperto da un capitano inglese il cui nome è riportato come Alimberto Valdames. Questo essere, alto 22 palmi (circa 2,5 metri), aveva due facce, quattro braccia e quattro gambe. 


Primo documento (1819) 

Questo è il titolo del resoconto: 

Narrazione di un nuovo mostro ritrovato nel mese di Agosto 1819, in una tartana di corsari di Cipro e preso da un vascello mercantile inglese . Esso chiamavasi Alì Agamet del Regno di Cipro .

Autore: Zavaterri, V.
Anno: 1819 
Lingua: Italiano 

https://wellcomecollection.org/works/c48nw8ng/items?canvas=9

Digitalizzato da Internet Archive nel 2016. 
Link: 
https://archive.org/details/b22014974

Secondo documento (1792) 

Esiste anche una versione più antica del resoconto, datata 1792 anziché 1819 e attribuita a un diverso autore.
Questo è il titolo: 

Distinta relazione di un nuovo mostro ritrovato nel 1792 in una tartana di corsari di Cipro e presa da una vascello mercantile inglese 

Autore: Tarlino Giacomo (Turlino)
Anno: 1792 
Lingua: Italiano 
Area di pubblicazione: Venezia, Treviso, Padova, Verona e Brescia, per Giacomo Tarlino 

Una copia di quest'opera si trova nella Biblioteca di Stato di San Marino, come dimostrato dal seguente link:

https://www.bibliotecadistato.sm/on-line/home/il-patrimonio/materiale-sammarinese/scheda18132447.html

Evidentemente il resoconto attribuito a Zavaterri è una pura e semplice copia di quello attribuito a Tarlino, con la modifica della data. Mi è subito parso chiaro che già il prototipo tarliniano fosse un falso. Mi sono convinto che la storia del mostro forse non sarà mai riconducibile ad eventi reali e documentabili, avendo la sua origine in una leggenda di marinai, di quelle che si ingigantivano passando di bettola in bettola, di porto in porto. 

 
Terzo documento (1702)

Nel corso della mia appassionante ricerca, mi sono imbattuto in un terzo resoconto! Una versione ancora più antica. Risale a 90 anni esatti prima di quello di Tarlino, ossia al 1702. Riporto la parte interessata della pagina 59 del volume Royal Empire Society Vol-iv, di Lewin Evans (1937), in cui è contenuto il cenno a quest'opera, che trascrivo anche qui di seguito, evidenziandolo in grassetto: 

MONSTROSITIES 

* Valdemss, A.  Distinta relazione d'un nuovo mostro ritrovato in una tartana di corsari di Cipro, presa da un vascello mercantile Inglese il giorno 20 agosto 1702, dove dentro vi trovarono questo mostro, chiamato Al Agamett, del Regno di Cipro. App.sm.Ato Londra, Genova, Venezia, Ronciglione, Ferrara & in Piacenza nella Stampa Vescovale del Zambelli, 1702.

Subito sotto c'è una sintetica descrizione in inglese: 
[The title page has an illustration of a man with two heads, four arms, & four legs, and the words Ali' Agamet del Regno di Cipro]  

Qualcuno dirà che potrebbe trattarsi di una distorsione del resoconto del 1792, con la cifra 9 erroneamente trascritta come 0. Questa supposizione mi sembra molto implausibile. Il nome del presunto autore, Valdemss, è una trascrizione alterata di Valdames, protagonista della storia, mentre Ali' Agamet diventa addirittura Al Agamett (essendo invece riportato correttamente nella descrizione). Sono incline a ritenere che sia davvero esistito questo terzo resoconto, anche per via della menzione della "Stampa Vescovale del Zambelli", in realtà Stampa vescovile del Zambelli, con sede a Piacenza, che non compare nelle altre due versioni e che era già attiva sul finire XVII secolo e agli inizi del XVIII. Non ho potuto avere accesso alle fonti usate da Evans, anche se ha operato in pieno XX secolo. Subito mi sono messo al lavoro per scoprire se siano esistiti altri resoconti ancora più antichi di quello stampato da Zambelli.

Quarto documento (1690) 

Finalmente ho avuto successo nella mia ricerca. Ancora un'altra versione! A questo punto si va avanti ad infinitum! Ecco un quarto resoconto, risalente al 1690. 
Questo è il titolo: 

Nova e verissima relatione del oribilissimo mostro chiamato Alì Agamet; nato ne’ deserti di Cipro, l’anno 1647 li 12 marzo e ritrovato da certi agà, che andavano alla caccia per quei boschi il mese di zugno prossimo passato, con un destinto racconto di sua complessione, del viver, mangiar, bever, vestir, conversar ed’ogni’altra circonstanza, essendo loro eletto capitano d’una squadra de rebelli di Cipro contro la Porta a favor di quel comandante, contro il regnante ottomano sollevato ...), Venezia, 1690  

Autore: al momento sconosciuto
Anno: 1960 
Lingua: Italiano 

La fonte è il lavoro di Anastasia Stouraiti, Marvels of the Levant: Print Media and the Politics of Wonder in Early Modern Venice, pubblicato su History Workshop Journal 90  (2020) e consultabile su Academia.edu.

https://www.academia.edu/43523925/
Marvels_of_the_Levant_Print_Media_
and_the_Politics_of_Wonder_in_Early_
Modern_Venice

Non ho la possibilità di consultare il testo, contenuto nella Biblioteca del Museo Correr a Venezia. Tutte le informazioni a mia disposizione sono tratte proprio dall'articolo della Stouraiti. 

Contenuti del resoconto del 1819

Una storia davvero avvincente. Si narra di come il Capitano Alimberto Valdames stesse viaggiando verso Algeri, conducendo un vascello mercantile inglese di media grandezza, con regolare licenza di esercitare il commercio. A un certo punto si imbatté in una tartana di grandi dimensioni, piena zeppa di corsari provenienti dall'isola di Cipro. Ne nacque uno scontro furibondo. Essendo gli Inglesi ben forniti di armi, riuscirono a prevalere e a catturare la tartana, dopo due ore di duri scontri, in cui imperversava il terribile gigante Alì Agamet, deforme e incredibilmente bellicoso. Ecco l'esito della battaglia: 

- Morti dalla parte inglese: 27.
- Morti dalla parte dei corsari: 19.
- Un numero imprecisato di feriti da entrambe le parti.
- Prigionieri cristiani liberati: 22. 
- Corsari ridotti in schiavitù e messi ai remi: 38 (incluso il gigante). 

Questa è una dettagliata descrizione dell'incredibile essere catturato: 

- presenza di due facce, rivolta una a destra e una a sinistra; 
- presenza di due occhi, uno per faccia; 
- presenza di due nasi, uno per faccia; 
- presenza di due bocche, una per faccia; 
- presenza di due folte barbe, una per faccia; 
- presenza di un mento tra le due facce;
- assenza di capelli e di peli sul corpo, ad eccezione delle due barbe; 
- presenza di quattro braccia, tutte abili e in grado di maneggiare armi; 
- presenza di quattro gambe, tutte abili e in grado di camminare; 
- capacità di mangiare contemporaneamente da entrambe le bocche;
- capacità di parlare contemporaneamente da entrambe le bocche;
- presenza di due grosse mammelle sul petto; 
- appetito insaziabile (mangiava come dieci persone affamate); 
- emissione di rutti spaventosi durante la nutrizione; 
- predilezione per la carne cruda e il sangue. 

Il mostruoso gigante 
dimostrò di non avere alcun problema di linguaggio articolato: si presentò descrivendo le sue origini e la sua condizione. Parlava nella sua lingua nativa (probabilmente il turco Ottomano), che evidentemente il Capitano Valdames conosceva bene.  

   "Io mi chiamo ALI' AGAMET , e sono di legge Maomettana ; nacqui nella superba Città di Babilonia , e fui figliolo di Selim Arabo , e di Ozime di Babilonia ; dandomi mia Madre alla luce , e vedendomi nato differente dagli altri uomini , procurò di tenermi celato più che fosse stato possibile temendo che potessi essergli rapito ; ma non scorse lungo tempo , che ne fu informato il nostro Bassa , il quale ordinò che immediatamente gli fossi presentato , il che fu eseguito . Visto che mi ebbe ordinò che fussi allevato nel suo proprio Palazzo , fintanto che pervenni all'età di dodici anni , e vedendomi così mostruoso pensò mandarmi in dono al Gran Signore Imperatore dei Turchi , come infatti fece . 
  Imbarcatomi adunque , e solcando l' onde , con prospero vento si navigava ; ma non durò molto la calma , perchè rivolgendosi il vento venne, quasi all’ improvviso una fierissima burrasca , e trasportato il Legno nei Mari di Cipro malamente reggendosi agli spessi colpi della fortuna si affondò, ed io dall’ onde abbattuto a terra mi ritrovai e mi ricoverai in un Bosco , che non troppo da lungi vidi , e vi soggiornai per lo spazio di sette mesi, senza veder mai persona alcuna , nutrendomi di erbe e di radiche o talvolta di Animali selvaggi , che ben spesso io prendeva . Dopo questo tempo capitò questa l' altana , che ora avete in vostro potere, dalla quale smontando molti per l’ acqua a loro mancata mi pigliarono, e vedendomi di questa' robustezza , e conoscendomi abile a maneggiar dell’ armi , mi vollero per loro compagno , ma però mai ad alcuno mi volli palesare , benchè molte volte facessi loro istanza , acciocchè al Gran Turco mi avessero condotto conforme mi aveva destinato il Bassa di Babilonia ; onde cosi incognito sono stato con esso loro lo spazio di nove anni solcando diversi Mari , facendo di grosse prede : e perchè detti Corsari erano di Cipro, mi cognominarono Alì Agamet del Regno di Cipro per molte mie prove , e prese fatte con terrore e spavento di tutti , ed oggi mi trovo vostro schiavo : e questo è quanto posso dirvi ."

Gli Inglesi fecero ritorno in Inghilterra. Fatta calafatare la tartana, organizzarono una specie di zoo umano nella città (il cui nome non è tramandato), facendo esibire Alì Agamet e riscuotendo grande successo. Così si conclude il racconto. 

I resoconti del 1819 e del 1690: 
un rapido confronto 

Nell'opera citata dalla Stouraiti, Alì Agamet mancava del linguaggio articolato, a differenza di quanto narrato dai resoconti successivi: sapeva esprimersi soltanto con gesti che apparivano esagerati, incoerenti e ridicoli agli stessi Turchi. La sua avidità nel bere lo faceva orinare di continuo, altra fonte di situazioni imbarazzanti. Viene ritratto con capelli lunghi, sporchi e carichi di polvere. Le sue guance erano ricoperte di un sudore nero e fetido, mentre gli occhi erano così rossi da sembrare carboni ardenti che "esalavano orrore". Altre caratteristiche erano identiche a quelle descritte da Zavaterri: due facce, due barbe, grosse mammelle, quattro braccia e quattro gambe. Non risulta alcuna menzione degli Inglesi di Valdames. Gli agà che hanno scoperto la creatura a Cipro erano locali ufficiali militari maomettani (in turco ağa significa "cacciatore"), che hanno pensato bene di arruolarlo e di utilizzarlo in un'insurrezione contro il Sultano. Questa insurrezione si dimostra fallimentare: molto probabilmente il gigante mostruoso allude al personaggio storico dell'insorto cipriota Mehmet Ağa Boyacioğlu, la cui ribellione fu stroncata dalle forze ottomane proprio nel 1690 (Stouraiti, 2020). La genealogia attribuita ad Alì Agamet è molto diversa da quella riportata da Zavaterri nel 1819: sarebbe stato figlio di un rinnegato che avrebbe abiurato la religione cristiana per convertirsi all'Islam, rapendo una donna cristiana e costringendola a sua volta ad abiurare. 

L'identità del capitano inglese

Azzardo una ricostruzione del nome originale del Capitano Valdames. A parer mio si chiamava Lambert Van Dammes ed era di origine fiamminga. Il nome di battesimo, Lambert, con ogni probabilità pronunciato /'læmbəɹt/, è stato italianizzato in Alimberto, nome raro ma effettivamente esistente: ad esempio ci è noto uno pseudonimo usato da Galileo Galilei, Alimberto Mauri. Possiamo fare qualche ipotesi in più: il nome potrebbe essere stato appreso dalla viva voce e trascritto in modo approssimativo. La vocale anteriore /æ/ avrebbe impedito che il nome fosse italianizzato in Lamberto. Un apprendimento dalla lingua scritta di un originale Albert avrebbe invece portato a italianizzare il nome in Alberto. Il cognome Van Dammes, la cui esistenza è attestata (pur essendo più comune Van Damme), deve aver prodotto Valdames per dissimilazione. La trascrizione di Valdames in ortografia inglese avrebbe poi dato il Valdemss riportato da Evans. Anche in questo caso, deve essere postulato l'apprendimento dalla viva voce, attraverso diversi passaggi. Colui che ha messo per iscritto il resoconto per la prima volta, deve aver ampliato qualcosa di mirabolante che ha sentito con le sue orecchie in un luogo sordido, in un angiporto o in una taverna malfamata. Ad ogni passaggio successivo, devono essere occorse ulteriori distorsioni.  
Appurato che al capitano inglese si potrebbe attribuire il nominativo Lambert Van Dammes, non possiamo in alcun modo ricondurlo a una persona effettivamente esistita, per via dell'estrema difficoltà ad accedere a documenti dell'epoca in cui si suppone abbia vissuto. Non dimentichiamoci la faccenda scabrosa della diversità delle date: 1819, 1792, 1702, 1690. Ne sono convinto: scavando bene, salterebbero fuori altre versioni più vetuste, che creerebbero più domande di quante contribuirebbero a risolvere! In ogni caso, sarebbe come cercare un ago in un pagliaio. 

Il nome Alì Agamet 

Evidentemente il nome del gigante mostruoso sta per Alì Ahmed. Alì (عليّ ʻAlī) significa "Sublime". Ahmed (أحمد Aḥmad) significa "Molto Lodevole". I due antroponimi, di chiara origine araba coranica, sono diffusissimi nel mondo islamico e non presentano alcuna difficoltà di analisi. La forma Agamet mostra, con la sua consonante sorda finale, una mediazione del turco. 

Un maomettano non molto osservante 

Alì Agamet si professava di religione maomettana, tuttavia non teneva in alcun conto le prescrizioni alimentari. Non soltanto mangiava qualsiasi tipo di carne e beveva birra: beveva anche il sangue, che anzi era la sua bevanda preferita. Nella nota proibizione coranica, sono vietati il sangue, le carogne e la carne di porco, tutte cose considerate impure e messe sullo stesso piano. Vero però è che è concessa esplicita licenza di nutrirsi di carne di porco in caso di viaggio in terre non islamiche o in condizioni estreme, come l'assenza di altro cibo. Allo stesso modo, è contemplata la possibilità che un viandante islamico si possa ubriacare in terra non islamica, con solo la raccomandazione di non pregare in quello stato. Va anche detto che non sempre, nel corso dei secoli, i Musulmani hanno sfoggiato dovunque quel rigore che oggi si tende ad attribuire loro. In particolare, nell'Impero Ottomano si beveva con una certa abbondanza e i divieti duravano al massimo tre giorni. 

Incongruenze interne 

Si noti che la stampa era già pienamente sviluppata in Inghilterra negli anni in cui si suppone che il fantomatico Lambert Van Dammes esibisse Alì Agamet in una città costiera. La presenza di un mostro così straordinario sarebbe stata documentata opportunamente e avrebbe destato immenso clamore dovunque. 
Anche il racconto più antico attestato presenta incoerenze. Se Alì Agamet, trovato a Cipro dagli ufficiali militari, non possedeva il linguaggio articolato, come poteva comunicare agli altri il proprio nome? Glielo avrebbero attribuito? 

Riscontro teratologico 

Alì Agamet aveva caratteristiche che possono essere originate dalla fusione di gemelli siamesi: diprosopia (duplicazione craniofacciale) e polimelia (presenza di arti soprannumerari). Altre peculiarità sorprendenti sono l'iperfagia e gli elementi di pseudo-ermafroditismo e ginecomastia (presenza di grosse mammelle). Nessuno si è mai preso la briga di descrivere i suoi genitali e le sue funzioni defecatorie. Quanti peni aveva? Tre, due o uno solo? E l'ano? Era unico o ne aveva due? Quello che stupisce è la perfetta funzionalità di tutte le membra: quattro braccia in grado di combattere e di adoperare armi, quattro gambe in grado di camminare avanzando e indietreggiando, perfettamente sincronizzate. Da condizioni che sono estremamente rare, non ha mai avuto origine un "gigante mostruoso" come quello descritto. In genere gli arti in eccesso non hanno piena funzionalità. Il folklore spesso esagera e combina caratteristiche rare per creare creature fantastiche. Si nota che la presenza di mammelle sviluppate in un uomo era considerata una caratteristica diabolica, spesso associata ad assassini particolarmente efferati. Non so se abbia senso insistere con i referti medici sul protagonista di quello che è nato come pamphlet

Possibile significato

Alì Agamet potrebbe essere una metafora e un prodotto del radicatissimo terrore per i Turchi. Non dobbiamo mai dimenticarci che i Turchi erano visti come un flagello, perché rapivano, riducevano in schiavitù e sodomizzavano! Soprattutto sodomizzavano. Devastavano l'intestino retto a tutti coloro su cui mettevano le mani. Uomini, donne, bambini, non si salvava nessuno. Non per niente si dice "cose turche". Potevano arrivare dovunque. Ci sono state scorrerie persino in Islanda. La Stouraiti è convinta che il terrore più insondabile che percorreva la Cristianità fosse quello delle abiure, in quanto erano molti ad abbandonare la Chiesa Romana per abbracciare l'Islam. Una cosa non esclude l'altra, questo è sicuro. Così possiamo concludere che Alì Agamet è fatto della stessa sostanza dell'Incubo!

mercoledì 24 maggio 2023

CRIPTOZOOLOGIA IN MADAGASCAR: L'EPIORNITE E IL ROC

I miti sono costruiti attorno a un nucleo di verità ormai resa oscura dalle stratificazioni di secoli, dal rumore di fondo e dalla potenza dell'Oblio. Esistono tuttavia alcuni casi in cui è possibile scrostare la maschera che ricopre questa antica essenza, riuscendo infine a farla rifulgere. Sono più rari di quanto vorremmo, è vero, ma non dobbiamo disperare. Quando la logica permette di arrivare a una conclusione sensata, ogni cosa converge: paleontologia, zoologia, folklore, storia, linguistica. 


L'epiornite o uccello elefante
 

In Madagascar è esistita fino ad epoca abbastanza recente una specie di uccello colossale, l'epiornite (Aepyornis maximus), appartenente alla famiglia degli uccelli elefante. La sua estinzione dovrebbe essere avvenuta nel XVI secolo, forse nel XVII, tanto che se ne conservano resti di esemplari allo stato subfossile. 
Alti fino a 3 metri, questi uccelli inadatti al volo potevano arrivare a pesare mezza tonnellata. Le loro uova potevano avere una circonferenza di oltre 1 metro e un'altezza di oltre 30 centimetri: il volume, pari a circa 8 litri, equivaleva a quello di 160 uova di gallina. Le loro ossa erano prive di midollo. Gli epiorniti potrebbero essere gli uccelli più grandi mai esistiti. 
Esistevano anche alcune specie appartenenti allo stesso genere. ma di dimensioni minori (Aepyornis hildebrandti, Aepyornis gracilis, Aepyornis medius). Si deve però notare che la classificazione esatta è tuttora controversa. Secondo alcuni studiosi, potrebbe trattarsi di sottospecie da ricondursi all'unica specie Aepyornis maximus. Un altro uccello elefante era il Mullerornis modestus, che poteva raggiungere un peso di soli 80 kg. 
Il nome scientifico Aepyornis deriva dal greco αἰπύς (aipys) "alto", "a picco", "scosceso" e ὄρνις (ornis) "uccello". La parola αἰπύς non ha origini indoeuropee ed è un elemento del sostrato pre-greco. La parola ὄρνις "uccello" è invece di chiara origine indoeuropea e ha paralleli in germanico, in celtico, in balto-slavo, in armeno, in albanese e nelle lingue anatoliche.  


Il resoconto di Étienne de Flacourt

L'Ammiraglio Étienne de Flacourt (1607 - 1660), Governatore Francese del Madagascar, nel 1658 pubblicò un'opera importante, intitolata Histoire de la Grande Isle de Madagascar, in cui descrisse in modo sorprendentemente accurato diverse specie di animali dell'isola, di cui tre sono subfossili. Tra questi ultimi spicca il vorompatra, il cui nome significa "uccello degli Ampatri", ossia "uccello delle paludi". Queste sono le parole dell'Ammiraglio:  

"Vouronpatra, un grand oiseau qui hante les Ampatres et pond des œufs comme l'autruche ; afin que les habitants de ces lieux ne le prennent pas, il recherche les endroits les plus solitaires." 

Traduzione: 

"Vouronpatra, un grande uccello che infesta gli Ampatri e depone le uova come lo struzzo; affinché gli abitanti di quei luoghi non lo prendano, cerca i posti più solitari." 

Come si può capire a colpo occhio, il nome vorompatra è un composto. Il primo membro è la parola malgascia vorona, che significa "uccello". Il secondo membro è il toponimo Ampatra (francesizzato in "Ampatres"), che significa "luoghi paludosi" e si riferisce a una regione dell'Androy, un distretto situato nell'estremo meridione del Madagascar. 

Protoforma ricostruibile: *vorona-ampatra 
Esito storico: vorompatra 
Varianti ortografiche: vouronpatra, voroupatra
Sinonimi: vorombe, vorombazoho  

La robustezza delle tradizioni orali dei Malgasci relative a questi uccelli giganti, documentata dallo studioso francese, è comprovata anche dalle sopravvivenze lessicali. Se anche ammettessimo che nessun esemplare di epiornite fosse sopravvissuto all'epoca del resoconto, sarebbe oltremodo interessante questa occasione di studiare gli effetti di un'estinzione recente: le genti del luogo non si sarebbero rese conto della scomparsa di un animale di notevoli dimensioni, continuando a mantenerlo in vita nell'immaginario collettivo. In ogni caso, il perdurare di testimonianze nei secoli successivi non può essere trascurato. 

Testimonianze più recenti

Anche se il resoconto di Flacourt non fu creduto, le voci sulla presenza di uccelli giganteschi persistettero fino alla metà del XIX secolo. Nel frattempo, le foreste paludose e le zone umide del Madagascar si erano gravemente impoverite. 
John Joliffe, chirurgo a bordo della HMS Gesyer, scrisse un diario in cui è riporta una conversazione risalente al 1848 con un commerciante francese di nome Dumarele, il quale sosteneva che i commercianti malgasci di Port Leven conservassero il rum in enormi uova, che a loro dire si trovavano talvolta nelle foreste e nei canneti, deposte da un uccello gigantesco che si vedeva molto raramente nelle foreste più fitte.
Ferdinand von Hochstetter (1829 - 1884) registrò indipendentemente la stessa affermazione, sebbene nel suo resoconto i commercianti avessero visitato l'isola olandese di Mauritius. Alfred Grandidier (1836 - 1921) scoprì in seguito che i Tandroy di Androy riconoscevano ancora il termine vorompatra, anche se il suo informatore, il capo Tsifanihy di Capo St. Mary, non aveva mai visto in vita sua uno di questi uccelli, pur ritenendoli "ben noti ai suoi antenati". Tsifanihy riuscì a condurre Grandidier in una palude vicina dove scoprì resti subfossili di un uccello elefante.
Roy P. Mackal scrisse nel 1980 che alcuni informatori locali insistevano sul fatto che una specie più piccola di uccello elefante (identificabile con Mullerornis) sopravvivesse ancora in foreste molto remote, dove il suo habitat paludoso e boscoso si era ridotto, ma non era scomparso. Diverse voci più recenti spinsero l'ufficiale inglese per la conservazione Barry Ingram a tentare una ricerca di uccelli elefante addirittura nel 1997 o nel 1998. Anche Ivan Mackerle condusse una ricerca più o meno nello stesso periodo. Le premesse sono buone: mi auguro che presto si potrà fotografare un autentico epiornite vivente! 


Marco Polo e l'uccello grifone 

Marco Polo (1254 - 1324) ha parlato di un uccello portentoso e immenso, chiamato ruc, che sarebbe vissuto proprio in Madagascar. Riporto un estratto della sua opera (Milione, Capitolo 186, Dell'isola di Madegascar): 

"
Ancora sappiate che quelle isole che sono cotanto verso il mezzodí, le navi non vi vanno voluntieri per l’acqua che corre cosí forte. Dicomi certi mercatanti che vi sono iti, che v’à uccelli grifoni, e questi uccelli apaiono certa parte dell’anno, ma non sono cosí fatti come si dice di qua, cioè mezzo uccello e mezzo lione, ma sono fatti come aguglie, e sono grandi com’io vi dirò. Egli pigliano l’alifante e pòrtallo su in aire, e poscia il lasciano cadere, e quelli si disfa tutto, poscia si pasce sopra lui. Ancora dicono quelli che l’ànno veduti, che l’alie sue sono sí grandi che cuoprono 20 passi, e le penne sono lunghe 12 passi, e sono grosse come si conviene a quella lunghezza. Quello ch’io n’ò veduto di questi uccelli, io il vi dirò in altro luogo.

E ancora: 

"Lo Grande Kane vi mandò messaggi per sapere di que]le cose di quell’isola, e preserne uno, sicché vi rimandò ancora messaggi per fare lasciare quello. Questi messaggi recarono al Grande Kane uno dente di porco salvatico che pesòe 14 libbre. 
Elli ànno sí divisate bestie e uccelli ch’è una maraviglia. Quelli di quella isola sí chiamano quello uccello ruc, ma per la grandezza sua noi crediamo che sia grifone."

Certo che no, gli abitanti del Madagascar non chiamavano ruc l'uccello gigante, con buona pace del Veneziano. Il nome dovette essere un articolo d'importazione; allo stesso modo fu importato in Occidente, dove prevalse la forma roc. La fonte non è sconosciuta. Questa misteriosa creatura compare due volte nella celebre raccolta di racconti orientali Le mille e una notte (arabo: ألف ليلة وليلة‎?, ʾAlf layla wa layla; persiano: هزار و یک شب‎, Hezār-o yek šab), realizzata nel X secolo, di varia ambientazione storico-geografica e composta da differenti autori. 


Madagascar e Mogadiscio:
pretese difficoltà di identificazione

A noi lettori moderni, a volte sembra proprio che Marco Polo avesse le idee piuttosto confuse. Già avevo notato che descriveva il Madagascar come un paese di religione maomettana, quando ci si sarebbe aspettati che dicesse dei Malgasci "È sono idoli" (ossia "Essi sono idolatri"), essendo politeisti fino a tempi recenti. Il Cristianesimo è penetrato nell'isola abbastanza tardi: ancora nel corso del XIX secolo aveva notevoli difficoltà, essendo perseguitato aspramente nel corso del regno della Regina Ranavalona I, che durò dal 1828 al 1861. Va detto che in Madagascar è esistita nel corso dei secoli un'antica e radicata presenza musulmana, rappresentata soprattutto da mercanti e da loro discendenti (gli Antemoro e gli Antanosy), eppure il Veneziano non si sarebbe sbagliato in modo così grossolano trascurando le diffuse pratiche idolatriche. Dunque è sorto in alcuni studiosi il dubbio che con il toponimo Madagascar, l'autore del Milione intendesse in realtà Mogadiscio, che è ed era già all'epoca un paese di religione maomettana. Questa obiezione è comunque del tutto implausibile, proprio perché nel Capitolo 186 del Milione, il Madagascar è descritto al di là di ogni dubbio come un'isola di proporzioni eccezionali! 

"Mandegascar si è una isola verso mezzodí, di lungi da Scara intorno da 1.000 miglia. Questi sono saracini ch’adorano Malcometo; questi ànno 4 vescovi - cio(è) 4 vecchi uomini -, ch’ànno la signoria di tutta l’isola. E sapiate che questa è la migliore isola e la magiore di tutto il mondo, ché si dice ch’ella gira 4.000 miglia. È vivono di mercatantia e d’arti. Qui nasce piú leofanti che in parte del mondo; e per tutto l’altro mondo non si vende né compera tanti denti di leofanti quanto in questa isola ed in quella di Zaghibar. E sapiate che in questa isola non si mangia altra carne che di camelli, e mangiavisene tanti che non si potrebbe credere; e dicono che questa carne di camelli è la piú sana carne e la migliore che sia al mondo." 

Come si può vedere, abbiamo a che fare con un miscuglio incredibile di cose vere (il Madagascar è un'isola immensa) e di cose false (il Madagascar è pieno zeppo di elefanti e di cammelli, è governato da quattro anziani saraceni, etc.).

Una soluzione dell'enigma

L'epiornite probabilmente fu avvistato da qualche viaggiatore e creduto essere il pulcino di un uccello volante e rapace ben più grande, il roc per l'appunto. Le foglie della pianta Raphia scambiate per piume di roc, unitamente alle alette atrofiche dell'uccello elefante, dovettero rafforzare questa credenza allucinatoria. Tutto dovette nascere per via di un uccello rapace effettivamente esistito ed estinto nel XVI secolo: l'aquila coronata malgascia (Stephanoaetus mahery), di proporzioni leggermente maggiori rispetto a quelle dell'aquila coronata africana (Stephanoaetus coronatus). Nulla di paragonabile all'epiornite, ovviamente: si parla di un rapace del peso massimo stimato di circa 7 kg. In certe condizioni la fantasia umana può galoppare, così qualcuno è arrivato a concepire l'idea di un animale volante titanico, fisicamente impossibile. 


Etimologia di Roc 

La parola roc (variante ruc) deriva dal persiano رخ rokh (trascritto anche rukh o ruk), che designa un uccello immane dal piumaggio bianco, di tali dimensioni da permettergli di uccidere gli elefanti per cibarsi della loro carne. Il termine persiano non deve essere confuso con l'omofono رُخ rokh (rukh), che significa "carro" e che entrò nelle lingue europee nel contesto degli scacchi (antico francese roc, italiano arrocco, inglese rook). 

L'ipotesi più probabile è che rokh derivi dal nome del mitico uccello سیمرغ Sīmurgh (trascritto anche Simorgh, Simorg, Simurg, Simoorg, Simorq, Simourv), dal medio persiano Sēnmurw (trascritto anche Senmurv), a sua volta da un più antico Sēnmuruγ. Nei testi in scrittura Pazend si ha Sīna-mrū. In avestico era noto come mərəγō Saēnō, ossia "Uccello Saēna". Il nome in origine indicava un'aquila, un rapace: in sanscrito si ha la parola imparentata श्येन śyenaḥ significa "aquila", "falco", "rapace, uccello predatore". Dal medio persiano, il nome Sēnmuruγ è passato come prestito in armeno, dando սիրամարգ siramarg "pavone". 
La trafila che ha portato da Sēnmuruγ a rokh è ipotizzabile in questi termini: 

sēnmuruγ => *senəmruk => *mruk => ruk 

Dal persiano la parola rokh è poi passata in arabo come لرُخّ ar-ruḫḫ

venerdì 4 novembre 2022

ETIMOLOGIA DI TANGO

Un caso particolarmente arduo da trattare è quello dell'etimologia del nome del famosissimo ballo argentino, il tango. Le proposte sono innumerevoli, contraddittorie e poco convincenti. 

Ricordo un grossolano tentativo di spiegare la parola, che fu enunciato da un partecipante alla prima edizione del Grande Fratello, Pietro Taricone - nel frattempo deceduto. All'epoca il "gieffino" esibiva qualche rudimento di latino, vantandosi di essere un maestro di etimologie: tra le sue "perle" si riportano snob spiegato come "sine nobilitate" (ossia "senza nobiltà") e il toponimo belga Spa interpretato come "salus per aquas" (ossia "salute per mezzo delle acque"). Allo stesso modo riconduceva tango, nome del ballo argentino, al verbo latino tangere "toccare", ritenendolo una pura e semplice forma coniugata (prima persona singolare del presente indicativo, tango "io tocco"). Il suo ragionamento era questo:  quando si balla il tango si tocca la donna, la si palpa sensualmente, così la danza stessa deve per forza di cose prendere il nome da questa attività sessuale pubblica. Non a caso, il tango fu condannato dalla Chiesa Romana, in tempi in cui il tuonare di un Pontefice aveva ancora qualche importanza e poteva incutere timore in vasti strati della popolazione, un po' come il Mago di Oz. 

Passiamo ora in rassegna quanto ho potuto reperire. 

Etimologie neolatine di tango 

A dire il vero, l'origine da esiti romanzi del latino tangere "toccare" è stata più volte proposta, tuttavia non nel senso di "toccare una donna", bensì in quello di "toccare uno strumento (a corda)", ossia "suonare uno strumento", oppure in altri modi più complessi e implausibili. 
Ecco un elenco di proposte: 
1) Spagnolo tañer "suonare uno strumento". 
"Altri ritengono che il termine derivi dallo spagnolo tañer (a sua volta dal latino tangĕre), cioè suonare uno strumento." 
(estratto da: Una parola al giorno)
2) Portoghese tanger "suonare uno strumento" (corrisponde allo spagnolo tañer). 
3) Portoghese tangomão "trafficante di schiavi in Africa", "portoghese africanizzato". William W. Megenney (2003) suppone che si tratti di un composto di tanger e di mão "mano", quasi un "toccamano", attribuendo la sua prima attestazione al creolo portoghese di São Tomé descritto da Alonso de Sandoval (XVII secolo). Lo stesso Megenney la somiglianza alla parola espressiva portoghese tanglomanglo, tanglomang, tangolomango "specie di magia, stregoneria", che ne potrebbe essere una deformazione. Sono tuttavia dell'idea che tangomão sia piuttosto un adattamento dell'arabo ترجمان tarjumān "interprete"
4) Antico francese (dialetto di Normandia) tangue "tipo di ballo". La parola, attestata in epoca medievale, appartiene di certo alla descritta categoria semantica. È verosimile che fosse un ballo con accompagnamento di strumenti a corda, da cui il nome. Ovviamente non ha nulla a che fare con l'omofono tangue, tanque "concime di alghe", che è dal norreno þang "alghe".  
5) Francese tanguer "beccheggiare", "oscillare", tangage "beccheggio, movimento oscillatorio". Sono parole tipiche del gergo marinaresco, derivate dall'antico francese tengre "oscillare". Anche se ci sono dubbi, la radice dovrebbe essere dal latino tangere "toccare", con questo slittamento semantico:
"toccare" => "toccare ritmicamente" => "far oscillare" => "beccheggiare", "oscillare". Si noti però che esiste in antico frisone il verbo tangeln "oscillare", che suggerisce piuttosto un'origine germanica.
6) Spagnolo tángano "gioco che consiste nel cercare di abbattere un cilindro lanciandogli contro pezzetti di pietra, ossicini o dischi". Il gioco è anche chiamato tanga, mentre il cilindro da colpire è chiamato tango. Queste parole, tángano, tanga e tango, sono fatte derivare dal latino tangere "toccare". È il solito genio dei romanisti. Da qui è nato il mito secondo cui il tango avrebbe tratto il suo nome da un ossicino! Non si capisce secondo quale logica. 

Etimologie Romaní di tango 

1) Secondo quanto riportato da William Sayers (2013), la parola tango sarebbe di origine Romaní e deriverebbe da un precedente *tanzkó, dove -kó è un tipico suffisso agentivo. La radice della parola sarebbe un prestito dal tedesco Tanz "danza, ballo". Questa parola *tanzkó dovrebbe essere giunta  nella regione rioplatense dal Kalderash (lingua di un importante sottogruppo Rom della Romania), non dal Caló (lingua para-Romaní iberica). 
Si vede che questa derivazione è abbastanza implausibile per motivi fonetici. Non si dovrebbe avere la scomparsa di -z- nel gruppo consonantico -nzk-. In spagnolo, una simile parola avrebbe poi dato *tazco, non tango
2) Un'altra possibilità, sempre riportata in Sayers (2013), è che tango derivi dalla parola Romaní tang "stretto, compresso; costretto, forzato" (variante tango). La semantica sarebbe abbastanza ragionevole: l'uso di questo aggettivo deriverebbe dal fatto che l'uomo e la donna ballano appiccicati, avvinghiati, stretti l'uno all'altra. Anche se per altra via, senza passare attraverso il latino scolastico, si arriverebbe ancora all'idea espressa a suo tempo da Taricone. In ogni caso, sembra che questo aggettivo tang, tango non sia applicato al ballo. Ci vorrebbe il parere di uno ziganologo, anche se tutto questo convince poco. 

Etimologie arabe di tango 

1) Nell'Andalusia è in uso la parola tanguillo, che indica un tipo di danza, il flamenco. L'origine è dall'arabo taḥanjul, parola rara e difficilmente traducibile, connessa con il verbo biyitḥanjil "egli fa qualche passo di corsa seguito un gran salto". La consonante affricata araba -j- (suona come la g- di getto) sarebbe diventata un'occlusiva velare -gu- in andaluso (suona come la g- di gatto) - cosa di per sé abbastanza strana. L'ipotesi è che da questo tanguillo sia poi stato retroformato tango, essendo l'elemento -illo interpretato erroneamente come un suffisso diminutivo.
2) La parola araba طنبور ṭunbūr "strumento musicale a corde", confusa in parte con طبول ṭabūl "tamburi" (plurale di طبل ṭabl "tamburo"), ha dato l'italiano tamburo e lo spagnolo tambór. L'ipotesi diffusa è che tambór, pronunciato tambó dagli schiavi africani deportati in America Latina, sia poi diventato chissà come tangó. Quindi, per retrocessione dell'accento, questo tangó sarebbe diventato infine tango. Non mi risultano casi di sviluppo di -mb- in -ng- e sono incline a rigettare questa teoria già soltanto per la sua implausibilità a livello fonetico. La semantica è essa stessa poco soddisfacente. Si immagina che si sia avuto il passaggio da "tamburo" a "ballo al suono dei tamburi", da cui "tipo di ballo". Troviamo attestazioni di tango con significati come "spazio chiuso per feste comuni", "società di neri liberi e liberti", "luogo di riunione di dette società", che però non è affatto un derivato di tambó(r): sembra essere invece una voce di origine africana (vedi nel seguito). Si sarebbe quindi avuta la coalescenza di due parole del tutto diverse.   

Etimologie africane di tango 

Cercare in Africa possibili parole in grado di spiegare le origini del tango, si rivela un'impresa molto difficile. Ci si imbatte in problemi come la scarsa disponibilità di dati, la facilità che le informazioni siano distorte, la mancanza di ricostruzioni complete e affidabili delle protolingue. Megenney (2003) riporta alcuni dati, da me integrati con altre fonti disponibili nel Web, inclusi vocabolario on line.  

1) Lingue Bantu  
- parole col significato di "riunione" 
Ai tempi della tratta degli schiavi era usata la parola tango "punto di raccolta degli schiavi", in Africa; "punto di vendita degli schiavi", nelle Americhe (José Gobello, Ricardo Rodríguez Molla). Questo vocabolo deve aver avuto origine in una lingua Bantu al momento non identificata. 
Kikongo: tango "tipo di suono di tamburo, danza e canto del Congo" (Díaz Fabelo, 1998) 
Kikongo: tanga "festa, banchetto", plurale matanga "feste, banchetti" 
- parole col significato di "sole", da cui "ora" e quindi "spazio", "tempo"
Kikongo: ntangu "sole" (sinonimo: mwini "sole") 
Kikongo (dialetto Luango): ntango "sole" (Diaz Fabelo, 1998)
Kituba: ntangu "momento", "tempo", "era" 
Lingala: ntango "tempo"
- parole indicanti una caratteristica legata al movimento 
Kikongo: tánngu "versatilità" (Megenney, 2003)  
2) Lingue non Bantu  
- Ibibio: tamgu "danzare" (Etymonline.com). 

La lingua Ibibio, parlata in Nigeria, appartiene alla famiglia Volta-Congo. Nel 2013 contava circa 4,5 milioni di locutori. La derivazione della parola tango da un verbo Ibibio sembra lineare e plausibile, tanto da essere considerata la soluzione del problema da diversi siti di grande importanza, tra cui Wiktionary. A dispetto di ciò, trovo lecito nutrire qualche dubbio e preferisco l'ipotesi della parola Bantu col significato di "riunione". 

Altre etimologie di tango 

1) Sayers (2013) riporta una proposta etimologica dal tedesco Tingel-Tangel "ballo da cabaret". Verosimilmente si tratta di una denominazione gergale di origine espressiva. 
2) Blas Matamoro (1996) propone addirittura l'origine dal vocabolo Quechua tampu che significa "luogo di riunione", "taverna" (adattato in spagnolo come tambo), menzionando quindi il tango come una danza usata nell'isola canaria di Hierro nel XIX secolo, supponendo che vi sia stata introdotta dal Sudamerica coloniale. 
3) C'è chi ha proposto che tango derivi da fandango "tipo di danza andalusa", la cui etimologia è incerta, nella migliore delle ipotesi. L'unica labile proposta a cui ho potuto accedere, è che la parola fandango abbia connessione con il portoghese fado "canzone popolare", alla lettera "fato, destino". La trovo risibile. Comunque sia, il passaggio da fandango a tango è sommamente implausibile già per motivi fonetici. 
4) Tra le più stravaganti proposte c'è quella dell'origine dal supposto nome di una città giapponese, Tango: sarebbero state le comunità nipponiche trapiantate a Cuba nel XIX secolo a inventare il ballo da cui sarebbe poi derivato il tango. Chiaramente è una ridicola storiella di etimologia popolare inventata ex post. Non ho trovato una città giapponese, bensì una provincia con tale nome. Questo riporta Wikipedia: "Tango, propriamente Tango no Kuni (丹後国), fu una provincia del Giappone, nell'area che è ora la parte settentrionale della prefettura di Kyoto, di fronte al mare del Giappone. Tango confinava con le province di Tajima, Tamba e Wakasa. In periodi diversi sia Maizuru che Miyazu furono le capitali della provincia di Tango." 

Origine onomatopeica 

Questo riporta il Vocabolario Treccani alla voce "tango":

[voce spagn., di origine sudamer. e forse di natura onomatopeica (si ritiene che abbia indicato dapprima un tipo di tamburo e poi una danza eseguita da neri al suono del tamburo)] 

Sarebbe dunque una parola fatta di aria sottile, senza alcuna reale provenienza da una qualsiasi lingua umana: soltanto il suono del tamburo reso foneticamente come "tang tang", nella regione del Río de la Plata. Come teoria mi pare abbastanza ridicola. 

Sono convinto che, con un po' di pazienza, riuscirei a raccogliere molte altre proposte etimologiche ancora più strambe! Sono convinto che non manchi chi si cimenterebbe nel costruire storielle a partire da vocaboli puramente omofoni, come lo Swahili tango "cetriolo", il Tagalog tango "cenno" e il giapponese たんご tango "parola"!

Link: 

William W. Megenney, 2003: 
https://www.jstor.org/stable/23054732

William Sayers, 2013: 
https://www.jstor.org/stable/43803264 

Conclusioni: 

Capisco bene lo scetticismo e lo sfinimento. C'è sempre chi afferma un radicale nichilismo gnoseologico imbattendosi negli infiniti e inconcludenti tentativi di trovare un'etimologia credibile al  nome del tango. Riporto addirittura il caso di un internauta che, di fronte alla teoria dell'ossicino e alla teoria dei Giapponesi, urla a gran voce: "DROGA!" Si pretendono risposte esatte, assolute, irrevocabili. Se queste non arrivano, ecco che i filologi e i linguisti si drogano! Detto questo, rimango dell'idea di un'origine Bantu e sono convinto che col tempo si potrà fare maggiore chiarezza.